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Totò Scollo – Ritratti
Ritratti in bianco e nero come geografia degli sguardi dove la ricerca personale cede al desiderio quasi tassonomico di catturare l’anima dei soggetti ritratti
Comunicato stampa
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La Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone CT,
nella sua ultradecennale esperienza di promozione della cultura fotografica, torna ad ospitare una selezione di ritratti in bianco e nero che costituiscono le tappe di un viaggio negli sguardi che l'autore, Totò Scollo, autodidatta impegnato raccoglie e ordina quasi ostinatamente. Nelle note critiche dei nostri collaboratori e del direttore dei Musei Civici di Caltagirone, il senso questa mostra che si fa ricerca.
RITRATTI COME MEMORIA
Tutti coltiviamo la memoria che, per i latini, aveva sede nel cuore e serve per vivere: un uomo senza ricordi è senz’anima né storia. E l’uomo, contadino, la coltiva come può e come sa con gli strumenti che più gli sono adatti o congeniali: la penna, il pennello, la cinepresa, la macchina fotografica. La vita è una galleria di fatti, vicende e vicissitudini, volti, ritratti che si rincorrono alla velocità del tempo, dio senza misericordia, un turbine di vento. Una galleria di vivi e di morti. Alcuni labili, passeggeri, viandanti veloci nelle nostre esistenze; altri, inspiegabilmente presenti, vivi, eterni, anche dopo anni trascorsi senza che più abbiano incrociato il nostro cammino, senza un incontro, senza una parola.
Chi fotografa volti, fotografa vite, sentimenti, sensazioni e, intrecciandole con le proprie, finisce per dire e parlare di sé, del suo modo di essere, amare, sentire, interpretare: l’amicizia, l’esistenza, l’amore. Ma, anche, la tradizione, i costumi, la storia. E finisce per fermare in immagini anche l’essenza di una comunità o un paese, sia quando nella galleria di scatti si incontrano volti noti, che nel paese hanno lasciato traccia o lavorano nell’intento di farlo (studiosi, professionisti, artigiani, scrittori, preti, agnostici o credenti), sia quando cloruri e argenti e chimiche misture o moderni misteri digitali fermano sulla carta sensibile visi sconosciuti e passeggeri, nomadi o anonimi viandanti, la cosiddetta gente. E in questo intreccio si diradano le nebbie del paese ed emergono lentamente il suo carattere, la sua cultura, la sua cronaca che si farà storia; si rimodellano le vicende e i volti che l’hanno scritta, bella o brutta che sia, o ancora contribuiscono a scriverne gli ultimi tratti: Antonino Ragona, Gaetano Romano, padre Sinatra, Giacomo Scivoli, Maria Attanasio, Mimmo Seminerio, Domenico Amoroso per citare alcuni fra i “ritratti”. Voci e silenzio. Chi è, chi fu.
Ma si delinea anche, del paese, la sua apertura mentale, il senso profondo dell’innata democrazia, la sua capacità di accoglienza e di integrazione: emerge nei volti di emigrati, uomini e donne, neri e bianchi, islamici o cristiani non importa, ed in quelli degli emarginati, gli sdentati, i miseri e i vagabondi. Perplessi, sognanti. Tutti accolti.
E tutti catturati in un atteggiamento sorridente, che può essere un attimo, una pausa d’angustie e di dolori, ma certamente è “in loro”. E su tutti si coglie un lampo di letizia, un alito sereno, un disarmante sorriso. Che è anche, è soprattutto, il sorriso di chi ha saputo coglierlo, dell’autore, in definitiva ironico, laicamente mistico, sognante, fiducioso. Nell’avvenire e nel mondo. Un percorso di affrancamento dalle imperanti quotidiane miserie, distruttive e avvilenti. Un messaggio di speranza e un cammino di rinascita da autentiche radici, di geni e di cultura, più incorruttibili e solide dell’odierno, superfluo e superficiale correre e affannarsi verso l’effimero, l’inconsistenza e il nulla.
Antonio Amico
I RITRATTI DI SALVATORE SCOLLO
Non è la prima volta che Salvatore Scollo ci sorprende piacevolmente e suggestivamente con immagini ricche di una forte carica emotiva e rigorosa struttura formale.
Pensiamo al paesaggio a cui si è dedicato a lungo, e continua a rivolgere un’ attenzione amorosa e nello stesso tempo critica, rispetto alle condizioni ed ai cambiamenti spesso brutalmente imposti.
La stessa “simpatia” appare nel ritratto, con in più, quell’incomparabile e indispensabile aspetto che è proprio ed esclusivamente del ritratto, allorché, anche solo per una frazione di secondo, si crea tra il fotografo e il soggetto, un rapporto che va molto oltre l’espressione dei rispettivi ruoli e diventa un reciproco riconoscimento umano; qualcosa di molto simile al sentimento di “pietas”, classicamente inteso, che non giudica ma accoglie e assume su di sé.
