Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
The Royal Art Lodge – Pensieri dei serpenti
Tra gli ottanta piccoli dipinti su tavola, che costituiscono la serie Pensieri dei serpenti, ce n’è uno che è una sorta di autoritratto della nuova Royal Art Lodge.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Tra gli ottanta piccoli dipinti su tavola, che costituiscono la serie Pensieri dei serpenti, ce n’è uno che è una sorta di autoritratto della nuova Royal Art Lodge. Vediamo tre mani che afferrano i rispettivi avambracci, venendo a formare una figura a triangolo, ma potrebbe anche sembrare un bizzarro proiettile rotante costituito da brandelli anatomici, a metà strada tra Goldrake e Géricault. Non senza quella dose di humour nero che da sempre caratterizza lo spirito RAL, ogni arto sta per un Lodger, identificato da una precisa didascalia: l’uno è Marcel Dzama, il due Neil Farber, il tre Michael Dumontier. La RAL, oggi, sono loro.
“Royal Art Lodge. Self Serving Secret Society” è il nome altisonante e scherzoso che nel 1996 ha suggellato i ritrovi settimanali di alcuni studenti della School of Art dell’Università di Manitoba, a Winnipeg, desiderosi di disegnare assieme, ma pure di produrre materiale più eterogeneo, come video, sculture, pupazzi, costumi, musica, aquiloni… I primi partecipanti di queste sessions erano Michael Dumontier, Marcel Dzama, Neil Farber, Drue Langlois, Jonathan Pylypchuk e Adrian Shalom Williams. L’anno successivo questi ultimi due, trasferitisi rispettivamente a Los Angeles e Montreal, se ne sono dovuti staccare; ma intanto subentrava Hollie, sorella di Dzama, seguita, nel 2000, da Myles, fratello di Langlois. Infine, nel 2003, la RAL si è ristretta ai tre affiatatissimi compagni, dei quali la tavoletta sopra descritta ci mostra il gesto solenne, da antichi eroi, di “tutti per uno, uno per tutti”.
È proprio considerando l’intesa tra pochi intimi che cominciamo a comprendere i cambiamenti nell’arte della nuova RAL. Il lavoro si svolge, più o meno, nel modo seguente: qualcuno comincia a dipingere, magari impostando lo sfondo; poi la tavoletta passa a un altro che abbozza la situazione, inserendovi i personaggi; il terzo, a sua volta, somma il proprio contributo. Il dipinto viene quindi appeso e resta a portata di mano di chi crede di dovervi aggiungere o modificare qualcosa. Possono trascorrere settimane prima che il lavoro sia considerato concluso e se il risultato non convince, si ridipinge sopra partendo da capo.
Le intenzioni che guidano l’operare di ognuno sono l’assoluta libertà dalle connessioni logiche, anche se, come vedremo, si può cogliere una certa insistenza su alcuni temi, e la noncuranza di oltrepassare, come spesso capita, la soglia della stramberia e dell’assurdità. Col conforto dell’alibi del nome collettivo, i Lodgers si concedono licenze che non troverebbero spazio nella più disciplinata ricerca individuale – la RAL si riunisce una sera a settimana, il mercoledì, mentre gli altri giorni ognuno si dedica alla carriera solista, in tutti e tre i casi fortunata e ricca di successi internazionali. Sembra quasi di ritrovare la pratica del cadavre exquis cara ai Surrealisti, dell’associazione di immagine a immagine non motivata da una scelta consapevole, anche se i nostri sono totalmente indifferenti alle briglie teoriche dei precedenti illustri.
A dire il vero, la RAL ha sempre operato in modo abbastanza simile. La prima vera novità sta, muovendo dal dato più evidente, nella tecnica, che non è più il disegno, ma la pittura, anche se il suo aspetto resta certamente molto disegnato. Già questa semplice constatazione ci impone di considerare una sostanziale differenza di approccio: il pennello rallenta l’esecuzione, il colore sensibilizza le figure, fornisce loro una consistenza più spessa, a volte quasi vischiosa. Soprattutto sposta non poco l’opera dall’ambito del delizioso divertissment, avvicinandolo alla strada maestra del fare arte: pur fioca, l’aura si accende. I precedenti lavori firmati RAL erano eseguiti in un clima giocoso, dove l’intervento di ognuno cercava, non da ultimo, di far ridere gli altri. Oggi le connessioni tra le figure hanno motivazioni più segrete e l’umorismo si è fatto più malinconico e sottile.
