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Surfing on the Algorithms
SMDOT è molto felice di annunciare l’inizio del suo quarto anno di programmazione presentando la mostra collettiva “SURFING ON THE ALGORITHMS”. Sette artisti italiani, Marco Cadioli, Alessandro Capozzo, Giovanni Fredi, Federico Poni, Eleonora Roaro, Guido Segni e Stefano Spera.
Comunicato stampa
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SMDOT è molto felice di annunciare l’inizio del suo quarto anno di programmazione presentando la mostra collettiva “SURFING ON THE ALGORITHMS”. Sette artisti italiani, Marco Cadioli, Alessandro Capozzo, Giovanni Fredi, Federico Poni, Eleonora Roaro, Guido Segni e Stefano Spera, hanno realizzato lavori inediti, o quasi, esplorando l’intersezione tra tecnologia e creazione, confrontandosi con un tema, uno strumento, molto attuale come l’intelligenza artificiale, e soprattutto con una sua parte fondamentale, quali sono gli algoritmi.
L’IA, fino a poco tempo, confinata nei laboratori di ricerca ha negli ultimi anni fatto il suo ingresso dirompente nella vita di tutti i giorni. Tutti sembrano ossessionati ed affascinati dal suo utilizzo e dalle promesse di crescita e sviluppo, che sembrano infinite, così come, dalle sue possibilità di applicazione in grado di utilizzare una tecnologia sempre più efficiente e pervasiva.
Il titolo di questo testo, “Né intelligente né artificiale” può sembrare provocatorio, in qualche modo potrebbe voler affermare, a priori, un giudizio negativo nei confronti della tecnologia, della AI e degli algoritmi, ma in realtà è solo un’iperbole nella speranza di attrarre la vostra attenzione e posizionare lo sguardo da un particolare punto di vista.
Guardiamo queste macchine, questi software, spesso, con eccessivo incanto, affermiamo noi la loro intelligenza rispetto ai risultati che riusciamo ad ottenere. Restiamo sbalorditi dalle immagini che ci mostrano a fronte di una nostra richiesta avvenuta attraverso un testo, oppure alla stesura di uno scritto in relazione ad un argomento da noi indicato, addirittura alla formulazione di una poesia, di una canzone o di un brano musicale, sempre, rispetto alle nostre indicazioni. Cosa interessante, possiamo tranquillamente non essere soddisfatti e la macchina continuerà a cercare soluzioni per noi, senza mai stancarsi o quasi. Proverà sempre ad accontentarci. Le sue risposte saranno sempre verosimili.
L’Intelligenza Artificiale è la simulazione dell’intelligenza umana in macchine programmate per pensare e imparare come gli umani. I sistemi di intelligenza artificiale possono svolgere compiti come comprendere il linguaggio naturale, riconoscere immagini, prendere decisioni e risolvere problemi. Esistono diversi approcci, ma tutti implicano l’utilizzo di algoritmi avanzati e modelli matematici per elaborare e analizzare i dati. Alcuni dei principali approcci includono sistemi basati su un insieme di regole predefinite per prendere decisioni e risolvere problemi. In sintesi, l’IA è una branca dell’informatica che si occupa di creare macchine o sistemi informatici in grado di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’intelligenza umana. Utilizza algoritmi avanzati e modelli matematici per elaborare e analizzare i dati e fare previsioni o decisioni basate su di essi.
Questo significa che in qualche modo ci danno l’illusione di trovare soluzioni semplici ai nostri dubbi o aspettative, ma solo noi possiamo decidere se quelle soluzioni ci soddisfano o meno. La modalità di apprendimento di questi sistemi e il loro modo di corrispondere ai nostri desiderata si basa sull’inganno, un approccio molto comune tra gli uomini, ma anche tra gli animali e le piante.
Siamo abituati quotidianamente a convivere con quello che possiamo definire l’inganno banale, cioè qualcosa che sappiamo non essere reale, ma che in determinate circostanze, decidiamo, istintivamente, di ritenerlo come tale.
