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Torino e le grandi trasformazioni
Incontro con Benedetto Camerana (Camerana & Partners) – architetto
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Il tema di questo incontro è la presentazione del processo di trasformazione urbana di Torino, raccontato attraverso l’individuazione dei fattori e degli episodi principali del processo. In questo quadro generale, vorrei presentare le opere per i giochi Olimpici Invernali, e in particolare il Villaggio Olimpico Atleti, che hanno un ruolo di primo piano nella trasformazione.
Per capire la struttura di questo processo urbanistico, è utile ripercorrere alcuni passaggi della storia politico amministrativa italiana, determinanti per avviare la corrente fase di sviluppo architettonico di Torino e delle nostre città. Il primo fattore è l’adozione, nel 1993, della nuova legge sull'elezione diretta del sindaco. Da questa data le città italiane chiudono un periodo di governi locali deboli e di breve durata, prigionieri dei veti incrociati dei gruppi consiliari, e finalmente possono trovare nel sindaco un leader durevole, libero di pianificare, nel maggior tempo garantito dalla durata del mandato (quasi sempre ripetuto con la rielezione), le ormai improrogabili azioni di rinnovamento delle città.
Il secondo è l’adozione, dal 1994, di una nuova legge per i Lavori Pubblici, la cosiddetta legge Merloni, che tra le altre cose stimola e regola il concorso di architettura, anche nella più stringata forma del “bando di progettazione”, entrambi comunque orientati verso l’obiettivo della competizione tra progetti o progettisti. La Merloni segue il terremoto politico di “tangentopoli”, e chiude con una certa efficacia il periodo degli affidamenti clientelari. Queste due date avviano un processo progressivo che porta all’attuale rinascita dell’architettura pubblica, che soprattutto dopo il 2000 riporta le città italiane ad un livello paragonabile a quello dei maggiori centri europei.
Questa nuova fase è segnata da due movimenti particolarmente significativi: da una parte la discesa in Italia di molti affermati progettisti europei, forti dei loro consolidati curricula in opere pubbliche di architettura, maturati negli anni ’80 e ’90, esperienza quasi impossibile nell’Italia di allora. Dall’altra la graduale crescita di alcuni giovani architetti italiani, generalmente nati negli anni ‘60, che combinando occasione storica, energia giovanile e apertura internazionale hanno saputo imporsi tra i protagonisti della trasformazione.
A Torino questa fortunata coincidenza si è sposata con altri fattori concomitanti. Primo tra essi, il nuovo Piano Regolatore Generale Comunale, che nel tempo dà il via a molti programmi di trasformazione urbana, pubblici e privati, tra i quali i progetti di rigenerazione di aree dismesse, alcune particolarmente grandi. La più importante è la cosiddetta Spina 3, alla quale io ho lavorato con il mio primo progetto, l’Environment Park, episodio di effettivo avvio, nel 1997, di questa storia del ridisegno urbano. Ma ancor prima, l’avvio dell’opera dell’interramento dei binari ferroviari, che tagliavano e ancora in parte tagliano la città in parti, con la realizzazione del cosiddetto Passante, che con sé porta, in combinazione con il PRGC, anche la costruzione di diversi edifici sulle aree liberate. Tra questi, la nuova stazione di Porta Susa. E finalmente, la prima linea di Metropolitana, la cui prima tratta è portata a termine proprio ora. Infine, in questa convergenza di iniziative si innesta il complesso programma di realizzazione delle opere per le Olimpiadi Invernali. Coordinati dall’Agenzia 2006, vengono in breve tempo e in diverse aree di Torino avviati dodici complessi architettonici principali: sette Villaggi Media, quattro palazzi del ghiaccio e un Villaggio Atleti, che è il focus di questa presentazione.
Questo variegato insieme di azioni, tra loro anche indipendenti ma ben coordinate dall’amministrazione, trasforma e moltiplica la città: la sua immagine, le centralità, le connessioni, i punti focali. Ma c’è anche un valore nuovo e forse inatteso: Torino sta diventando una galleria di opere di architettura che mette in fila anche importanti autori internazionali. Qualche nome: Ambasz, AREP, Aulenti, Barrow, Bellini, Botta, Buffi, Fuksas, Isozaki, Foster, Piano, Silvestrin, oltre ai migliori professionisti locali, lasciano ognuno uno o più segni nella città. A questi si aggiungono Constantin, Diener, Doggart, Dutton, Krischanitz, Ortner, Hilmer e Sattler, Steidle che, da me coordinati, e insieme a noi i torinesi Barone, Derossi, Rosental disegnano la multiforme ricchezza architettonica del grande complesso del Villaggio Olimpico Atleti.
Il Villaggio è dunque emblematico di questa nuova stagione torinese. La difficile integrazione del lavoro di tanti architetti di diversa cultura è stata voluta non solo per simboleggiare lo spirito olimpico attraverso l’incontro e la collaborazione tra le nazioni, ma soprattutto per dare forma in modo quasi sperimentale, ed in chiave europea, a una varietà di disegno e di forme senza la quale non si può avere un vero effetto città. L’obiettivo del progetto infatti non era solo la realizzazione del Villaggio ad uso dei giochi, ma prima di tutto un nuovo quartiere di Torino. Su questo solido tessuto si innestano l’arco olimpico, con il ponte di connessione con il Lingotto, e il gioco dei colori sulle facciate delle molte case, simboli entrambi dell’evento olimpico e memoria di esso per la città futura. L’arco rosso, con la sua tesa e ardita leggerezza costruttiva, testimonia la trasformazione di Torino da città dell’industria pesante a centro di ricerca e innovazione. Gli undici colori, pazientemente distribuiti da Erich Wiesner su 80 facciate, partecipano come un’installazione di arte urbana alla riconosciuta vocazione torinese per l’arte contemporanea.
