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The immigrants. Experiment 2. Venice.
Poche altre hanno la potenza icastica e la densità semantica della parola immigrante.
Il progetto artistico The Immigrants, ideato da Federico Luger, parte proprio da qui, da questo universo di senso che in poche lettere delimita un territorio – come una frontiera- e allo stesso tempo suggerisce un mondo altro, come un sogno.
Comunicato stampa
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Poche altre hanno la potenza icastica e la densità semantica della parola immigrante.
Il progetto artistico The Immigrants, ideato da Federico Luger, parte proprio da qui, da questo universo di senso che in poche lettere delimita un territorio - come una frontiera- e allo stesso tempo suggerisce un mondo altro, come un sogno.
Il titolo The “Immigrants” contiene in poche parole l’invito al viaggio, all’immaginazione di un futuro, la promessa di una terra immaginata o immaginaria, l’occasione di lasciarsi alle spalle le frontiere socio-politiche e forse l’invito a indossare un altro habitus mentale.
Come tutti i viaggi, anche The Immigrants è un progetto in fieri mosso dalla determinazione e dall’astuzia di scovare e costruire un’ alternativa a spazi saturi o semplicemente l’invito alla proiezione verso un futuro ancora tutto da disegnare, senza muoversi dal proprio ambiente in un gioco di abbandono e riconquista, di fiducia e di sogno.
In questo esperimento una collettiva di artisti appartenenti a diverse generazioni e nazionalità, si incontra sull’isola della Giudecca, un quartiere storico e popolare di Venezia, creando una sorta di terminal, di stazione di scambio in cui s’incrociano esperienze e visioni diverse, proprio come accadeva nei porti secoli or’ sono.
L’intenzione di questo esperimento è, infatti, quella di rileggere i concetti di limite, di frontiera e di appartenenza. Non a caso, The Immigrants ha come cornice privilegiata l’isola della Giudecca e come alloggio un’ex distilleria in disuso, accanto alla storica officina di Mariano Fortuny. Lambita dalle acque della laguna, l’isola della Giudecca rappresenta un osservatorio eccezionale per uno sguardo caleidoscopico sulla realtà del viaggio, allo stesso tempo distaccato, analitico e sognante.
Alighiero Boetti (Torino 1940-Roma 1994)
12 forme a partire dal 10 giungo 1967 è il primo lavoro che Boetti dedica alla geografia politica, spinto dalle continue notizie di focolai di guerra riportati dai giornali: dalla “battaglia del Sinai” scoppiata nel 1967 tra Egitto e Israele alla separazione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971. “Ho ripreso tale e quale la prima pagina de “La Stampa” che riproduceva questa carta, ma cancellando tutto il resto - tranne la data - e l’ho incisa su una lastra di rame. Avevo capito che ogni volta che si trova una forma sulla prima pagina di un giornale […] qualcosa di importante si era prodotto.” In alto è indicata la data di pubblicazione dell'articolo. Private di qualsiasi carattere didascalico o illustrativo, le sagome dei territori si trasformano in pure “forme”, nate non dall'immaginazione dell'artista ma da ma da attacchi d’artiglieria, raid aerei e negoziati diplomatici.
Igor Eškinja (Rijeka 1975)
Il lavoro di Eškinja conduce l’osservatore sulla soglia fra “realtà oggettiva” e illusione, sul punto limite in cui si pone un oggetto ridotto al minimo sospeso tra le due dimensioni.
In mostra sono presenti due lavori paradigmatici della produzione dell'artista: Somewhere in East Europe (2010), che contrariamente al luogo comune per cui l'espressione artistica dell'est Europa sia pessimistica, si propone come un energico atto di positività attraverso l’immagine fotografica di un tavolo che proietta la frase luminosa sul pavimento.
The Day After (2011), della serie fotografica omonima, rappresenta con la stessa semplicità emotiva l’idea di vastità del mare, riprodotto fotografando della polvere, meticolosamente organizzata sul pavimento, raccolta nel posto stesso dell'installazione.
