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TAPPETI ESTREMI da Timbuctu’ all’arte contemporanea
La Fondazione 107, dopo un ciclo di mostre su protagonisti dell’arte contemporanea italiana affronta nuovamente, dopo la mostra d’esordio “A est di niente”, la centralità visuale dell’Asia. E questa volta, dall’Asia, la mostra si dirama nel mondo, attraverso il suo tema: il Tappeto.
Comunicato stampa
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La Fondazione 107, dopo un ciclo di mostre su protagonisti dell'arte contemporanea italiana quali
Astore, Grassino e Pusole e su temi che sono al centro del dibattito sulla contemporaneità artistica
come la “vulnerabilità” o la “bellezza”, affronta nuovamente, dopo la mostra d'esordio “A est di
niente”, la centralità visuale dell'Asia. E questa volta, dall'Asia, la mostra si dirama nel mondo,
attraverso il suo tema: il Tappeto, soggetto al centro delle ricerche di vari artisti contemporanei.
1 sezione
Già quintessenza della visualità orientale, il tappeto è stato per secoli il punto di massima
eccellenza tecnica di molte civiltà asiatiche. La prima sezione della mostra evidenzia che il tappeto
non è rimasto affatto immobilizzato alle glorie di un tempo. In particolare negli ultimi decenni sono
avvenute delle novità sconvolgenti, che la rassegna indaga presentando i manufatti più
rappresentativi, e spesso inediti in occidente, delle seguenti tipologie:
· I tappeti di guerra afghani, in cui kalashnikov e missili hanno sostituito i motivi
tradizionali; insieme a tali opere note ad un collezionismo ricercato, si presentano alcuni
“tappeti con il mondo” e altri esemplari di ciò che i curatori chiamano “modernismo
afghano”, termine sorprendente che include “vedute urbane”, “ritratti” e altri motivi
modernizzanti.
· I tappeti modernisti cinesi, destinati alla clientela metropolitana di città costiere come la
Shangai degli anni '20 e '30, ma realizzati nelle immense aree tribali della Cina (Xing-
Xiang in primo luogo, ma anche Tibet e Mongolia Interna). Essi rappresentano raffinati
paesaggi urbani, puntellati di grattacieli e aerei o ritratti di personaggi importanti come
Sun-Yat-Tsen o Chang-Kai-Shek e altri membri del Kuomintang. Dopo la rivoluzione
comunista del 1949 diventano, senza più tentennamenti, strumenti di propaganda,
rappresentando Mao-Tse-Tung o scene, sempre in raffinata simmetria decorativa, della
rivoluzione culturale (1964-1975).
A questi due settori che incarnano un estremismo figurativo ai limiti (e qualche volta oltre) di ciò
che l'occidente ha chiamato pop, vengono giustapposti altri due settori che invece portano alle
estreme conseguenze una rarefazione del campo sino ai limiti di ciò che da noi si è chiamata
“astrazione” e “minimalismo”:
· I grandi feltri realizzati in Asia Centrale, in particolare nella sua parte già sovietica come
in Uzbekistan, Turkmenistan e Kirgizistan. Utilizzati sino a pochi decenni fa e in qualche
caso anche ai giorni nostri per decorare le yurte dei nomadi, sviluppano complesse
cosmogonie o rarefanno il “campo pittorico” sino ai limiti del monocromo. Realizzati
nella prima parte del '900, essi sono ancora largamente ignoti in occidente e pressochè
dimenticati nei luoghi d'origine.
