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To A Degree Rational
To a degree, Rational presenta le opere di Barbara Probst, James Welling, Lucinda Childs/Sol LeWitt/Philip Glass, Mark Lewis e un libro realizzato in collaborazione da James Welling e Susan Howe.
Comunicato stampa
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TO A DEGREE, RATIONAL*
Barbara Probst, James Welling, Lucinda Childs, Sol LeWitt, Susan Howe, Mark Lewis
Con progetti in collaborazione di: James Welling/Susan Howe, Lucinda Childs/Sol LeWitt/Philip Glass
15 Maggio 2010 - 30 Giugno 2010
Inaugurazione 15 Maggio 2010, 18:00
Quattro anni dopo la morte di Lenin avvenuta nel 1924, l’artista Alexander Rodchenko scrisse: “Dimmi sinceramente cosa dovrebbe rimanere di Lenin, un bronzo, dei ritratti a olio, delle indecisioni, degli acquerelli, il diario della sua segretaria, le memorie dei suoi amici – oppure una raccolta di fotografie scattate mentre lavorava o riposava, gli archivi dei suoi libri, i blocchi per gli appunti, i taccuini, i verbali stenografici, i film o le registrazioni fonografiche?” Le parole di Rodchenko possono essere lette come una semplice domanda per capire in che modo la storia debba preservare Lenin, ovvero con quali documenti concreti Lenin venga ri-presentato. Rodchenko non lo chiede perché è alla ricerca del veicolo di rappresentazione appropriato, ma perché esprime dei dubbi. Ma cos’è che Rodchenko dubita? È la veridicità di qualsiasi medium artistico di dare un’autentica rappresentazione di Lenin? O forse Rodchenko è più preoccupato della gerarchia visiva che conferisce verità a una fonte primaria e una verità leggermente inferiore a una fonte secondaria? O forse Rodchenko usa semplicemente questa domanda per sottolineare il problema fondamentale della rappresentazione stessa e l’attaccamento a un punto di vista unico e determinato che la caratterizza?
To a degree, Rational presenta le opere di Barbara Probst, James Welling, Lucinda Childs/Sol LeWitt/Philip Glass, Mark Lewis e un libro realizzato in collaborazione da James Welling e Susan Howe. La mostra include fotografie, film, coreografie, disegni e un libro d’artista che intendono liberare l’osservatore dalla classica promessa della percezione: il punto di vista unico, fisso, frontale. Nonostante il mondo sia pieno di riprese a telecamera multipla, si viva in un universo dove si fanno più cose contemporaneamente e sia difficile trovare qualcuno a leggere tranquillo a casa, l’osservatore si aspetta sempre un sistema diretto di resa visiva. Nel lavoro di Barbara Probst, che usa la fotografia per rendere sequenze girate simultaneamente con un congegno radio comandato, in un primo momento l’immagine pare quasi arrendersi allo sviluppo narrativo. Se le immagini sembrano singoli fotogrammi scattati nel corso del tempo, esse tuttavia non tornano in base a nessun filtro temporale. Al contrario, l’opera si fonda sulla prassi della scultura, come un evento che accade nello spazio e non nel tempo com’ è abitudine in gran parte della fotografia. È questa discrepanza che ispira l’opera di Barbara Probst.
Attraverso un notevole gruppo di fotografie in bianco e nero James Welling propone uno straordinario slittamento nel soggetto dell’immagine: una tenda, e la percezione o la sensazione dell’osservatore che è stato presentato un evento inenarrabile. L’alterazione in questo caso non è un momento di Photoshop né un momento al rallentatore, ma è piuttosto un alterco duro e quasi fisico tra la documentazione di un soggetto e la rara abilità di Welling di liberare l’osservatore da ogni aspettativa che la fotografia sia questione di veridicità o interpretazione. Nel negare all’osservatore l’accesso a questi standard fotografici, Welling ha scardinato la fotografia dal legame con il momento documentaristico o fotogiornalistico in cui il classico “momento della verità” di Cartier Bresson l’aveva a lungo collocata.