I lavori di Eškinja, nascono da effimere e complesse situazioni site-specific, raccontano la forza e la vitalità dell’arte che sopravvive al tempo e resiste alla sfuggevole mutevolezza del contesto umano, sociale e politico.
Franklin Evans (Reno 1967)
Evans continua ed espande la sua ricerca sul tema del tempo e la sua ripetizione, tema già presente nei suoi più recenti progetti espositivi.
L'installazione site-specific pensata per gli spazi della Giudecca è composta da dipinti e modulazioni architettoniche fatte di nastri colorati e, per la prima volta arricchite da una serie di fotografie.
Il tempo, la memoria e il materiale visivo si fondono in un unico ambiente avvolgente, evidenziando il feedback costante e non lineare tra di essi. Nell’elaborazione di Evans, l’immagine-tenda diventa una struttura, un’esperienza architettonica che guida lo spettatore attraverso un luogo virtuale.
Jacob Hashimoto (Greeeley Colorado 1973)
Hashimoto usa materiali eterei per creare opere che, in diversi strati, compongono insieme elementi caratteristici sia della pittura che della scultura, combinando quindi bidimensionalità e tridimensionalità. Le sue opere sono colorate e astratte, pur rimandando a elementi figurativi come onde o nuvole. La dimensione estetica non è superficiale, ma è parte intrinseca del suo lavoro.La sovrapposizione di diverse unità modulari, ripetute con grande virtuosismo, contribuiscono a creare l’opera in mostra come un tutto impattante e sottile allo stesso tempo.
Rhadika Khimji (Muscat 1979)
ha studiato alla Slade School of Fine Art e alla Royal Academy of Fine Art a Londra. Il lavoro di Khimji indaga i temi del post-colonialismo, delle gerarchie sociali e della violenza nei confronti delle donne. Il suo lavoro consiste in un laborioso processo creativo che la porta a realizzare principalmente installazioni e disegni. Le superfici delle sue opere fungono da piattaforme che le permettono di affrontare questioni legate sia alla politica che alla sfera privata, un terreno complesso talvolta autobiografico e talvolta astratto. Traspare una certa malinconia nei confronti di un luogo storico, la ricerca per un luogo futuro, dove gli spostamenti continui tra differenti piani temporali del disegno, della scultura e del ricamo creano vuoti e dislocamenti che manifestano la discontinuità tra luoghi e oggetti. Una tessitura di ricordi e identità.
Gianni Pettena (Firenze 1940)
Artista attivo negli Stati Uniti durante gli anni Sessanta e Settanta nel contesto del movimento Land Art, è stato anche esponente del movimento italiano Architettura Radicale.
In mostra sono presenti undici fotografie della serie Wandering Through-USA 1971-73. The Curious Mr. Pettena, intenzionalmente conservate dall’artista come un taccuino di appunti, come schizzi e non come opere finite. Sono sporche e vissute come appunti di un viaggio sofferto ma appagante, uno spaccato su una serie di fascinazioni documentate fotograficamente che hanno influenzato notevolmente le opere successive.
Pettena usa la fotografia da artista, le sue scelte dello strumento sono parte di una grammatica precisa. La serie prescelta è tratta da una selezione recentemente riscoperta in occasione della mostra personale presso gli spazi della galleria Federico Luger a Milano.
Luca Pozzi (Milano 1983)
Pozzi è ossessionato dalla coesione tra la grammatica artistica e quella scientifica. I suoi sforzi sono finalizzati alla costruzione di un sistema visivo autosufficiente in grado di accogliere le recenti scoperte nel campo della gravità quantistica.
In mostra è presente “PI Wall String” un sistema pittorico a sette dimensioni (SU7) composto di 49 barre di alluminio mandorlato piegate a mano. Le polarità di ciascuna barra sono connesse a distanza attraverso l'attrazione magnetica di due palline da ping-pong colorate.
