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Tetraktis
Quattro artisti si confrontano ad Enna sulla Tetractis Pitagorica
Comunicato stampa
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Dopo aver ospitato la Biennale di Architettura di Venezia è stata allestita presso gli spazi di Umbilicus ad Enna la mostra “Tetraktis”.
Quattro sono gli artisti voluti dal curatore Michele Lambo, che si sono confrontati: l’Architetto Filli Cusenza, Juan Esperanza, Arcangelo Favata e Franco Politano, che hanno allestito altrettante grandi sale di Palazzo Pollicarini.
Si tratta di quattro interventi ispirati alla Tetractis Pitagorica, cioè uno dei grandi messaggi che ci sono pervenuti dal passato, il numero divino che ha dato vita agli uomini e agli dei, come egli stesso diceva : “Santa Tetractis, tu contieni la radice e la sorgente del flusso perenne della creazione, il dieci sacro che custodisce la chiave segreta di tutte le cose del mondo”.
La mostra e corredata da un catalogo con testo critico di Franco Spena che in parte narra:
“ … il corpo di donna di Filli Cusenza che si fa amabile misura di una stanza che lo contiene con le cose che gli appartengono e con le quali costruisce e condivide la vita che nella quotidianità cuce la trama e l’ordito dell’esistere. E il cucire diviene metafora del contenere, il corpo di donna di stoffa trova relazione con e stoffe e altrettante cuciture dei mobili della stanza, altrettante donne, altrettanti corpi domestici, che fanno da nido bianco e incontaminato; un tutt’uno impenetrabile, dove sentirsi al sicuro ed essere se stessi.
Volumi in ogni caso, che contaminano uno spazio poliforme, altrettanto corpo, contenitore estremo nel quale ogni oggetto si fa presente e memoria. Anche per le vie di un silenzio bianco, che ai gesti appartiene, come a un fare che è del corpo e si esprime senza parole. Per i pronunciamenti di un discorso anche, nel caso di Juan Esperanza, che, tra l’antropologico e il surreale, compone un sistema di segni di un quotidiano che si fa pensiero. Esperanza seziona il corpo, di volta in volta ne esamina le parti e con esse compone e scompone un racconto del quale ogni elemento diviene parola. Così per la testa, in questo caso, che diviene modulo che isola e compone, assembla e dispone in soluzioni formali che caratterizzano lo spazio come corpo. Come le collezioni di testoline attorno al collo di una modella, o le tantissime teste disposte a formare un unico grande capo. O ancora altrettante teste che escono da oggetti di uso quotidiano, dalle scarpe, dai jeans, da ferri da stiro, da bidoni, da secchi, o solo collocate su altrettanti oggetti che finiscono con il vivere una surrealtà onirica con le mille espressioni che le animano o si accordano con i gesti di una ritualità ossessiva e liberatoria, forse.
Un Arciboldo monocorde anche - che costruisce volti con volti - per il quale ogni elemento diviene parola di un linguaggio che elabora analogie e costruzioni simboliche che spiazzano. Arcangelo Favata mette i corpi in soluzioni di continuità
un’ istallazione con due grandi figure unite attraverso due braccia lunghissime e messe in relazione quasi in maniera indissolubile. Un altalenante complesso di gesti in tensione attraversati da un flusso che li accorpa quasi in un corpo indissolubile. Lo spazio appare azzerato da uno psicologico rimando di forze che sorreggono in equilibrio quasi due modi di essere. Attraveso il confronto di due altri di sé che vivono il dramma di una inscindibile unità che, tuttavia, li unisce e li legittima. L’istallazione vive il gioco perverso per il quale, probabilmente, interno ed esterno divengono corpi che, nella differenza, proclamano la loro inscindibile unità. Unità che è anche formale, nello scenografico allestimento per il quale le luci rendono quasi sulfureoe sognante il manifestarsi di una scena che continua la sua suggestione in un monitor, quasi a proclamare un intimismo di fondo che è segno di un drammatico svelamento.
Svelamento che diviene struttura di un’architettura surreale nella installazione di
Franco Politano nel quale un grande fallo bifronte ironicamente legittima una struttura che lo sostiene come una grande amaca : una grande culla, come apparato e struttura di un equilibrio di contaminazioni materiche e psicologiche, probabilmente, come simbolo di un universo inquieto che anima il mondo e dal quale il mondo è generato. Un universo -scultura, un totem che indica ironicamente, attraverso l’ ingigantimento di una parte, il tutto che lo contiene. Proprio quello che genera un eros come principio ed energia, che unisce – e sconvolge insieme- il mondo.
E Politano sfodera lo sfacciato e impudico candore dell’infanzia, che lega presente e passato, costruendo quasi un’altalena, un gioco che, con lucidità perversa, mette in evidenza un erotismo che, al di là di ogni poetica morale, è metafora di un tempo che lo sveglia, lo assopisce, lo omologa e lo culla mentre lo esalta e, attraverso di esso, il più delle volte, si esprime.” “ Quattro direzioni, quattro stati dell’essere, quattro modi di leggersi, in questo caso attraverso il corpo..”