Possiamo dire che la storia del pensiero nasce, si basa, sull’inganno. Dai Sofisti alla metafora della caverna di Platone, dall’invenzione dei miti alle religioni, passando per l’invenzione della prospettiva, le varie scoperte scientifiche, la letteratura, l’immagine fotografica, il cinema, la pubblicità, le serie TV, i social media, Siri, Alexa, etc…
L’essere umano è sempre stato attratto dall’illusione e dall’inganno, fa parte della suo essere, della sua vulnerabilità, delle sue modalità di relazione e nello stesso tempo ha dovuto allenare e sviluppare tutte le sue capacità per potersene difendere, per cercare di scoprirlo in anticipo e non subirlo.
In qualche modo ritorniamo all’iperbole iniziale, il problema non è l’intelligenza artificiale e la sua capacità di poter progettare macchine capaci di performance migliori di quelle umane, con tutte le conseguenze negative e positive sulle abitudini umane e le implicazioni etiche e sociali, il problema è sulla nostra capacità e volontà di distinguere tra gli umani e le macchine. Rifiutarsi di interagire con l’IA non è possibile, ma possiamo resistere. Possiamo stare in equilibrio, come quando si surfa, tra la nostra capacità di utilizzare con profitto gli strumenti che ci vengono messi a disposizione utilizzando l’IA e quello di adottare un atteggiamento informato, critico, scettico, creativo nei confronti della stessa. La sfida è quello di diventare utenti sofisticati.
Confrontarsi con l’arte, con le opere d’arte può essere un ottimo esercizio per non rinunciare alla complessità, alla ricercatezza, alla difficoltà, all’insoddisfazione.
“SURFINF ON THE ALGORITHMS” è da questo punto di vista una mostra sofisticata, complessa, scomoda, ogni singolo lavoro è una soglia di senso per il guardante, ogni lavoro porta con se molte domande, ogni lavoro è mancante, mancante di una risposta definitiva pur nella sua definizione estetica. Il piano concettuale che unisce tutti i lavori è la ricerca sul tipo di immagini che stiamo producendo nel contemporaneo, grazie anche alle nuove tecnologie, e quale rappresentazione della realtà vogliamo costruire con esse.
Marco Cadioli con l’installazione “CURATING THE AI” grazie all’utilizzo di un programma basato sull’IA, ha generato la documentazione di una mostra d’arte, con artisti, opere, evento di apertura, eventi performativi e culturali, spettatori. Tutto documentato e messo in rete, con la soddisfazione del pubblico, curatori, critici, artisti, con alcune delusioni per non essere stato invitati. Ha generato un inganno banale. La documentazione della sua mostra, grazie a stampe digitali su dibond e polaroid (digitali), partecipando come opera d’arte alla collettiva, diventa una performance avvenuta in un altro tempo ed in un altro spazio, diventa una meta-mostra, oppure una meta-opera. Cambia la figurazione cronologica del tempo. Una sorta di futuro anteriore. Un futuro nel passato che ritroviamo anche nei lavori di Alessandro Capozzo, “Chimera I, II, III, IV”, dove siamo attratti da immagini che sembrano arrivare da un museo di scienze naturali del passato, oppure da una wunderkammer di un collezionista del XVIII secolo. Immagini liriche, verosimili, che ricordano tratti di piante ed animali, senza essere né l’uno né l’altro, ma nello stesso tempo dando una rappresentazione metafisica di elementi passati che arrivano dal futuro.
Con un’estetica e un approccio differente anche i lavori di Giovanni Fredi, “Maschera 01, 02, 03”, e “untitled (series)” sembrano arrivare dal passato, ma creando un corto circuito, tra il segno, la forma, le modalità di rappresentazione e la loro significazione. Le “maschere” sono visori, realizzati con un materiale “antico” e naturale come l’argilla, potenzialmente funzionanti e le immagini, paesaggi generati da IA, ma formalizzati con una stampa fotografica ai sali d’argento in formato equirettangolare. Oggetti semplici, resi complicati, sofisticati, diventano punti di ancoraggio del reale.
Stefano Spera con “Variations (Hermes, THE NET)”, ritorna nello spazio di SMDOT/Contemporary Art con una variazione di una sua opera già esposta alla fine del 2021. La ricerca attraverso l’utilizzo di un programma che utilizza l’IA è disattesa, “The Net”, non corrisponde all’opera reale, quella rappresentata ed esposta precedentemente. A questo punto Stefano grazie alla pittura evidenzia e fissa l’errore, resistendo al verosimile, non accontentandosi ed “indicando” il vero.