Risulta radicalmente mutato il sentire di questi lavori, anche se persistono i personaggi di sempre. Si è passati dalla verve concitata e chiassosa, ludico-pop, a un tono sognante, dai ritmi larghi e pausati. In formula si potrebbe parlare del passaggio dall’estroversione all’introversione, ossia dall’avidità di citare e rielaborare i dati esterni, in gran parte prelevati dal rutilante serbatoio di immagini mediatiche che sono i fumetti, i cartoni animati, i telefilm, i giocattoli di plastica, a un’atmosfera intimista, dove è ancora possibile risalire ai riferimenti di un tempo, trovandoli però irrimediabilmente trasformati: essi ora vengono pescati nell’io, che li ha fatti suoi, li ha risucchiati nei suoi moti più viscerali.
Prima constatavo una qualche affinità alla lontana col Surrealismo. Si potrebbe tirare in ballo anche la nozione di inconscio. Un inconscio, si badi bene, da non intendersi solo come la sede delle pulsioni primarie, pena la non comprensione dell’opera della RAL, ma anche come quel deposito di natura collettiva e mediatica, che oggi come mai costituisce un nucleo potente e attivo, condiviso dalle generazioni messe a balia allo spettacolo di massa, i cui miti e luoghi si sono saldamente sedimentati nel profondo, dove se ne è disciolta la patina artificiale, fino a che essi si sono inestricabilmente mescolati con la nostra dotazione naturale, arrivando ad agire con altrettanta influenza sul comportamento quotidiano.
Basti osservare come, nei nuovi lavori della RAL, lo stile fumettistico sia stato invaso dalle paste e dalle sbavature pittoriche, per comprendere quanto il richiamo al dato esterno si sia corroso e assottigliato. Si percepisce la sua presenza, ma è un’eco profondamente distorta. Le figure emergono dai luoghi interiori, dove sono giaciute a lungo. La loro costituzione tremolante partecipa delle medesime titubanze dell’interiorità, che è la vera protagonista.
Molti dipinti presentano un soggetto solitario, spesso una giovane donna o un bambino, meno spesso un uomo. Sono figure volutamente generiche, ma scelte perché dotate di forti connotazioni caratteriali e di densità psichica. La loro espressione è assorta, inquieta, gli occhi quasi sempre chiusi: è evidente che al loro interno stia accadendo qualcosa. Intorno è come se si materializzasse l’indecifrabile flusso di coscienza, che fa sfilare davanti ai nostri occhi strane creature. Bellissima, ad esempio, e degna di intitolare l’intera serie, è una testa femminile i cui pensieri contorti, forse malsani, hanno preso forma, facendo trasformare i capelli in due bifidi serpenti.
Tra le apparizioni ricorrono, innanzitutto, mostri e animali dall’aspetto fiabesco, ma da favola triste, di quelle che alla fine fanno piangere: tra i primi, Dracula, fantasmi, diavoli, scheletri, dinosauri, cani infernali e un dolcissimo albero parlante; tra gli animali, tanti serpenti, quindi tartarughe, coccodrilli, salamandre, granchi, pinguini, passeri, gufi, anatre, cicogne, volpi, conigli, cerbiatti, gatti, tigri, elefanti, maiali… Compaiono, inoltre, pupazzi, omini di neve, oggetti comuni. Le ambientazioni variano tra interni, radi boschetti, il mare, candidi paesaggi invernali, le fiamme dell’inferno.
Tra il soggetto, l’io parlante, e queste creature, che possiamo identificare come “l’altro”, si instaura un’interazione, a volte addirittura una colluttazione, ma qualsiasi accadimento si svolge con una lentezza irreale. In una tavola una bambina, sola in un paesaggio buio, sta per contrastare, armata di coltello, l’attacco di una tigre. La scena è congelata, come in un sogno, tanto che la protagonista ha il tempo di fissare verso di noi lo sguardo estraniato. Abbiamo inteso che in questi lavori l’altro è sempre una proiezione delle inquietudini dell’io, anzi spesso è il suo doppio, la controparte oscura, come nella tavola in cui vediamo la ragazzina, tutta dipinta di bianco, vagare tra gli alberi, dove l’attende, in minaccioso agguato, il nero alter-ego.
