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Stella Tasca – Mettiti in gioco
Come una nuova Alice nel paese delle meraviglie, lo spettatore attraversa un diaframma, uno specchio dietro il quale la realtà è rovesciata, tutto è verosimile ma, nel contempo, spaesante. Il nero e il rosso, codice binario del tradizionale mazzo da gioco, sono ora diventati un sitema complesso, un turbine di cromie.
Comunicato stampa
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“… ciascuno di noi si crede uno, ma non è vero: è tanti, secondo tutte le possibilità dell’essere.”
L. Pirandello, “Sei personaggi in cerca d’autore”
Infinite sono le sfaccettature di una personalità, imprigionate, secondo lo scrittore siciliano, dietro la Maschera, strumento di tortura e di finzione, che trasforma la vita in un tragico palco, dal quale si recita secondo un copione sbagliato. All’opposto, vi è qualcosa nel gioco, qualunque esso sia, che risponde all’essenza intima dell’uomo, è qualcosa che dialoga con l’imprevedibile mutevolezza racchiusa in ognuno di noi, esaltandone tutte le sfumature: si tratta della variabilità. Ed è esattamente nel variabile che questa mostra trova, allo stesso tempo, il proprio significato ed il meccanismo che la muove.
E’ come una grande partita ancora aperta, con “le carte in tavola” è davvero il caso di dire, in cui tutto è possibile: basta compiere una scelta, fare una mossa o imboccare una qualsiasi strada per mutare il corso del gioco.
Non esiste alcuna regola, ma neanche la possibilità di barare, perché nessun ruolo è stabilito a priori, né quello del banco, ossia la vita, che salda i propri debiti a suo piacimento né, tantomeno, quello del giocatore, l’uomo comune, che bluffa, punta, spera, si dispera e, soprattutto, gioca.
Tutto è a tal punto imprevedibile e rigirato che le carte si animano e assumono il volto di amici a conoscenti dell’artista, sono i nuovi re e le nuove regine, fanti metropolitani che abitano la vita reale e decidono se e quando entrare in gioco, decidono chi scartare e chi tenere, padroni di se stessi e della propria vita come di una gloriosa scala reale. Queste carte non sono più, quindi, un mero oggetto, ma compiono il salto che separa il passivo dall’attivo divenendo, in tal modo, un “soggetto”; differenza non da poco, se si considera che il loro ruolo è, tradizionalmente, quello di subire le decisioni altrui e non di prenderne di propria iniziativa.
Mettersi in gioco, dunque, significa agire d’azzardo, scendere nella mischia in prima persona e accettare le incognite, le variabili appunto, che ogni partita ci pone davanti perché, senza variabili, non c’è strategia, non esiste sorpresa, non c’è conquista.
Come una nuova Alice nel paese delle meraviglie, lo spettatore attraversa un diaframma, uno specchio dietro il quale la realtà è rovesciata, tutto è verosimile ma, nel contempo, spaesante. Il nero e il rosso, codice binario del tradizionale mazzo da gioco, sono ora diventati un sitema complesso, un turbine di cromie. Non vi è colore o materiale al quale Stella Tasca non ricorra per esprimersi: pigmenti, glitter, pittura acrilica o perline… la lista potrebbe continuare all’infinito, cavalcando un arcobaleno che va dal vivido oro alla pittura trasparente, passando per tutte le nouances possibili.
Variabilità, ancora una volta, come antidoto a tutto ciò che è monotono, prevedibile o stereotipato. Potenzialmente, ogni cosa concorre ad accrescere le possibilità creative dell’artista e tutti gli elementi esterni sono acquisiti senza pregiudizi o preconcetti di sorta, purché suscettibili di rendere ogni suo lavoro un unicum, parte di una peculiare ripetizione differente.
