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Takulandirani . African soul
I preziosi pezzi di cultura africana oggi esposti, scelti in una collezione privata raccolta con l’amore di chi unisce il gusto per il bello ad una profonda condivisione di vita con il mondo africano, rimandano a culture di ben venti etnie diverse, dai celebri bronzi di Ife agli oggetti rituali o di uso quotidiano di etnia Luba o Dogon, provenienti da dodici stati.
Comunicato stampa
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African soul
In ascolto per dialogare
“Dialogare è difficile: anche in Platone molti dialoghi sono fittizi, semplici opposizioni di monologhi.
Ciascuno rimane sulle proprie posizioni. Il vero dialogo impone uno sforzo costante e quasi
eroico: in primo luogo mettersi “dal punto di vista” dell’interlocutore. Leibnitz, questo pensatore
aperto e duttile, scriveva che la posizione dell’interlocutore è il vero punto di vista in politica e
in morale e chiamava questo uscire da sé per adottare, almeno per un istante, il punto di vista
dell’altro: l’amore.” (J. Guitton a Paolo VI, Dialoghi, 1967).
Fermiamoci per ascoltare, ascoltiamo per dialogare: è la proposta che giunge da questa
esposizione, mano tesa in un gesto di amore della nostra cultura occidentale verso l’inascoltata
cultura africana, prima culla dell’umanità, immenso, straordinario scrigno di tesori, di un
pensiero sul mondo di energia vitale in perfetta armonia tra tutte le componenti della natura di
cui l’uomo è una parte, in dialogo con l’Essere Supremo, vicino e lontano, non rappresentabile
se non attraverso immagini di cose o animali, attraverso le quali comunica e regola le vita.
I preziosi pezzi di cultura africana oggi esposti, scelti in una collezione privata raccolta con
l’amore di chi unisce il gusto per il bello ad una profonda condivisione di vita con il mondo
africano, rimandano a culture di ben venti etnie diverse, dai celebri bronzi di Ife agli oggetti rituali
o di uso quotidiano di etnia Luba o Dogon, provenienti da dodici stati.
Ne esce il grande respiro di un mondo in cui l’uomo non è interessato tanto a dominare quanto
a comprendere, attraverso una forza vitale sorretta dalle tradizioni sacrali e sociali garantite nel
tempo dagli antenati
È il concetto di tempo una delle grandi discriminanti tra le nostre culture: l’occidentale protesa
al futuro, divoratrice di usi, costumi sociali, innovazioni tese ad un ipotetico, forse chimerico,
miglioramento dell’umanità, anche a discapito degli equilibri naturali, a fronte della cultura
africana volta al passato, che insegna la convivenza nella natura in una concezione circolare
della storia del mondo, attraverso la trasmissione di valori immutabili, nel rapporto con l’Essere
supremo che presiede ai “riti di passaggio” della vita: concepimento, nascita, pubertà, morte.
I segni di questi passaggi sono da leggere negli oggetti da cerimonia, negli idoli e feticci, nelle
maschere e scudi rituali, nelle sculture di Ife, celebrative del re uomo e Dio.
Le opere italiane contemporanee li abbracciano idealmente dalle pareti, nella consapevolezza
di un debito grande che la nostra cultura deve a quel mondo, dallo strappo della schiavitù ad
un’accoglienza mancata per cieco egoismo, ma anche la voglia di capire, documentata dalle
immagini fotografiche e dallo studio dei volti.
Non è più soltanto l’appropriarsi di linee e forme, che nel corso del novecento ha motivato
l’ingresso della cultura africana in Italia nelle esperienze primitiviste di molti artisti, ma un passo
avanti, nello sforzo di comprendere una realtà non più lontana ed estranea, al contrario ormai
parte del Villaggio globale in cui l’umanità si trova a condividere la vita del pianeta.
In cerca della vera bellezza, nella condivisione armoniosa delle diversità, il segno contemporaneo
utilizza le forme più varie, dall’informale come poetica riflessione interiore, al figurativo come
appropriazione di nuova cultura, al documento fotografico come sintesi di incontro e di
pensiero.
