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Textile files: dall’archivio di Massimo Osti
evento nell’ambito di Milano Unica
Comunicato stampa
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La terza edizione di Milano Unica, il Salone del tessile italiano ed europeo di qualità, promossa unitariamente da Ideabiella, Ideacomo, Moda In, Prato Expo, Shirt Avenue, si terrà, come già annunciato, dal 12-15 Settembre 2006 a Fieramilanocity, nei padiglioni 1-2-3-4-5-6 del Portello.
“Milano Unica – sostiene il Presidente di ‘Milano Unica’ Paolo Zegna – è nata per accompagnare e rafforzare la leadership tessile italiana nel mondo. Un settore industriale che intende continuare ad essere una delle più importanti filiere del tessile a livello mondiale. Il ritorno al Portello ci aiuterà, a trasmettere meglio alla miglior clientela internazionale quell’elemento fondamentale che è lo ‘stile di vita italiano’, ovvero sia quanto il mondo ci invidia e quello che noi vorremmo in parte trasmettere a tutti i consumatori stranieri ogni qual volta indosseranno un capo d’abbigliamento realizzato con tessuto Made in Italy. Proponendo una full immersion di quattro giorni nel contesto cittadino, infatti, avremo maggiori possibilità di far apprezzare la qualità e le tendenze che fanno moda. Moda che senza il tessuto non avrebbe, probabilmente, ragione d’essere. Sarà, inoltre, più facile accedere alla grande, preziosa e mai abbastanza conosciuta offerta artistica e culturale di cui dispone Milano e che è parte importante di quel know how che sta alla base dell’unicità del Made in Italy”.
Con questo spirito Milano Unica ha promosso la mostra:
‘Textile files: dall'archivio di Massimo Osti’.
Franca Sozzani, Direttore Responsabile di Vogue Italia, presentandola, ha scritto: «“Innovazione, ricerca, sperimentazione” denominatori comuni del lavoro di Massimo Osti, stilista che, alla fine degli anni ’70, cambiò le regole del mondo della moda, percorrendo strade sconosciute nell’allora classico mondo del tessuto, inventandosi miscele avveniristiche e scoprendo per primo i materiali di “oggi”. In collaborazione con Vogue Italia una mostra che riunisce una minima parte del lavoro di Massimo Osti teso ad evidenziare il suo processo lavorativo nel campo del tessuto, in una serie di appunti che illustrano i vari passaggi tecnici e creativi».
La mostra, che si terrà al settimo piano de La Rinascente e sarà aperta al pubblico per tre settimane a partire dal 13 settembre, intende ricreare simbolicamente il metodo lavorativo e il vastissimo archivio dello stilista scomparso
Sintesi unica del suo straordinario percorso creativo, l’Archivio Osti è conservato oggi a Bologna e ospita 2500 capi e 50.000 campioni di tessuto provenienti da 360 prestigiosi fornitori tessili e laboratori di finissaggio, catalogati attraverso le singole informazioni tecniche.
Custode di un prestigioso know-how, frutto di tre decenni intensi di ricerca e innovazione, l’Archivio Osti è una vera e propria biblioteca del tessuto, attiva e aggiornata, strumento di studio che permette di ripercorrere la storia della moda e del tessile degli ultimi trenta anni e fonte di ispirazione e stimolo alla ricerca stilistica e alla sperimentazione dei materiali.
Massimo Osti nasce professionalmente come grafico nella Bologna di fine degli anni ’60. Dopo il successo delle prime T-shirt stampate con metodi tipici della carta, disegna nel 1970 la sua prima collezione di abbigliamento maschile. L’azienda, per volontà dello stesso Osti, si chiama Chester Perry, come quella in cui lavora Bristow, il celebre personaggio di un fumetto pubblicato su Linus e disegnato da Frank Dickens.
Il successo appare evidente quando, a metà degli anni ’70, i marchi inglesi di abbigliamento Chester Barry e di maglieria Fred Perry fanno causa congiunta al designer bolognese, rispettivamente per il furto del nome e del cognome. Costretto a cambiare, Osti conserva le iniziali di Chester Perry e crea il celebre marchio C.P. Company.
La passione per la sperimentazione è uno dei motivi condutturi di tutta l’attività di Massimo Osti. Nelle sue linee di abbigliamento, la ricerca attraversa sempre l’intero processo creativo del capo. Per quanto riguarda la modellistica, tale attività è stimolata dall’archivio di capi usati, in gran parte militari, che il fashion designer colleziona fin dai primi anni di attività. Con un intuito da alchimista metropolitano si dedica inoltre a una continua sperimentazione sui materiali e sui finissaggi. L’invenzione di nuovi tessuti e di nuovi procedimenti di tintura e finissaggio sono sempre punti di rottura positiva e conduco spesso alla nascita di nuove linee. È questo il caso di Stone Island creata con una innovativa tela delavè bicolore e reversibile che prende spunto dalla tela di copertura dei camion. Alla fine degli anni ’80, dopo la cessione delle proprie quote societarie al Gft, i marchi d’abbigliamento maschile creati da Osti sono cinque: C.P. Company, C.P. Company Baby, Boneville, Stone Island e C.P. Collection.