Ogni carta assomiglia alla precedente ma, allo stesso tempo, se ne discosta in modo radicale. E’ una differenza, in primo luogo, concettuale, poiché ognuna possiede una personalità a sé stante, lontana mille miglia dall’omologazione re-regina-fante, ed è una personalità di cui si avverte doppiamente la presenza, dato che non si limita ad una qualsiasi immagine dipinta ma rimanda al volto di una persona reale, con tutta la densità di vita che un ritratto comporta. Potrebbe addirittura capitare, all’ignaro spettatore, di trovarsi preso nell’incrocio di sguardi tra la carta e il suo protagonista.
In secondo luogo, ci troviamo di fronte ad una differenza “di valore”; se di un gioco si tratta, si avrà in ogni momento un possibile vincitore e un possibile perdente, si avranno carte “alte” e carte “basse”, ci sarà il desiderio continuo di scartarne alcune mentre si desidera possederne delle altre, ma il valore della carta, in questo caso, è regolato da un criterio altro rispetto a quello del numero o del seme. Le carte – le persone – valgono secondo la scala soggettiva dell’artista, valgono secondo la scala soggettiva che ognuno di noi attribuisce a se stesso e al modo che lo circonda. Mettersi in gioco vuol dire, allora, puntare sulla carta vincente, puntare su se stessi, ponendosi la corona in testa, montando il cavallo della vittoria, seriamente o per scherzo, purché senza paura di giocare.
Sul panno verde stanno le fiches, colonnine accattivanti, fintamente preziose, che sfavillano di lustrini e colori sgargianti, ma saranno realmente la ricompensa? E’ davvero lì che ognuno di noi vuole arrivare? O non si gioca, forse, unicamente, per misurarsi con se stessi, con i propri limiti e le proprie aspettative?
L’artista non risponde e non decide per noi ma, in ogni caso, non ci preclude alcuna via, la partita può terminare in ogni istante – c’è una scatola pronta in cui riporre le carte – e ognuno è libero di togliersi la corona o di tenerla a piacimento, la posta è di tutti e di nessuno e l’esito, variabile, lo si conoscerà nel corso degli eventi, non saltando il proprio turno ma, sempre e comunque, mettendosi in gioco.
testo di Caterina Nobiloni Paratore
L. Pirandello, “Sei personaggi in cerca d’autore”
Infinite sono le sfaccettature di una personalità, imprigionate, secondo lo scrittore siciliano, dietro la Maschera, strumento di tortura e di finzione, che trasforma la vita in un tragico palco, dal quale si recita secondo un copione sbagliato. All’opposto, vi è qualcosa nel gioco, qualunque esso sia, che risponde all’essenza intima dell’uomo, è qualcosa che dialoga con l’imprevedibile mutevolezza racchiusa in ognuno di noi, esaltandone tutte le sfumature: si tratta della variabilità. Ed è esattamente nel variabile che questa mostra trova, allo stesso tempo, il proprio significato ed il meccanismo che la muove.
E’ come una grande partita ancora aperta, con “le carte in tavola” è davvero il caso di dire, in cui tutto è possibile: basta compiere una scelta, fare una mossa o imboccare una qualsiasi strada per mutare il corso del gioco.
Non esiste alcuna regola, ma neanche la possibilità di barare, perché nessun ruolo è stabilito a priori, né quello del banco, ossia la vita, che salda i propri debiti a suo piacimento né, tantomeno, quello del giocatore, l’uomo comune, che bluffa, punta, spera, si dispera e, soprattutto, gioca.
Tutto è a tal punto imprevedibile e rigirato che le carte si animano e assumono il volto di amici a conoscenti dell’artista, sono i nuovi re e le nuove regine, fanti metropolitani che abitano la vita reale e decidono se e quando entrare in gioco, decidono chi scartare e chi tenere, padroni di se stessi e della propria vita come di una gloriosa scala reale. Queste carte non sono più, quindi, un mero oggetto, ma compiono il salto che separa il passivo dall’attivo divenendo, in tal modo, un “soggetto”; differenza non da poco, se si considera che il loro ruolo è, tradizionalmente, quello di subire le decisioni altrui e non di prenderne di propria iniziativa.
