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Stefano Martignago – Anyone / Anywhere
Una trentina di acrilici su tela di piccole e medie dimensioni incentrati sulla ricerca del dettaglio umano psicologico, sia individuale sia collettivo, in rapporto ai luoghi e agli scenari urbani della società contemporanea che ne rispecchiano e ne determinano le condizioni esistenziali.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Si inaugura sabato 9 settembre 2017, alle ore 18.30, presso gli spazi espositivi di Villa Orsini di Scorzé (via Roma, 53; vedi scheda evento allegata), ANYONE/ANYWHERE, personale del pittore Stefano Martignago.
La mostra, visitabile fino a domenica 24 settembre 2017, è curata dal critico d’arte Gaetano Salerno e realizzata da Segnoperenne in collaborazione con il Comune di Scorzè e con il Circolo Culturale Scorzè.
ANYONE/ANYWHERE presenterà al pubblico una selezione critica di lavori realizzati da Stefano Martignago a partire dal 2013 e tratti da due principali cicli di ricerca dell’artista (Urban Landscapes e Human Landscapes; un terzo ciclo, non presente in mostra, è No-man Landscapes) già in parte presentati in occasioni di precedenti eventi espositivi ma per la prima volta posti tra loro in dialogo.
Una trentina di acrilici su tela di piccole e medie dimensioni incentrati sulla ricerca del dettaglio umano psicologico sia individuale, nell’incontro dell’uomo con se stesso, sia collettivo, nell’incontro con l’altro da sé, entrambi stati dell’essere posti in rapporto ai luoghi e agli scenari urbani della società contemporanea che ne rispecchiano e ne determinano le condizioni esistenziali.
Scrive Gaetano Salerno, curatore del progetto espositivo, a proposito del lavoro di Stefano Martignago:
“ La ricerca dell'artista, condotta nel solco di una pittura densa di rimandi espressionisti e metafisici, si concentra da tempo sul ritratto (realismo) sociale, individuando nella duplicità della forma umana e urbana, nella rappresentazione di corpi e volti e di edifici e luoghi, la difficoltà comunicativa e relazionale propria della cultura post-moderna; stati dell’essere quali l'abbandono, la solitudine, l’incomunicabilità divengono così elementi disgreganti dei rapporti sociali e costringono l'uomo a isolamenti estremi dei quali gli scorci cittadini, le aree dismesse, le archeologie industriali, un tempo dinamiche e vitali e ora abbandonate e silenti, divengono eloquenti metafore.
Uomini e luoghi. Prigionieri entrambi di una condizione anonima che impietosamente conduce alla perdita dell'identità sociale, della specificità geografica e topografica, decretando la genesi di rapporti superficiali, evidentemente incompleti anche se fortemente simbiotici. Nel ritratto dell’artista entrambi appaiono luoghi simbolici disabitati, vuoti contenitori di storie passate rievocate in fil di voce da azioni limitate che nessun corpo è più in grado di esprimere, nessun luogo in grado di accogliere.
Chiunque (e dovunque), anyone (anywhere), diviene così coprotagonista di vicende minime, intime e psicologiche - viaggi introspettivi nei quali l’artista s’inoltra e ci conduce - tracciate sinteticamente da un segno pittorico che rimane volutamente indefinito, leggero e fluido, per meglio determinare e visualizzare l’incompletezza e la difficoltà dell’essere appieno, per rispecchiare l'incertezza e l'incompletezza dei nostri vissuti, per meglio caratterizzare la nostra esperienza quotidiana di uomini (un tempo) sociali.
I primi (individui) colti nelle loro evidenti ed esposte fragilità e insicurezze, gli sguardi sempre distolti o appoggiati lontano dagli occhi di chi li osserva evitando di intercettarne lo spessore intellettuale oltre l’epidermide, lontani e assenti dal qui e adesso, prigionieri di pose plastiche e statiche, codici metaverbali e inattese prospettive schiaccianti che esprimono clausure.
I secondi (luoghi) archetipi di scorci urbani di metropoli svuotate delle loro specificità sociali, anch'esse sfumate da una pittura che suggerisce ma non definisce, indifferenti agli spunti antropici che ne garantirebbero la vita come energia propria e essenziale delle città. Ed entrambi evidenti luoghi dell'animo, sospesi tra un essere stati e un non essere ancora.
