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Studi d’artista
Attraverso le oltre 100 fotografie inedite ed originali, l’esposizione presenta alcuni aspetti particolari del rapporto tra pittura, scultura e fotografia mostrando gli scambi e le reciproche interferenze che intercorrevano tra le diverse tecniche di riproduzione
Comunicato stampa
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L’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano in collaborazione con la Fototeca Nazionale-ICCD presentano la mostra “STUDI D’ARTISTA. Fotografie d’atelier tra ’800 e ’900”, curata da Paola Callegari Direttrice della Fototeca Nazionale e Dimitri Affri, con la collaborazione scientifica di Marco Pizzo Vicedirettore del Museo del Risorgimento. Attraverso le oltre 100 fotografie inedite ed originali, l’esposizione presenta alcuni aspetti particolari del rapporto tra pittura, scultura e fotografia mostrando gli scambi e le reciproche interferenze che intercorrevano tra le diverse tecniche di riproduzione.
Tra le immagini esposte: alcuni ritratti fotografici ottocenteschi che illustrano le profonde influenze esercitate in ambito fotografico dalla pittura; una ricca serie di immagini scattate da pittori-fotografi; e numerose ed inedite immagini che raffigurano gli artisti nel contesto dei loro atelier accanto alle proprie opere.
La mostra consente di vedere come questo genere fotografico sia divenuto, oggi, una preziosa fonte iconografica e documentaria per ricostruire gli ambienti e gli allestimenti degli studi artistici e fotografici tra Ottocento e Novecento.
Appunti sul fare artistico
La macchina fotografica entra negli atelier degli artisti sostituendosi alle vecchie camere oscure, le camere chiare e ogni altro strumento fino ad allora conosciuto come sostegno nel difficile studio del vero. I tradizionali repertori iconografici realizzati con l’incisione vengono presto sostituiti da un vero e proprio mercato specializzato di fotografie di nudo o di modelli variamente drappeggiati. Se a volte, alcune prove non si discostano, nelle attitudini e negli atteggiamenti, da precedenti soluzioni accademiche, in altre invece sono sfruttate tutte le potenzialità del mezzo fotografico esaltando le qualità espressive del corpo umano. I modelli piuttosto che posare, interpretano e rivivono il ruolo che avrà il loro personaggio nella futura opera, ritornando ancora una volta a quella ricerca espressiva attuata attraverso la performance e la recita teatrale. Questi esiti sono resi possibili da i rapidi progressi tecnici della fotografia e la riduzione dei tempi di posa fino a raggiungere le velocità dell’istantanea.
Al di là di quelle che possono essere le motivazioni strettamente funzionali, ingrandire e proiettare l’immagine sulla parete implica non solo un cambiamento di scala, ma un vera e propria ricontestualizzazione dell’oggetto visivo. All’interno degli atelier le fotografie diventano il supporto per un diretto intervento manuale sul contenuto visivo, operando tagli, sottolineature, correzioni ed aggiustamenti. Il ritocco, la stesura del colore come la ridefinizione dei dettagli sono pratiche introdotte a brevissima distanza dalla stessa invenzione della fotografia. Ma, se per i fotografi queste tecniche permettono di assimilare il prodotto fotografico alla struttura formale del dipinto, nei pittori-fotografi invece sono un mezzo per rielaborare il dato reale all’interno di un più vasto percorso estetico fondato sull’integrazione di più strumenti espressivi. La sostanza degli interventi, in particolare quelli delle quadrettature e dei ritagli, ordinando i soggetti dell’immagine entro una precisa scala gerarchica di valori, può aiutare a chiarire inoltre quali potessero essere gli specifici interessi figurativi dell’artista. In altri termini, risulta evidente di come la fotografia non sia accolta nella sua integrità, non costruisce un ‘quadro’, ma è percepita per frammenti, si identifica in un repertorio di dettagli singoli da rimontare.
L’invenzione dei procedimenti fotografici provocò a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la nascita di una nuova professione: il fotografo. Fin dalla sua scoperta fu ben chiaro che questa nuova invenzione, che consentiva di riprodurre il reale, avrebbe fortemente messo in crisi le tradizionali tecniche artistiche, pittura ed incisione innanzitutto, giacché per la fotografia non serviva un particolare apprendistato accademico, ma necessitava semplicemente il possesso di una macchina fotografica e la conoscenza dei fondamentali principi legati alla stampa dell’immagine. Un sapere tecnologico e meccanico che poco aveva a che vedere con lo studio e all’abilità delle lezioni di ornato o di disegno dal vero. Questa vera e propria “rivoluzione fotografica” era già stata notata dai contemporanei che scrivevano “v’è una rivoluzione nell’arte del disegno e in quella dell’incisione…poiché…la natura stessa verrà riprodotta in un batter d’occhio, senza la cooperazione della mano dell’uomo”. È quindi lungo il crinale dell’artigianato che vede contrapposto il “mestiere” alla consolidata prassi artistica che si sviluppa il primo cammino della fotografia nella seconda metà dell’Ottocento.
