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Totem & Tabù. Dal gretto del Tevere
Dal gretto del Tevere.
Comunicato stampa
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Si verifica qui ed ora un fatto assolutamente eccezionale del quale, non senza una dose di autocritica, mi accingo a scrivere, e senza ancora averne una precisa cognizione.
Io conosco da molti anni Emilio Anselmi ed ho sempre avuto con lui un rapporto assai piacevole, di un’intesa che sottintendeva una comunanza di idee e di intenti, forse così forte da non sentire neppure la necessità di prenderne consapevolezza;, e solo ora, dopo più di vent’anni, e in tempi recenti, stò cercando di darmene spiegazione. Debbo però confessare che ignoravo tutto del suo lavoro artistico, del suo essere artista (anche se segretamente lo intuivo), e in questa sequela di sensazioni (di amicizia, di simpatia, di stima) intuivo anche in lui una sensibilità particolare della quale, senza conoscerne l’opera, non riuscivo a darmene plausibili spiegazioni; non riuscendo cioè ad arrivare a quel punto di conoscenza e di comprensione che, più che dall’artista, scaturisce dall’opera d’arte. E solo ora apprendo della sua passione di raccogliere sassi, tronchi, radici modellati dal tempo e dalla forza della natura finchè essi non assumono, com’è intenzione dell’artista che le ha individuate, raccolte, esaltate, la fisionomia di opere d’arte. Mania che, ahimè, condivido in pieno sapendo che l’intelligenza della natura si adopera (naturalmente) per modellare le pietre, i legni, gli ossi e tutto ciò che in natura si trova e viene alterato dall’usura del tempo. Ed ho anch’io un mio piccolo museo naturalistico del quale non è qui il caso di parlare, essendo messe sotto la lente di ingrandimento del critico (come io stesso ho assunto il compito) le opere trovate da Anselmi. Perché la sua forte intenzione di infondere loro un significativo valore formale con una forza quasi medianica è riuscita appieno nel suo intento; fin da quando, come ho appreso, disegnava e colorava antiche carte scritte da un notaio o sui registri di un rigattiere. Anche se solo ora ho appreso frettolosa visione delle sue ultime opere: e mi sono trovato al cospetto una selva di totem ricavati da legni consunti dal tempo, dalle alluvioni, dalle mareggiate e da tutte quelle forze della natura che contribuiscono a dare un senso, nel bene e nel male, alla nostra esistenza; della quale restano come testimonianza, come i corpi del reato. Trovarli uguale crearli.
Ora non occorre scomodare Sigmund Freud ed aver letto il suo “Totem e tabù” per rendersi conto che il totemismo è un’espressione fondamentale dell’inconscio (ma stavo per dire dell’istinto) dell’uomo. E la concezione freudiana non è che la scoperta recente di un lato primordiale dell’umanità.
Il totem eretto dagli Indios della Columbia britannica o della nuova Irlanda nei mari del Sud, rappresenta sotto le mentite spoglie della nostra incapacità di comprendere tutto ciò che vi è inserito, occhi, corna, sguardi, falchi, aquile e ali di uccelli, volti femminili, teschi di antenati: e che tutto questo insieme costituisce un grande simbolo fallico in erezione. E vi sono innumerevoli altri totem nella storia dell’uomo dai lingham buddisti alla pietra nera dell’Islam; e gli obelischi egizi, che erano raggi del sole nei palazzi dei Faraoni, nelle piazze di Roma sono diventati falli: per non dire delle trentasettemila colonne che svettano verso il cielo in erezione.
E ora questi totem di Emilio Anselmi, agglomerati dai miseri frammenti della nostra vita quotidiana, i rottami delle nostre case, le schegge dei naufraghi delle nostre imbarcazioni, i frammenti dello smantellamento dei nostri cantieri, si ergono nel loro assemblaggio ancora una volta per svelare i recessi più intimi della nostra mente e ci trasmettono un piccolo brivido. Il che non è poca cosa.