L’impegno di Osti nell’invenzione di nuovi tessuti, come quello termosensibile che cambia colore al variare della temperatura, non gli impedisce di mettersi alla prova in altri settori della cultura e del’impegno.
Il successo delle sue linee, che portano l’azienda di cui è ancora presidente nei primi anni ’90 ad un fatturato di oltre 90 miliardi di lire con più di 1500 negozi in tutto il mondo, non devono molto alla pubblicità. In controtendenza con il mercato delle griffe internazionali i capi di Osti non rimandano a mondi costruiti ed irreali. L’assenza dalle passerelle e le campagne pubblicitarie in cui il centro del messaggio è il prodotto, spogliato di ogni altro elemento, seguono la volontà del designer di puntare esclusivamente sull’innovazione creativa e funzionale dei suoi abiti. Nasce a questo scopo il C.P. Magazine, il catalogo che illustra le sue linee e che è venduto nelle edicole e nei negozi con una tiratura di oltre 50.000 copie.
Questo atteggiamento di lealtà verso il consumatore è una costante della sua carriera che premia anche i marchi nati dopo la conclusione del rapporto creativo con le linee che lo avevano portato al successo internazionale. Negli anni ’90 si susseguono, infatti, nuove collaborazioni cadenzate dal ritmo dell’invenzione di nuovi tessuti, nuove funzionalità e nuovi progetti. Le linee firmate Osti in questo periodo prendono i nomi di Left Hand, Massimo Osti Production, Far East e OM Project. Il designer firma inoltre la linea di abbigliamento Superga, i pantaloni Equipment for Legs ideati per Dockers, le giacche ICD disegnate per Levis e, tra gli ultimi lavori, un futuristico giubbotto nato dalla collaborazione con Philips e Levis dotato al suo interno di telefono cellulare e lettore MP3 e la linea di cachemire Double Use.
Nel 1999, la rivista Arena Homme Plus incorona Massimo Osti come il designer più influente degli anni ’90, molti altri lo definiscono padre dello sportswear e della techno-fashion. Certo è che la sua filosofia professionale e le sue innovazioni tecnologiche hanno aperto nuove strade a tutto il mondo della moda.
“Milano Unica – sostiene il Presidente di ‘Milano Unica’ Paolo Zegna – è nata per accompagnare e rafforzare la leadership tessile italiana nel mondo. Un settore industriale che intende continuare ad essere una delle più importanti filiere del tessile a livello mondiale. Il ritorno al Portello ci aiuterà, a trasmettere meglio alla miglior clientela internazionale quell’elemento fondamentale che è lo ‘stile di vita italiano’, ovvero sia quanto il mondo ci invidia e quello che noi vorremmo in parte trasmettere a tutti i consumatori stranieri ogni qual volta indosseranno un capo d’abbigliamento realizzato con tessuto Made in Italy. Proponendo una full immersion di quattro giorni nel contesto cittadino, infatti, avremo maggiori possibilità di far apprezzare la qualità e le tendenze che fanno moda. Moda che senza il tessuto non avrebbe, probabilmente, ragione d’essere. Sarà, inoltre, più facile accedere alla grande, preziosa e mai abbastanza conosciuta offerta artistica e culturale di cui dispone Milano e che è parte importante di quel know how che sta alla base dell’unicità del Made in Italy”.
Con questo spirito Milano Unica ha promosso la mostra:
‘Textile files: dall'archivio di Massimo Osti’.
Franca Sozzani, Direttore Responsabile di Vogue Italia, presentandola, ha scritto: «“Innovazione, ricerca, sperimentazione” denominatori comuni del lavoro di Massimo Osti, stilista che, alla fine degli anni ’70, cambiò le regole del mondo della moda, percorrendo strade sconosciute nell’allora classico mondo del tessuto, inventandosi miscele avveniristiche e scoprendo per primo i materiali di “oggi”. In collaborazione con Vogue Italia una mostra che riunisce una minima parte del lavoro di Massimo Osti teso ad evidenziare il suo processo lavorativo nel campo del tessuto, in una serie di appunti che illustrano i vari passaggi tecnici e creativi».
La mostra, che si terrà al settimo piano de La Rinascente e sarà aperta al pubblico per tre settimane a partire dal 13 settembre, intende ricreare simbolicamente il metodo lavorativo e il vastissimo archivio dello stilista scomparso
Sintesi unica del suo straordinario percorso creativo, l’Archivio Osti è conservato oggi a Bologna e ospita 2500 capi e 50.000 campioni di tessuto provenienti da 360 prestigiosi fornitori tessili e laboratori di finissaggio, catalogati attraverso le singole informazioni tecniche.