Le gamme cromatiche alle quali ricorre l’artista per ritrovare in studio le atmosfere raccolte nel girovagare e osservare dal vero risultano parche, mai accese né iperboliche; evitando di urlare il disagio umano e di imporre la propria esperienza, questi soggetti semplicemente esistono, sfumano nei contorni e si uniformano a un mondo fisico circostante in progressivo disfacimento, ritmando continui scambi luminosi tonali tra materia e aria, tra pieni e vuoti, tra presenze e assenze, confutando le direttive prospettiche sulle quali l’artista imposta le vedute urbane così come le linee che ne definiscono i corpi e i volti compressi in sfondi monocromi appena accennati, come se lo spazio interno ed esterno dovesse riempirsi solo del nulla dettato da una condizione umana diffusa, empaticamente condivisibile.
Non-esseri e non-luoghi divengono astrazioni della loro consistenza figurativa, emergono dall’impasto materico con passaggi di pennello associati a graffiature del colore per lasciarsi solo blandamente lambire e mai penetrare, mai attraversare dal giudizio critico, quasi deferenti e casuali. Allegorie dunque della contemporanea e moderna incapacità di evolvere, dell’appagante quanto innaturale apatia che ci schiaccia e ci appiattisce nel tempo, accentuata da sapienti tagli fotografici che bloccano gli sviluppi narrativi e creano (per poi rapidamente stemperare) tensioni tra la realtà osservata e la sua trasposizione pittorica.
L'individuo risiede nel luogo e il luogo alberga nell'individuo, monadi disperse nella quieta solitudine dell’indifferenza, nella distanza imposta da identità perennemente negate, da una forma indagativa dello spazio (tra campi lunghi e stretti) che lega queste entità diffuse in simbiotico rapporto di sussistenza. L'artista immagina perciò molteplici teatri esistenziali, eleganti e formali, rinunciando tuttavia a replicare in essi la vita, lasciando che gli attori e i palcoscenici siano contestuali eppure indipendenti gli uni dagli altri, distorcendo - come l’elemento temporale che qui appare rallentato, dilatato, assoluto - l’assonanza tra i copioni recitativi e gli impianti scenografici, determinando la compresenza di altrettante verità interpretative che questa pittura, primariamente descrittiva e protetta dai silenzi evocati da questi uomini e da questi luoghi, ben si guarda dal rivelare nell’immediatezza.
Ciò nonostante Stefano Martignago introduce nei propri lavori un valore perfettibile, un senso di velato ottimismo; esasperando al limite la realtà, esponendo in maniera iperbolica e diretta una condizione umana estremizzata, sia individuale sia collettiva, mostra un punto estremo di frammentazione sociale oltre il quale esisterebbe solo il nulla e determina, come nell’oggettività della fotografia (medium al quale spesso ricorre per cogliere un attimo significante e rigoroso del proprio osservare), un concreto e potenziale punto zero di ripartenza relazionale e comportamentale.
Nel colore – predominano i toni freddi, caratterizzati dall’uso dei grigi , subito stemperati da toni caldi e da inattese ma disarmanti solarità che rendono questi lavori cartoline metafisiche nette e inconfutabili - si ritrova la speranza che l'individuo possa, in questi lavori, riconoscere il suo simile, riavvicinarsi al proprio luogo, recuperare gli spunti qui negati da una narrazione colta nell'incipit della storia ma congelata nella tremenda fissità di malesseri dell'animo (paura, indecisione, apatia, malinconia) con l'energia necessaria per ridar vita al progetto sociale che ha originato la civiltà umana garantendone l'evoluzione e lo sviluppo.
Chiunque potrà così, in questa ricerca, incontrare se stesso e dovunque recuperare la propria identità smarrita, riconoscersi in un volto, riconoscere fortuitamente un luogo, intuendo, attraverso queste porzioni frammentate della psiche e del reale, l’esigenza di una relazione biunivoca che, per quanto appaia sospeso nel limbo dell’incertezza, è in realtà presente e induce allo sviluppo dinamico di un epilogo narrativo dell’essere che ridiviene ciò che è, riattiva quello stato dell’Io non ancora realizzato ma realizzabile che la pittura dell’artista, ricca di spunti potenziali, raccoglie e ritrae”. (testo critico a cura di Gaetano Salerno)
Stefano Martignago nasce in Svizzera nel 1962.
Vive e lavora come visual designer a Quinto di Treviso.
Dipinge seriamente e con continuità dal 2013.
Nello stesso anno ottiene una segnalazione al concorso internazionale di arte contemporanea “Celeste Prize” con l’opera Koeln_01. Nel 2014 inaugura la mostra personale Urban Landscapes al “Centro Culturale Art Port” di Palazzolo dello Stella (Udine) e nel 2016 inaugura la mostra personale Human Landscapes al “Bistrot de Venise” di Venezia.
Stefano Martignago sarà presente presso gli spazi espositivi di Villa Orsini di Scorzè sabato 9 settembre 2017 (inizio presentazione ore 18.30), introdotto dal critico d’arte Gaetano Salerno, curatore della mostra.
