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Studio Systems
Protagonista il tema dello “studio”, a lungo mitizzato come il luogo della creazione artistica, affrontando successivamente negli ultimi decenni una grande quantità di cambiamenti. Lo studio viene infatti riconfigurato in numerosi modi e gli artisti diversificano il luogo della loro attività
Comunicato stampa
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Continua la riflessione sui temi caldi del dibattito contemporaneo e sullo statuto dell’istituzione Accademia presso l’American Academy in Rome, con una mostra che chiude la stagione espositiva per la primavera 2016 a cura di Peter Benson Miller, direttore artistico. Intitolata Studio Systems attraversa la storia dell’arte contemporanea con un progetto che parte proprio dall’Accademia per operare un ragionamento che si apre poi all’arte e alle sue forme nell’immediato presente, inaugurando il 19 maggio alle ore 18, fino al 3 luglio. Protagonista il tema dello “studio”, a lungo mitizzato come il luogo della creazione artistica, affrontando successivamente negli ultimi decenni una grande quantità di cambiamenti. Lo studio viene infatti riconfigurato in numerosi modi e gli artisti diversificano il luogo della loro attività.
Gli artisti che saranno coinvolti in un questo percorso, con undici concezioni differenti sull’argomento, provengono da luoghi e generazioni diverse e attraversano con la propria opera le epoche e i cambiamenti che le hanno caratterizzate. Alcuni di loro sono o sono stati borsisti (Richard Barnes, Anna Betbeze, Suzanne Bocanegra, Philip Guston, Bryony Roberts) in un dialogo continuo ed aperto con la storia e la mission dell’American Academy in Rome, luogo per eccellenza di ricerca e di “studi”.
Le pratiche concettuali hanno fin dal readymade di Marcel Duchamp e dalla factory di Andy Warhol, generato nuove forme e luoghi per lo sforzo creativo che spesso vanno oltre il concetto di studio, che ha subito forti critiche da parte degli artisti che operavano nel decennio tra gli anni ’60 e ’70.Nel 1971, con il minimalismo all’apice, l’artista francese Daniel Buren ha lanciato una critica, in un testo ormai fondamentale, al legame a doppia mandata che vincola l’opera d’arte allo studio, separandola dal mondo oltre la porta. John Baldessarri in una lezione dal titolo Post Studio Art, al CalArts nei primi anni ’70, è arrivato al punto di prevedere la fine dello studio in senso tradizionale. Nello stesso periodo, tuttavia, Philip Guston in un lavoro iconico come The Studio (1969) lo ha categoricamente recuperato come luogo essenziale per l’artista contemporaneo.
La mostra esplorerà le diverse interpretazioni dello studio in linea con le attuali modalità di produzione che sono meno dipendenti dalla necessità di un ambiente ben definito. Che cosa significa lavorare in studio oggi? Insieme allo spazio tradizionale, nella sua posizione privilegiata di laboratorio per la pratica artistica contemporanea, esistono anche pratiche che si confrontano con reti più mobili, itineranti, digitali e globali e la mostra è una selezione delle alternative che stanno riconfigurando il paesaggio dell’arte contemporanea.
Marcel Duchamp e Philip Guston rappresentano i due pilastri attorno ai quali Peter Benson Miller ha costruito l’impianto espositivo, descrivendo con la loro ricerca due modelli antitetici di concepire lo studio nell’arte contemporanea. Duchamp divorzia, infatti, dal concetto di studio, in favore di una figura d’artista libera ed itinerante, che non ha bisogno di uno spazio predefinito per dare vita all’opera, andando a definire il campo d’azione della produzione artistica in ambito concettuale. Per Guston, invece, lo spazio architettonico è centrale; lo studio è un luogo inquieto e gravido di riferimenti, in cui l’artista trova la dimensione della propria produzione. Di Duchamp è in mostra l’opera Fresh Widow, un ready-made concepito nel 1920, mentre di Guston ci sarà un Senza Titolo del 1969, un ritratto del suo studio a Woodstock.
Nella “linea duchampiana” si collocano artisti come Theaster Gates che sarà protagonista il 19 maggio di un talk all’apertura della mostra, presentando il suo Dorchester Project a Chicago. Nel suo lavoro è la città stessa ad essere intesa come studio allargato, un agente catalizzatore per recuperare luoghi abbandonati e rivitalizzare le comunità.
