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Stefano Pensotti – Azalai, lungo la via del sale
Personale di fotografia
Comunicato stampa
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45 stampe carta baritata ai sali d’argento
con viraggio selenio Archiv
Si partiva da Timbuctu con la grande carovana per Taudenni. 750 chilometri di sabbia per arrivare alle miniere, centinaia di grandi buche rettangolari, altri 750 per portare a Timbuctu il prezioso carico di sale”. “Ero un ragazzo, Taudenni mi ha fatto Uomo” racconta Alaghdje attorno al fuoco acceso per scacciare il freddo della notte nel deserto del Sahara. Alaghdje è un Berabich, gruppo di nomadi originari della Mauritania, ed ha seguito tante volte la carovana di Taudenni. Timbuctu, Taudenni, nomi che evocano un mondo sconociuto e affascinante, accomunati da un denominatore comune: il deserto con le sue oasi, le carovane, i nomadi Berabich e Tuareg. Un mondo misterioso e seducente, ma anche terribile e severo, con il sole implacabile durante il giorno e il freddo pungente della notte. Il commercio del sale conserva un sapore antico. Materia prima, utilizzata così come viene raccolta, non richiede impianti costosi, ma attrezzi elementari: mani e zappe. Quello di Taudenni viene venduto in lastre da circa trenta chili, il venditore ne riceve spesso in cambio capre, zucchero, tè, verdura, sacchi di miglio, acqua. Per migliaia di persone, minatori, carovanieri, allevatori di dromedari, commercianti e le loro famiglie, esso rappresenta l'unica fonte di reddito. Il commercio del sale fu alla base di tutti i traffici che si svolgevano lungo le grandi carovaniere del Sahara. Bilma in Niger, ldjil in Mauritania e Taudenni in Mali erano meta di carovane di dromedari che in tempi remoti raggiungevano anche le 500 unità, uno spettacolo grandioso al quale si poteva ancora assistere all'inizio degli anni settanta. Le favolose, inesauribili, miniere di sale di Taudenni continuano ad essere l'approdo obbligato di centinaia di dromedari, un pellegrinaggio commerciale iniziato più di 5 secoli fa. Da allora le chiamano Azalaï, le carovane del sale che nel '600 gli arabi mercanteggiavano come l'oro bianco, scambiandolo direttamente col prezioso metallo. La carovana si forma a Timbuctù, qui i Berabich radunano i dromedari, gli insancabili mehari bianchi, qui acquistano le provviste per la marcia. Da Timbuctu si parte in direzione di Agunni, si supera la cintura di dune che assedia la città, verso nord seguendo la rotta delle stelle e quei segni del terreno che solo i Berabich sanno decifrare. La prima parte del percorso attraversa l’estremo limite del Sahel in cui si trovano gli ultimi pozzi dove abbeverare i mehari. Con l’acqua il deserto si popola di presenze inattese, si incontrano le tende dei nomadi Mauri con le greggi di capre e montoni e i Touareg allevatori di mehari; in perpetuo movimento per sfruttare i magri pascoli dovè c’è ancora qualche alberello secco e curvo in attesa di essere giustiziato dal vento. Dopo 250 chilometri il Sahel lascia il posto al crudele deserto del Djouf, si prosegue per 500 chilometri in una indifferenziata pianura di sabbia. L'acqua diviene un bene prezioso e raro, la piccola scorta serve per dissetare solo gli uomini. Poi dopo la duna di Foum el Alous si giunge a Taudenni: non è un villaggio e tanto meno un'oasi, semplicemente un punto nero sulle mappe. "Tau", arrivo, e "Denni", partenza, un nome inospitale, un regno minerale inadatto alla vita. Qui si trovava, circa seimila anni fa, un grande complesso di laghi salmastri che hanno depositato spessi strati di cloruro di sodio e calcite. A trenta chilometri da Taudenni, in direzione di Tessalit candide scogliere di calcite testimoniano di