Per capire la struttura di questo processo urbanistico, è utile ripercorrere alcuni passaggi della storia politico amministrativa italiana, determinanti per avviare la corrente fase di sviluppo architettonico di Torino e delle nostre città. Il primo fattore è l’adozione, nel 1993, della nuova legge sull'elezione diretta del sindaco. Da questa data le città italiane chiudono un periodo di governi locali deboli e di breve durata, prigionieri dei veti incrociati dei gruppi consiliari, e finalmente possono trovare nel sindaco un leader durevole, libero di pianificare, nel maggior tempo garantito dalla durata del mandato (quasi sempre ripetuto con la rielezione), le ormai improrogabili azioni di rinnovamento delle città.
Il secondo è l’adozione, dal 1994, di una nuova legge per i Lavori Pubblici, la cosiddetta legge Merloni, che tra le altre cose stimola e regola il concorso di architettura, anche nella più stringata forma del “bando di progettazione”, entrambi comunque orientati verso l’obiettivo della competizione tra progetti o progettisti. La Merloni segue il terremoto politico di “tangentopoli”, e chiude con una certa efficacia il periodo degli affidamenti clientelari. Queste due date avviano un processo progressivo che porta all’attuale rinascita dell’architettura pubblica, che soprattutto dopo il 2000 riporta le città italiane ad un livello paragonabile a quello dei maggiori centri europei.
Questa nuova fase è segnata da due movimenti particolarmente significativi: da una parte la discesa in Italia di molti affermati progettisti europei, forti dei loro consolidati curricula in opere pubbliche di architettura, maturati negli anni ’80 e ’90, esperienza quasi impossibile nell’Italia di allora. Dall’altra la graduale crescita di alcuni giovani architetti italiani, generalmente nati negli anni ‘60, che combinando occasione storica, energia giovanile e apertura internazionale hanno saputo imporsi tra i protagonisti della trasformazione.
A Torino questa fortunata coincidenza si è sposata con altri fattori concomitanti. Primo tra essi, il nuovo Piano Regolatore Generale Comunale, che nel tempo dà il via a molti programmi di trasformazione urbana, pubblici e privati, tra i quali i progetti di rigenerazione di aree dismesse, alcune particolarmente grandi. La più importante è la cosiddetta Spina 3, alla quale io ho lavorato con il mio primo progetto, l’Environment Park, episodio di effettivo avvio, nel 1997, di questa storia del ridisegno urbano. Ma ancor prima, l’avvio dell’opera dell’interramento dei binari ferroviari, che tagliavano e ancora in parte tagliano la città in parti, con la realizzazione del cosiddetto Passante, che con sé porta, in combinazione con il PRGC, anche la costruzione di diversi edifici sulle aree liberate. Tra questi, la nuova stazione di Porta Susa. E finalmente, la prima linea di Metropolitana, la cui prima tratta è portata a termine proprio ora. Infine, in questa convergenza di iniziative si innesta il complesso programma di realizzazione delle opere per le Olimpiadi Invernali. Coordinati dall’Agenzia 2006, vengono in breve tempo e in diverse aree di Torino avviati dodici complessi architettonici principali: sette Villaggi Media, quattro palazzi del ghiaccio e un Villaggio Atleti, che è il focus di questa presentazione.
Questo variegato insieme di azioni, tra loro anche indipendenti ma ben coordinate dall’amministrazione, trasforma e moltiplica la città: la sua immagine, le centralità, le connessioni, i punti focali. Ma c’è anche un valore nuovo e forse inatteso: Torino sta diventando una galleria di opere di architettura che mette in fila anche importanti autori internazionali. Qualche nome: Ambasz, AREP, Aulenti, Barrow, Bellini, Botta, Buffi, Fuksas, Isozaki, Foster, Piano, Silvestrin, oltre ai migliori professionisti locali, lasciano ognuno uno o più segni nella città. A questi si aggiungono Constantin, Diener, Doggart, Dutton, Krischanitz, Ortner, Hilmer e Sattler, Steidle che, da me coordinati, e insieme a noi i torinesi Barone, Derossi, Rosental disegnano la multiforme ricchezza architettonica del grande complesso del Villaggio Olimpico Atleti.
Il Villaggio è dunque emblematico di questa nuova stagione torinese. La difficile integrazione del lavoro di tanti architetti di diversa cultura è stata voluta non solo per simboleggiare lo spirito olimpico attraverso l’incontro e la collaborazione tra le nazioni, ma soprattutto per dare forma in modo quasi sperimentale, ed in chiave europea, a una varietà di disegno e di forme senza la quale non si può avere un vero effetto città. L’obiettivo del progetto infatti non era solo la realizzazione del Villaggio ad uso dei giochi, ma prima di tutto un nuovo quartiere di Torino. Su questo solido tessuto si innestano l’arco olimpico, con il ponte di connessione con il Lingotto, e il gioco dei colori sulle facciate delle molte case, simboli entrambi dell’evento olimpico e memoria di esso per la città futura. L’arco rosso, con la sua tesa e ardita leggerezza costruttiva, testimonia la trasformazione di Torino da città dell’industria pesante a centro di ricerca e innovazione. Gli undici colori, pazientemente distribuiti da Erich Wiesner su 80 facciate, partecipano come un’installazione di arte urbana alla riconosciuta vocazione torinese per l’arte contemporanea.
06
febbraio 2006
Torino e le grandi trasformazioni
06 febbraio 2006
incontro - conferenza
Location
TORINO INCONTRA
Torino, Via Nino Costa, 8, (Torino)
Torino, Via Nino Costa, 8, (Torino)
Vernissage
6 Febbraio 2006, ore 16.30
Ufficio stampa
STILEMA