Petra Cortright lavora quasi esclusivamente con il computer. Con i video Sparkling I e II dimostrerà come internet ha cambiato il concetto di studio, che nel suo caso diventa il suo laptop, ma mostra anche le inquietudini generate dall’immensità del mondo del web.
Dawn Kasper presenta On Desire or THE METHOD, una composizione sonora e performativa del 2016, in cui lo trasforma una delle stanze della main gallery della American Academy in Rome nel proprio studio. Per Kasper il momento di preparazione della performance coincide con l’azione stessa, diventando importante quanto l’opera finita; è uno sguardo molto intimo sulla sua pratica e sul mondo dello studio, che nel suo caso è nomade, itinerante, in costante trasformazione.
L’artista italiano Yuri Ancarani espone per la prima volta a Roma il video Séance. In questo caso lo studio è rappresentato dal set, ma anche dal lavoro con tutta la crew. Inoltre c’è un doppio registro, dal momento che la narrazione si ambienta a Casa Mollino, a Torino, in un confronto con lo spazio domestico e di lavoro dell’artista e architetto di interni. Nel video, la casa stessa dell’architetto diventa un mezzo dell’espressione e della ricerca artistica di Mollino.
Bryony Roberts, infine, attualmente borsista presso l’American Academy in Rome, presenta Corpo Estraneo, una performance sviluppata in collaborazione con la coreografa Melissa Lohman appositamente per Studio Systems. Qui è la sfera pubblica a diventare studio. La Roberts mette in discussione il rapporto tra corpo umano ed esperienza del contesto pubblico, operando inoltre una riflessione sulla condizione della donna nella società contemporanea.
Tra gli artisti che seguono invece l’esempio di Philip Guston c’è Richard Barnes che partecipa con The Unabomber cabin, una serie di fotografie del 1998 che racconta uno spazio di alienazione, il luogo privato del famoso terrorista americano, portando all’estremo il mito dello studio ottocentesco. Gli fa da contraltare la ricerca di Josephine Halvorson, una selezione di quadri intitolata Night Window realizzati a Roma all’interno dello studio di Ingres a Villa Medici.
I dipinti rappresentano una finestra dipinta di notte, in una indagine critica sulla tradizione dello studio come prospettiva privilegiata per guardare il mondo esterno. Suzanne Bocanegra, con il film Reasoned catalogue, concepisce lo spazio di lavoro come Merzbau. Il suo video riprende infatti una performance del 2015 intitolata Studio Visits nella quale l’artista accompagnava gli spettatori, uno alla volta, invitandoli ad entrare nella installazione omonima, raccontando loro della storia degli oggetti esposti, in un collage carico di memoria.
Infine Anna Betbeze, al limite tra le due posizioni, porta Heatwave e Vessels, due installazioni realizzate nel giardino della casa di famiglia. Qui lo spazio non convenzionale diventa fondamentale per la realizzazione delle opere, su cui la Betbeze interviene bruciando, aggredendole con l’acido e con una forte gestualità.
In concomitanza con la mostra a giugno si svolgeranno inoltre gli Open Studios (8 giugno) che consentono l’accesso libero agli studi degli artisti con i progetti in corso dei borsisti in tutto l’edificio McKim, Mead & White.
L’American Academy in Rome, sostiene artisti e studiosi innovativi che vivono e lavorano insieme all’interno di una vivace comunità internazionale. Fondata nel 1894, ha raggiunto la forma attuale nel 1914 diventando un centro ibrido per le arti e gli studi umanistici. È tuttora il principale centro americano, al di fuori degli Stati Uniti, per gli studi indipendenti e per la ricerca avanzata. È un ente privato no-profit, finanziato privatamente. L’ Accademia offre annualmente a circa 30 candidati il Rome Prize. La selezione, a livello nazionale, è presieduta da giurie indipendenti, formate da professionisti competenti per ciascuna delle discipline rappresentate, tra le quali: Storia antica e Medievale, Studi italiani rinascimentali, moderni e contemporanei, letteratura, arti visive, architettura, architettura del paesaggio, design e conservazione dei beni storici. La comunità dell’Accademia comprende anche un gruppo selezionato di Residenti e borsisti affiliati. Questo illustre gruppo di artisti e studiosi vive e lavora presso il campus dell’Accademia situato nel Gianicolo, uno dei punti più alti della città di Roma. Per saperne di più su l’American Academy in Rome, si prega di visitare il sito: www.aarome.org.