Carmela Perucchetti
In ascolto per dialogare
“Dialogare è difficile: anche in Platone molti dialoghi sono fittizi, semplici opposizioni di monologhi.
Ciascuno rimane sulle proprie posizioni. Il vero dialogo impone uno sforzo costante e quasi
eroico: in primo luogo mettersi “dal punto di vista” dell’interlocutore. Leibnitz, questo pensatore
aperto e duttile, scriveva che la posizione dell’interlocutore è il vero punto di vista in politica e
in morale e chiamava questo uscire da sé per adottare, almeno per un istante, il punto di vista
dell’altro: l’amore.” (J. Guitton a Paolo VI, Dialoghi, 1967).
Fermiamoci per ascoltare, ascoltiamo per dialogare: è la proposta che giunge da questa
esposizione, mano tesa in un gesto di amore della nostra cultura occidentale verso l’inascoltata
cultura africana, prima culla dell’umanità, immenso, straordinario scrigno di tesori, di un
pensiero sul mondo di energia vitale in perfetta armonia tra tutte le componenti della natura di
cui l’uomo è una parte, in dialogo con l’Essere Supremo, vicino e lontano, non rappresentabile
se non attraverso immagini di cose o animali, attraverso le quali comunica e regola le vita.
I preziosi pezzi di cultura africana oggi esposti, scelti in una collezione privata raccolta con
l’amore di chi unisce il gusto per il bello ad una profonda condivisione di vita con il mondo
africano, rimandano a culture di ben venti etnie diverse, dai celebri bronzi di Ife agli oggetti rituali
o di uso quotidiano di etnia Luba o Dogon, provenienti da dodici stati.
Ne esce il grande respiro di un mondo in cui l’uomo non è interessato tanto a dominare quanto
a comprendere, attraverso una forza vitale sorretta dalle tradizioni sacrali e sociali garantite nel
tempo dagli antenati
È il concetto di tempo una delle grandi discriminanti tra le nostre culture: l’occidentale protesa
al futuro, divoratrice di usi, costumi sociali, innovazioni tese ad un ipotetico, forse chimerico,
miglioramento dell’umanità, anche a discapito degli equilibri naturali, a fronte della cultura
africana volta al passato, che insegna la convivenza nella natura in una concezione circolare
della storia del mondo, attraverso la trasmissione di valori immutabili, nel rapporto con l’Essere
supremo che presiede ai “riti di passaggio” della vita: concepimento, nascita, pubertà, morte.
I segni di questi passaggi sono da leggere negli oggetti da cerimonia, negli idoli e feticci, nelle
maschere e scudi rituali, nelle sculture di Ife, celebrative del re uomo e Dio.
Le opere italiane contemporanee li abbracciano idealmente dalle pareti, nella consapevolezza
di un debito grande che la nostra cultura deve a quel mondo, dallo strappo della schiavitù ad
un’accoglienza mancata per cieco egoismo, ma anche la voglia di capire, documentata dalle
immagini fotografiche e dallo studio dei volti.
Non è più soltanto l’appropriarsi di linee e forme, che nel corso del novecento ha motivato
l’ingresso della cultura africana in Italia nelle esperienze primitiviste di molti artisti, ma un passo
avanti, nello sforzo di comprendere una realtà non più lontana ed estranea, al contrario ormai
parte del Villaggio globale in cui l’umanità si trova a condividere la vita del pianeta.
In cerca della vera bellezza, nella condivisione armoniosa delle diversità, il segno contemporaneo
utilizza le forme più varie, dall’informale come poetica riflessione interiore, al figurativo come
appropriazione di nuova cultura, al documento fotografico come sintesi di incontro e di
pensiero.
Carmela Perucchetti
21
febbraio 2009
Takulandirani . African soul
Dal 21 febbraio al 15 marzo 2009
arte contemporanea
arte etnica
arte etnica
Location
SAN ZENONE ALL’ARCO – UCAI BRESCIA
Brescia, Vicolo San Zenone, 4, (Brescia)
Brescia, Vicolo San Zenone, 4, (Brescia)
Orario di apertura
16,00 - 19,00 (lunedì esclusi)
Vernissage
21 Febbraio 2009, ore 17
Autore
Curatore