· Spostandosi dai deserti freddi dell'Asia Centrale al Sahara africano, viene presentata
una serie di superbe “Nattes Mauritaniennes”, in realtà enormi “stuoie” non soltanto
realizzate dai Mauri ma anche e forse soprattutto dai Tuaregh, in un'area immensa che
spazia dalla costa atlantica della Mauritania sino al Mali e al Niger. Annodate con fili di
cuoio colorati, costruiscono un campo cromatico potente che alterna l'horror vacui alla
rarefazione segnica del campo
2 sezione
La seconda sezione della mostra, dedicata all'arte contemporanea che si è cimentata con l'idea o
con l'oggettualità del tappeto, sottolinea, come dichiara il curatore, che “il tappeto, prima di
essere un tessuto, è un oggetto. In mostra non vi saranno dunque vestiti, ricami o arazzi, nè di
provenienza tribale e nemmeno di artisti contemporanei. Vi saranno soltanto tappeti. E in quanto
“oggetto” con una continuità temporale e con una distribuzione spaziale quasi senza eguali, il
tappeto possiede una potenza iconica straordinaria. Gli artisti contemporanei che vi si sono
cimentati, almeno i più interessanti, ne hanno evidenziato, appunto, il carattere di oggetto
immensamente manipolabile attraverso i più svariati linguaggi o persino smaterializzato e
riproposto come idea (dal video, al trompe l'oeil, all'object trouvée o quant'altro). Ma in tutti i casi,
da Oppenheim a Gilardi, da Delvoye a Mondino, la sua destrutturazione non meno della sua
indistratta presenza iconica continuano a celebrarne l'immanenza estetica. Perchè il tappeto è tale
in quanto “cosa” che serve a riparare il suolo dal corpo umano, che serve come tavola per
mangiare o come letto per dormire e naturalmente, all'occorrenza, come veicolo su cui volare, pur
restando in tutti i casi un'opera da godere, violando in tal caso soltanto la percezione di chi lo
percorre con lo sguardo. Sono dunque stati accuratamente evitati i tappeti su cui artisti, pur
spesso di fama, non hanno fatto altro che riproporre motivi e immagini maturate in opere
pittoriche; ma sono state accuratamente evitate anche le ricerche aniconiche, pur di grande
importanza storica, che hanno trattato la superficie o lo spazio come un campo di sperimentazione
cellulare. L'articolazione strutturale della superficie, pur quando assume le sembianze di un
tappeto come in Capogrossi, non è mai un tappeto. In questa mostra il tappeto è prima di tutto e
semplicemente un tappeto, pur quando ne viene evocata l'idea e non rappresentata la forma”.
La mostra ha inoltre l'ambizione d'intercettare un rinnovato interesse, nell'arte contemporanea, per
l'idea di tappeto. Se fino a pochi anni fa erano ben pochi gli artisti che si erano cimentati con tale
“anacronismo”, ora sembra dilagare nelle più diverse ricerche artistiche e nei più svariati linguaggi.
La mostra presenta opere realizzate dagli anni '70 a oggi, di artisti contemporanei che hanno
lavorato sull’idea di tappeto.
Astore, Grassino e Pusole e su temi che sono al centro del dibattito sulla contemporaneità artistica
come la “vulnerabilità” o la “bellezza”, affronta nuovamente, dopo la mostra d'esordio “A est di
niente”, la centralità visuale dell'Asia. E questa volta, dall'Asia, la mostra si dirama nel mondo,
attraverso il suo tema: il Tappeto, soggetto al centro delle ricerche di vari artisti contemporanei.
1 sezione
Già quintessenza della visualità orientale, il tappeto è stato per secoli il punto di massima
eccellenza tecnica di molte civiltà asiatiche. La prima sezione della mostra evidenzia che il tappeto
non è rimasto affatto immobilizzato alle glorie di un tempo. In particolare negli ultimi decenni sono
avvenute delle novità sconvolgenti, che la rassegna indaga presentando i manufatti più
rappresentativi, e spesso inediti in occidente, delle seguenti tipologie:
· I tappeti di guerra afghani, in cui kalashnikov e missili hanno sostituito i motivi
tradizionali; insieme a tali opere note ad un collezionismo ricercato, si presentano alcuni
“tappeti con il mondo” e altri esemplari di ciò che i curatori chiamano “modernismo
afghano”, termine sorprendente che include “vedute urbane”, “ritratti” e altri motivi
modernizzanti.
· I tappeti modernisti cinesi, destinati alla clientela metropolitana di città costiere come la
Shangai degli anni '20 e '30, ma realizzati nelle immense aree tribali della Cina (Xing-
Xiang in primo luogo, ma anche Tibet e Mongolia Interna). Essi rappresentano raffinati
paesaggi urbani, puntellati di grattacieli e aerei o ritratti di personaggi importanti come
Sun-Yat-Tsen o Chang-Kai-Shek e altri membri del Kuomintang. Dopo la rivoluzione
comunista del 1949 diventano, senza più tentennamenti, strumenti di propaganda,
rappresentando Mao-Tse-Tung o scene, sempre in raffinata simmetria decorativa, della
rivoluzione culturale (1964-1975).
