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Susanna Sinclair – Play. Variations on a theme
In questo nuovo lavoro, Susanna Sinclair torna a fotografarsi, seguendo un percorso erotico nel quale è al tempo stesso protagonista e vittima
Comunicato stampa
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Due tempi scandiscono “Play - Variations on a Theme”: il primo narra la passione; il secondo descrive l’assenza. In questo nuovo lavoro, Susanna Sinclair torna a fotografarsi, seguendo un percorso erotico nel quale è al tempo stesso protagonista e vittima, senza mai abbandonare il centro della scena. Nel primo tempo gli amanti s’incontrano. L’obiettivo li ritrae, in otto immagini, in una stanza d’albergo, non luogo elettivo d’ogni trasgressione. All’inizio, sperimentano una carnalità condivisa, le bocche, le mani che s’insinuano, sempre più indiscrete. Susanna e il suo compagno si fanno consapevolmente spiare dalla macchina fotografica, così da esporsi con impudicizia maliziosa. È un gioco, pelle sulla pelle, intreccio, sfida. Ciascuno cerca nel corpo dell’altro il proprio limite, vorrebbe trascenderlo, superarlo, fino alla rivelazione estrema. Un attimo, un’accensione improvvisa, e la tenerezza cede alla violenza. Nella finzione del racconto, stati d’animo e sensazioni profonde si traducono in immagini: vediamo una pistola, lei appare riversa, raggiunta da un proiettile, quindi è lui a rivolgere l’arma contro di sé. La fine del rapporto coincide con la morte rituale.
Il gioco tuttavia continua, nelle sue labirintiche variazioni. Nel secondo tempo, bruciato il furore dionisiaco, altro non rimane se non il corpo, che continua a essere un oggetto, com’era stato nell’esaltazione dei sensi. In otto scatti crudeli, viene offerto agli sguardi sul tavolo di un obitorio: è l’approdo del viaggio agli inferi di Sinclair cominciato nel 2002 con “Whatever Love Means” e proseguito con “Fashion Show” nel 2003. Una trilogia che svolge, con accenti diversi, un tema antico, la ricerca di sé, smarrito nelle contraddizioni del mondo contemporaneo: il desiderio, e l’ossessione, di ritrovare la propria realtà umana, carne e sangue, cancellata dalla civiltà dell’apparenza, dove tutto si risolve nell’ostentazione dell’ immagine.
Qui, le bianche membra abbandonate si fingono senza vita, ma s’intuisce una segreta vibrazione; quasi un urlo raggelato, che esprime lo sgomento di una perdita.
Nel mostrare la metafora di un mero involucro ormai privo d’afflato vitale, queste fotografie violano dunque il tabù della morte, che la nostra cultura cela nella vergogna un tempo riservata al sesso, per affermare la volontà di risorgere; descrivono infatti l’elaborazione di un lutto, quello provocato dall’abbandono, non importa se imposto o subito, della persona amata.
Ogni volta che una storia d’amore finisce, muore una parte di noi, e in noi muore il compagno o la compagna che non è più al nostro fianco. Susanna Sinclair esplicita questo stato d’animo in termini oggettivi. Si fa guardare, e soprattutto si guarda, quasi a dire: ecco quel che di me ho ucciso, e che pure tornerà a vivere.
Non manca, a stemperare i toni, una sfumatura ironica. L’erotismo esplicito della prima sequenza riappare nella seconda sotto altre forme: il trucco del volto, i guanti e le scarpe, calzate con una punta di feticismo, evocano la presenza, non rivelata, di un amante, o meglio di un complice, che agisce non visto.
Confluisce, in questi notturni bianchi e neri, anche una rete fittissima di richiami pittorici e letterari: dalle danze macabre e dalle sculture che nel Medioevo adornavano le cattedrali, fino alle vanitates predilette dai pittori fiamminghi, che ricordavano ai ricchi committenti quanto velocemente transit gloria mundi. E ancora, echi e reminiscenze del romanzo gotico, la pagine di Monk Lewis, le atmosfere di Poe, la vampira Carmilla di Sheridan Le Fanu, la Lulu di Wedekind e di Berg… le belle & cattive che, tra Sette e Ottocento, si sono levate dal feretro per annientare l’amante con la loro fascinazione luciferina… Susanna Sinclair indaga con spietata lucidità l’intreccio tra Eros e Thanatos che percorre la grande stagione del decadentismo, rivisitata con gli strumenti della fotografia concettuale.
