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Tina Sgrò
mostra pittorica
Comunicato stampa
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TINA SGRO’
Viaggio nello spirito e nei valori emozionali dei non-luoghi e dello spazio neutro
Testo critico di Franco Migliaccio
La scena urbana ha costituito nel tempo un’iconografia particolarmente affascinante e suggestiva. Non a caso molti sono gli artisti che vi si sono dedicati, soprattutto a partire dal periodo delle avanguardie storiche.
Paul Citroen, con i suoi collages dada e surrealisti, aveva immaginato megalopoli soffocanti dominate da un labirintico caos, spaziale e mentale. Ancora prima Umberto Boccioni, nella serie della Città che sale, aveva manifestato tutto il suo ottimismo modernista nell’esaltazione dei frenetici modi con i quali la città, agli inizi del Novecento, andava sviluppandosi. Da non dimenticare, ancora, la Roma papalina e barocca di Scipione e l’opera di Mario Sironi, testimone della cimiterializzazione della periferia di cui cantò il grigiore e ogni forma di congenita cupezza .
Più tardi, negli Stati Uniti, dopo i trascorsi dell’American scene e del gruppo dei Precisionisti (si pensi a Charles Sheeler e alle sue immote e glaciali visioni industriali), la corrente dei Regionalisti diede risalto all’opera di Edward Hopper e alle sue raggelanti scene di solitudine. Negli anni Settanta si sarebbe invece affermato l’Iperrealismo, che s’impegnò in scene urbane tratte dal “già riprodotto” (la fotografia) e ancorate ad una mistica del silenzio di natura allucinatoria.
Poi, a parte singoli e sporadici casi, il tema della città è stato un po’ trascurato nel clima generale d’abbandono d’ogni forma d’immagine e d’ogni modalità d’esercizio pittorico prescritto dall’imperante dominio del concettualismo e delle sue innumerevoli correnti.
Da qualche tempo però, in particolar modo dagli inizi degli anni Novanta, s’è riproposto insistentemente un vero e proprio ritorno alla pittura e, con questi, anche il recupero dell’immagine, già palesemente sconfitta dall’Informale e dai suoi epigoni.
Ne è nata, pertanto, una Nuova Scena Urbana, edificata nel tempo dall’esperienza e dalla ricerca di tanti singoli artisti i quali, tutti insieme, costituiscono già una vera e propria tendenza a livello internazionale.
Tina Sgrò, con il suo indubitabile talento, s’è prepotentemente inserita in quest’area espressiva che tenta di rinnovare l’iconografia del paesaggio metropolitano, portandovi il proprio contributo personale con l’elaborazione di una originale cifra stilistica e di un particolare modo di vedere (e di rappresentare) la scena urbana.
Il mondo poetico della Sgrò, pittrice che per venire dal Sud saremmo più pregiudizievolmente inclini a pensarla dedita alla rappresentazione di esaltanti scenari di natura, è completamente affondato, complice la globalizzazione, in questo clima di nuova urbanità, esibita mediante una modalità pittorica che sa coglierne profondamente forme e spirito. E’ una pittura, la sua, che parla di architetture, di stazioni ferroviarie, di caselli e passaggi a livello, di ponti e d’autostrade, di piloni e viadotti, di segnali stradali e stazioni di servizio, di periferie e di centri cittadini. Vengono rivelati, insomma, i tratti di una precisa e dettagliata iconografia (spesso considerata arida e antipoetica: ma così non è) estratta dalla contemporaneità e dal convulso modo di essere della città e i suoi dintorni, dei suoi nervi interni e delle sue pulsanti arterie di collegamento e di comunicazione.
Quelle che l’artista ci presenta non sono immagini edificanti, volti cioè a gratificare lo sguardo; sono, al contrario, immagini cupe, invase dal grigiore, nelle quali prevalgono i motivi preoccupati di un raggiungimento urbano irto di contraddizioni e di aspetti sinistri sottolineati da atmosfere fosche, dall’assenza di colori brillanti e di quella tipica solarità che contraddistingue i paesaggi mediterranei.