I ruoli, però, sono reversibili, l’altro può, a sua volta, cambiare di segno e impersonare l’io: nel caso è Dracula a sgranare occhi ipnotizzati e sprofondare nel flusso di coscienza.
Capita in tante occasioni che l’io narrante faccia sentire direttamente la sua voce. La tavola appare allora percorsa da scritte, che si rapportano all’immagine in modo quasi sempre incongruo, discrepante. Le parole suonano con toni di inafferrabile saggezza, dettata dalle ragioni sommerse dell’inconscio. Basti vedere il dipinto con la ragazza che, fissando un coniglietto, evidente oggettivazione delle sue vanitose aspirazioni, riflette: «Mai ho pensato che qualcosa potesse essere carina come me, ma io sembro un drago vicino a questo esserino». Ritroviamo sempre lei in un lavoro a pendant, che focalizza, al contrario, i suoi timori: «Non sembro una salamandra, non sono un serpente», ripete meditando sulla sgradevole apparizione dei due animali.
Altre volte l’io esce di scena e il testo funge da voce fuori campo, che commenta, definisce la visione, sempre seguendo una logica del tutto strampalata. Esempio calzante è il dipinto dove una serie di oggetti banali, quali bottiglie, lattine, pentole e bicchieri, sono contrassegnati da scritte che li denotano come un’etichetta. A destra, dove comincia la nostra lettura, i nomi corrispondono pacificamente a quel che vediamo, salvo poi, passando dall’altro lato, farsi assurdi, incomprensibili.
Tra tutti, il tema più ricorrente, per la potenza di archetipo e il suo essere l’ater-ego definitivo, è la morte, con i connessi, in quanto sue metafore, temi dell’inverno e dell’inferno. Vediamo un uomo di un nero mortifero e col capo reclino, che già accoglie in sé il proprio fantasmino – «Dead Inside». Struggente, infine, è il tentativo di sottrarsi alla morte di un bambino atterrito, che alle spalle del mostro, che si sta momentaneamente allontanando, «non aveva intenzione di “aspettare proprio qui” come gli disse lo scheletro, ma pensò che avrebbe aspettato fino a che lo scheletro fosse uscito dalla vista prima di dirigersi a casa».
Guido Bartorelli
“Royal Art Lodge. Self Serving Secret Society” è il nome altisonante e scherzoso che nel 1996 ha suggellato i ritrovi settimanali di alcuni studenti della School of Art dell’Università di Manitoba, a Winnipeg, desiderosi di disegnare assieme, ma pure di produrre materiale più eterogeneo, come video, sculture, pupazzi, costumi, musica, aquiloni… I primi partecipanti di queste sessions erano Michael Dumontier, Marcel Dzama, Neil Farber, Drue Langlois, Jonathan Pylypchuk e Adrian Shalom Williams. L’anno successivo questi ultimi due, trasferitisi rispettivamente a Los Angeles e Montreal, se ne sono dovuti staccare; ma intanto subentrava Hollie, sorella di Dzama, seguita, nel 2000, da Myles, fratello di Langlois. Infine, nel 2003, la RAL si è ristretta ai tre affiatatissimi compagni, dei quali la tavoletta sopra descritta ci mostra il gesto solenne, da antichi eroi, di “tutti per uno, uno per tutti”.
È proprio considerando l’intesa tra pochi intimi che cominciamo a comprendere i cambiamenti nell’arte della nuova RAL. Il lavoro si svolge, più o meno, nel modo seguente: qualcuno comincia a dipingere, magari impostando lo sfondo; poi la tavoletta passa a un altro che abbozza la situazione, inserendovi i personaggi; il terzo, a sua volta, somma il proprio contributo. Il dipinto viene quindi appeso e resta a portata di mano di chi crede di dovervi aggiungere o modificare qualcosa. Possono trascorrere settimane prima che il lavoro sia considerato concluso e se il risultato non convince, si ridipinge sopra partendo da capo.
