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Toni Bellucci – Laboratorio Alchemico
Il quadro non è più il quadro, ma l’intero ambiente coinvolto, ed è in questo senso che si presenta la mostra Laboratorio alchemico, allestita presso lo Spazio 121 di Pippo Cosenza, dove Bellucci vitalizza un vero e proprio mondo parallelo.
Comunicato stampa
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TONI BELLUCCI. LABORATORIO ALCHEMICO
“È vero senza menzogna, certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto,
e ciò che è in alto è come ciò che è in basso
per fare i miracoli della cosa una.”
(Ermete Trismegisto)
L’artista che si avventura sulla strada dell’alchimia, tiene fede a una cultura profondamente radicata nella storia. Mantiene vivo il processo d’immedesimazione dell’operato creativo come riflesso spontaneo del rapporto tra spirito e materia così come, parallelamente, predispone l’accoglienza di sistemi allegorici per trasformare l’esperienza comunicativa in espressione arcana ricca di messaggi ermetici e incanalata nella più profonda dimensione del mistero.
In ciò è da individuare il percorso di Toni Bellucci la cui attenzione, ormai da molti anni, si rivolge ai segreti del tempo, scandita da riferimenti direttamente tratti dalla propria territorialità eugubina e aperti a una ricerca raffinata, non priva di spunti originali. Il passato come spazio del pensiero magico, quando la scienza apparteneva alla metrica del simbolo. Così Bellucci intende la sua opera: contemporanea, poiché espressa con le metodologie dell’oggi, distante dal limite della tradizione pittorico-scultorea e più ampiamente estesa verso orizzonti inclusivi di spazio e tempo; antica, perché ricca di una sapienza che affonda le radici nei fumi densi del passato.
Il quadro non è più il quadro, ma l’intero ambiente coinvolto, ed è in questo senso che si presenta la mostra Laboratorio alchemico, allestita presso lo Spazio 121 di Pippo Cosenza, dove Bellucci vitalizza un vero e proprio mondo parallelo, trasformando l’area interna in qualcosa di arcaico in cui pure le pareti assumono un carattere ambiguo e contraddittorio. Nulla, nel linguaggio alchemico, è ciò che sembra: il colore non è solo colore, la materia non è solo materia, il segno non è semplicemente un segno. La scrittura diviene geroglifica, così da non poter essere direttamente interpretata e in ciò si rileva, ancora, il legame dell’artista con la propria terra. Qando si analizzano opere come Dittico, ad esempio, dove il richiamo è direttamente legato alle tavole Iguvine del III-I sec. a. C. (da Iguvium, antico nome di Gubbio) recanti incise prescrizioni rituali, indicazioni a carattere civico, militare, religioso, base di studio per numerosi linguisti e filosofi nonché traccia preziosissima di un passato scritto che tramuta la storia in leggenda. Bellucci tributa la propria terra, parallelamente realizzando la sua personale “tavola di smeraldo”, così ricorda l’imprescindibile strumento del sapere alchemico, dove lo stesso Ermete Trismegisto avrebbe inciso i “comandamenti” per giungere alla Grande arte (Fig. 1) e che ogni alchimista segue come precetti per armonizzare le proprie scoperte.
Nel “laboratorio alchemico” prevale un’aura di mistero, solo l’iniziato può muovere i propri passi, ma esiste un possibile spiraglio, una fenditura dove ad ognuno è dato entrare e questo sembra essere il tentativo di Bellucci, quando da artista interpreta il fascino arcano del mondo magico offrendolo nella complessità di forme e segni, organizzato esteticamente in forma della personale sensibilità espressiva. All’interno di questo “laboratorio” si può entrare, muovendosi tra simboli e materiali allusivi, espedienti, talvolta, per giungere alla definizione del rapporto tra umanità e cosmo. Le forme geometriche ricordano antichi disegni, testimonianze lontane di maestri del sapere giunte a noi per narrarci la rotta da seguire. I materiali sono quelli della trasmutazione simbolica: il carbone, l’oro, il verderame, lo zolfo, il sale, come richiamato dall’opera Elementi, per ognuno di loro c’è un particolare processo trasformativo che unito agli altri origina la scala per ascendere alla purezza (Fig. 2). Il mistero alchemico si fonde con quello spirituale, ogni materiale è strumento di crescita e proprio l’artista è depositario di tali conoscenze utilizzando gli stessi materiale per giungere alla magia della raffigurazione.