Mettersi in gioco, dunque, significa agire d’azzardo, scendere nella mischia in prima persona e accettare le incognite, le variabili appunto, che ogni partita ci pone davanti perché, senza variabili, non c’è strategia, non esiste sorpresa, non c’è conquista.
Come una nuova Alice nel paese delle meraviglie, lo spettatore attraversa un diaframma, uno specchio dietro il quale la realtà è rovesciata, tutto è verosimile ma, nel contempo, spaesante. Il nero e il rosso, codice binario del tradizionale mazzo da gioco, sono ora diventati un sitema complesso, un turbine di cromie. Non vi è colore o materiale al quale Stella Tasca non ricorra per esprimersi: pigmenti, glitter, pittura acrilica o perline… la lista potrebbe continuare all’infinito, cavalcando un arcobaleno che va dal vivido oro alla pittura trasparente, passando per tutte le nouances possibili.
Variabilità, ancora una volta, come antidoto a tutto ciò che è monotono, prevedibile o stereotipato. Potenzialmente, ogni cosa concorre ad accrescere le possibilità creative dell’artista e tutti gli elementi esterni sono acquisiti senza pregiudizi o preconcetti di sorta, purché suscettibili di rendere ogni suo lavoro un unicum, parte di una peculiare ripetizione differente.
Ogni carta assomiglia alla precedente ma, allo stesso tempo, se ne discosta in modo radicale. E’ una differenza, in primo luogo, concettuale, poiché ognuna possiede una personalità a sé stante, lontana mille miglia dall’omologazione re-regina-fante, ed è una personalità di cui si avverte doppiamente la presenza, dato che non si limita ad una qualsiasi immagine dipinta ma rimanda al volto di una persona reale, con tutta la densità di vita che un ritratto comporta. Potrebbe addirittura capitare, all’ignaro spettatore, di trovarsi preso nell’incrocio di sguardi tra la carta e il suo protagonista.
In secondo luogo, ci troviamo di fronte ad una differenza “di valore”; se di un gioco si tratta, si avrà in ogni momento un possibile vincitore e un possibile perdente, si avranno carte “alte” e carte “basse”, ci sarà il desiderio continuo di scartarne alcune mentre si desidera possederne delle altre, ma il valore della carta, in questo caso, è regolato da un criterio altro rispetto a quello del numero o del seme. Le carte – le persone – valgono secondo la scala soggettiva dell’artista, valgono secondo la scala soggettiva che ognuno di noi attribuisce a se stesso e al modo che lo circonda. Mettersi in gioco vuol dire, allora, puntare sulla carta vincente, puntare su se stessi, ponendosi la corona in testa, montando il cavallo della vittoria, seriamente o per scherzo, purché senza paura di giocare.
Sul panno verde stanno le fiches, colonnine accattivanti, fintamente preziose, che sfavillano di lustrini e colori sgargianti, ma saranno realmente la ricompensa? E’ davvero lì che ognuno di noi vuole arrivare? O non si gioca, forse, unicamente, per misurarsi con se stessi, con i propri limiti e le proprie aspettative?
L’artista non risponde e non decide per noi ma, in ogni caso, non ci preclude alcuna via, la partita può terminare in ogni istante – c’è una scatola pronta in cui riporre le carte – e ognuno è libero di togliersi la corona o di tenerla a piacimento, la posta è di tutti e di nessuno e l’esito, variabile, lo si conoscerà nel corso degli eventi, non saltando il proprio turno ma, sempre e comunque, mettendosi in gioco.
testo di Caterina Nobiloni Paratore
05
dicembre 2003
Stella Tasca – Mettiti in gioco
Dal 05 dicembre 2003 al 05 gennaio 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA AL FERRO DI CAVALLO
Roma, Via Del Governo Vecchio, 7, (Roma)
Roma, Via Del Governo Vecchio, 7, (Roma)
Vernissage
5 Dicembre 2003, ore 18.30