Eleonora Roaro, con il video “Pallas’s Cat There Is a Picture in My Head” e Federico Poni con l’installazione “For You (Automatic) Information” decidono, con punti di vista, procedure, atteggiamenti dissimili, di occupare, di abitare questa nuova tecnologia, non solo di utilizzarla.
Eleonora con grande ironia “provoca” le conoscenze della IA riguardo ad una specie particolare di gatto, gatto di Pallas, star del social media Tik Tok ed all’idea di desiderio. La poesia ottenuta diventa a sua volta pretesto per la generazione di un brano musicale, sempre da parte di un programma che usa l’IA. Eleonora si appropria di tutto il materiale, lo interpreta e lo presenta come video musicale che segna il suo debutto come cantante con la creazione di una Hit invernale. Siamo sicuri ci sia solo questo nel video? Una canzone, una storia di un’amica che vuole a tutti i costi adottare un gatto selvatico in via di estinzione, oppure qualcosa di più misterioso, complicato, umano?
Federico si cimenta in una performance, interagendo e registrando le reazioni, le risposte, di un particolare programma di IA a un suo racconto. Le sue parole, le sue frasi, i suoi pensieri esposti ad alta voce vengono riconosciuti, interpretati dalla macchina, non sempre in quella che noi riterremmo la maniera giusta. Si creano fraintendimenti nella comunicazione tra l’uomo e la macchina. Errori ed inciampi necessari affinché venga sempre rinnovata la nostra voglia perenne di cercare, svelare la verità.
Guido Segni con “Poor White Guy Can’t Help but fall asleep”, unico lavoro non realizzato per la mostra, immagine stampata su un lenzuolo e tratta dal video “The Han Collection (or how we got wired, tired and fired”, ci ricorda che abitiamo lo spazio che ci circonda attraverso il nostro corpo, che possiamo considerare come uno schermo sofisticato, il quale grazie al suo dispositivo innato della stanchezza riesce a resistere, si finge morto, ma si è solo addormentato, sta recuperando le forze per affrontare la complessità del molteplice, supportato dalle nostre invenzioni tecnologiche senza mai smettere di interrogarci sul loro funzionamento e continuando a surfare dando forma alle nostre “tecnoutopie” tra desiderio e bisogno.
Stefano Monti
L’IA, fino a poco tempo, confinata nei laboratori di ricerca ha negli ultimi anni fatto il suo ingresso dirompente nella vita di tutti i giorni. Tutti sembrano ossessionati ed affascinati dal suo utilizzo e dalle promesse di crescita e sviluppo, che sembrano infinite, così come, dalle sue possibilità di applicazione in grado di utilizzare una tecnologia sempre più efficiente e pervasiva.
Il titolo di questo testo, “Né intelligente né artificiale” può sembrare provocatorio, in qualche modo potrebbe voler affermare, a priori, un giudizio negativo nei confronti della tecnologia, della AI e degli algoritmi, ma in realtà è solo un’iperbole nella speranza di attrarre la vostra attenzione e posizionare lo sguardo da un particolare punto di vista.
Guardiamo queste macchine, questi software, spesso, con eccessivo incanto, affermiamo noi la loro intelligenza rispetto ai risultati che riusciamo ad ottenere. Restiamo sbalorditi dalle immagini che ci mostrano a fronte di una nostra richiesta avvenuta attraverso un testo, oppure alla stesura di uno scritto in relazione ad un argomento da noi indicato, addirittura alla formulazione di una poesia, di una canzone o di un brano musicale, sempre, rispetto alle nostre indicazioni. Cosa interessante, possiamo tranquillamente non essere soddisfatti e la macchina continuerà a cercare soluzioni per noi, senza mai stancarsi o quasi. Proverà sempre ad accontentarci. Le sue risposte saranno sempre verosimili.