Le intenzioni che guidano l’operare di ognuno sono l’assoluta libertà dalle connessioni logiche, anche se, come vedremo, si può cogliere una certa insistenza su alcuni temi, e la noncuranza di oltrepassare, come spesso capita, la soglia della stramberia e dell’assurdità. Col conforto dell’alibi del nome collettivo, i Lodgers si concedono licenze che non troverebbero spazio nella più disciplinata ricerca individuale – la RAL si riunisce una sera a settimana, il mercoledì, mentre gli altri giorni ognuno si dedica alla carriera solista, in tutti e tre i casi fortunata e ricca di successi internazionali. Sembra quasi di ritrovare la pratica del cadavre exquis cara ai Surrealisti, dell’associazione di immagine a immagine non motivata da una scelta consapevole, anche se i nostri sono totalmente indifferenti alle briglie teoriche dei precedenti illustri.
A dire il vero, la RAL ha sempre operato in modo abbastanza simile. La prima vera novità sta, muovendo dal dato più evidente, nella tecnica, che non è più il disegno, ma la pittura, anche se il suo aspetto resta certamente molto disegnato. Già questa semplice constatazione ci impone di considerare una sostanziale differenza di approccio: il pennello rallenta l’esecuzione, il colore sensibilizza le figure, fornisce loro una consistenza più spessa, a volte quasi vischiosa. Soprattutto sposta non poco l’opera dall’ambito del delizioso divertissment, avvicinandolo alla strada maestra del fare arte: pur fioca, l’aura si accende. I precedenti lavori firmati RAL erano eseguiti in un clima giocoso, dove l’intervento di ognuno cercava, non da ultimo, di far ridere gli altri. Oggi le connessioni tra le figure hanno motivazioni più segrete e l’umorismo si è fatto più malinconico e sottile.
Risulta radicalmente mutato il sentire di questi lavori, anche se persistono i personaggi di sempre. Si è passati dalla verve concitata e chiassosa, ludico-pop, a un tono sognante, dai ritmi larghi e pausati. In formula si potrebbe parlare del passaggio dall’estroversione all’introversione, ossia dall’avidità di citare e rielaborare i dati esterni, in gran parte prelevati dal rutilante serbatoio di immagini mediatiche che sono i fumetti, i cartoni animati, i telefilm, i giocattoli di plastica, a un’atmosfera intimista, dove è ancora possibile risalire ai riferimenti di un tempo, trovandoli però irrimediabilmente trasformati: essi ora vengono pescati nell’io, che li ha fatti suoi, li ha risucchiati nei suoi moti più viscerali.
Prima constatavo una qualche affinità alla lontana col Surrealismo. Si potrebbe tirare in ballo anche la nozione di inconscio. Un inconscio, si badi bene, da non intendersi solo come la sede delle pulsioni primarie, pena la non comprensione dell’opera della RAL, ma anche come quel deposito di natura collettiva e mediatica, che oggi come mai costituisce un nucleo potente e attivo, condiviso dalle generazioni messe a balia allo spettacolo di massa, i cui miti e luoghi si sono saldamente sedimentati nel profondo, dove se ne è disciolta la patina artificiale, fino a che essi si sono inestricabilmente mescolati con la nostra dotazione naturale, arrivando ad agire con altrettanta influenza sul comportamento quotidiano.
Basti osservare come, nei nuovi lavori della RAL, lo stile fumettistico sia stato invaso dalle paste e dalle sbavature pittoriche, per comprendere quanto il richiamo al dato esterno si sia corroso e assottigliato. Si percepisce la sua presenza, ma è un’eco profondamente distorta. Le figure emergono dai luoghi interiori, dove sono giaciute a lungo. La loro costituzione tremolante partecipa delle medesime titubanze dell’interiorità, che è la vera protagonista.
Molti dipinti presentano un soggetto solitario, spesso una giovane donna o un bambino, meno spesso un uomo. Sono figure volutamente generiche, ma scelte perché dotate di forti connotazioni caratteriali e di densità psichica. La loro espressione è assorta, inquieta, gli occhi quasi sempre chiusi: è evidente che al loro interno stia accadendo qualcosa. Intorno è come se si materializzasse l’indecifrabile flusso di coscienza, che fa sfilare davanti ai nostri occhi strane creature. Bellissima, ad esempio, e degna di intitolare l’intera serie, è una testa femminile i cui pensieri contorti, forse malsani, hanno preso forma, facendo trasformare i capelli in due bifidi serpenti.
