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Sulla pittura
Quattro artisti di due generazioni (anni ‘80 e anni ‘60) raccontano, attraverso il proprio lavoro ed il proprio percorso, cosa sia stata la pittura, come si sia evoluta e cosa sia oggi
Comunicato stampa
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Questa mostra nasce con l’intenzione di interrogarsi su quello che è oggi la pittura.
E, per farlo, sono stati invitati a partecipare quattro artisti di due generazioni (anni ‘80 e anni ‘60) che potessero raccontare, attraverso il proprio lavoro ed il proprio percorso, cosa sia stata la pittura, come si sia evoluta e cosa sia oggi.
Partendo dai primi lavori fino ai più recenti degli artisti in mostra, si possono ritrovare le tracce di un movimento sinusoidale della pittura: dal suo recupero con la Transavanguardia e le sue ondate artistiche, al suo tornare in sordina dalla fine degli anni ’90 fino, di nuovo, al suo riaffermarsi negli ultimi anni.
L’invito è stato rivolto in un primo momento a due giovani artisti: Giulio Saverio Rossi ed Ettore Pinelli. Solo in un secondo momento gli è stato chiesto di segnalare il nome di un artista che – direttamente o meno – fosse stato fondamentale per il loro approccio alla pittura: Giulio ha parlato di Cingolani, suo insegnante di Pittura ai tempi in cui frequentava l’Accademia Albertina di Torino, ed Ettore invece ha indicato Galliano, o più specificatamente le sue opere, in quanto non conosceva l’artista di persona ma trovava molti punti di contatto con il suo lavoro.
Marco Cingolani (Como 1961) e Daniele Galliano (Pinerolo 1961) sono tra i pittori più rappresentativi della scena nazionale e condividono un percorso parallelo che si è intrecciato più volte, inclusa la comune partecipazione al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2009.
Ettore Pinelli (Modica 1984) e Giulio Saverio Rossi (Massa 1988), sono accomunati, allo stesso modo, da una serie di esperienze condivise, quali i luoghi della formazione, i premi, le residenze, le mostre collettive, che li hanno portati a conoscere l’uno il lavoro dell’altro pur non incontrandosi mai di persona.
Il lavoro di Ettore Pinelli guarda a quella parte della produzione di Daniele Galliano che osserva la folla, gli aspetti della vita collettiva, le diverse forme di aggregazione. C’è un comune procedere antropologico nei due, quell’osservare le folle per capire cosa si nasconda dietro ai fenomeni.
In Pinelli la pratica pittorica, mossa da un’attenzione politico-sociale, vuole sottolineare il lato inquietante e veritiero del nostro presente. La sua ricerca tematica parte davanti ad uno schermo dove trova quelle immagini che parlano di scenari saturi di violenza.
Nel trittico Deny a personal vision | ways to stand out i piani di colore costruiti su superfici parallele e semitrasparenti addolciscono la crudezza delle scene rappresentate: il piano del quadro viene traslato fino a negare la visione nel fulcro dell’immagine, area dove si sviluppa la scena la quale potrebbe permetterne la comprensione più immediata.
Sia in Pinelli che in Galliano c’è un moto transitorio della figurazione verso l’astrazione, quel comune zoom sulla realtà. In Pinelli è un avvicinarsi per poi allontanarsi, seguendo la volontà della pittura che sovrasta quella dell’artista. Nel dittico Blurring Motion (rose light) 4th figure zoomed in l’unica stesura di colore crea un ponte immediato tra pittura figurativa ed informale. Nella prima tela si riconosce esclusivamente una figura; questa viene zoomata nella seconda portandola ad un livello di lettura parallela.
In Galliano la matrice realista trova il suo contro-altare nella pennellata gestuale ed il mondo può essere visto nella sua nitidezza solo da lontano. La pittura, sia nelle Constellations che negli ultimi lavori della serie Anything, si fa quasi meccanica, comandata dalla memoria della mano. Così, in questo limbo tra realismo ed iporealismo, attraverso un processo catartico finalizzato a metabolizzare la violenza, nascono queste visioni, oscillazioni tra la miopia ed il sogno. Galliano ricerca la bellezza proprio in ciò che inquieta; ed è così che l’innalzarsi della prospettiva in Constellations, quadri senza centro ne limiti, permette di accedere a quello spettacolo che vede l’umanità farsi folla, nonostante il gesto dell’artista dia ad ogni figura un certo grado di singolarità.