Per questa ragione nell’ampia galleria di personaggi esposti in mostra, nulla cambia rispetto a condizione sociale, notorietà, o lo stesso rapporto della persona ritratta con il fotografo. Ciò che conta è la “scelta” che presume appunto un riconoscimento emotivo ed esistenziale e che si racchiude e riassume nello sguardo, la cui profondità ed intensità rappresentano la cifra della profonda ricerca di Salvatore Scollo.
Domenico Amoroso
Salvatore Scollo: un cuore curioso in cerca di facce
di Marina Benedetto
Mi affascina il mistero delle vite
che si dipanano lungo la scacchiera
di giorni e strade, foto scolorite
memoria di vent'anni o di una sera.
E mi coinvolge l'eterno gocciolare
e il tempo sopra il viso di un passante
e il chiedermi se nei suoi occhi appare
l'insulto di una morte o di un'amante,
la rete misteriosa dei rapporti
che lega coi suoi fili evanescenti
la giostra eterna di ragioni o torti
il rintocco scaglioso dei momenti,
il mondo visto con gli occhi asfaltati
rincorrendo il balletto delle ore
noi che sappiamo dove siamo nati
ma non sapremo mai dove si muore
Francesco Guccini, Vite, 2004
La mia faccia
sono milioni di pagine
che non interessano a nessuno
ma ogni tanto un cuore curioso
vi legge una storia che non capirà mai
e finirà a battiti insoliti
Michael Santhers, La mia faccia, 1997
E’ un cuore curioso quello di Salvatore Scollo, che con la sua macchina fotografica colleziona ritratti in bianco e nero. Risaltano le rughe di cui il tempo ha solcato i visi anziani, il candore dei capelli, le tracce della vita che scorre. Se è vero che chi ritrae altri fa inevitabilmente passare nell’opera d’arte qualcosa di sé, penso a Salvatore Scollo come ad un uomo che vorrei avere amico. Egli mostra una capacità rara, quella di fissare nell’immagine il lato buono del soggetto, che traspare nell’espressione e nei volti univocamente atteggiati in un’ombra fuggevole di sorriso. E’ come se coloro che sono stati fotografati restituissero all’Autore la parte migliore di sé, certi di affidarla in custodia a qualcuno capace di farne buon uso.
Photographers are artists reading love stories, they’re always looking at other people’s emotions, other people’s passions.
Duane Michals, Asking questions without answers, 1997
Salvatore Scollo è un artista in caccia di emozioni, trasmesse attraverso i volti da lui ritratti. Confesso di aver guardato alcune fotografie – oggettivamente bellissime – cercando di oltrepassarle: tentando di cogliere, nel riflesso offerto dal finestrino di un’auto o negli occhiali di Dario Fo, il volto di colui che le ha scattate. E, a ben guardare, si intravede infatti l’ombra del suo viso rivelarsi nella superficie di vetro. Volevo a mio volta trovare il suo volto, per stabilire un ulteriore legame con le emozioni e le suggestioni evocate da queste immagini. Immagini vere, perché autentica è l’ispirazione che le ha generate.
Se pensi la fotografia come strumento per produrre narrazione, documento e memoria non hai lo stesso atteggiamento di chi vuole creare un’icona, ovvero del pittore, il cui senso estetico è nella forma dell’atto. Questa produce immagini estetiche e non c’è nulla di più inutile di una bella foto e di più contradditorio di una concettuale. Cartier-Bresson non sarebbe diventato Cartier-Bresson se in Images à la Sauvette non fosse stato presente il testo in cui definisce la fotografia. Io credo che il fotografo sia un lettore del mondo e che le immagini siano ricevute. Quando Glenn Gould suona Bach non è Bach, lo interpreta. Il mondo scrive l’immagine: il fotografo l’interpreta.
Ferdinando Scianna, Intervista a cura di Luisa Castellini, in Espoarte Contemporary Art Magazine n.69, 2011
Un volto, attraverso gli occhi, fa affiorare l’immagine interiore che il fotografo sa cogliere nel soggetto: nell’istante fotografico si fissano riflessi e frammenti della personalità composita di chi viene ritratto. Spesso è un attimo fugace, nel quale si gioca la fiducia con cui ci si può affidare all’altro, per lasciare trasparire una parte di noi stessi molto intima e personale: la nostra anima messa a nudo.
Si può scegliere di fotografare paesaggi, luci, ombre, guerre, ricorrenze, occasioni. Chi punta il suo obiettivo su un viso opera una scelta di campo ben precisa, gioca la sua arte puntando sulla propria capacità di dare vita espressivo-emozionale a quell’immagine, veicolando per suo tramite l’interiorità del ritratto alla soggettività dell’osservatore.
Forse tutto questo
avviene in un laboratorio?
sotto una sola lampada di giorno
e miliardi di lampade di notte?
Forse siamo generazioni sperimentali?
