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Tano Festa – Mi aprirò nel sole – opere 1960-1987
un percorso antologico attraverso l’opera del grande pittore romano, tra i principali esponenti della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo, nato a Roma nel 1938 e ivi scomparso nel 1988. II titolo è tratto da un verso di una poesia scritta dall’artista nel 1958.
Comunicato stampa
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La Galleria Marchetti di Roma ricorda Tano Festa con una mostra il cui titolo è tratto da un verso di una poesia da lui scritta nel 1958. Si tratta di un percorso antologico attraverso l’opera dell'artista, tra i principali esponenti della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo, nato a Roma nel 1938 e ivi scomparso nel 1988. In esposizione una trentina di opere- dipinti e alcune grandi carte - realizzate tra il 1960 e il 1987, fra cui alcuni interessanti inediti. Dai monocromi del ’60-’61 alle “riletture” di Michelangelo iniziate a metà degli anni ’60 e proseguite sino agli ultimi anni ; dai richiami dechirichiani de Le dimensioni del cielo (1965-66) e delle Piazze d’Italia degli anni ’70-’80, alla pura poesia oggettuale della serie dei Coriandoli, degli stessi anni, all’espressionismo lirico dei “ritratti” e dei “paesaggi”.
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“Un pittore, Tano Festa - scriveva Tommaso Trini nel 1972 - che agisce in base a un proprio pensiero e non solo in forza delle proprie urgenze espressive. Che traduce in pittura finestre chiuse, armadi ottusi, specchi opachi, per additarci non un mistero al di là di essi, ma semplicemente la sua presenza di pittore al di qua di essi”. Una sorta di realismo metafisico, quello di Tano Festa, in un certo senso molto vicino a quello di De Chirico: il mistero non è nell’oltre, ma nell’hic et nunc del reale, e soprattutto in quella sorta di “infinito intrattenimento” (Blanchot), di labirinto senza uscita che è la pittura. A suo modo ossessionato, come De Chirico, dall’ infinità della pittura, Tano Festa sembra dialogare all’infinito con epoche, stili, figure dell’arte, facendo esplicitamente riferimento a immagini e a elementi iconografici codificati dalla storia dell'arte - pur restando assolutamente originale - come per dirci che “dietro alla pittura c'è soltanto altra pittura” (Tommaso Trini), “perché l’arte è plagio”, come Festa provocatoriamente affermava. Il pittore crea la propria “classicità” attraversando ogni giorno quel labirinto costellato di opere d’arte antica e meno antica, e di opprimente bellezza, che è la sua città, Roma, e celebrando i suoi personali miti dell’arte attraverso un’attenzione selettiva e quasi maniacale. Festa realizza così una delle più importanti espressioni della Pop Art europea attraverso la sua personalissima forma di figurazione, che si avvale di un’inedita visione ironica del classico, incentrata sulla citazione straniante, ma capace di creare uno spazio di grande freschezza percettiva. Il suo popular nasce infatti dal quotidiano incontro tra le testimonianze del passato e la dimensione del qui-e-ora: quella dove la memoria individuale va a fondersi con quella collettiva-universale, naturalmente invasiva, in una città come Roma.
Festa recupera anche le richerche epistemologiche di Nietzsche, Deleuze e Derrida, per affermare la sua idea eretica di artista sregolato e insieme filologo e filosofo, detentore di una forte consapevolezza dell’ineliminabile peso della storia e della memoria in ogni gesto creativo. E’ proprio in questa ottica che nascono anche le sue riletture delle opere michelangiolesche, dall’Aurora delle tombe medicee alle molteplici figure della Cappella Sistina, o i suoi rimandi a De Chirico: qui il tempo si cristallizza nell’assoluto di un’evidenza che abita la sua forma, e insieme si pone, miticamente, come assoluta metamorfosi, idea di metamorfosi al di fuori del tempo. Forse è proprio questo a rendere così attuale l’arte di Festa, costruita pre-disponendo affettivamente un intenso mosaico di miti culturali e insieme personali. Forse è proprio per questo che può essere considerata un fondamentale trait d’union tra il magistero dechirichiano e le successive esperienze dell’arte, come la Transavanguardia e l’Anacronismo.