Nella ricerca di Giulio Saverio Rossi, come in Pinelli, l’immagine nasce da una rappresentazione di un mondo virtuale. L’attenzione di Rossi, parte dal topos del paesaggio dove la costruzione del punto di vista è sempre mediato dalla tecnologia digitale che si frappone tra il soggetto e il mondo. Il dittico All this will be recollected in sixteen days #2 ripropone una veduta satellitare di una porzione di terreno registrata con sensori (o con situazioni atmosferiche) differenti. Le immagini della visione satellitare sono di fatto una ricostruzione del mondo basata sul montaggio di fotografie digitali raccolte continuamente, piuttosto che una restituzione di una visione dall'alto in tempo reale di cui simulano la percezione. Le due tele che costituiscono il dittico rappresentano ognuna la registrazione con due sensori differenti e traducono in pittura un'immagine destinata ad essere rimossa e sostituita dal satellite stesso. Il linguaggio analogico della pittura agisce nell'arco di sedici giorni, che è il lasso temporale necessario al sistema satellitare per mappare nuovamente il pianeta e sostituire gli errori da lui stesso prodotti. A colpo d’occhio i lavori di Rossi appaiono come dei “monocromi romantici” citando il suo maestro Cingolani; ed è solo allontanandosi e ribaltando il punto di vista che si possono riconoscere (o quanto meno intuire) sentieri, strade e percorsi in queste vedute dall’alto. In un certo senso quella di Rossi è una pittura come forma di astrazione in quanto esalta la figura primaria, l’essenza del soggetto trasfigurando la realtà.
Proprio come l’ultima ricerca pittorica di Marco Cingolani: analisi sociale e ricerca artistica verso l’esperienza spirituale. Nel suo lavoro si vede il continuo mescolarsi dei piani della figurazione e dell’astrazione, senza che uno dipenda dall’altro e viceversa. Partendo dalla tradizione occidentale e portandola alle conseguenze contemporanee, la pittura di Cingolani è connotata da colori squillanti, accesi, liquidi, “sfregati” l’uno sopra l’altro, creando uno sfocamento. Sono quelli che lui chiama i “quadri a vanvera”: quadri che vanno verso l’informale e che concettualmente si avvicinano alle tematiche religiose, lavori che sfuggono dalla didascalia. In queste opere il colore si struttura indipendentemente dalla volontà del pittore; non ci sono più figure riconoscibili ed il colore altro non è che “lo spazio dove succedono cose”.
E, per farlo, sono stati invitati a partecipare quattro artisti di due generazioni (anni ‘80 e anni ‘60) che potessero raccontare, attraverso il proprio lavoro ed il proprio percorso, cosa sia stata la pittura, come si sia evoluta e cosa sia oggi.
Partendo dai primi lavori fino ai più recenti degli artisti in mostra, si possono ritrovare le tracce di un movimento sinusoidale della pittura: dal suo recupero con la Transavanguardia e le sue ondate artistiche, al suo tornare in sordina dalla fine degli anni ’90 fino, di nuovo, al suo riaffermarsi negli ultimi anni.
L’invito è stato rivolto in un primo momento a due giovani artisti: Giulio Saverio Rossi ed Ettore Pinelli. Solo in un secondo momento gli è stato chiesto di segnalare il nome di un artista che – direttamente o meno – fosse stato fondamentale per il loro approccio alla pittura: Giulio ha parlato di Cingolani, suo insegnante di Pittura ai tempi in cui frequentava l’Accademia Albertina di Torino, ed Ettore invece ha indicato Galliano, o più specificatamente le sue opere, in quanto non conosceva l’artista di persona ma trovava molti punti di contatto con il suo lavoro.
Marco Cingolani (Como 1961) e Daniele Galliano (Pinerolo 1961) sono tra i pittori più rappresentativi della scena nazionale e condividono un percorso parallelo che si è intrecciato più volte, inclusa la comune partecipazione al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2009.
Ettore Pinelli (Modica 1984) e Giulio Saverio Rossi (Massa 1988), sono accomunati, allo stesso modo, da una serie di esperienze condivise, quali i luoghi della formazione, i premi, le residenze, le mostre collettive, che li hanno portati a conoscere l’uno il lavoro dell’altro pur non incontrandosi mai di persona.
Il lavoro di Ettore Pinelli guarda a quella parte della produzione di Daniele Galliano che osserva la folla, gli aspetti della vita collettiva, le diverse forme di aggregazione. C’è un comune procedere antropologico nei due, quell’osservare le folle per capire cosa si nasconda dietro ai fenomeni.
In Pinelli la pratica pittorica, mossa da un’attenzione politico-sociale, vuole sottolineare il lato inquietante e veritiero del nostro presente. La sua ricerca tematica parte davanti ad uno schermo dove trova quelle immagini che parlano di scenari saturi di violenza.