L’Intelligenza Artificiale è la simulazione dell’intelligenza umana in macchine programmate per pensare e imparare come gli umani. I sistemi di intelligenza artificiale possono svolgere compiti come comprendere il linguaggio naturale, riconoscere immagini, prendere decisioni e risolvere problemi. Esistono diversi approcci, ma tutti implicano l’utilizzo di algoritmi avanzati e modelli matematici per elaborare e analizzare i dati. Alcuni dei principali approcci includono sistemi basati su un insieme di regole predefinite per prendere decisioni e risolvere problemi. In sintesi, l’IA è una branca dell’informatica che si occupa di creare macchine o sistemi informatici in grado di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’intelligenza umana. Utilizza algoritmi avanzati e modelli matematici per elaborare e analizzare i dati e fare previsioni o decisioni basate su di essi.
Questo significa che in qualche modo ci danno l’illusione di trovare soluzioni semplici ai nostri dubbi o aspettative, ma solo noi possiamo decidere se quelle soluzioni ci soddisfano o meno. La modalità di apprendimento di questi sistemi e il loro modo di corrispondere ai nostri desiderata si basa sull’inganno, un approccio molto comune tra gli uomini, ma anche tra gli animali e le piante.
Siamo abituati quotidianamente a convivere con quello che possiamo definire l’inganno banale, cioè qualcosa che sappiamo non essere reale, ma che in determinate circostanze, decidiamo, istintivamente, di ritenerlo come tale.
Possiamo dire che la storia del pensiero nasce, si basa, sull’inganno. Dai Sofisti alla metafora della caverna di Platone, dall’invenzione dei miti alle religioni, passando per l’invenzione della prospettiva, le varie scoperte scientifiche, la letteratura, l’immagine fotografica, il cinema, la pubblicità, le serie TV, i social media, Siri, Alexa, etc…
L’essere umano è sempre stato attratto dall’illusione e dall’inganno, fa parte della suo essere, della sua vulnerabilità, delle sue modalità di relazione e nello stesso tempo ha dovuto allenare e sviluppare tutte le sue capacità per potersene difendere, per cercare di scoprirlo in anticipo e non subirlo.
In qualche modo ritorniamo all’iperbole iniziale, il problema non è l’intelligenza artificiale e la sua capacità di poter progettare macchine capaci di performance migliori di quelle umane, con tutte le conseguenze negative e positive sulle abitudini umane e le implicazioni etiche e sociali, il problema è sulla nostra capacità e volontà di distinguere tra gli umani e le macchine. Rifiutarsi di interagire con l’IA non è possibile, ma possiamo resistere. Possiamo stare in equilibrio, come quando si surfa, tra la nostra capacità di utilizzare con profitto gli strumenti che ci vengono messi a disposizione utilizzando l’IA e quello di adottare un atteggiamento informato, critico, scettico, creativo nei confronti della stessa. La sfida è quello di diventare utenti sofisticati.
Confrontarsi con l’arte, con le opere d’arte può essere un ottimo esercizio per non rinunciare alla complessità, alla ricercatezza, alla difficoltà, all’insoddisfazione.
“SURFINF ON THE ALGORITHMS” è da questo punto di vista una mostra sofisticata, complessa, scomoda, ogni singolo lavoro è una soglia di senso per il guardante, ogni lavoro porta con se molte domande, ogni lavoro è mancante, mancante di una risposta definitiva pur nella sua definizione estetica. Il piano concettuale che unisce tutti i lavori è la ricerca sul tipo di immagini che stiamo producendo nel contemporaneo, grazie anche alle nuove tecnologie, e quale rappresentazione della realtà vogliamo costruire con esse.
Marco Cadioli con l’installazione “CURATING THE AI” grazie all’utilizzo di un programma basato sull’IA, ha generato la documentazione di una mostra d’arte, con artisti, opere, evento di apertura, eventi performativi e culturali, spettatori. Tutto documentato e messo in rete, con la soddisfazione del pubblico, curatori, critici, artisti, con alcune delusioni per non essere stato invitati. Ha generato un inganno banale. La documentazione della sua mostra, grazie a stampe digitali su dibond e polaroid (digitali), partecipando come opera d’arte alla collettiva, diventa una performance avvenuta in un altro tempo ed in un altro spazio, diventa una meta-mostra, oppure una meta-opera. Cambia la figurazione cronologica del tempo. Una sorta di futuro anteriore. Un futuro nel passato che ritroviamo anche nei lavori di Alessandro Capozzo, “Chimera I, II, III, IV”, dove siamo attratti da immagini che sembrano arrivare da un museo di scienze naturali del passato, oppure da una wunderkammer di un collezionista del XVIII secolo. Immagini liriche, verosimili, che ricordano tratti di piante ed animali, senza essere né l’uno né l’altro, ma nello stesso tempo dando una rappresentazione metafisica di elementi passati che arrivano dal futuro.