NOTA BIOGRAFICA
Nasce a Roma il 2 novembre 1938. Nel 1957 si diploma all’Istituto d'Arte nella sezione di Fotografia artistica. Nel 1959 espone per la prima volta, con Franco Angeli e Giuseppe Uncini, alla Galleria La Salita di Roma dove , nel 1961, tiene anche la sua prima personale. La sua iniziale produzione pittorica si muove all'interno della rappresentazione geometrica monocroma, in carta su tela, che assume sempre maggior forza espressiva: infatti Festa si interessa di rielaborare gli oggetti, estrapolati dalla loro quotidianità, e quindi percepiti nella loro essenza: persiane, porte, finestre, armadi e specchi che non svolgono più la loro funzione di oggetti ma, in quanto dipinti, sono pittura. Come un artista “popolare” (così egli definiva la sua attività in quegli anni), Festa dirige ora la sua ricerca verso l'analisi della tradizione artistica italiana del Rinascimento, citando Michelangelo. A metà degli anni ‘60 lavora infatti a grandi pannelli dove appaiono, seguendo la tecnica fotografica, stralci dagli affreschi della Cappella Sistina e dalle Tombe Medicee, realizzati con pittura a smalto su tela emulsionata. Nel 1966 viene invitato ad una importante mostra a Milano, dedicata al cinquantenario del Dadaismo. Qui conosce artisti come Arp e Man Ray. Tramuta i suoi oggetti dipinti in pittura di oggetti, e continua a lavorare sulla fotografia. Nel corso degli anni ‘70 viene quasi dimenticato dai critici e dai galleristi, benché sia sempre presente nelle manifestazioni artistiche di rilievo. Negli anni ‘80, dopo un lungo periodo di isolamento, riesce a trovare nuovi impulsi creativi. Realizza la serie Coriandoli, enormi tele dove coloratissimi frammenti cartacei sono gettati su ricche stesure di materia pittorica. Riscopre, inoltre, una nuova figurazione, espressa nel segno e nel gesto duro e tagliente. Il suo lavoro è legato, in questi ultimi anni, all'espressionismo, riletto e adattato alla sua personalità, di artisti come Münch, Ensor, Matisse, Bacon. La critica, attratta da questa rinnovata creatività, si interessa di nuovo al suo lavoro. Nel 1980 partecipa infatti alla XL Biennale di Venezia e nel 1982 è presente alla mostra Artisti italiani contemporanei 1950-1983, nella stessa città. Diverse sono le mostre personali che vengono allestite. Dopo una lunga malattia, Tano Festa muore a Roma il 9 gennaio 1988.
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“Un pittore, Tano Festa - scriveva Tommaso Trini nel 1972 - che agisce in base a un proprio pensiero e non solo in forza delle proprie urgenze espressive. Che traduce in pittura finestre chiuse, armadi ottusi, specchi opachi, per additarci non un mistero al di là di essi, ma semplicemente la sua presenza di pittore al di qua di essi”. Una sorta di realismo metafisico, quello di Tano Festa, in un certo senso molto vicino a quello di De Chirico: il mistero non è nell’oltre, ma nell’hic et nunc del reale, e soprattutto in quella sorta di “infinito intrattenimento” (Blanchot), di labirinto senza uscita che è la pittura. A suo modo ossessionato, come De Chirico, dall’ infinità della pittura, Tano Festa sembra dialogare all’infinito con epoche, stili, figure dell’arte, facendo esplicitamente riferimento a immagini e a elementi iconografici codificati dalla storia dell'arte - pur restando assolutamente originale - come per dirci che “dietro alla pittura c'è soltanto altra pittura” (Tommaso Trini), “perché l’arte è plagio”, come Festa provocatoriamente affermava. Il pittore crea la propria “classicità” attraversando ogni giorno quel labirinto costellato di opere d’arte antica e meno antica, e di opprimente bellezza, che è la sua città, Roma, e celebrando i suoi personali miti dell’arte attraverso un’attenzione selettiva e quasi maniacale. Festa realizza così una delle più importanti espressioni della Pop Art europea attraverso la sua personalissima forma di figurazione, che si avvale di un’inedita visione ironica del classico, incentrata sulla citazione straniante, ma capace di creare uno spazio di grande freschezza percettiva. Il suo popular nasce infatti dal quotidiano incontro tra le testimonianze del passato e la dimensione del qui-e-ora: quella dove la memoria individuale va a fondersi con quella collettiva-universale, naturalmente invasiva, in una città come Roma.