Quattro sono gli artisti voluti dal curatore Michele Lambo, che si sono confrontati: l’Architetto Filli Cusenza, Juan Esperanza, Arcangelo Favata e Franco Politano, che hanno allestito altrettante grandi sale di Palazzo Pollicarini.
Si tratta di quattro interventi ispirati alla Tetractis Pitagorica, cioè uno dei grandi messaggi che ci sono pervenuti dal passato, il numero divino che ha dato vita agli uomini e agli dei, come egli stesso diceva : “Santa Tetractis, tu contieni la radice e la sorgente del flusso perenne della creazione, il dieci sacro che custodisce la chiave segreta di tutte le cose del mondo”.
La mostra e corredata da un catalogo con testo critico di Franco Spena che in parte narra:
“ … il corpo di donna di Filli Cusenza che si fa amabile misura di una stanza che lo contiene con le cose che gli appartengono e con le quali costruisce e condivide la vita che nella quotidianità cuce la trama e l’ordito dell’esistere. E il cucire diviene metafora del contenere, il corpo di donna di stoffa trova relazione con e stoffe e altrettante cuciture dei mobili della stanza, altrettante donne, altrettanti corpi domestici, che fanno da nido bianco e incontaminato; un tutt’uno impenetrabile, dove sentirsi al sicuro ed essere se stessi.
Volumi in ogni caso, che contaminano uno spazio poliforme, altrettanto corpo, contenitore estremo nel quale ogni oggetto si fa presente e memoria. Anche per le vie di un silenzio bianco, che ai gesti appartiene, come a un fare che è del corpo e si esprime senza parole. Per i pronunciamenti di un discorso anche, nel caso di Juan Esperanza, che, tra l’antropologico e il surreale, compone un sistema di segni di un quotidiano che si fa pensiero. Esperanza seziona il corpo, di volta in volta ne esamina le parti e con esse compone e scompone un racconto del quale ogni elemento diviene parola. Così per la testa, in questo caso, che diviene modulo che isola e compone, assembla e dispone in soluzioni formali che caratterizzano lo spazio come corpo. Come le collezioni di testoline attorno al collo di una modella, o le tantissime teste disposte a formare un unico grande capo. O ancora altrettante teste che escono da oggetti di uso quotidiano, dalle scarpe, dai jeans, da ferri da stiro, da bidoni, da secchi, o solo collocate su altrettanti oggetti che finiscono con il vivere una surrealtà onirica con le mille espressioni che le animano o si accordano con i gesti di una ritualità ossessiva e liberatoria, forse.
Un Arciboldo monocorde anche - che costruisce volti con volti - per il quale ogni elemento diviene parola di un linguaggio che elabora analogie e costruzioni simboliche che spiazzano. Arcangelo Favata mette i corpi in soluzioni di continuità
un’ istallazione con due grandi figure unite attraverso due braccia lunghissime e messe in relazione quasi in maniera indissolubile. Un altalenante complesso di gesti in tensione attraversati da un flusso che li accorpa quasi in un corpo indissolubile. Lo spazio appare azzerato da uno psicologico rimando di forze che sorreggono in equilibrio quasi due modi di essere. Attraveso il confronto di due altri di sé che vivono il dramma di una inscindibile unità che, tuttavia, li unisce e li legittima. L’istallazione vive il gioco perverso per il quale, probabilmente, interno ed esterno divengono corpi che, nella differenza, proclamano la loro inscindibile unità. Unità che è anche formale, nello scenografico allestimento per il quale le luci rendono quasi sulfureoe sognante il manifestarsi di una scena che continua la sua suggestione in un monitor, quasi a proclamare un intimismo di fondo che è segno di un drammatico svelamento.
Svelamento che diviene struttura di un’architettura surreale nella installazione di
Franco Politano nel quale un grande fallo bifronte ironicamente legittima una struttura che lo sostiene come una grande amaca : una grande culla, come apparato e struttura di un equilibrio di contaminazioni materiche e psicologiche, probabilmente, come simbolo di un universo inquieto che anima il mondo e dal quale il mondo è generato. Un universo -scultura, un totem che indica ironicamente, attraverso l’ ingigantimento di una parte, il tutto che lo contiene. Proprio quello che genera un eros come principio ed energia, che unisce – e sconvolge insieme- il mondo.
E Politano sfodera lo sfacciato e impudico candore dell’infanzia, che lega presente e passato, costruendo quasi un’altalena, un gioco che, con lucidità perversa, mette in evidenza un erotismo che, al di là di ogni poetica morale, è metafora di un tempo che lo sveglia, lo assopisce, lo omologa e lo culla mentre lo esalta e, attraverso di esso, il più delle volte, si esprime.” “ Quattro direzioni, quattro stati dell’essere, quattro modi di leggersi, in questo caso attraverso il corpo..”
15
dicembre 2007
Tetraktis
Dal 15 al 26 dicembre 2007
arte contemporanea
Location
UMBILICUS – PALAZZO POLLICARINI
Enna, Via Roma, 437, (Enna)
Enna, Via Roma, 437, (Enna)
Vernissage
15 Dicembre 2007, ore 19
Autore
Curatore