Tra le apparizioni ricorrono, innanzitutto, mostri e animali dall’aspetto fiabesco, ma da favola triste, di quelle che alla fine fanno piangere: tra i primi, Dracula, fantasmi, diavoli, scheletri, dinosauri, cani infernali e un dolcissimo albero parlante; tra gli animali, tanti serpenti, quindi tartarughe, coccodrilli, salamandre, granchi, pinguini, passeri, gufi, anatre, cicogne, volpi, conigli, cerbiatti, gatti, tigri, elefanti, maiali… Compaiono, inoltre, pupazzi, omini di neve, oggetti comuni. Le ambientazioni variano tra interni, radi boschetti, il mare, candidi paesaggi invernali, le fiamme dell’inferno.
Tra il soggetto, l’io parlante, e queste creature, che possiamo identificare come “l’altro”, si instaura un’interazione, a volte addirittura una colluttazione, ma qualsiasi accadimento si svolge con una lentezza irreale. In una tavola una bambina, sola in un paesaggio buio, sta per contrastare, armata di coltello, l’attacco di una tigre. La scena è congelata, come in un sogno, tanto che la protagonista ha il tempo di fissare verso di noi lo sguardo estraniato. Abbiamo inteso che in questi lavori l’altro è sempre una proiezione delle inquietudini dell’io, anzi spesso è il suo doppio, la controparte oscura, come nella tavola in cui vediamo la ragazzina, tutta dipinta di bianco, vagare tra gli alberi, dove l’attende, in minaccioso agguato, il nero alter-ego.
I ruoli, però, sono reversibili, l’altro può, a sua volta, cambiare di segno e impersonare l’io: nel caso è Dracula a sgranare occhi ipnotizzati e sprofondare nel flusso di coscienza.
Capita in tante occasioni che l’io narrante faccia sentire direttamente la sua voce. La tavola appare allora percorsa da scritte, che si rapportano all’immagine in modo quasi sempre incongruo, discrepante. Le parole suonano con toni di inafferrabile saggezza, dettata dalle ragioni sommerse dell’inconscio. Basti vedere il dipinto con la ragazza che, fissando un coniglietto, evidente oggettivazione delle sue vanitose aspirazioni, riflette: «Mai ho pensato che qualcosa potesse essere carina come me, ma io sembro un drago vicino a questo esserino». Ritroviamo sempre lei in un lavoro a pendant, che focalizza, al contrario, i suoi timori: «Non sembro una salamandra, non sono un serpente», ripete meditando sulla sgradevole apparizione dei due animali.
Altre volte l’io esce di scena e il testo funge da voce fuori campo, che commenta, definisce la visione, sempre seguendo una logica del tutto strampalata. Esempio calzante è il dipinto dove una serie di oggetti banali, quali bottiglie, lattine, pentole e bicchieri, sono contrassegnati da scritte che li denotano come un’etichetta. A destra, dove comincia la nostra lettura, i nomi corrispondono pacificamente a quel che vediamo, salvo poi, passando dall’altro lato, farsi assurdi, incomprensibili.
Tra tutti, il tema più ricorrente, per la potenza di archetipo e il suo essere l’ater-ego definitivo, è la morte, con i connessi, in quanto sue metafore, temi dell’inverno e dell’inferno. Vediamo un uomo di un nero mortifero e col capo reclino, che già accoglie in sé il proprio fantasmino – «Dead Inside». Struggente, infine, è il tentativo di sottrarsi alla morte di un bambino atterrito, che alle spalle del mostro, che si sta momentaneamente allontanando, «non aveva intenzione di “aspettare proprio qui” come gli disse lo scheletro, ma pensò che avrebbe aspettato fino a che lo scheletro fosse uscito dalla vista prima di dirigersi a casa».
Guido Bartorelli
05
marzo 2005
The Royal Art Lodge – Pensieri dei serpenti
Dal 05 marzo al 31 maggio 2005
arte contemporanea
Location
PERUGI ARTE CONTEMPORANEA
Padova, Via Giordano Bruno, 24b, (Padova)
Padova, Via Giordano Bruno, 24b, (Padova)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 17.30-20.30
Vernissage
5 Marzo 2005, ore 18,30
Autore
Curatore