Festa recupera anche le richerche epistemologiche di Nietzsche, Deleuze e Derrida, per affermare la sua idea eretica di artista sregolato e insieme filologo e filosofo, detentore di una forte consapevolezza dell’ineliminabile peso della storia e della memoria in ogni gesto creativo. E’ proprio in questa ottica che nascono anche le sue riletture delle opere michelangiolesche, dall’Aurora delle tombe medicee alle molteplici figure della Cappella Sistina, o i suoi rimandi a De Chirico: qui il tempo si cristallizza nell’assoluto di un’evidenza che abita la sua forma, e insieme si pone, miticamente, come assoluta metamorfosi, idea di metamorfosi al di fuori del tempo. Forse è proprio questo a rendere così attuale l’arte di Festa, costruita pre-disponendo affettivamente un intenso mosaico di miti culturali e insieme personali. Forse è proprio per questo che può essere considerata un fondamentale trait d’union tra il magistero dechirichiano e le successive esperienze dell’arte, come la Transavanguardia e l’Anacronismo.
NOTA BIOGRAFICA
Nasce a Roma il 2 novembre 1938. Nel 1957 si diploma all’Istituto d'Arte nella sezione di Fotografia artistica. Nel 1959 espone per la prima volta, con Franco Angeli e Giuseppe Uncini, alla Galleria La Salita di Roma dove , nel 1961, tiene anche la sua prima personale. La sua iniziale produzione pittorica si muove all'interno della rappresentazione geometrica monocroma, in carta su tela, che assume sempre maggior forza espressiva: infatti Festa si interessa di rielaborare gli oggetti, estrapolati dalla loro quotidianità, e quindi percepiti nella loro essenza: persiane, porte, finestre, armadi e specchi che non svolgono più la loro funzione di oggetti ma, in quanto dipinti, sono pittura. Come un artista “popolare” (così egli definiva la sua attività in quegli anni), Festa dirige ora la sua ricerca verso l'analisi della tradizione artistica italiana del Rinascimento, citando Michelangelo. A metà degli anni ‘60 lavora infatti a grandi pannelli dove appaiono, seguendo la tecnica fotografica, stralci dagli affreschi della Cappella Sistina e dalle Tombe Medicee, realizzati con pittura a smalto su tela emulsionata. Nel 1966 viene invitato ad una importante mostra a Milano, dedicata al cinquantenario del Dadaismo. Qui conosce artisti come Arp e Man Ray. Tramuta i suoi oggetti dipinti in pittura di oggetti, e continua a lavorare sulla fotografia. Nel corso degli anni ‘70 viene quasi dimenticato dai critici e dai galleristi, benché sia sempre presente nelle manifestazioni artistiche di rilievo. Negli anni ‘80, dopo un lungo periodo di isolamento, riesce a trovare nuovi impulsi creativi. Realizza la serie Coriandoli, enormi tele dove coloratissimi frammenti cartacei sono gettati su ricche stesure di materia pittorica. Riscopre, inoltre, una nuova figurazione, espressa nel segno e nel gesto duro e tagliente. Il suo lavoro è legato, in questi ultimi anni, all'espressionismo, riletto e adattato alla sua personalità, di artisti come Münch, Ensor, Matisse, Bacon. La critica, attratta da questa rinnovata creatività, si interessa di nuovo al suo lavoro. Nel 1980 partecipa infatti alla XL Biennale di Venezia e nel 1982 è presente alla mostra Artisti italiani contemporanei 1950-1983, nella stessa città. Diverse sono le mostre personali che vengono allestite. Dopo una lunga malattia, Tano Festa muore a Roma il 9 gennaio 1988.
30
marzo 2017
Tano Festa – Mi aprirò nel sole – opere 1960-1987
Dal 30 marzo al 31 maggio 2017
arte contemporanea
Location
GALLERIA MARCHETTI
Roma, Via Margutta, 8, (Roma)
Roma, Via Margutta, 8, (Roma)
Orario di apertura
LU 16.30-19.30 ; MAR-SA 10.30-13.00 / 16.30-19.30
Vernissage
30 Marzo 2017, ore 18.00
Autore
Curatore