Bellucci ci ricorda quanto l’arte sia strumento di conoscenza, prima ancora della vanità, della ricerca di affermazione personale, l’artista è alchimista della forma, che prendendo i materiali della trasmutazione spirituale li adatta all’immagine pittorica. Così come la geometria, sempre riferita agli elementi del sacro con cui, in passato, si costruivano gli impianti formali dell’intera raffigurazione. In questo senso l’eugubino reinterpreta quel pensiero, liberandosi dalla raffigurazione e incanalando il proprio essere nella verità di ogni singolo elemento. Ne emerge una suggestione magica, corroborata dalla possibilità di immergersi in tale processo grazie alla presenza reale di questi stessi elementi, collocati talvolta entro recipienti, altre direttamente sui quadri. Caratteristica quest’ultima del lavoro di Bellucci più volte espressa e richiamante la dimensione sacra del reliquiario. Così ad esempio si ricordava nel 2018 in occasione della mostra Brana, presso il Fuseum di Perugia, quando l’artista presentava opere legate al tema dell’archeologia, ma un’archeologia opportunamente definita “immaginaria”, in parte richiamando un mondo esistito nell’inconscio dell’autore, ma tratto da una cultura reale e maturata nell’attenta analisi di reperti antichi. Un completo abbandono alla suggestione inventiva in un itinerario di ricerca infinita dove le tracce del passato sono reali solo nell’allusione.
Il Bellucci è dunque quel poeta dell’antico capace di risvegliare la suggestione del passato, ma strettamente legato alla dimensione magico-esoterica delle nostre radici sociali e artistiche. L’alchimia come processo di affinamento della materia e percorso metaforico verso il miglioramento spirituale che trova nell’arte la sua pratica più autentica: “Ciò che vive secondo la ragione, vive contro o spirito”, così scriveva Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1493-1541) nei suoi infiniti scritti, sottolineando qualcosa valido ancora oggi: la strada della verità non passa attraverso l’empirismo scientifico, bensì nella ricerca interiore del sé. Ma questa ricerca attraversa inevitabilmente anche la materia la cui macerazione attende ad ognuno di noi come processo di dissoluzione delle certezze verso la riconquista collettiva del rapporto con il cosmo. Così la ruggine (o rugine) come primo processo di disgregazione dei metalli, ruggine che è rossa di rubedo, già predisponendosi al raggiungimento della perfezione aurea e che Bellucci richiama in una serie di opere dove il colore dell’ossidazione del ferro coinvolge l’insieme pittorico.
Vediamo l’artista immerso nella preparazione delle sue opere, attorniato da elementi eterogenei come vasi, ciotole, pietre preziose, metalli, reperti antichi. Tutto falso, come quella pietra filosofale che davvero non esiste, ma che infine è l’unica realtà possibile proprio nella finzione artistica, poiché per credere davvero bisogna abbandonare le certezze. Così come nel “laboratorio alchemico”, dove la verità si manifesta nel suo opposto, e dove il colore non è solo colore, la materia non è solo materia, il segno non è semplicemente un segno.
Andrea Baffoni, Perugia, maggio 2019
“È vero senza menzogna, certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto,
e ciò che è in alto è come ciò che è in basso
per fare i miracoli della cosa una.”
(Ermete Trismegisto)
L’artista che si avventura sulla strada dell’alchimia, tiene fede a una cultura profondamente radicata nella storia. Mantiene vivo il processo d’immedesimazione dell’operato creativo come riflesso spontaneo del rapporto tra spirito e materia così come, parallelamente, predispone l’accoglienza di sistemi allegorici per trasformare l’esperienza comunicativa in espressione arcana ricca di messaggi ermetici e incanalata nella più profonda dimensione del mistero.
In ciò è da individuare il percorso di Toni Bellucci la cui attenzione, ormai da molti anni, si rivolge ai segreti del tempo, scandita da riferimenti direttamente tratti dalla propria territorialità eugubina e aperti a una ricerca raffinata, non priva di spunti originali. Il passato come spazio del pensiero magico, quando la scienza apparteneva alla metrica del simbolo. Così Bellucci intende la sua opera: contemporanea, poiché espressa con le metodologie dell’oggi, distante dal limite della tradizione pittorico-scultorea e più ampiamente estesa verso orizzonti inclusivi di spazio e tempo; antica, perché ricca di una sapienza che affonda le radici nei fumi densi del passato.
Il quadro non è più il quadro, ma l’intero ambiente coinvolto, ed è in questo senso che si presenta la mostra Laboratorio alchemico, allestita presso lo Spazio 121 di Pippo Cosenza, dove Bellucci vitalizza un vero e proprio mondo parallelo, trasformando l’area interna in qualcosa di arcaico in cui pure le pareti assumono un carattere ambiguo e contraddittorio. Nulla, nel linguaggio alchemico, è ciò che sembra: il colore non è solo colore, la materia non è solo materia, il segno non è semplicemente un segno. La scrittura diviene geroglifica, così da non poter essere direttamente interpretata e in ciò si rileva, ancora, il legame dell’artista con la propria terra. Qando si analizzano opere come Dittico, ad esempio, dove il richiamo è direttamente legato alle tavole Iguvine del III-I sec. a. C. (da Iguvium, antico nome di Gubbio) recanti incise prescrizioni rituali, indicazioni a carattere civico, militare, religioso, base di studio per numerosi linguisti e filosofi nonché traccia preziosissima di un passato scritto che tramuta la storia in leggenda. Bellucci tributa la propria terra, parallelamente realizzando la sua personale “tavola di smeraldo”, così ricorda l’imprescindibile strumento del sapere alchemico, dove lo stesso Ermete Trismegisto avrebbe inciso i “comandamenti” per giungere alla Grande arte (Fig. 1) e che ogni alchimista segue come precetti per armonizzare le proprie scoperte.