La mostra, visitabile fino a domenica 24 settembre 2017, è curata dal critico d’arte Gaetano Salerno e realizzata da Segnoperenne in collaborazione con il Comune di Scorzè e con il Circolo Culturale Scorzè.
ANYONE/ANYWHERE presenterà al pubblico una selezione critica di lavori realizzati da Stefano Martignago a partire dal 2013 e tratti da due principali cicli di ricerca dell’artista (Urban Landscapes e Human Landscapes; un terzo ciclo, non presente in mostra, è No-man Landscapes) già in parte presentati in occasioni di precedenti eventi espositivi ma per la prima volta posti tra loro in dialogo.
Una trentina di acrilici su tela di piccole e medie dimensioni incentrati sulla ricerca del dettaglio umano psicologico sia individuale, nell’incontro dell’uomo con se stesso, sia collettivo, nell’incontro con l’altro da sé, entrambi stati dell’essere posti in rapporto ai luoghi e agli scenari urbani della società contemporanea che ne rispecchiano e ne determinano le condizioni esistenziali.
Scrive Gaetano Salerno, curatore del progetto espositivo, a proposito del lavoro di Stefano Martignago:
“ La ricerca dell'artista, condotta nel solco di una pittura densa di rimandi espressionisti e metafisici, si concentra da tempo sul ritratto (realismo) sociale, individuando nella duplicità della forma umana e urbana, nella rappresentazione di corpi e volti e di edifici e luoghi, la difficoltà comunicativa e relazionale propria della cultura post-moderna; stati dell’essere quali l'abbandono, la solitudine, l’incomunicabilità divengono così elementi disgreganti dei rapporti sociali e costringono l'uomo a isolamenti estremi dei quali gli scorci cittadini, le aree dismesse, le archeologie industriali, un tempo dinamiche e vitali e ora abbandonate e silenti, divengono eloquenti metafore.
Uomini e luoghi. Prigionieri entrambi di una condizione anonima che impietosamente conduce alla perdita dell'identità sociale, della specificità geografica e topografica, decretando la genesi di rapporti superficiali, evidentemente incompleti anche se fortemente simbiotici. Nel ritratto dell’artista entrambi appaiono luoghi simbolici disabitati, vuoti contenitori di storie passate rievocate in fil di voce da azioni limitate che nessun corpo è più in grado di esprimere, nessun luogo in grado di accogliere.
Chiunque (e dovunque), anyone (anywhere), diviene così coprotagonista di vicende minime, intime e psicologiche - viaggi introspettivi nei quali l’artista s’inoltra e ci conduce - tracciate sinteticamente da un segno pittorico che rimane volutamente indefinito, leggero e fluido, per meglio determinare e visualizzare l’incompletezza e la difficoltà dell’essere appieno, per rispecchiare l'incertezza e l'incompletezza dei nostri vissuti, per meglio caratterizzare la nostra esperienza quotidiana di uomini (un tempo) sociali.
I primi (individui) colti nelle loro evidenti ed esposte fragilità e insicurezze, gli sguardi sempre distolti o appoggiati lontano dagli occhi di chi li osserva evitando di intercettarne lo spessore intellettuale oltre l’epidermide, lontani e assenti dal qui e adesso, prigionieri di pose plastiche e statiche, codici metaverbali e inattese prospettive schiaccianti che esprimono clausure.
I secondi (luoghi) archetipi di scorci urbani di metropoli svuotate delle loro specificità sociali, anch'esse sfumate da una pittura che suggerisce ma non definisce, indifferenti agli spunti antropici che ne garantirebbero la vita come energia propria e essenziale delle città. Ed entrambi evidenti luoghi dell'animo, sospesi tra un essere stati e un non essere ancora.
Le gamme cromatiche alle quali ricorre l’artista per ritrovare in studio le atmosfere raccolte nel girovagare e osservare dal vero risultano parche, mai accese né iperboliche; evitando di urlare il disagio umano e di imporre la propria esperienza, questi soggetti semplicemente esistono, sfumano nei contorni e si uniformano a un mondo fisico circostante in progressivo disfacimento, ritmando continui scambi luminosi tonali tra materia e aria, tra pieni e vuoti, tra presenze e assenze, confutando le direttive prospettiche sulle quali l’artista imposta le vedute urbane così come le linee che ne definiscono i corpi e i volti compressi in sfondi monocromi appena accennati, come se lo spazio interno ed esterno dovesse riempirsi solo del nulla dettato da una condizione umana diffusa, empaticamente condivisibile.