In una straordinaria opera intitolata DANCE e presentata per la prima volta nel 1979, con la coreografia di Lucinda Childs, la musica di Philip Glass e la proiezione di un film realizzato dall’artista Sol LeWitt - primo e unico film diretto dall’artista - il tempo reale e quello filmico sono collassati. Per l’esposizione, la proiezione del video sarà accompagnata da disegni, spartiti, lettere e fotografie raramente esposti al pubblico che offrono uno sguardo sorprendente sul lavoro visivo e coreografico di Lucinda Childs e Sol LeWitt e sulla loro efficacissima collaborazione con il compositore Philip Glass. Il film, i disegni e le fotografie vengono visti in Italia per la prima volta. All’inizio DANCE sembra proporre una coreografia che si crea semplicemente mano a mano che i ballerini entrano ed escono dalla scena, a sinistra e a destra nel tempo presente. Quando viene introdotto il film di LeWitt, proiettato su una tela, i ballerini filmati nel 1979 rafforzano e al contempo contraddicono la performance contemporanea dal vivo. Lo spettatore si trova a cavallo tra passato, presente e futuro cercando di verificare o allineare il proprio punto di vista visivo che alla fine non può essere fissato né nel passato, né nel presente, né nel futuro.
Le fotografie e i film di Mark Lewis usano la retroproiezione per liberare l’osservatore dalla tradizionale dipendenza dal singolo punto di vista, dalla verità visiva e dagli atti di interpretazione soggettiva. Nel dividere i suoi film in due cornici spaziali - una che usa la retroproiezione e l’altra filmata come un’azione classica - Lewis permette all’osservatore di diventare l’obbiettivo attraverso il quale ha luogo una convergenza visiva mentre due eventi vengono fusi: un’azione dal vivo e un’azione filmata in passato. Se è vero che i primi registi di Hollywood usavano la retroproiezione perché era uno strumento di ripresa economico (era più conveniente girare una scena sulla strada come retroproiezione che come azione dal vivo), altri registi, tra cui Alfred Hitchcok, la adoperavano come un nuovo linguaggio visivo che combinava e metteva in dubbio due versioni di un’azione. Il modo in cui Lewis usa la retroproiezione nasce dal trattamento innovativo che ne fa Hitchcock. Oltre alle opere installate, un evento speciale serale che si terrà alla Galleria Gentili proporrà una proiezione di Back Story, breve documentario di Lewis sulla scomparsa della tecnologia della retroproiezione, e de Il mistero del marito scomparso, un classico degli anni ’50 con Ann Sheridan e Dennis O'Keefe in cui viene usato il sistema di proiezione a retro schermo. All’interno dell’insolito progetto realizzato in collaborazione con il fotografo James Welling, il libro a tiratura limitata “Frolic Architecture, l’opera di Susan Howe funziona sia come poesia che come montaggio/collage visivo. Susan Howe fa a meno della gerarchia del linguaggio e della sua struttura visiva. Il libro sarà esposto nella mostra sia sotto forma di edizione rilegata sia sotto forma di una serie di stampe con le fotografie di James Welling e le poesie di Susan Howe. Le poesie sono state composte in reazione alle opere di Jonathan Edwards, importante teologo e filosofo nato negli Usa nel 1703, di sua sorella Hannah, nonché alle opere di Ovidio e Hawthorne. Susan Howe ha trovato gli scritti di James Edwards e di sua sorella Hannah alla Yale Beinecke Library. Il manoscritto di Edwards presenta un importante e insolito esempio di una struttura visiva costruita in base a punti di vista multipli. Nella sua opera Susan Howe a volte elimina quasi il linguaggio riconoscibile, a volte trova l’equivalente visivo di un otturatore tenuto aperto o chiuso di colpo. Il titolo della mostra To A Degree, Rational è un verso di una poesia di Susan Howe che appare nel progetto realizzato in collaborazione con James Welling.
* Courtesy Susan Howe, Dal poema nel Frolic Architecture, scritto da Susan Howe, 2009.