“Totem e Tabù” Bruno Caruso - 3 novembre 2004
Io conosco da molti anni Emilio Anselmi ed ho sempre avuto con lui un rapporto assai piacevole, di un’intesa che sottintendeva una comunanza di idee e di intenti, forse così forte da non sentire neppure la necessità di prenderne consapevolezza;, e solo ora, dopo più di vent’anni, e in tempi recenti, stò cercando di darmene spiegazione. Debbo però confessare che ignoravo tutto del suo lavoro artistico, del suo essere artista (anche se segretamente lo intuivo), e in questa sequela di sensazioni (di amicizia, di simpatia, di stima) intuivo anche in lui una sensibilità particolare della quale, senza conoscerne l’opera, non riuscivo a darmene plausibili spiegazioni; non riuscendo cioè ad arrivare a quel punto di conoscenza e di comprensione che, più che dall’artista, scaturisce dall’opera d’arte. E solo ora apprendo della sua passione di raccogliere sassi, tronchi, radici modellati dal tempo e dalla forza della natura finchè essi non assumono, com’è intenzione dell’artista che le ha individuate, raccolte, esaltate, la fisionomia di opere d’arte. Mania che, ahimè, condivido in pieno sapendo che l’intelligenza della natura si adopera (naturalmente) per modellare le pietre, i legni, gli ossi e tutto ciò che in natura si trova e viene alterato dall’usura del tempo. Ed ho anch’io un mio piccolo museo naturalistico del quale non è qui il caso di parlare, essendo messe sotto la lente di ingrandimento del critico (come io stesso ho assunto il compito) le opere trovate da Anselmi. Perché la sua forte intenzione di infondere loro un significativo valore formale con una forza quasi medianica è riuscita appieno nel suo intento; fin da quando, come ho appreso, disegnava e colorava antiche carte scritte da un notaio o sui registri di un rigattiere. Anche se solo ora ho appreso frettolosa visione delle sue ultime opere: e mi sono trovato al cospetto una selva di totem ricavati da legni consunti dal tempo, dalle alluvioni, dalle mareggiate e da tutte quelle forze della natura che contribuiscono a dare un senso, nel bene e nel male, alla nostra esistenza; della quale restano come testimonianza, come i corpi del reato. Trovarli uguale crearli.
Ora non occorre scomodare Sigmund Freud ed aver letto il suo “Totem e tabù” per rendersi conto che il totemismo è un’espressione fondamentale dell’inconscio (ma stavo per dire dell’istinto) dell’uomo. E la concezione freudiana non è che la scoperta recente di un lato primordiale dell’umanità.
Il totem eretto dagli Indios della Columbia britannica o della nuova Irlanda nei mari del Sud, rappresenta sotto le mentite spoglie della nostra incapacità di comprendere tutto ciò che vi è inserito, occhi, corna, sguardi, falchi, aquile e ali di uccelli, volti femminili, teschi di antenati: e che tutto questo insieme costituisce un grande simbolo fallico in erezione. E vi sono innumerevoli altri totem nella storia dell’uomo dai lingham buddisti alla pietra nera dell’Islam; e gli obelischi egizi, che erano raggi del sole nei palazzi dei Faraoni, nelle piazze di Roma sono diventati falli: per non dire delle trentasettemila colonne che svettano verso il cielo in erezione.
E ora questi totem di Emilio Anselmi, agglomerati dai miseri frammenti della nostra vita quotidiana, i rottami delle nostre case, le schegge dei naufraghi delle nostre imbarcazioni, i frammenti dello smantellamento dei nostri cantieri, si ergono nel loro assemblaggio ancora una volta per svelare i recessi più intimi della nostra mente e ci trasmettono un piccolo brivido. Il che non è poca cosa.
“Totem e Tabù” Bruno Caruso - 3 novembre 2004
09
giugno 2011
Totem & Tabù. Dal gretto del Tevere
Dal 09 al 22 giugno 2011
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
QUADRUPEDE
Roma, Via Di San Giovanni In Laterano, 45, (Roma)
Roma, Via Di San Giovanni In Laterano, 45, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 10 alle 20
Vernissage
9 Giugno 2011, dalle 19.00
Autore
Curatore