Nello studio del fotografo
Il sorgere degli atelier dei fotografi portò con sé anche alcuni problemi connessi con il loro arredo, con la loro struttura interna e con gli attrezzi-utensili impiegati per eseguire i ritratti in studio.
I lunghi tempi di posa imponevano l’uso di utensili necessari per far star fermo il soggetto ed evitare il rischio di foto “mosse”: una sedia, una poltrona, una base di colonna, potevano assolvere benissimo al loro scopo. Altre volte ci si orientava verso un più impegnativo trespolo che doveva essere fissato alla base del collo per impedire inavvertiti movimenti. Sullo sfondo era consigliato un fondale dipinto, con scene marine o paesaggi, oppure una quinta con pesanti tendaggi di tradizione teatrale. Tutti particolari questi che sono ben visibili sulle foto-ritratto di fine Ottocento. In alcuni casi l’utilizzo di un medesimo fondale ci consente di identificare lo stesso studio fotografico; in altri casi ecco il sapiente inserto di piante vere su sfondi falsi che crea una perfetta simbiosi tra vero e falso.
Nella bottega dell’artista
La commercializzazione di macchine fotografiche sempre più semplici ed economiche provocherà lentamente la diffusione della fotografia tra un pubblico di cultori, di semplici appassionati fino a diventare fenomeno comune. A partire dalla seconda metà del Novecento la macchina fotografica entrerà a far parte della dotazione “tecnologica” di sempre più numerose famiglie. Il ritratto fotografico diventerà alla portata di tutti, si trasformerà nello scatto elementare delle macchine a sviluppo immediato fino a creare quel pulviscolo visivo rappresentato dall’odierno dilagare delle fotografie digitali. È quindi singolare che le nuove frontiere dell’arte contemporanea ci mostrino un ritorno degli artisti-fotografi verso set e teatri di posa costruiti con puntigliosa precisione, con una sapiente calibratura della luce, con un arredo meticoloso che sembra più o meno recuperare le matrici ottocentesche con una diversa e radicale consapevolezza sui limiti illusori del reale fotografico.
Tra le immagini esposte: alcuni ritratti fotografici ottocenteschi che illustrano le profonde influenze esercitate in ambito fotografico dalla pittura; una ricca serie di immagini scattate da pittori-fotografi; e numerose ed inedite immagini che raffigurano gli artisti nel contesto dei loro atelier accanto alle proprie opere.
La mostra consente di vedere come questo genere fotografico sia divenuto, oggi, una preziosa fonte iconografica e documentaria per ricostruire gli ambienti e gli allestimenti degli studi artistici e fotografici tra Ottocento e Novecento.
Appunti sul fare artistico
La macchina fotografica entra negli atelier degli artisti sostituendosi alle vecchie camere oscure, le camere chiare e ogni altro strumento fino ad allora conosciuto come sostegno nel difficile studio del vero. I tradizionali repertori iconografici realizzati con l’incisione vengono presto sostituiti da un vero e proprio mercato specializzato di fotografie di nudo o di modelli variamente drappeggiati. Se a volte, alcune prove non si discostano, nelle attitudini e negli atteggiamenti, da precedenti soluzioni accademiche, in altre invece sono sfruttate tutte le potenzialità del mezzo fotografico esaltando le qualità espressive del corpo umano. I modelli piuttosto che posare, interpretano e rivivono il ruolo che avrà il loro personaggio nella futura opera, ritornando ancora una volta a quella ricerca espressiva attuata attraverso la performance e la recita teatrale. Questi esiti sono resi possibili da i rapidi progressi tecnici della fotografia e la riduzione dei tempi di posa fino a raggiungere le velocità dell’istantanea.