Sono immagini intense ottenute per tramite di un impianto disegnativo e pittorico robusto e di grande efficacia visiva, dove la pennellata viaggia sciolta, perentoria e aggressiva e si dispone in tutte le direzioni possibili con furore ed energia veemente. La materia contrappone addensamenti e fluidità, scorrevolezze e stratificazioni, a definire uno stile agitato, sempre pieno di soluzioni nuove e di sorprese.
Le prospettive privilegiano i campi lunghi, la profondità spaziale; gli edifici scorrono ai lati della composizione, sotto cieli tormentati, perdendo le nettezza dei loro contorni, come per inchiodare il fruitore su un sedile di un auto che si muove a grande velocità. Anche i segnali stradali ci passano accanto, sfiorandoci, senza darci il tempo di leggere le loro indicazioni.
Il viaggio continua e, fra variazioni atmosferiche (vediamo pertanto le auto riflettersi sul manto stradale viscido e bagnato) e l’incalzare dell’oscurità (che ci conduce verso notturni freddi e raggelanti), siamo continuamente scaraventati entro scenari nuovi i quali, però, come in un continuo susseguirsi di cose e situazioni già viste e già vissute, hanno un che di straordinariamente noto.
Tina Sgrò si concede talora una variazione tematica. Non è un vero e proprio cambio di rotta. E’ che l’artista, a tratti, è invasa dalla curiosità di vedere ciò che sta dietro le facciate di quelle case che ci vediamo venire incontro, dilaniate e smaterializzate dalla velocità. E si sofferma, lanciando sguardi acutissimi, per scoprire ambienti inusuali, spazi più intimi e sommessi, spesso venati di accenti retro come se si trattasse di pure evocazioni più che di luoghi fisici e reali. Ne nascono pertanto scene d’interni di particolare incanto, che vivono di atmosfere soffuse fra tendaggi polverosi, divani e oggetti d’arredo che emanano odori stantii; oppure nature morte, povere cose in verità, aggredite con ferocia da un ductus nervoso, a volte violento, ma sempre carico di intrinseche gentilezze ed eleganza formale. Tavole intovagliate coi resti del pranzo, lavabi sporchi e cucine a gas vissute e arrugginite, mobili strapieni di suppellettili, lampade accese, oggetti inutili accatastati alla rinfusa, e persino desueti telefoni a gettone scovati in qualche piccola area di servizio in disarmo.
Tina, nonostante la consumata e sapiente tecnica pittorica che si svela evidente in tutto il suo lavoro, non vuole privilegiare l’occhio a scapito della sensibilità, ma riesplorare, semmai, la realtà con intento poetico, fuori dall’ordinarietà del soggetto stesso, per scoprire i lati nascosti di tutto ciò che può apparire consueto o stereotipato. Le sue immagini diventano testimonianza documentaria (i suoi paesaggi urbani sono luoghi reali, come dimostrano i titoli dei suoi quadri) e, insieme, partecipazione sentimentale di una realtà che, a saperla guardare, è gonfia di umori e di riferimenti suggestivi.
E’ pure interessante sottolineare la resa dello spazio che percettivamente si dilata e si contrae in ragione di un continuo alternarsi dei punti di vista, i quali abbassano ed elevano le linee d’orizzonte con scandita puntualità. I landscape di Tina riscoprono le potenti suggestioni della città, dei suoi sobborghi e delle sue tangenziali attraverso un afflato lirico, imparentato con la categoria estetica del “sublime”, che dà contenuto e pregnanza storica ai cosiddetti “non luoghi”, agli “spazi neutri” della realtà metropolitana.
La dialettica che pone in antinomia il naturale e l’artificiale, l’uomo e i prodotti della sua attività, diventa il mezzo per testimoniare il proprio tempo; i frammenti di quotidianità che Tina Sgrò ci presenta appaiono, insomma, come immagini interiori, autentiche proiezioni dello spirito.