Custode di un prestigioso know-how, frutto di tre decenni intensi di ricerca e innovazione, l’Archivio Osti è una vera e propria biblioteca del tessuto, attiva e aggiornata, strumento di studio che permette di ripercorrere la storia della moda e del tessile degli ultimi trenta anni e fonte di ispirazione e stimolo alla ricerca stilistica e alla sperimentazione dei materiali.
Massimo Osti nasce professionalmente come grafico nella Bologna di fine degli anni ’60. Dopo il successo delle prime T-shirt stampate con metodi tipici della carta, disegna nel 1970 la sua prima collezione di abbigliamento maschile. L’azienda, per volontà dello stesso Osti, si chiama Chester Perry, come quella in cui lavora Bristow, il celebre personaggio di un fumetto pubblicato su Linus e disegnato da Frank Dickens.
Il successo appare evidente quando, a metà degli anni ’70, i marchi inglesi di abbigliamento Chester Barry e di maglieria Fred Perry fanno causa congiunta al designer bolognese, rispettivamente per il furto del nome e del cognome. Costretto a cambiare, Osti conserva le iniziali di Chester Perry e crea il celebre marchio C.P. Company.
La passione per la sperimentazione è uno dei motivi condutturi di tutta l’attività di Massimo Osti. Nelle sue linee di abbigliamento, la ricerca attraversa sempre l’intero processo creativo del capo. Per quanto riguarda la modellistica, tale attività è stimolata dall’archivio di capi usati, in gran parte militari, che il fashion designer colleziona fin dai primi anni di attività. Con un intuito da alchimista metropolitano si dedica inoltre a una continua sperimentazione sui materiali e sui finissaggi. L’invenzione di nuovi tessuti e di nuovi procedimenti di tintura e finissaggio sono sempre punti di rottura positiva e conduco spesso alla nascita di nuove linee. È questo il caso di Stone Island creata con una innovativa tela delavè bicolore e reversibile che prende spunto dalla tela di copertura dei camion. Alla fine degli anni ’80, dopo la cessione delle proprie quote societarie al Gft, i marchi d’abbigliamento maschile creati da Osti sono cinque: C.P. Company, C.P. Company Baby, Boneville, Stone Island e C.P. Collection.
L’impegno di Osti nell’invenzione di nuovi tessuti, come quello termosensibile che cambia colore al variare della temperatura, non gli impedisce di mettersi alla prova in altri settori della cultura e del’impegno.
Il successo delle sue linee, che portano l’azienda di cui è ancora presidente nei primi anni ’90 ad un fatturato di oltre 90 miliardi di lire con più di 1500 negozi in tutto il mondo, non devono molto alla pubblicità. In controtendenza con il mercato delle griffe internazionali i capi di Osti non rimandano a mondi costruiti ed irreali. L’assenza dalle passerelle e le campagne pubblicitarie in cui il centro del messaggio è il prodotto, spogliato di ogni altro elemento, seguono la volontà del designer di puntare esclusivamente sull’innovazione creativa e funzionale dei suoi abiti. Nasce a questo scopo il C.P. Magazine, il catalogo che illustra le sue linee e che è venduto nelle edicole e nei negozi con una tiratura di oltre 50.000 copie.
Questo atteggiamento di lealtà verso il consumatore è una costante della sua carriera che premia anche i marchi nati dopo la conclusione del rapporto creativo con le linee che lo avevano portato al successo internazionale. Negli anni ’90 si susseguono, infatti, nuove collaborazioni cadenzate dal ritmo dell’invenzione di nuovi tessuti, nuove funzionalità e nuovi progetti. Le linee firmate Osti in questo periodo prendono i nomi di Left Hand, Massimo Osti Production, Far East e OM Project. Il designer firma inoltre la linea di abbigliamento Superga, i pantaloni Equipment for Legs ideati per Dockers, le giacche ICD disegnate per Levis e, tra gli ultimi lavori, un futuristico giubbotto nato dalla collaborazione con Philips e Levis dotato al suo interno di telefono cellulare e lettore MP3 e la linea di cachemire Double Use.
Nel 1999, la rivista Arena Homme Plus incorona Massimo Osti come il designer più influente degli anni ’90, molti altri lo definiscono padre dello sportswear e della techno-fashion. Certo è che la sua filosofia professionale e le sue innovazioni tecnologiche hanno aperto nuove strade a tutto il mondo della moda.
13
settembre 2006
Textile files: dall’archivio di Massimo Osti
Dal 13 settembre al 03 ottobre 2006
arti decorative e industriali
Location
LA RINASCENTE
Milano, Piazza Del Duomo, (Milano)
Milano, Piazza Del Duomo, (Milano)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato ore 10 - 22, domenica ore 10 - 21
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