Con un’estetica e un approccio differente anche i lavori di Giovanni Fredi, “Maschera 01, 02, 03”, e “untitled (series)” sembrano arrivare dal passato, ma creando un corto circuito, tra il segno, la forma, le modalità di rappresentazione e la loro significazione. Le “maschere” sono visori, realizzati con un materiale “antico” e naturale come l’argilla, potenzialmente funzionanti e le immagini, paesaggi generati da IA, ma formalizzati con una stampa fotografica ai sali d’argento in formato equirettangolare. Oggetti semplici, resi complicati, sofisticati, diventano punti di ancoraggio del reale.
Stefano Spera con “Variations (Hermes, THE NET)”, ritorna nello spazio di SMDOT/Contemporary Art con una variazione di una sua opera già esposta alla fine del 2021. La ricerca attraverso l’utilizzo di un programma che utilizza l’IA è disattesa, “The Net”, non corrisponde all’opera reale, quella rappresentata ed esposta precedentemente. A questo punto Stefano grazie alla pittura evidenzia e fissa l’errore, resistendo al verosimile, non accontentandosi ed “indicando” il vero.
Eleonora Roaro, con il video “Pallas’s Cat There Is a Picture in My Head” e Federico Poni con l’installazione “For You (Automatic) Information” decidono, con punti di vista, procedure, atteggiamenti dissimili, di occupare, di abitare questa nuova tecnologia, non solo di utilizzarla.
Eleonora con grande ironia “provoca” le conoscenze della IA riguardo ad una specie particolare di gatto, gatto di Pallas, star del social media Tik Tok ed all’idea di desiderio. La poesia ottenuta diventa a sua volta pretesto per la generazione di un brano musicale, sempre da parte di un programma che usa l’IA. Eleonora si appropria di tutto il materiale, lo interpreta e lo presenta come video musicale che segna il suo debutto come cantante con la creazione di una Hit invernale. Siamo sicuri ci sia solo questo nel video? Una canzone, una storia di un’amica che vuole a tutti i costi adottare un gatto selvatico in via di estinzione, oppure qualcosa di più misterioso, complicato, umano?
Federico si cimenta in una performance, interagendo e registrando le reazioni, le risposte, di un particolare programma di IA a un suo racconto. Le sue parole, le sue frasi, i suoi pensieri esposti ad alta voce vengono riconosciuti, interpretati dalla macchina, non sempre in quella che noi riterremmo la maniera giusta. Si creano fraintendimenti nella comunicazione tra l’uomo e la macchina. Errori ed inciampi necessari affinché venga sempre rinnovata la nostra voglia perenne di cercare, svelare la verità.
Guido Segni con “Poor White Guy Can’t Help but fall asleep”, unico lavoro non realizzato per la mostra, immagine stampata su un lenzuolo e tratta dal video “The Han Collection (or how we got wired, tired and fired”, ci ricorda che abitiamo lo spazio che ci circonda attraverso il nostro corpo, che possiamo considerare come uno schermo sofisticato, il quale grazie al suo dispositivo innato della stanchezza riesce a resistere, si finge morto, ma si è solo addormentato, sta recuperando le forze per affrontare la complessità del molteplice, supportato dalle nostre invenzioni tecnologiche senza mai smettere di interrogarci sul loro funzionamento e continuando a surfare dando forma alle nostre “tecnoutopie” tra desiderio e bisogno.
Stefano Monti
28
gennaio 2023
Surfing on the Algorithms
Dal 28 gennaio all'otto aprile 2023
arte contemporanea
Location
SMDOT / CONTEMPORARY ART
Udine, Via Palladio, 7, (UD)
Udine, Via Palladio, 7, (UD)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10-13 e 16-19
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