Viaggio nello spirito e nei valori emozionali dei non-luoghi e dello spazio neutro
Testo critico di Franco Migliaccio
La scena urbana ha costituito nel tempo un’iconografia particolarmente affascinante e suggestiva. Non a caso molti sono gli artisti che vi si sono dedicati, soprattutto a partire dal periodo delle avanguardie storiche.
Paul Citroen, con i suoi collages dada e surrealisti, aveva immaginato megalopoli soffocanti dominate da un labirintico caos, spaziale e mentale. Ancora prima Umberto Boccioni, nella serie della Città che sale, aveva manifestato tutto il suo ottimismo modernista nell’esaltazione dei frenetici modi con i quali la città, agli inizi del Novecento, andava sviluppandosi. Da non dimenticare, ancora, la Roma papalina e barocca di Scipione e l’opera di Mario Sironi, testimone della cimiterializzazione della periferia di cui cantò il grigiore e ogni forma di congenita cupezza .
Più tardi, negli Stati Uniti, dopo i trascorsi dell’American scene e del gruppo dei Precisionisti (si pensi a Charles Sheeler e alle sue immote e glaciali visioni industriali), la corrente dei Regionalisti diede risalto all’opera di Edward Hopper e alle sue raggelanti scene di solitudine. Negli anni Settanta si sarebbe invece affermato l’Iperrealismo, che s’impegnò in scene urbane tratte dal “già riprodotto” (la fotografia) e ancorate ad una mistica del silenzio di natura allucinatoria.
Poi, a parte singoli e sporadici casi, il tema della città è stato un po’ trascurato nel clima generale d’abbandono d’ogni forma d’immagine e d’ogni modalità d’esercizio pittorico prescritto dall’imperante dominio del concettualismo e delle sue innumerevoli correnti.
Da qualche tempo però, in particolar modo dagli inizi degli anni Novanta, s’è riproposto insistentemente un vero e proprio ritorno alla pittura e, con questi, anche il recupero dell’immagine, già palesemente sconfitta dall’Informale e dai suoi epigoni.
Ne è nata, pertanto, una Nuova Scena Urbana, edificata nel tempo dall’esperienza e dalla ricerca di tanti singoli artisti i quali, tutti insieme, costituiscono già una vera e propria tendenza a livello internazionale.
Tina Sgrò, con il suo indubitabile talento, s’è prepotentemente inserita in quest’area espressiva che tenta di rinnovare l’iconografia del paesaggio metropolitano, portandovi il proprio contributo personale con l’elaborazione di una originale cifra stilistica e di un particolare modo di vedere (e di rappresentare) la scena urbana.
Il mondo poetico della Sgrò, pittrice che per venire dal Sud saremmo più pregiudizievolmente inclini a pensarla dedita alla rappresentazione di esaltanti scenari di natura, è completamente affondato, complice la globalizzazione, in questo clima di nuova urbanità, esibita mediante una modalità pittorica che sa coglierne profondamente forme e spirito. E’ una pittura, la sua, che parla di architetture, di stazioni ferroviarie, di caselli e passaggi a livello, di ponti e d’autostrade, di piloni e viadotti, di segnali stradali e stazioni di servizio, di periferie e di centri cittadini. Vengono rivelati, insomma, i tratti di una precisa e dettagliata iconografia (spesso considerata arida e antipoetica: ma così non è) estratta dalla contemporaneità e dal convulso modo di essere della città e i suoi dintorni, dei suoi nervi interni e delle sue pulsanti arterie di collegamento e di comunicazione.
Quelle che l’artista ci presenta non sono immagini edificanti, volti cioè a gratificare lo sguardo; sono, al contrario, immagini cupe, invase dal grigiore, nelle quali prevalgono i motivi preoccupati di un raggiungimento urbano irto di contraddizioni e di aspetti sinistri sottolineati da atmosfere fosche, dall’assenza di colori brillanti e di quella tipica solarità che contraddistingue i paesaggi mediterranei.
Sono immagini intense ottenute per tramite di un impianto disegnativo e pittorico robusto e di grande efficacia visiva, dove la pennellata viaggia sciolta, perentoria e aggressiva e si dispone in tutte le direzioni possibili con furore ed energia veemente. La materia contrappone addensamenti e fluidità, scorrevolezze e stratificazioni, a definire uno stile agitato, sempre pieno di soluzioni nuove e di sorprese.