Barbara Probst, James Welling, Lucinda Childs, Sol LeWitt, Susan Howe, Mark Lewis
Con progetti in collaborazione di: James Welling/Susan Howe, Lucinda Childs/Sol LeWitt/Philip Glass
15 Maggio 2010 - 30 Giugno 2010
Inaugurazione 15 Maggio 2010, 18:00
Quattro anni dopo la morte di Lenin avvenuta nel 1924, l’artista Alexander Rodchenko scrisse: “Dimmi sinceramente cosa dovrebbe rimanere di Lenin, un bronzo, dei ritratti a olio, delle indecisioni, degli acquerelli, il diario della sua segretaria, le memorie dei suoi amici – oppure una raccolta di fotografie scattate mentre lavorava o riposava, gli archivi dei suoi libri, i blocchi per gli appunti, i taccuini, i verbali stenografici, i film o le registrazioni fonografiche?” Le parole di Rodchenko possono essere lette come una semplice domanda per capire in che modo la storia debba preservare Lenin, ovvero con quali documenti concreti Lenin venga ri-presentato. Rodchenko non lo chiede perché è alla ricerca del veicolo di rappresentazione appropriato, ma perché esprime dei dubbi. Ma cos’è che Rodchenko dubita? È la veridicità di qualsiasi medium artistico di dare un’autentica rappresentazione di Lenin? O forse Rodchenko è più preoccupato della gerarchia visiva che conferisce verità a una fonte primaria e una verità leggermente inferiore a una fonte secondaria? O forse Rodchenko usa semplicemente questa domanda per sottolineare il problema fondamentale della rappresentazione stessa e l’attaccamento a un punto di vista unico e determinato che la caratterizza?
To a degree, Rational presenta le opere di Barbara Probst, James Welling, Lucinda Childs/Sol LeWitt/Philip Glass, Mark Lewis e un libro realizzato in collaborazione da James Welling e Susan Howe. La mostra include fotografie, film, coreografie, disegni e un libro d’artista che intendono liberare l’osservatore dalla classica promessa della percezione: il punto di vista unico, fisso, frontale. Nonostante il mondo sia pieno di riprese a telecamera multipla, si viva in un universo dove si fanno più cose contemporaneamente e sia difficile trovare qualcuno a leggere tranquillo a casa, l’osservatore si aspetta sempre un sistema diretto di resa visiva. Nel lavoro di Barbara Probst, che usa la fotografia per rendere sequenze girate simultaneamente con un congegno radio comandato, in un primo momento l’immagine pare quasi arrendersi allo sviluppo narrativo. Se le immagini sembrano singoli fotogrammi scattati nel corso del tempo, esse tuttavia non tornano in base a nessun filtro temporale. Al contrario, l’opera si fonda sulla prassi della scultura, come un evento che accade nello spazio e non nel tempo com’ è abitudine in gran parte della fotografia. È questa discrepanza che ispira l’opera di Barbara Probst.
Attraverso un notevole gruppo di fotografie in bianco e nero James Welling propone uno straordinario slittamento nel soggetto dell’immagine: una tenda, e la percezione o la sensazione dell’osservatore che è stato presentato un evento inenarrabile. L’alterazione in questo caso non è un momento di Photoshop né un momento al rallentatore, ma è piuttosto un alterco duro e quasi fisico tra la documentazione di un soggetto e la rara abilità di Welling di liberare l’osservatore da ogni aspettativa che la fotografia sia questione di veridicità o interpretazione. Nel negare all’osservatore l’accesso a questi standard fotografici, Welling ha scardinato la fotografia dal legame con il momento documentaristico o fotogiornalistico in cui il classico “momento della verità” di Cartier Bresson l’aveva a lungo collocata.