Non-esseri e non-luoghi divengono astrazioni della loro consistenza figurativa, emergono dall’impasto materico con passaggi di pennello associati a graffiature del colore per lasciarsi solo blandamente lambire e mai penetrare, mai attraversare dal giudizio critico, quasi deferenti e casuali. Allegorie dunque della contemporanea e moderna incapacità di evolvere, dell’appagante quanto innaturale apatia che ci schiaccia e ci appiattisce nel tempo, accentuata da sapienti tagli fotografici che bloccano gli sviluppi narrativi e creano (per poi rapidamente stemperare) tensioni tra la realtà osservata e la sua trasposizione pittorica.
L'individuo risiede nel luogo e il luogo alberga nell'individuo, monadi disperse nella quieta solitudine dell’indifferenza, nella distanza imposta da identità perennemente negate, da una forma indagativa dello spazio (tra campi lunghi e stretti) che lega queste entità diffuse in simbiotico rapporto di sussistenza. L'artista immagina perciò molteplici teatri esistenziali, eleganti e formali, rinunciando tuttavia a replicare in essi la vita, lasciando che gli attori e i palcoscenici siano contestuali eppure indipendenti gli uni dagli altri, distorcendo - come l’elemento temporale che qui appare rallentato, dilatato, assoluto - l’assonanza tra i copioni recitativi e gli impianti scenografici, determinando la compresenza di altrettante verità interpretative che questa pittura, primariamente descrittiva e protetta dai silenzi evocati da questi uomini e da questi luoghi, ben si guarda dal rivelare nell’immediatezza.
Ciò nonostante Stefano Martignago introduce nei propri lavori un valore perfettibile, un senso di velato ottimismo; esasperando al limite la realtà, esponendo in maniera iperbolica e diretta una condizione umana estremizzata, sia individuale sia collettiva, mostra un punto estremo di frammentazione sociale oltre il quale esisterebbe solo il nulla e determina, come nell’oggettività della fotografia (medium al quale spesso ricorre per cogliere un attimo significante e rigoroso del proprio osservare), un concreto e potenziale punto zero di ripartenza relazionale e comportamentale.
Nel colore – predominano i toni freddi, caratterizzati dall’uso dei grigi , subito stemperati da toni caldi e da inattese ma disarmanti solarità che rendono questi lavori cartoline metafisiche nette e inconfutabili - si ritrova la speranza che l'individuo possa, in questi lavori, riconoscere il suo simile, riavvicinarsi al proprio luogo, recuperare gli spunti qui negati da una narrazione colta nell'incipit della storia ma congelata nella tremenda fissità di malesseri dell'animo (paura, indecisione, apatia, malinconia) con l'energia necessaria per ridar vita al progetto sociale che ha originato la civiltà umana garantendone l'evoluzione e lo sviluppo.
Chiunque potrà così, in questa ricerca, incontrare se stesso e dovunque recuperare la propria identità smarrita, riconoscersi in un volto, riconoscere fortuitamente un luogo, intuendo, attraverso queste porzioni frammentate della psiche e del reale, l’esigenza di una relazione biunivoca che, per quanto appaia sospeso nel limbo dell’incertezza, è in realtà presente e induce allo sviluppo dinamico di un epilogo narrativo dell’essere che ridiviene ciò che è, riattiva quello stato dell’Io non ancora realizzato ma realizzabile che la pittura dell’artista, ricca di spunti potenziali, raccoglie e ritrae”. (testo critico a cura di Gaetano Salerno)
Stefano Martignago nasce in Svizzera nel 1962.
Vive e lavora come visual designer a Quinto di Treviso.
Dipinge seriamente e con continuità dal 2013.
Nello stesso anno ottiene una segnalazione al concorso internazionale di arte contemporanea “Celeste Prize” con l’opera Koeln_01. Nel 2014 inaugura la mostra personale Urban Landscapes al “Centro Culturale Art Port” di Palazzolo dello Stella (Udine) e nel 2016 inaugura la mostra personale Human Landscapes al “Bistrot de Venise” di Venezia.
Stefano Martignago sarà presente presso gli spazi espositivi di Villa Orsini di Scorzè sabato 9 settembre 2017 (inizio presentazione ore 18.30), introdotto dal critico d’arte Gaetano Salerno, curatore della mostra.
09
settembre 2017
Stefano Martignago – Anyone / Anywhere
Dal 09 al 24 settembre 2017
arte contemporanea
Location
VILLA ORSINI
Scorzè, Via Roma, 53, (Venezia)
Scorzè, Via Roma, 53, (Venezia)
Orario di apertura
giovedì venerdì sabato 16.30 - 19.30
domenica 10.30 - 12.30 e 16.30 - 19.30
Vernissage
9 Settembre 2017, ore 18.30
Autore
Curatore