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Tensione verso la forma
“Una tensione verso la forma, intesa come capacità di trasfigurazione della materia e di approdo allo svelamento di un senso interno, attraversa i territori dell’arte italiana ” (Achille Bonito Oliva, Il tallone di Achille, 1988).
Comunicato stampa
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“Una tensione verso la forma, intesa come capacità di trasfigurazione della materia e di approdo allo svelamento di un senso interno, attraversa i territori dell’arte italiana nell’arco di oltre cinquecento anni, costituendo così il filo rosso capace di dare identità all’immagine italiana” (Achille Bonito Oliva, Il tallone di Achille, 1988).
«Nel concepire una mostra corale di artisti di area pugliese – alcuni residenti altrove da tempo – di varie generazioni, tra maestri consolidati della ricerca sperimentale e giovani presenze con Mina Tarantino abbiamo deciso di confrontarci su una traccia essenziale che continua a marcare indagini di varie ascendenze culturali, orientandosi specialmente sul fronte della pittura e della scultura», scrive in catalogo il critico d’arte Lorenzo Madaro: «abbiamo così prediletto un dialogo dichiarato tra immagine e astrazione, rigore minimale e esplosione materiche, sempre all’interno di quel processo di tensione verso la forma che invade le superfici e sfonda i margini della rappresentazione per giungere al suo stesso grado zero. Documenta una performance di alcuni anni fa la fotografia contenuta in un box retroilluminato di Giuseppe Bellini: un corpo avvolto da membrane transgeniche evidenzia probabilmente l’interesse verso una dimensione ibrida e mutante dell’esistenza. Uccio Biondi recupera il disegno, associandolo a zapping pittorici e a inserti fotografici, esortando così a riflettere sull’immagine e sulle sue declinazioni sociologiche. Ieratica appare la donna effigiata da Mario Di Candia, modellata prelevando particolari e fisionomie dalla plastica arcaica e da certa tradizione popolare meridionale, ma sempre riconoscibile nella sua atemporale caratterizzazione. Miki Carone preleva, con l’ironia che contrassegna la sua ricerca, i gusci dei frutti del mare di Polignano, per reinventarli e comporre dal loro assemblaggio un grande fiore. Claudio Cusatelli predilige invece l’auto rappresentazione, mediata dall’immagine della sua impronta digitale, dove i ghirigori grafici propongono sempre nuovi percorsi visuali della mente.
Severa appare l’installazione di Emilio D’Elia, che stempera l’aurea totemica di una massa antropomorfa, approdando a un contrasto cromatico netto, tra blu intensi e contraccolpi dorati che lo riportano idealmente nella sua Puglia, dopo la pluridecennale permanenza parigina.
La grammatica pittorica e l’attenzione verso oggetti in apparenza ordinari rivelano una simbologia alchemica nella ricerca di Piero Di Terlizzi, che propone una tensione sottile tra geometrie del quotidiano e forme dell’immaginazione e del mito (in questo caso riferite al Filo di Arianna), sempre all’interno di quel suo lungo discorso concettuale che l’ha sempre visto coerentemente schierato dalla parte della pittura. Distante dall’attenzione verso iconografie universali, con chiari accenti politici e antropologici, della sua ricerca passata, Fernando De Filippi da circa un decennio ricostruisce attentamente profili di palme esotiche o di alberi della sua memoria privata (quelli della periferia milanese), recuperando – ma lui invero non l’ha mai tralasciata – una pratica raffinata del disegno e della pittura. La tensione verso la forma di Giulio De Mitri è indirizzata invece verso immagini custodite in teche illuminate, che preservano intatta l’identità giovane e fragile dell’angelica figura effigiata. La luce che emana l’opera rivela ispirazioni ascetiche.
La palpabile voluttà delle forme plasmate da Iginio Iurilli è associata, ancora una volta, a un afflato scultorio arcano, che evidenzia la rielaborazione meditata delle forme della natura mediterranea e della sensualità muliebre. In contesti fiabeschi fluttuano le anonime figure dipinte da Sandro Marasco, che manifestano una dicotomia netta tra la muta vitalità del movimento e l’esplicita condizione di segregazione subacquea in cui dimorano inesorabilmente. Sembra decantare l’importanza della riflessione solitaria l’opera in mostra di Franco Menolascina, invitando il fruitore a una concentrazione armonica e incolume, sull’esempio della figura ritratta.
Una tensione vitalistica verso la pittura contrassegna invece il lavoro più recente di Alessandro Passaro, in cui l’impronta aggressiva, tra orme cromatiche e materia, non tradisce però quella sua costante attenzione verso la rappresentazione, attenta ai momenti di un’apparentemente banale quotidianità.
Francesco Sisinni propone grandi masse di persone che oziano su una spiaggia assolata, a margine di situazioni di sfruttamento e desolazione, rivelando così nei patterns le profonde contraddizioni di questo tempo. L’omino di Giuseppe Sylos Labini rivela una tensione sospesa e riflessiva di un uomo solo con se stesso. Sul lato opposto pare muoversi Natalino Tondo, quasi alla ricerca del grado zero della rappresentazione, che rammenta le lunghe dissertazioni concettuali degli anni Settanta e Ottanta, chiudendo così il percorso espositivo con sovrapposizioni minimali di fogli di carta colorata.