Gli artisti che saranno coinvolti in un questo percorso, con undici concezioni differenti sull’argomento, provengono da luoghi e generazioni diverse e attraversano con la propria opera le epoche e i cambiamenti che le hanno caratterizzate. Alcuni di loro sono o sono stati borsisti (Richard Barnes, Anna Betbeze, Suzanne Bocanegra, Philip Guston, Bryony Roberts) in un dialogo continuo ed aperto con la storia e la mission dell’American Academy in Rome, luogo per eccellenza di ricerca e di “studi”.
Le pratiche concettuali hanno fin dal readymade di Marcel Duchamp e dalla factory di Andy Warhol, generato nuove forme e luoghi per lo sforzo creativo che spesso vanno oltre il concetto di studio, che ha subito forti critiche da parte degli artisti che operavano nel decennio tra gli anni ’60 e ’70.Nel 1971, con il minimalismo all’apice, l’artista francese Daniel Buren ha lanciato una critica, in un testo ormai fondamentale, al legame a doppia mandata che vincola l’opera d’arte allo studio, separandola dal mondo oltre la porta. John Baldessarri in una lezione dal titolo Post Studio Art, al CalArts nei primi anni ’70, è arrivato al punto di prevedere la fine dello studio in senso tradizionale. Nello stesso periodo, tuttavia, Philip Guston in un lavoro iconico come The Studio (1969) lo ha categoricamente recuperato come luogo essenziale per l’artista contemporaneo.
La mostra esplorerà le diverse interpretazioni dello studio in linea con le attuali modalità di produzione che sono meno dipendenti dalla necessità di un ambiente ben definito. Che cosa significa lavorare in studio oggi? Insieme allo spazio tradizionale, nella sua posizione privilegiata di laboratorio per la pratica artistica contemporanea, esistono anche pratiche che si confrontano con reti più mobili, itineranti, digitali e globali e la mostra è una selezione delle alternative che stanno riconfigurando il paesaggio dell’arte contemporanea.
Marcel Duchamp e Philip Guston rappresentano i due pilastri attorno ai quali Peter Benson Miller ha costruito l’impianto espositivo, descrivendo con la loro ricerca due modelli antitetici di concepire lo studio nell’arte contemporanea. Duchamp divorzia, infatti, dal concetto di studio, in favore di una figura d’artista libera ed itinerante, che non ha bisogno di uno spazio predefinito per dare vita all’opera, andando a definire il campo d’azione della produzione artistica in ambito concettuale. Per Guston, invece, lo spazio architettonico è centrale; lo studio è un luogo inquieto e gravido di riferimenti, in cui l’artista trova la dimensione della propria produzione. Di Duchamp è in mostra l’opera Fresh Widow, un ready-made concepito nel 1920, mentre di Guston ci sarà un Senza Titolo del 1969, un ritratto del suo studio a Woodstock.
Nella “linea duchampiana” si collocano artisti come Theaster Gates che sarà protagonista il 19 maggio di un talk all’apertura della mostra, presentando il suo Dorchester Project a Chicago. Nel suo lavoro è la città stessa ad essere intesa come studio allargato, un agente catalizzatore per recuperare luoghi abbandonati e rivitalizzare le comunità.
Petra Cortright lavora quasi esclusivamente con il computer. Con i video Sparkling I e II dimostrerà come internet ha cambiato il concetto di studio, che nel suo caso diventa il suo laptop, ma mostra anche le inquietudini generate dall’immensità del mondo del web.
Dawn Kasper presenta On Desire or THE METHOD, una composizione sonora e performativa del 2016, in cui lo trasforma una delle stanze della main gallery della American Academy in Rome nel proprio studio. Per Kasper il momento di preparazione della performance coincide con l’azione stessa, diventando importante quanto l’opera finita; è uno sguardo molto intimo sulla sua pratica e sul mondo dello studio, che nel suo caso è nomade, itinerante, in costante trasformazione.