Nel “laboratorio alchemico” prevale un’aura di mistero, solo l’iniziato può muovere i propri passi, ma esiste un possibile spiraglio, una fenditura dove ad ognuno è dato entrare e questo sembra essere il tentativo di Bellucci, quando da artista interpreta il fascino arcano del mondo magico offrendolo nella complessità di forme e segni, organizzato esteticamente in forma della personale sensibilità espressiva. All’interno di questo “laboratorio” si può entrare, muovendosi tra simboli e materiali allusivi, espedienti, talvolta, per giungere alla definizione del rapporto tra umanità e cosmo. Le forme geometriche ricordano antichi disegni, testimonianze lontane di maestri del sapere giunte a noi per narrarci la rotta da seguire. I materiali sono quelli della trasmutazione simbolica: il carbone, l’oro, il verderame, lo zolfo, il sale, come richiamato dall’opera Elementi, per ognuno di loro c’è un particolare processo trasformativo che unito agli altri origina la scala per ascendere alla purezza (Fig. 2). Il mistero alchemico si fonde con quello spirituale, ogni materiale è strumento di crescita e proprio l’artista è depositario di tali conoscenze utilizzando gli stessi materiale per giungere alla magia della raffigurazione.
Bellucci ci ricorda quanto l’arte sia strumento di conoscenza, prima ancora della vanità, della ricerca di affermazione personale, l’artista è alchimista della forma, che prendendo i materiali della trasmutazione spirituale li adatta all’immagine pittorica. Così come la geometria, sempre riferita agli elementi del sacro con cui, in passato, si costruivano gli impianti formali dell’intera raffigurazione. In questo senso l’eugubino reinterpreta quel pensiero, liberandosi dalla raffigurazione e incanalando il proprio essere nella verità di ogni singolo elemento. Ne emerge una suggestione magica, corroborata dalla possibilità di immergersi in tale processo grazie alla presenza reale di questi stessi elementi, collocati talvolta entro recipienti, altre direttamente sui quadri. Caratteristica quest’ultima del lavoro di Bellucci più volte espressa e richiamante la dimensione sacra del reliquiario. Così ad esempio si ricordava nel 2018 in occasione della mostra Brana, presso il Fuseum di Perugia, quando l’artista presentava opere legate al tema dell’archeologia, ma un’archeologia opportunamente definita “immaginaria”, in parte richiamando un mondo esistito nell’inconscio dell’autore, ma tratto da una cultura reale e maturata nell’attenta analisi di reperti antichi. Un completo abbandono alla suggestione inventiva in un itinerario di ricerca infinita dove le tracce del passato sono reali solo nell’allusione.
Il Bellucci è dunque quel poeta dell’antico capace di risvegliare la suggestione del passato, ma strettamente legato alla dimensione magico-esoterica delle nostre radici sociali e artistiche. L’alchimia come processo di affinamento della materia e percorso metaforico verso il miglioramento spirituale che trova nell’arte la sua pratica più autentica: “Ciò che vive secondo la ragione, vive contro o spirito”, così scriveva Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hohenheim, 1493-1541) nei suoi infiniti scritti, sottolineando qualcosa valido ancora oggi: la strada della verità non passa attraverso l’empirismo scientifico, bensì nella ricerca interiore del sé. Ma questa ricerca attraversa inevitabilmente anche la materia la cui macerazione attende ad ognuno di noi come processo di dissoluzione delle certezze verso la riconquista collettiva del rapporto con il cosmo. Così la ruggine (o rugine) come primo processo di disgregazione dei metalli, ruggine che è rossa di rubedo, già predisponendosi al raggiungimento della perfezione aurea e che Bellucci richiama in una serie di opere dove il colore dell’ossidazione del ferro coinvolge l’insieme pittorico.
Vediamo l’artista immerso nella preparazione delle sue opere, attorniato da elementi eterogenei come vasi, ciotole, pietre preziose, metalli, reperti antichi. Tutto falso, come quella pietra filosofale che davvero non esiste, ma che infine è l’unica realtà possibile proprio nella finzione artistica, poiché per credere davvero bisogna abbandonare le certezze. Così come nel “laboratorio alchemico”, dove la verità si manifesta nel suo opposto, e dove il colore non è solo colore, la materia non è solo materia, il segno non è semplicemente un segno.
Andrea Baffoni, Perugia, maggio 2019
23
giugno 2019
Toni Bellucci – Laboratorio Alchemico
Dal 23 giugno al 07 luglio 2019
arte contemporanea
Location
SPAZIO 121
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Orario di apertura
da lunedì a Domenica ore 15,30 - 18,30 o per appuntamento
Vernissage
23 Giugno 2019, ore 18:00
Autore
Curatore