Al di là di quelle che possono essere le motivazioni strettamente funzionali, ingrandire e proiettare l’immagine sulla parete implica non solo un cambiamento di scala, ma un vera e propria ricontestualizzazione dell’oggetto visivo. All’interno degli atelier le fotografie diventano il supporto per un diretto intervento manuale sul contenuto visivo, operando tagli, sottolineature, correzioni ed aggiustamenti. Il ritocco, la stesura del colore come la ridefinizione dei dettagli sono pratiche introdotte a brevissima distanza dalla stessa invenzione della fotografia. Ma, se per i fotografi queste tecniche permettono di assimilare il prodotto fotografico alla struttura formale del dipinto, nei pittori-fotografi invece sono un mezzo per rielaborare il dato reale all’interno di un più vasto percorso estetico fondato sull’integrazione di più strumenti espressivi. La sostanza degli interventi, in particolare quelli delle quadrettature e dei ritagli, ordinando i soggetti dell’immagine entro una precisa scala gerarchica di valori, può aiutare a chiarire inoltre quali potessero essere gli specifici interessi figurativi dell’artista. In altri termini, risulta evidente di come la fotografia non sia accolta nella sua integrità, non costruisce un ‘quadro’, ma è percepita per frammenti, si identifica in un repertorio di dettagli singoli da rimontare.
L’invenzione dei procedimenti fotografici provocò a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la nascita di una nuova professione: il fotografo. Fin dalla sua scoperta fu ben chiaro che questa nuova invenzione, che consentiva di riprodurre il reale, avrebbe fortemente messo in crisi le tradizionali tecniche artistiche, pittura ed incisione innanzitutto, giacché per la fotografia non serviva un particolare apprendistato accademico, ma necessitava semplicemente il possesso di una macchina fotografica e la conoscenza dei fondamentali principi legati alla stampa dell’immagine. Un sapere tecnologico e meccanico che poco aveva a che vedere con lo studio e all’abilità delle lezioni di ornato o di disegno dal vero. Questa vera e propria “rivoluzione fotografica” era già stata notata dai contemporanei che scrivevano “v’è una rivoluzione nell’arte del disegno e in quella dell’incisione…poiché…la natura stessa verrà riprodotta in un batter d’occhio, senza la cooperazione della mano dell’uomo”. È quindi lungo il crinale dell’artigianato che vede contrapposto il “mestiere” alla consolidata prassi artistica che si sviluppa il primo cammino della fotografia nella seconda metà dell’Ottocento.
Nello studio del fotografo
Il sorgere degli atelier dei fotografi portò con sé anche alcuni problemi connessi con il loro arredo, con la loro struttura interna e con gli attrezzi-utensili impiegati per eseguire i ritratti in studio.
I lunghi tempi di posa imponevano l’uso di utensili necessari per far star fermo il soggetto ed evitare il rischio di foto “mosse”: una sedia, una poltrona, una base di colonna, potevano assolvere benissimo al loro scopo. Altre volte ci si orientava verso un più impegnativo trespolo che doveva essere fissato alla base del collo per impedire inavvertiti movimenti. Sullo sfondo era consigliato un fondale dipinto, con scene marine o paesaggi, oppure una quinta con pesanti tendaggi di tradizione teatrale. Tutti particolari questi che sono ben visibili sulle foto-ritratto di fine Ottocento. In alcuni casi l’utilizzo di un medesimo fondale ci consente di identificare lo stesso studio fotografico; in altri casi ecco il sapiente inserto di piante vere su sfondi falsi che crea una perfetta simbiosi tra vero e falso.
Nella bottega dell’artista
La commercializzazione di macchine fotografiche sempre più semplici ed economiche provocherà lentamente la diffusione della fotografia tra un pubblico di cultori, di semplici appassionati fino a diventare fenomeno comune. A partire dalla seconda metà del Novecento la macchina fotografica entrerà a far parte della dotazione “tecnologica” di sempre più numerose famiglie. Il ritratto fotografico diventerà alla portata di tutti, si trasformerà nello scatto elementare delle macchine a sviluppo immediato fino a creare quel pulviscolo visivo rappresentato dall’odierno dilagare delle fotografie digitali. È quindi singolare che le nuove frontiere dell’arte contemporanea ci mostrino un ritorno degli artisti-fotografi verso set e teatri di posa costruiti con puntigliosa precisione, con una sapiente calibratura della luce, con un arredo meticoloso che sembra più o meno recuperare le matrici ottocentesche con una diversa e radicale consapevolezza sui limiti illusori del reale fotografico.
10
giugno 2009
Studi d’artista
Dal 10 giugno al 04 ottobre 2009
fotografia
Location
COMPLESSO DEL VITTORIANO
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì alla domenica 9,45 – 17,30
Vernissage
10 Giugno 2009, ore 17.30
Autore
Curatore