Le prospettive privilegiano i campi lunghi, la profondità spaziale; gli edifici scorrono ai lati della composizione, sotto cieli tormentati, perdendo le nettezza dei loro contorni, come per inchiodare il fruitore su un sedile di un auto che si muove a grande velocità. Anche i segnali stradali ci passano accanto, sfiorandoci, senza darci il tempo di leggere le loro indicazioni.
Il viaggio continua e, fra variazioni atmosferiche (vediamo pertanto le auto riflettersi sul manto stradale viscido e bagnato) e l’incalzare dell’oscurità (che ci conduce verso notturni freddi e raggelanti), siamo continuamente scaraventati entro scenari nuovi i quali, però, come in un continuo susseguirsi di cose e situazioni già viste e già vissute, hanno un che di straordinariamente noto.
Tina Sgrò si concede talora una variazione tematica. Non è un vero e proprio cambio di rotta. E’ che l’artista, a tratti, è invasa dalla curiosità di vedere ciò che sta dietro le facciate di quelle case che ci vediamo venire incontro, dilaniate e smaterializzate dalla velocità. E si sofferma, lanciando sguardi acutissimi, per scoprire ambienti inusuali, spazi più intimi e sommessi, spesso venati di accenti retro come se si trattasse di pure evocazioni più che di luoghi fisici e reali. Ne nascono pertanto scene d’interni di particolare incanto, che vivono di atmosfere soffuse fra tendaggi polverosi, divani e oggetti d’arredo che emanano odori stantii; oppure nature morte, povere cose in verità, aggredite con ferocia da un ductus nervoso, a volte violento, ma sempre carico di intrinseche gentilezze ed eleganza formale. Tavole intovagliate coi resti del pranzo, lavabi sporchi e cucine a gas vissute e arrugginite, mobili strapieni di suppellettili, lampade accese, oggetti inutili accatastati alla rinfusa, e persino desueti telefoni a gettone scovati in qualche piccola area di servizio in disarmo.
Tina, nonostante la consumata e sapiente tecnica pittorica che si svela evidente in tutto il suo lavoro, non vuole privilegiare l’occhio a scapito della sensibilità, ma riesplorare, semmai, la realtà con intento poetico, fuori dall’ordinarietà del soggetto stesso, per scoprire i lati nascosti di tutto ciò che può apparire consueto o stereotipato. Le sue immagini diventano testimonianza documentaria (i suoi paesaggi urbani sono luoghi reali, come dimostrano i titoli dei suoi quadri) e, insieme, partecipazione sentimentale di una realtà che, a saperla guardare, è gonfia di umori e di riferimenti suggestivi.
E’ pure interessante sottolineare la resa dello spazio che percettivamente si dilata e si contrae in ragione di un continuo alternarsi dei punti di vista, i quali abbassano ed elevano le linee d’orizzonte con scandita puntualità. I landscape di Tina riscoprono le potenti suggestioni della città, dei suoi sobborghi e delle sue tangenziali attraverso un afflato lirico, imparentato con la categoria estetica del “sublime”, che dà contenuto e pregnanza storica ai cosiddetti “non luoghi”, agli “spazi neutri” della realtà metropolitana.
La dialettica che pone in antinomia il naturale e l’artificiale, l’uomo e i prodotti della sua attività, diventa il mezzo per testimoniare il proprio tempo; i frammenti di quotidianità che Tina Sgrò ci presenta appaiono, insomma, come immagini interiori, autentiche proiezioni dello spirito.
22
aprile 2006
Tina Sgrò
Dal 22 aprile al 10 maggio 2006
arte contemporanea
Location
CENTRO CULTURALE CASCINA GRANDE
Rozzano, Viale Palmiro Togliatti, (Milano)
Rozzano, Viale Palmiro Togliatti, (Milano)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 9.30 – 12.30, 14.30 – 18.00
Vernissage
22 Aprile 2006, ore 17
Autore
Curatore