Nel trittico Deny a personal vision | ways to stand out i piani di colore costruiti su superfici parallele e semitrasparenti addolciscono la crudezza delle scene rappresentate: il piano del quadro viene traslato fino a negare la visione nel fulcro dell’immagine, area dove si sviluppa la scena la quale potrebbe permetterne la comprensione più immediata.
Sia in Pinelli che in Galliano c’è un moto transitorio della figurazione verso l’astrazione, quel comune zoom sulla realtà. In Pinelli è un avvicinarsi per poi allontanarsi, seguendo la volontà della pittura che sovrasta quella dell’artista. Nel dittico Blurring Motion (rose light) 4th figure zoomed in l’unica stesura di colore crea un ponte immediato tra pittura figurativa ed informale. Nella prima tela si riconosce esclusivamente una figura; questa viene zoomata nella seconda portandola ad un livello di lettura parallela.
In Galliano la matrice realista trova il suo contro-altare nella pennellata gestuale ed il mondo può essere visto nella sua nitidezza solo da lontano. La pittura, sia nelle Constellations che negli ultimi lavori della serie Anything, si fa quasi meccanica, comandata dalla memoria della mano. Così, in questo limbo tra realismo ed iporealismo, attraverso un processo catartico finalizzato a metabolizzare la violenza, nascono queste visioni, oscillazioni tra la miopia ed il sogno. Galliano ricerca la bellezza proprio in ciò che inquieta; ed è così che l’innalzarsi della prospettiva in Constellations, quadri senza centro ne limiti, permette di accedere a quello spettacolo che vede l’umanità farsi folla, nonostante il gesto dell’artista dia ad ogni figura un certo grado di singolarità.
Nella ricerca di Giulio Saverio Rossi, come in Pinelli, l’immagine nasce da una rappresentazione di un mondo virtuale. L’attenzione di Rossi, parte dal topos del paesaggio dove la costruzione del punto di vista è sempre mediato dalla tecnologia digitale che si frappone tra il soggetto e il mondo. Il dittico All this will be recollected in sixteen days #2 ripropone una veduta satellitare di una porzione di terreno registrata con sensori (o con situazioni atmosferiche) differenti. Le immagini della visione satellitare sono di fatto una ricostruzione del mondo basata sul montaggio di fotografie digitali raccolte continuamente, piuttosto che una restituzione di una visione dall'alto in tempo reale di cui simulano la percezione. Le due tele che costituiscono il dittico rappresentano ognuna la registrazione con due sensori differenti e traducono in pittura un'immagine destinata ad essere rimossa e sostituita dal satellite stesso. Il linguaggio analogico della pittura agisce nell'arco di sedici giorni, che è il lasso temporale necessario al sistema satellitare per mappare nuovamente il pianeta e sostituire gli errori da lui stesso prodotti. A colpo d’occhio i lavori di Rossi appaiono come dei “monocromi romantici” citando il suo maestro Cingolani; ed è solo allontanandosi e ribaltando il punto di vista che si possono riconoscere (o quanto meno intuire) sentieri, strade e percorsi in queste vedute dall’alto. In un certo senso quella di Rossi è una pittura come forma di astrazione in quanto esalta la figura primaria, l’essenza del soggetto trasfigurando la realtà.
Proprio come l’ultima ricerca pittorica di Marco Cingolani: analisi sociale e ricerca artistica verso l’esperienza spirituale. Nel suo lavoro si vede il continuo mescolarsi dei piani della figurazione e dell’astrazione, senza che uno dipenda dall’altro e viceversa. Partendo dalla tradizione occidentale e portandola alle conseguenze contemporanee, la pittura di Cingolani è connotata da colori squillanti, accesi, liquidi, “sfregati” l’uno sopra l’altro, creando uno sfocamento. Sono quelli che lui chiama i “quadri a vanvera”: quadri che vanno verso l’informale e che concettualmente si avvicinano alle tematiche religiose, lavori che sfuggono dalla didascalia. In queste opere il colore si struttura indipendentemente dalla volontà del pittore; non ci sono più figure riconoscibili ed il colore altro non è che “lo spazio dove succedono cose”.
24
febbraio 2018
Sulla pittura
Dal 24 febbraio all'otto aprile 2018
arte contemporanea
Location
SPAZIO SIENA
Siena, Via Di Fontebranda, 5, (Siena)
Siena, Via Di Fontebranda, 5, (Siena)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 10-13 / 16-19
Domenica e festivi su appuntamento
Vernissage
24 Febbraio 2018, ore 18
Autore
Curatore