Di padre romano e madre scozzese, Susanna Sinclair ha vissuto in Inghilterra, in Argentina e negli Stati Uniti.Ha lavorato in marketing e pubblicità. Dal 2000 si dedica alla fotografia dividendo la propria attività fra Londra e Milano. Ha esposto a Londra, Southampton (USA), Milano e Bologna Artefiera 2005.
Il gioco tuttavia continua, nelle sue labirintiche variazioni. Nel secondo tempo, bruciato il furore dionisiaco, altro non rimane se non il corpo, che continua a essere un oggetto, com’era stato nell’esaltazione dei sensi. In otto scatti crudeli, viene offerto agli sguardi sul tavolo di un obitorio: è l’approdo del viaggio agli inferi di Sinclair cominciato nel 2002 con “Whatever Love Means” e proseguito con “Fashion Show” nel 2003. Una trilogia che svolge, con accenti diversi, un tema antico, la ricerca di sé, smarrito nelle contraddizioni del mondo contemporaneo: il desiderio, e l’ossessione, di ritrovare la propria realtà umana, carne e sangue, cancellata dalla civiltà dell’apparenza, dove tutto si risolve nell’ostentazione dell’ immagine.
Qui, le bianche membra abbandonate si fingono senza vita, ma s’intuisce una segreta vibrazione; quasi un urlo raggelato, che esprime lo sgomento di una perdita.
Nel mostrare la metafora di un mero involucro ormai privo d’afflato vitale, queste fotografie violano dunque il tabù della morte, che la nostra cultura cela nella vergogna un tempo riservata al sesso, per affermare la volontà di risorgere; descrivono infatti l’elaborazione di un lutto, quello provocato dall’abbandono, non importa se imposto o subito, della persona amata.
Ogni volta che una storia d’amore finisce, muore una parte di noi, e in noi muore il compagno o la compagna che non è più al nostro fianco. Susanna Sinclair esplicita questo stato d’animo in termini oggettivi. Si fa guardare, e soprattutto si guarda, quasi a dire: ecco quel che di me ho ucciso, e che pure tornerà a vivere.
Non manca, a stemperare i toni, una sfumatura ironica. L’erotismo esplicito della prima sequenza riappare nella seconda sotto altre forme: il trucco del volto, i guanti e le scarpe, calzate con una punta di feticismo, evocano la presenza, non rivelata, di un amante, o meglio di un complice, che agisce non visto.
Confluisce, in questi notturni bianchi e neri, anche una rete fittissima di richiami pittorici e letterari: dalle danze macabre e dalle sculture che nel Medioevo adornavano le cattedrali, fino alle vanitates predilette dai pittori fiamminghi, che ricordavano ai ricchi committenti quanto velocemente transit gloria mundi. E ancora, echi e reminiscenze del romanzo gotico, la pagine di Monk Lewis, le atmosfere di Poe, la vampira Carmilla di Sheridan Le Fanu, la Lulu di Wedekind e di Berg… le belle & cattive che, tra Sette e Ottocento, si sono levate dal feretro per annientare l’amante con la loro fascinazione luciferina… Susanna Sinclair indaga con spietata lucidità l’intreccio tra Eros e Thanatos che percorre la grande stagione del decadentismo, rivisitata con gli strumenti della fotografia concettuale.
Di padre romano e madre scozzese, Susanna Sinclair ha vissuto in Inghilterra, in Argentina e negli Stati Uniti.Ha lavorato in marketing e pubblicità. Dal 2000 si dedica alla fotografia dividendo la propria attività fra Londra e Milano. Ha esposto a Londra, Southampton (USA), Milano e Bologna Artefiera 2005.
21
aprile 2005
Susanna Sinclair – Play. Variations on a theme
Dal 21 aprile al 14 maggio 2005
fotografia
Location
IL TORCHIO – COSTANTINI ARTE CONTEMPORANEA
Milano, Via Crema, 8, (Milano)
Milano, Via Crema, 8, (Milano)
Orario di apertura
10-12.30 e 15.30-19.30. Chiuso lunedì mattina e festivi
Vernissage
21 Aprile 2005, ore 18-21,30
Autore
Curatore