L’artista italiano Yuri Ancarani espone per la prima volta a Roma il video Séance. In questo caso lo studio è rappresentato dal set, ma anche dal lavoro con tutta la crew. Inoltre c’è un doppio registro, dal momento che la narrazione si ambienta a Casa Mollino, a Torino, in un confronto con lo spazio domestico e di lavoro dell’artista e architetto di interni. Nel video, la casa stessa dell’architetto diventa un mezzo dell’espressione e della ricerca artistica di Mollino.
Bryony Roberts, infine, attualmente borsista presso l’American Academy in Rome, presenta Corpo Estraneo, una performance sviluppata in collaborazione con la coreografa Melissa Lohman appositamente per Studio Systems. Qui è la sfera pubblica a diventare studio. La Roberts mette in discussione il rapporto tra corpo umano ed esperienza del contesto pubblico, operando inoltre una riflessione sulla condizione della donna nella società contemporanea.
Tra gli artisti che seguono invece l’esempio di Philip Guston c’è Richard Barnes che partecipa con The Unabomber cabin, una serie di fotografie del 1998 che racconta uno spazio di alienazione, il luogo privato del famoso terrorista americano, portando all’estremo il mito dello studio ottocentesco. Gli fa da contraltare la ricerca di Josephine Halvorson, una selezione di quadri intitolata Night Window realizzati a Roma all’interno dello studio di Ingres a Villa Medici.
I dipinti rappresentano una finestra dipinta di notte, in una indagine critica sulla tradizione dello studio come prospettiva privilegiata per guardare il mondo esterno. Suzanne Bocanegra, con il film Reasoned catalogue, concepisce lo spazio di lavoro come Merzbau. Il suo video riprende infatti una performance del 2015 intitolata Studio Visits nella quale l’artista accompagnava gli spettatori, uno alla volta, invitandoli ad entrare nella installazione omonima, raccontando loro della storia degli oggetti esposti, in un collage carico di memoria.
Infine Anna Betbeze, al limite tra le due posizioni, porta Heatwave e Vessels, due installazioni realizzate nel giardino della casa di famiglia. Qui lo spazio non convenzionale diventa fondamentale per la realizzazione delle opere, su cui la Betbeze interviene bruciando, aggredendole con l’acido e con una forte gestualità.
In concomitanza con la mostra a giugno si svolgeranno inoltre gli Open Studios (8 giugno) che consentono l’accesso libero agli studi degli artisti con i progetti in corso dei borsisti in tutto l’edificio McKim, Mead & White.
L’American Academy in Rome, sostiene artisti e studiosi innovativi che vivono e lavorano insieme all’interno di una vivace comunità internazionale. Fondata nel 1894, ha raggiunto la forma attuale nel 1914 diventando un centro ibrido per le arti e gli studi umanistici. È tuttora il principale centro americano, al di fuori degli Stati Uniti, per gli studi indipendenti e per la ricerca avanzata. È un ente privato no-profit, finanziato privatamente. L’ Accademia offre annualmente a circa 30 candidati il Rome Prize. La selezione, a livello nazionale, è presieduta da giurie indipendenti, formate da professionisti competenti per ciascuna delle discipline rappresentate, tra le quali: Storia antica e Medievale, Studi italiani rinascimentali, moderni e contemporanei, letteratura, arti visive, architettura, architettura del paesaggio, design e conservazione dei beni storici. La comunità dell’Accademia comprende anche un gruppo selezionato di Residenti e borsisti affiliati. Questo illustre gruppo di artisti e studiosi vive e lavora presso il campus dell’Accademia situato nel Gianicolo, uno dei punti più alti della città di Roma. Per saperne di più su l’American Academy in Rome, si prega di visitare il sito: www.aarome.org.
19
maggio 2016
Studio Systems
Dal 19 maggio al 03 luglio 2016
arte contemporanea
Location
AMERICAN ACADEMY IN ROME
Roma, Via Angelo Masina, 5, (Roma)
Roma, Via Angelo Masina, 5, (Roma)
Orario di apertura
giovedì – venerdì - sabato dalle 16 alle 19
Vernissage
19 Maggio 2016, ore 18 La mostra inaugurerà con un talk di Theaster Gates
Autore
Curatore