un tempo in cui i “big five” si aggiravano per le verdi praterie del Sahara. Taudenni era anche sede della colonia penale Bagne-Mouroir e per questo le miniere furono vietate agli stranieri sino al 1992, anno di chiusura del penitenziario. Oggi a Taudenni lavorano circa 100 persone, reclutate a Timbuctu. Ogni lavoratore deve estrarre dalle quattro alle otto lastre al giorno, un lavoro faticosissimo per il quale si serve unicamente di piccole zappe. Iniziano alle 5 del mattino e terminano alle 11, quando il sole è rovente, dopo tutti si rifugiano nelle loro tane roventi di blocchi di sale e lamiera. Guadagnano circa 70 Euro al mese più vitto e alloggio. Le miniere, una vicino all'altra, sono fosse quadrate di 8 metri di lato e profonde 4: rimosso il terriccio argilloso, gli uomini scavano piccole gallerie nelle pareti da cui estraggono le lastre grezze di sale che una volta ripulite e levigate misurano circa un metro e venti per ezzo metro, spessore 3/4 centietri, 30 kg di sale. Abbaglianti come marmo destinato al pavimento di una reggia, le barre sono sistemate sulla groppa dei cammelli per la grande traversata. Quattro lastre, levigate e lucenti, 120 chilogrammi per ogni meharì. L'acqua dei pozzi di Taudenni è salata; il cibo, crema di miglio, pane raffermo e qualche pezzo di montone seccato al sole basta appena a placare la fame. Restano a Taudenni per 6 mesi all’anno, soli come gli ergastolani che sopravvivevano nelle anguste celle della vicina colonia penale. Le famiglie sono lontane, ma è proprio per garantir loro il minimo sufficiente alla sopravvivenza che si rassegnano ai lavori forzati nella periferia del mondo; che si muovono come fantasmi tra le fosse che sembrano enormi tombe. Scava uomo scava: il canto di un minatore e della sua radio assicurano che anche all’inferno si può vivere.
con viraggio selenio Archiv
Si partiva da Timbuctu con la grande carovana per Taudenni. 750 chilometri di sabbia per arrivare alle miniere, centinaia di grandi buche rettangolari, altri 750 per portare a Timbuctu il prezioso carico di sale”. “Ero un ragazzo, Taudenni mi ha fatto Uomo” racconta Alaghdje attorno al fuoco acceso per scacciare il freddo della notte nel deserto del Sahara. Alaghdje è un Berabich, gruppo di nomadi originari della Mauritania, ed ha seguito tante volte la carovana di Taudenni. Timbuctu, Taudenni, nomi che evocano un mondo sconociuto e affascinante, accomunati da un denominatore comune: il deserto con le sue oasi, le carovane, i nomadi Berabich e Tuareg. Un mondo misterioso e seducente, ma anche terribile e severo, con il sole implacabile durante il giorno e il freddo pungente della notte. Il commercio del sale conserva un sapore antico. Materia prima, utilizzata così come viene raccolta, non richiede impianti costosi, ma attrezzi elementari: mani e zappe. Quello di Taudenni viene venduto in lastre da circa trenta chili, il venditore ne riceve spesso in cambio capre, zucchero, tè, verdura, sacchi di miglio, acqua. Per migliaia di persone, minatori, carovanieri, allevatori di dromedari, commercianti e le loro famiglie, esso rappresenta l'unica fonte di reddito. Il commercio del sale fu alla base di tutti i traffici che si svolgevano lungo le grandi carovaniere del Sahara. Bilma in Niger, ldjil in Mauritania e Taudenni in Mali erano meta di carovane di dromedari che in tempi remoti raggiungevano anche le 500 unità, uno spettacolo grandioso al quale si poteva ancora assistere all'inizio degli anni settanta. Le favolose, inesauribili, miniere di sale di Taudenni continuano ad essere l'approdo obbligato di centinaia di dromedari, un pellegrinaggio commerciale iniziato più di 5 secoli fa. Da allora le chiamano Azalaï, le carovane del sale che nel '600 gli arabi