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Tornano gli spaventapasseri
Una manifestazione quella degli “spaventapasseri” che si inserisce all’interno della Fiera dei Fiori, la prima mostra mercato che si realizza nel cuore della città di Roma
Comunicato stampa
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Una manifestazione quella degli “spaventapasseri” che si inserisce all’interno della Fiera dei Fiori, la prima mostra mercato che si realizza nel cuore della città di Roma, all’interno del Parco della Musica, luogo prestigioso per la sua architettura e per i contenuti che è deputato ad ospitare. Una manifestazione che per prima infrange quella visione che vuole la città e la campagna luoghi separati e quasi antagonisti.
Dimenticato il piacere del verde e della sua cura le città appaiono spesso spoglie ed estranee a quel mondo naturale che ha concesso loro i propri spazi. I fazzoletti di natura scarsamente presenti sono per lo più ridotti a luoghi della memoria, intoccabili ed a fruizione condizionata, mentre l’assenza quasi totale di amore e di cura per le piante rende le facciate dei nostri palazzi grigie, di un grigiore che accompagna monotonamente l’alternarsi delle stagioni.
La riconquista di una visione globale e la rinnovata coscienza di appartenenza sono le sole a poter alimentare quella cultura del bello e dell’equilibrio capaci di dare colore e gioia al quotidiano.
Dal testo in catalogo:
Quando l’uomo mai distoglieva i piedi da terra e gli occhi dal cielo, quando lo sguardo andava oltre l’orizzonte dove tutto si ricongiunge, quando lo scorrere lento delle ore, dei giorni, delle stagioni segnava il tempo, quando i mondi dell’anima erano in sintonia con i ritmi dell’universo, quando la coscienza dell’appartenenza e della dipendenza governava il quotidiano, loro erano lì, piccola cosa, a difendere il lavoro d’ogni giorno per la sopravvivenza.
Non certo per scongiurare i nubifragi, i terremoti e le catastrofi, ma per tenere lontani gli uccelli.
Quegli stessi uccelli che nell’ambiente naturale, non condizionato dalla presenza umana, propagano il seme dando vita a vegetazioni “spontanee” i cui frutti, a disposizione di tutti, sono la ricchezza della terra.
Ma l’uomo poi, sempre più chino a curare il “proprio” orticello, ha smesso, scacciati gli uccelli, di osservare le stelle, ha innalzato steccati ed ha preso, dimentico dall’antica coscienza e carico della presunzione di chi vuol sentirsi vicino al creatore, a edificare il suo mondo artificiale.
I crocevia dello scambio e dell’incontro sono divenuti rapidamente, nei secoli, tessuti urbani, megalopoli che, sottraendo la terra ai nostri piedi hanno lasciato che gli orizzonti scomparissero dietro le costruzioni.
Lontane dagli ambienti naturali, le città hanno generato luoghi asettici e scandito ritmi incalzanti che, ignorando l’alternarsi del giorno e della notte, del caldo e del freddo, hanno compromesso il rapporto indissolubile tra l’uomo e il suo habitat determinando nel profondo di ogni anima un malessere esistenziale.
La cultura fondata sulla massima specializzazione, insieme alla tendenza esasperata a frammentare, costringono tutto in recinti sempre più piccoli e tra loro privi di comunicazione.
La città e la campagna, l’asfalto e la terra.
Da tempo gli uomini, prigionieri delle proprie case, non coltivano più la terra mentre l’industria, delegata dalla collettività a governare le grandi serre, non si preoccupa più degli uccelli che, non più intimoriti dagli spaventapasseri, sono braccati dai cacciatori.
E gli uccelli con i loro semi si inurbano.
E mentre tra l’asfalto nascono ciuffi verdi di speranza, gli spaventapasseri tornano a reclamare la propria terra.
Dimenticato il piacere del verde e della sua cura le città appaiono spesso spoglie ed estranee a quel mondo naturale che ha concesso loro i propri spazi. I fazzoletti di natura scarsamente presenti sono per lo più ridotti a luoghi della memoria, intoccabili ed a fruizione condizionata, mentre l’assenza quasi totale di amore e di cura per le piante rende le facciate dei nostri palazzi grigie, di un grigiore che accompagna monotonamente l’alternarsi delle stagioni.
La riconquista di una visione globale e la rinnovata coscienza di appartenenza sono le sole a poter alimentare quella cultura del bello e dell’equilibrio capaci di dare colore e gioia al quotidiano.
Dal testo in catalogo:
Quando l’uomo mai distoglieva i piedi da terra e gli occhi dal cielo, quando lo sguardo andava oltre l’orizzonte dove tutto si ricongiunge, quando lo scorrere lento delle ore, dei giorni, delle stagioni segnava il tempo, quando i mondi dell’anima erano in sintonia con i ritmi dell’universo, quando la coscienza dell’appartenenza e della dipendenza governava il quotidiano, loro erano lì, piccola cosa, a difendere il lavoro d’ogni giorno per la sopravvivenza.
Non certo per scongiurare i nubifragi, i terremoti e le catastrofi, ma per tenere lontani gli uccelli.
Quegli stessi uccelli che nell’ambiente naturale, non condizionato dalla presenza umana, propagano il seme dando vita a vegetazioni “spontanee” i cui frutti, a disposizione di tutti, sono la ricchezza della terra.
Ma l’uomo poi, sempre più chino a curare il “proprio” orticello, ha smesso, scacciati gli uccelli, di osservare le stelle, ha innalzato steccati ed ha preso, dimentico dall’antica coscienza e carico della presunzione di chi vuol sentirsi vicino al creatore, a edificare il suo mondo artificiale.
I crocevia dello scambio e dell’incontro sono divenuti rapidamente, nei secoli, tessuti urbani, megalopoli che, sottraendo la terra ai nostri piedi hanno lasciato che gli orizzonti scomparissero dietro le costruzioni.
Lontane dagli ambienti naturali, le città hanno generato luoghi asettici e scandito ritmi incalzanti che, ignorando l’alternarsi del giorno e della notte, del caldo e del freddo, hanno compromesso il rapporto indissolubile tra l’uomo e il suo habitat determinando nel profondo di ogni anima un malessere esistenziale.
La cultura fondata sulla massima specializzazione, insieme alla tendenza esasperata a frammentare, costringono tutto in recinti sempre più piccoli e tra loro privi di comunicazione.
La città e la campagna, l’asfalto e la terra.
Da tempo gli uomini, prigionieri delle proprie case, non coltivano più la terra mentre l’industria, delegata dalla collettività a governare le grandi serre, non si preoccupa più degli uccelli che, non più intimoriti dagli spaventapasseri, sono braccati dai cacciatori.
E gli uccelli con i loro semi si inurbano.
E mentre tra l’asfalto nascono ciuffi verdi di speranza, gli spaventapasseri tornano a reclamare la propria terra.
19
maggio 2006
Tornano gli spaventapasseri
Dal 19 al 21 maggio 2006
arte contemporanea
Location
AUDITORIUM – PARCO DELLA MUSICA
Roma, Viale Pietro De Coubertin, 34, (Roma)
Roma, Viale Pietro De Coubertin, 34, (Roma)
Sito web
www.ilgranarone.com
Autore
Curatore