Coerentemente con la ricerca di Pozzi sulla Loop Quantum Gravity il lavoro determina l’emersione di pattern cromatico sospeso nel vuoto un ipotetico campo gravitazionale ricreato con la simbologia di oggetti ludici di uso comune.
Richard Prince (Panama Canal Zone 1949)
L'appropriazione (o re-photography) in Richard Prince è parte fondamentale del suo lavoro fin dagli anni 80. Dai celebri cow boys della Marlboro country agli oggetti di desiderio come gli orologi o le automobili prese da riviste di moda, rappresentano uno status dell'American way of life di quegli anni. Presente in mostra, Untitled - Angie Dickinson (1985), fa parte di una serie di fotografie nelle quali Prince si appropriò di film stills di film di Brian De Palma.
Giovanni Rizzoli (Venezia 1963)
ha indagato le possibilità dell’arte praticando il disegno, la scultura e la pittura nonché ha creato numerose installazioni. L’artista ha sviluppato una specifica maniera di dipingere che chiama “pittura con la flebo” che non permette la scelta oltre al momento dell’apertura e della chiusura dello switch del deflussore e del posizionamento dell’ago, detto farfalla, sul tessuto. I lavori presente in mostra appartengo unicamente a questa serie perché Rizzoli trova questa pratica, che ha iniziato più di vent’anni fa, antropologicamente attualissima: a differenza delle esperienze di vari artisti degli anni sessanta, è l’atto formale che unisce all’espressione di una condizione umana, quella del tempo della guarigione e della malattia, la nuova possibilità di fare una pittura che si rivela essere simbolica, erotica, ma allo stesso tempo incontrollabile e dunque pittura come responso, quasi pittura divinazione.
Santiago Sierra (Madrid 1966)
È uno degli artisti più conosciuti nel panorama artistico internazionale. Ha esposto in prestigiosi musei ed istituzioni come MoMA PS1, New York; Reykjavik Art Museum; ARTIUM, Vitoria-Gasteiz; Museo MADRE, Napoli; 50° Biennale di Venezia; Tate Modern, Londra. Le opere in mostra dell’artista spagnolo fanno parte della serie Maiali che divorano le penisole Ellenica, Italica e Iberica. Queste immagini sono il risultato di un ciclo de performances iniziato nel 2012 ad Amburgo, in cui i maiali hanno “divorato” la penisola Ellenica; dopo a Lucca, la penisola Italica e finalmente a Milano, la penisola Iberica. La metafora è evidente: Le entità finanziarie europee che si stanno letteralmente mangiando territori reali.
Traslochi Emotivi (casa di produzione indipendente fondata da Giulia Currà nel 2010)
Il video presente in mostra, Kabul-Roma Roma -Kabul (2010) presenta il rapporto di amicizia e collaborazione artistica e professionale tra Salmon Alì e Alighiero Boetti. Alì racconta l'incontro con Boetti a Kabul nei primi anni settanta, e dal 75' in poi, invitato da Boetti, si concentra sul suo trasloco a Roma dove lavorerà accanto all'artista per tutta la vita, quasi come se Boetti fosse il suo alter ego. Il video Kabul-Roma Roma -Kabul è stato esposto a Spruth Magers London, Le Case d'Arte Milano e l'Auditorium Rai Torino.
La mostra è stata realizzata con la collaborazione di: Ghostart, Le Case d’Arte, prometeogallery di Ida Pisani, Studio La Città, Federico Luger Gallery.
Contatto stampa:
30
maggio 2013
The immigrants. Experiment 2. Venice.
Dal 30 maggio al 15 luglio 2013
arte contemporanea
Location
SEDI VARIE – Venezia
Venezia, (Venezia)
Venezia, (Venezia)
Vernissage
30 Maggio 2013, h 11 Giudecca 800/r - 30133 Venezia.
Sito web
info@federicoluger.com
Autore
Curatore