Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Teresa Maresca – Americana
Paolo Cappelletti è lieto di presentare la serie “Americana” di Teresa Maresca, la quale, nelle parole del critico Ken Shulman, ci porta verso il luogo d’incontro tra “un sogno senza tempo e il suo luogo di origine – ora sterile, muto e polveroso – in cui quel sogno non può più radicare.”
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Ken Shulman per “Americana”
Queste sono immagini che tutti conoscono. L’insegna metallica che cigola sui suoi cardini. La tronfia torre serbatoio, barcollante sui sostegni bitorzoluti. L’edificio senza occhi. I magazzini vuoti. Il silenzio sconcertante e impenetrabile. Incisa in un cuneiforme da cartone animato, smaltata di ruggini e di grigi e di azzurri, “Americana” di Teresa Maresca parla con una sintassi che non possiamo più decifrare e neanche penetrare, ma che ha ancora il potere di commuoverci. Perché queste sono le nostre distese mute, le nostre stazioni di rifornimento abbandonate, la nostra nebbia monolitica, informe. Anche se molti di noi non hanno mai messo piede su una distesa arida come spugna anidra, né hanno mai ascoltato i rotoli di erba secca del deserto sibilare per le strade di una polverosa e morente città mineraria, né si sono mai spinti fino a una di quelle strade a due corsie che serpeggiano tra cartelloni pubblicitari, siepi abbarbicate e erbacce prima di svanire all’orizzonte.
“Americana” di Teresa Maresca è un’elegia per una terra che non è mai esistita, per un tempo che non può mai esistere. I suoi paesaggi sono tenebrosi, le sue strutture sono a disagio, un’eco di memorie vaganti tra vinili, libri e road movies; la moltitudine di voci senza nome che cantano la libertà della strada americana.
“Americana” di Teresa Maresca è dipinta con pennellate separate, un recinto iconico in cui le icone vanno dal coccio ordinario all’archetipo prezioso. Il forno stinto e sbiancato. La caffetteria desolata. La stazione di servizio triste, stoica, vagamente comica, che non ha più né oggetto né scopo se non quello di darci allegramente il benvenuto. Quando ce li troviamo davanti agli occhi, non sappiamo se scartarli o semplicemente piangere il loro trapasso.
Alcuni critici hanno già identificato accuratamente le molte fonti da cui questa artista trae la sua ispirazione, e quali siano i suoi riferimenti, hanno apprezzato la seducente mescolanza di spazio mediterraneo sconfinato e parcellizzato insieme che irradia da questi paesaggi onirici. Le opere parlano di manufatti americani e delle mani che li hanno modellati, di miti tanto ricchi da raggiungere un mondo lontano centinaia di miglia e di anni. Eppure queste immagini, pure sortite da un patrimonio comune, appartengono soltanto a Teresa Maresca. Esse vivono in un mondo privo di movimento, privo di qualunque forma di vita umana o animale, e privo di qualunque speranza in una loro possibile ricomparsa. Qualunque cosa dovesse accadere qui, è accaduto molto tempo prima che noi solo pensassimo di arrivarci. Come il mito della giovinezza, le storie sono state più volte narrate, lasciando poche tracce, poche eco. Anche le leggi di gravità sembrano aver perso il loro dominio in questi dipinti, abbandonando queste strade e questi scenari, e lasciandoli fragili e debolmente ancorati, come il set di un film abbandonato in qualche magazzino di Hollywood. [...] ["Americana"] è un incontro tra un sogno senza tempo e il suo luogo di origine - ora sterile, muto e polveroso – in cui quel sogno non può più radicare. [...]
Queste sono immagini che tutti conoscono. L’insegna metallica che cigola sui suoi cardini. La tronfia torre serbatoio, barcollante sui sostegni bitorzoluti. L’edificio senza occhi. I magazzini vuoti. Il silenzio sconcertante e impenetrabile. Incisa in un cuneiforme da cartone animato, smaltata di ruggini e di grigi e di azzurri, “Americana” di Teresa Maresca parla con una sintassi che non possiamo più decifrare e neanche penetrare, ma che ha ancora il potere di commuoverci. Perché queste sono le nostre distese mute, le nostre stazioni di rifornimento abbandonate, la nostra nebbia monolitica, informe. Anche se molti di noi non hanno mai messo piede su una distesa arida come spugna anidra, né hanno mai ascoltato i rotoli di erba secca del deserto sibilare per le strade di una polverosa e morente città mineraria, né si sono mai spinti fino a una di quelle strade a due corsie che serpeggiano tra cartelloni pubblicitari, siepi abbarbicate e erbacce prima di svanire all’orizzonte.
“Americana” di Teresa Maresca è un’elegia per una terra che non è mai esistita, per un tempo che non può mai esistere. I suoi paesaggi sono tenebrosi, le sue strutture sono a disagio, un’eco di memorie vaganti tra vinili, libri e road movies; la moltitudine di voci senza nome che cantano la libertà della strada americana.
“Americana” di Teresa Maresca è dipinta con pennellate separate, un recinto iconico in cui le icone vanno dal coccio ordinario all’archetipo prezioso. Il forno stinto e sbiancato. La caffetteria desolata. La stazione di servizio triste, stoica, vagamente comica, che non ha più né oggetto né scopo se non quello di darci allegramente il benvenuto. Quando ce li troviamo davanti agli occhi, non sappiamo se scartarli o semplicemente piangere il loro trapasso.
Alcuni critici hanno già identificato accuratamente le molte fonti da cui questa artista trae la sua ispirazione, e quali siano i suoi riferimenti, hanno apprezzato la seducente mescolanza di spazio mediterraneo sconfinato e parcellizzato insieme che irradia da questi paesaggi onirici. Le opere parlano di manufatti americani e delle mani che li hanno modellati, di miti tanto ricchi da raggiungere un mondo lontano centinaia di miglia e di anni. Eppure queste immagini, pure sortite da un patrimonio comune, appartengono soltanto a Teresa Maresca. Esse vivono in un mondo privo di movimento, privo di qualunque forma di vita umana o animale, e privo di qualunque speranza in una loro possibile ricomparsa. Qualunque cosa dovesse accadere qui, è accaduto molto tempo prima che noi solo pensassimo di arrivarci. Come il mito della giovinezza, le storie sono state più volte narrate, lasciando poche tracce, poche eco. Anche le leggi di gravità sembrano aver perso il loro dominio in questi dipinti, abbandonando queste strade e questi scenari, e lasciandoli fragili e debolmente ancorati, come il set di un film abbandonato in qualche magazzino di Hollywood. [...] ["Americana"] è un incontro tra un sogno senza tempo e il suo luogo di origine - ora sterile, muto e polveroso – in cui quel sogno non può più radicare. [...]
23
settembre 2010
Teresa Maresca – Americana
Dal 23 settembre al 23 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
PAOLO CAPPELLETTI GALLERY
Milano, Via Luciano Manara, 15, (Milano)
Milano, Via Luciano Manara, 15, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato, su appuntamento
Vernissage
23 Settembre 2010, ore 19.00
Autore
Curatore