A questi due settori che incarnano un estremismo figurativo ai limiti (e qualche volta oltre) di ciò
che l'occidente ha chiamato pop, vengono giustapposti altri due settori che invece portano alle
estreme conseguenze una rarefazione del campo sino ai limiti di ciò che da noi si è chiamata
“astrazione” e “minimalismo”:
· I grandi feltri realizzati in Asia Centrale, in particolare nella sua parte già sovietica come
in Uzbekistan, Turkmenistan e Kirgizistan. Utilizzati sino a pochi decenni fa e in qualche
caso anche ai giorni nostri per decorare le yurte dei nomadi, sviluppano complesse
cosmogonie o rarefanno il “campo pittorico” sino ai limiti del monocromo. Realizzati
nella prima parte del '900, essi sono ancora largamente ignoti in occidente e pressochè
dimenticati nei luoghi d'origine.
· Spostandosi dai deserti freddi dell'Asia Centrale al Sahara africano, viene presentata
una serie di superbe “Nattes Mauritaniennes”, in realtà enormi “stuoie” non soltanto
realizzate dai Mauri ma anche e forse soprattutto dai Tuaregh, in un'area immensa che
spazia dalla costa atlantica della Mauritania sino al Mali e al Niger. Annodate con fili di
cuoio colorati, costruiscono un campo cromatico potente che alterna l'horror vacui alla
rarefazione segnica del campo
2 sezione
La seconda sezione della mostra, dedicata all'arte contemporanea che si è cimentata con l'idea o
con l'oggettualità del tappeto, sottolinea, come dichiara il curatore, che “il tappeto, prima di
essere un tessuto, è un oggetto. In mostra non vi saranno dunque vestiti, ricami o arazzi, nè di
provenienza tribale e nemmeno di artisti contemporanei. Vi saranno soltanto tappeti. E in quanto
“oggetto” con una continuità temporale e con una distribuzione spaziale quasi senza eguali, il
tappeto possiede una potenza iconica straordinaria. Gli artisti contemporanei che vi si sono
cimentati, almeno i più interessanti, ne hanno evidenziato, appunto, il carattere di oggetto
immensamente manipolabile attraverso i più svariati linguaggi o persino smaterializzato e
riproposto come idea (dal video, al trompe l'oeil, all'object trouvée o quant'altro). Ma in tutti i casi,
da Oppenheim a Gilardi, da Delvoye a Mondino, la sua destrutturazione non meno della sua
indistratta presenza iconica continuano a celebrarne l'immanenza estetica. Perchè il tappeto è tale
in quanto “cosa” che serve a riparare il suolo dal corpo umano, che serve come tavola per
mangiare o come letto per dormire e naturalmente, all'occorrenza, come veicolo su cui volare, pur
restando in tutti i casi un'opera da godere, violando in tal caso soltanto la percezione di chi lo
percorre con lo sguardo. Sono dunque stati accuratamente evitati i tappeti su cui artisti, pur
spesso di fama, non hanno fatto altro che riproporre motivi e immagini maturate in opere
pittoriche; ma sono state accuratamente evitate anche le ricerche aniconiche, pur di grande
importanza storica, che hanno trattato la superficie o lo spazio come un campo di sperimentazione
cellulare. L'articolazione strutturale della superficie, pur quando assume le sembianze di un
tappeto come in Capogrossi, non è mai un tappeto. In questa mostra il tappeto è prima di tutto e
semplicemente un tappeto, pur quando ne viene evocata l'idea e non rappresentata la forma”.
La mostra ha inoltre l'ambizione d'intercettare un rinnovato interesse, nell'arte contemporanea, per
l'idea di tappeto. Se fino a pochi anni fa erano ben pochi gli artisti che si erano cimentati con tale
“anacronismo”, ora sembra dilagare nelle più diverse ricerche artistiche e nei più svariati linguaggi.
La mostra presenta opere realizzate dagli anni '70 a oggi, di artisti contemporanei che hanno
lavorato sull’idea di tappeto.
06
giugno 2013
TAPPETI ESTREMI da Timbuctu’ all’arte contemporanea
Dal 06 giugno al 10 novembre 2013
arte moderna e contemporanea
Location
FONDAZIONE 107
Torino, Via Andrea Sansovino, 234, (Torino)
Torino, Via Andrea Sansovino, 234, (Torino)
Biglietti
Intero 8 €
Ridotto 3 € (ragazzi dai 13 ai 18 anni e over 65 anni)
Gratuito bambini (0-12 anni) e possessori di Abbonamento
Musei Piemonte
Visite guidate su prenotazione
Orario di apertura
da giovedi a domenica 14.00-19.00
Vernissage
6 Giugno 2013, ore 18.00
Autore
Curatore