In una straordinaria opera intitolata DANCE e presentata per la prima volta nel 1979, con la coreografia di Lucinda Childs, la musica di Philip Glass e la proiezione di un film realizzato dall’artista Sol LeWitt - primo e unico film diretto dall’artista - il tempo reale e quello filmico sono collassati. Per l’esposizione, la proiezione del video sarà accompagnata da disegni, spartiti, lettere e fotografie raramente esposti al pubblico che offrono uno sguardo sorprendente sul lavoro visivo e coreografico di Lucinda Childs e Sol LeWitt e sulla loro efficacissima collaborazione con il compositore Philip Glass. Il film, i disegni e le fotografie vengono visti in Italia per la prima volta. All’inizio DANCE sembra proporre una coreografia che si crea semplicemente mano a mano che i ballerini entrano ed escono dalla scena, a sinistra e a destra nel tempo presente. Quando viene introdotto il film di LeWitt, proiettato su una tela, i ballerini filmati nel 1979 rafforzano e al contempo contraddicono la performance contemporanea dal vivo. Lo spettatore si trova a cavallo tra passato, presente e futuro cercando di verificare o allineare il proprio punto di vista visivo che alla fine non può essere fissato né nel passato, né nel presente, né nel futuro.
Le fotografie e i film di Mark Lewis usano la retroproiezione per liberare l’osservatore dalla tradizionale dipendenza dal singolo punto di vista, dalla verità visiva e dagli atti di interpretazione soggettiva. Nel dividere i suoi film in due cornici spaziali - una che usa la retroproiezione e l’altra filmata come un’azione classica - Lewis permette all’osservatore di diventare l’obbiettivo attraverso il quale ha luogo una convergenza visiva mentre due eventi vengono fusi: un’azione dal vivo e un’azione filmata in passato. Se è vero che i primi registi di Hollywood usavano la retroproiezione perché era uno strumento di ripresa economico (era più conveniente girare una scena sulla strada come retroproiezione che come azione dal vivo), altri registi, tra cui Alfred Hitchcok, la adoperavano come un nuovo linguaggio visivo che combinava e metteva in dubbio due versioni di un’azione. Il modo in cui Lewis usa la retroproiezione nasce dal trattamento innovativo che ne fa Hitchcock. Oltre alle opere installate, un evento speciale serale che si terrà alla Galleria Gentili proporrà una proiezione di Back Story, breve documentario di Lewis sulla scomparsa della tecnologia della retroproiezione, e de Il mistero del marito scomparso, un classico degli anni ’50 con Ann Sheridan e Dennis O'Keefe in cui viene usato il sistema di proiezione a retro schermo. All’interno dell’insolito progetto realizzato in collaborazione con il fotografo James Welling, il libro a tiratura limitata “Frolic Architecture, l’opera di Susan Howe funziona sia come poesia che come montaggio/collage visivo. Susan Howe fa a meno della gerarchia del linguaggio e della sua struttura visiva. Il libro sarà esposto nella mostra sia sotto forma di edizione rilegata sia sotto forma di una serie di stampe con le fotografie di James Welling e le poesie di Susan Howe. Le poesie sono state composte in reazione alle opere di Jonathan Edwards, importante teologo e filosofo nato negli Usa nel 1703, di sua sorella Hannah, nonché alle opere di Ovidio e Hawthorne. Susan Howe ha trovato gli scritti di James Edwards e di sua sorella Hannah alla Yale Beinecke Library. Il manoscritto di Edwards presenta un importante e insolito esempio di una struttura visiva costruita in base a punti di vista multipli. Nella sua opera Susan Howe a volte elimina quasi il linguaggio riconoscibile, a volte trova l’equivalente visivo di un otturatore tenuto aperto o chiuso di colpo. Il titolo della mostra To A Degree, Rational è un verso di una poesia di Susan Howe che appare nel progetto realizzato in collaborazione con James Welling.
* Courtesy Susan Howe, Dal poema nel Frolic Architecture, scritto da Susan Howe, 2009.
15
maggio 2010
To A Degree Rational
Dal 15 maggio al 30 giugno 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA GENTILI (SEDE DEFINITIVAMENTE CHIUSA)
Prato, Via Del Carmine, 11, (Prato)
Prato, Via Del Carmine, 11, (Prato)
Orario di apertura
da martedi a sabato 14-19
Vernissage
15 Maggio 2010, ore 18:00
Autore