mercanteggiavano come l'oro bianco, scambiandolo direttamente col prezioso metallo. La carovana si forma a Timbuctù, qui i Berabich radunano i dromedari, gli insancabili mehari bianchi, qui acquistano le provviste per la marcia. Da Timbuctu si parte in direzione di Agunni, si supera la cintura di dune che assedia la città, verso nord seguendo la rotta delle stelle e quei segni del terreno che solo i Berabich sanno decifrare. La prima parte del percorso attraversa l’estremo limite del Sahel in cui si trovano gli ultimi pozzi dove abbeverare i mehari. Con l’acqua il deserto si popola di presenze inattese, si incontrano le tende dei nomadi Mauri con le greggi di capre e montoni e i Touareg allevatori di mehari; in perpetuo movimento per sfruttare i magri pascoli dovè c’è ancora qualche alberello secco e curvo in attesa di essere giustiziato dal vento. Dopo 250 chilometri il Sahel lascia il posto al crudele deserto del Djouf, si prosegue per 500 chilometri in una indifferenziata pianura di sabbia. L'acqua diviene un bene prezioso e raro, la piccola scorta serve per dissetare solo gli uomini. Poi dopo la duna di Foum el Alous si giunge a Taudenni: non è un villaggio e tanto meno un'oasi, semplicemente un punto nero sulle mappe. "Tau", arrivo, e "Denni", partenza, un nome inospitale, un regno minerale inadatto alla vita. Qui si trovava, circa seimila anni fa, un grande complesso di laghi salmastri che hanno depositato spessi strati di cloruro di sodio e calcite. A trenta chilometri da Taudenni, in direzione di Tessalit candide scogliere di calcite testimoniano di un tempo in cui i “big five” si aggiravano per le verdi praterie del Sahara. Taudenni era anche sede della colonia penale Bagne-Mouroir e per questo le miniere furono vietate agli stranieri sino al 1992, anno di chiusura del penitenziario. Oggi a Taudenni lavorano circa 100 persone, reclutate a Timbuctu. Ogni lavoratore deve estrarre dalle quattro alle otto lastre al giorno, un lavoro faticosissimo per il quale si serve unicamente di piccole zappe. Iniziano alle 5 del mattino e terminano alle 11, quando il sole è rovente, dopo tutti si rifugiano nelle loro tane roventi di blocchi di sale e lamiera. Guadagnano circa 70 Euro al mese più vitto e alloggio. Le miniere, una vicino all'altra, sono fosse quadrate di 8 metri di lato e profonde 4: rimosso il terriccio argilloso, gli uomini scavano piccole gallerie nelle pareti da cui estraggono le lastre grezze di sale che una volta ripulite e levigate misurano circa un metro e venti per ezzo metro, spessore 3/4 centietri, 30 kg di sale. Abbaglianti come marmo destinato al pavimento di una reggia, le barre sono sistemate sulla groppa dei cammelli per la grande traversata. Quattro lastre, levigate e lucenti, 120 chilogrammi per ogni meharì. L'acqua dei pozzi di Taudenni è salata; il cibo, crema di miglio, pane raffermo e qualche pezzo di montone seccato al sole basta appena a placare la fame. Restano a Taudenni per 6 mesi all’anno, soli come gli ergastolani che sopravvivevano nelle anguste celle della vicina colonia penale. Le famiglie sono lontane, ma è proprio per garantir loro il minimo sufficiente alla sopravvivenza che si rassegnano ai lavori forzati nella periferia del mondo; che si muovono come fantasmi tra le fosse che sembrano enormi tombe. Scava uomo scava: il canto di un minatore e della sua radio assicurano che anche all’inferno si può vivere.
05
maggio 2005
Stefano Pensotti – Azalai, lungo la via del sale
Dal 05 maggio al 04 giugno 2005
fotografia
Location
GALLERIA OPEN MIND
Milano, Via Dante, 12, (Milano)
Milano, Via Dante, 12, (Milano)
Orario di apertura
tutti i giorni 10-13 e 15,30-19. Lunedì 15.30-19. Chiuso domenica
Vernissage
5 Maggio 2005, ore 18-21
Autore