Emerge pertanto un panorama per forza di cose parziale, ma estremamente diversificato, che ribadisce la validità di quanto espresso nel 1988 da ABO e lascia naturalmente aperti nuovi spiragli, per nuove definizioni critiche».
«Nel concepire una mostra corale di artisti di area pugliese – alcuni residenti altrove da tempo – di varie generazioni, tra maestri consolidati della ricerca sperimentale e giovani presenze con Mina Tarantino abbiamo deciso di confrontarci su una traccia essenziale che continua a marcare indagini di varie ascendenze culturali, orientandosi specialmente sul fronte della pittura e della scultura», scrive in catalogo il critico d’arte Lorenzo Madaro: «abbiamo così prediletto un dialogo dichiarato tra immagine e astrazione, rigore minimale e esplosione materiche, sempre all’interno di quel processo di tensione verso la forma che invade le superfici e sfonda i margini della rappresentazione per giungere al suo stesso grado zero. Documenta una performance di alcuni anni fa la fotografia contenuta in un box retroilluminato di Giuseppe Bellini: un corpo avvolto da membrane transgeniche evidenzia probabilmente l’interesse verso una dimensione ibrida e mutante dell’esistenza. Uccio Biondi recupera il disegno, associandolo a zapping pittorici e a inserti fotografici, esortando così a riflettere sull’immagine e sulle sue declinazioni sociologiche. Ieratica appare la donna effigiata da Mario Di Candia, modellata prelevando particolari e fisionomie dalla plastica arcaica e da certa tradizione popolare meridionale, ma sempre riconoscibile nella sua atemporale caratterizzazione. Miki Carone preleva, con l’ironia che contrassegna la sua ricerca, i gusci dei frutti del mare di Polignano, per reinventarli e comporre dal loro assemblaggio un grande fiore. Claudio Cusatelli predilige invece l’auto rappresentazione, mediata dall’immagine della sua impronta digitale, dove i ghirigori grafici propongono sempre nuovi percorsi visuali della mente.
Severa appare l’installazione di Emilio D’Elia, che stempera l’aurea totemica di una massa antropomorfa, approdando a un contrasto cromatico netto, tra blu intensi e contraccolpi dorati che lo riportano idealmente nella sua Puglia, dopo la pluridecennale permanenza parigina.
La grammatica pittorica e l’attenzione verso oggetti in apparenza ordinari rivelano una simbologia alchemica nella ricerca di Piero Di Terlizzi, che propone una tensione sottile tra geometrie del quotidiano e forme dell’immaginazione e del mito (in questo caso riferite al Filo di Arianna), sempre all’interno di quel suo lungo discorso concettuale che l’ha sempre visto coerentemente schierato dalla parte della pittura. Distante dall’attenzione verso iconografie universali, con chiari accenti politici e antropologici, della sua ricerca passata, Fernando De Filippi da circa un decennio ricostruisce attentamente profili di palme esotiche o di alberi della sua memoria privata (quelli della periferia milanese), recuperando – ma lui invero non l’ha mai tralasciata – una pratica raffinata del disegno e della pittura. La tensione verso la forma di Giulio De Mitri è indirizzata invece verso immagini custodite in teche illuminate, che preservano intatta l’identità giovane e fragile dell’angelica figura effigiata. La luce che emana l’opera rivela ispirazioni ascetiche.
La palpabile voluttà delle forme plasmate da Iginio Iurilli è associata, ancora una volta, a un afflato scultorio arcano, che evidenzia la rielaborazione meditata delle forme della natura mediterranea e della sensualità muliebre. In contesti fiabeschi fluttuano le anonime figure dipinte da Sandro Marasco, che manifestano una dicotomia netta tra la muta vitalità del movimento e l’esplicita condizione di segregazione subacquea in cui dimorano inesorabilmente. Sembra decantare l’importanza della riflessione solitaria l’opera in mostra di Franco Menolascina, invitando il fruitore a una concentrazione armonica e incolume, sull’esempio della figura ritratta.
Una tensione vitalistica verso la pittura contrassegna invece il lavoro più recente di Alessandro Passaro, in cui l’impronta aggressiva, tra orme cromatiche e materia, non tradisce però quella sua costante attenzione verso la rappresentazione, attenta ai momenti di un’apparentemente banale quotidianità.
Francesco Sisinni propone grandi masse di persone che oziano su una spiaggia assolata, a margine di situazioni di sfruttamento e desolazione, rivelando così nei patterns le profonde contraddizioni di questo tempo. L’omino di Giuseppe Sylos Labini rivela una tensione sospesa e riflessiva di un uomo solo con se stesso. Sul lato opposto pare muoversi Natalino Tondo, quasi alla ricerca del grado zero della rappresentazione, che rammenta le lunghe dissertazioni concettuali degli anni Settanta e Ottanta, chiudendo così il percorso espositivo con sovrapposizioni minimali di fogli di carta colorata.
Emerge pertanto un panorama per forza di cose parziale, ma estremamente diversificato, che ribadisce la validità di quanto espresso nel 1988 da ABO e lascia naturalmente aperti nuovi spiragli, per nuove definizioni critiche».
24
novembre 2012
Tensione verso la forma
Dal 24 novembre 2012 al 05 gennaio 2013
arte contemporanea
Location
GALLERIA SPAZIOSEI
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 17.30-20.30
Vernissage
24 Novembre 2012, ore 19.00
Autore
Curatore