Travasati da un recipiente all’altro,
scossi in alambicchi,
osservati non soltanto da occhi,
e infine presi a uno a uno
con le pinzette?
O forse è altrimenti:
nessun intervento?
I cambiamenti avvengono da sé
in conformità al piano?
L’ago del diagramma traccia a poco a poco
gli zigzag previsti?
Forse finora non siamo di grande interesse?
I monitor di controllo sono accesi di rado?
Solo in caso di guerre, meglio se grandi,
di voli al di sopra della nostra zolla di Terra,
o di migrazioni rilevanti tra i punti A e B?
O forse è il contrario:
là piacciono solo le piccole cose?
, Forse tutto questo, 1998
Salvatore Scollo non opera con lo spirito arido dell’entomologo: al contrario, attraverso la poetica delle piccole cose cantata da Wisława Szymborska, egli ci offre un ricco e variegato catalogo di umanità varia. In questa galleria di ritratti l’Artista restituisce a coloro che ne sono protagonisti la grandiosità della propria unicità, i personaggi celebri vengono accostati alle persone comuni, ciascuno di loro consegna alla nostra percezione un frammento della sua vita, non importa se degna di fama o confusa fra le tante esistenze normali delle persone qualunque. Qui ognuno, alla pari, ci emoziona con l’immagine del suo volto: e il merito va all’Autore, alla sua capacità di far balenare ciò che sta dietro questi visi, alla forza con cui essi si proiettano al di fuori della fotografia per dialogare con noi.
Marina Benedetto
Totò Scollo è cittadino di Caltagirone, membro di quella polis che da sempre pone alla base della sua personalità siciliana portandolo a preservare e difendere con ostinazione e passione quell’identità culturale fatta di argilla e di figuratività laddove la riconoscibilità di quanto rappresentato e la sua identificabilità sono due aspetti della personale volontà di comunicare.
Attraverso il ritratto fotografico, qui declinato in tanti esemplari casi, Totò comunica il suo rapporto con la comunità che lo circonda e con quei protagonisti apparentemente lontani da quella ma pur sempre con quella collegati; poiché molti si riconosceranno nei ritratti appesi alle pareti é indispensabile capire perché, tra i tanti generi di fotografia strumentali alla rappresentazione della sua polis, abbia scelto proprio il ritratto.
Giocoforza anch’io, richiamo alla memoria quando il grande Leonardo Sciascia scrisse a proposito del ritratto fotografico mutuando nella circostanza dalla figura filosofica dell’entelechia: in effetti, un soggetto fotografato, ad esempio il vescovo della diocesi, è nell’attimo della fotografia alla sua massima espressione di vescovo di quella diocesi con tutto il suo vissuto e con tutto il suo personale proposito di vivere ancora questa dimensione. Per capirci basta rifarsi alla Divina Commedia, laddove i dannati danteschi sono rappresentati tutti nel momento rivelativo e fondante della colpa e della loro espiazione al massimo della potenzialità della loro rappresentazione.
Anche qui il nostro amico sembra scherzare con l’incontro-riitratto fotografico; dentro il suo obiettivo cade la vecchiaia, lo oblio, l’antico vigore, la ruga, la giovinezza, l’infanzia, la similitudine, la tristezza.
Eppure, questa comunità di volti non sembra appartenere a una polis che pretende dal nostro Totò uno sguardo politico quanto e piuttosto agli abitanti di una dimensione leopardiana con la quale scambiare una sensazione, una speranza, un augurio prima del ritorno a casa.
Il nostro fotografo nel ritratto privilegia la cattura dello sguardo e, pertanto, lascia che l’immagine si determini da se, senza forzarne l’ambientazione, senza immettervi nessun accenno caricaturale o ironico. C’è molto rispetto dei soggetti ritratti, e come nella Spoon River americana, di questi personaggi trattieni la sensazione di averli conosciuti da sempre, di aver camminato con loro.
Fotografia, quindi, come volontà di catturare qualcosa che i protagonisti ritratti non conoscono e che ora, rivedendosi, possono insieme individuare.
Ogni città ha i suoi cantori, innamorati delle cose semplici come le basole delle strade, come i sedili bistrattati; Totò è un cantore della sua comunità, e per quanto la intramezzi con personaggi nuovi che di quella potrebbero benissimo far parte, la guarda diritto negli occhi muovendo paradossalmente da una certa distanza. Una distanza che, ripetiamo, riesce sempre riempire di perspicace introspezione, di storia riconosciuta e narrata e, mi permetto di dire, di omaggio gentile.
Pippo Pappalardo
BAGLIORI D’IDENTITA’
(Le foto di Totò Scollo)
Sono attimi acchiappati al volo e poi mutati in immagini. Ritraggono un volto, un’espressione, un paesaggio. La testimonianza d’un tempo brevissimo fissato per sempre. Che descrive quell’attimo meglio di cento parole. La fotografia, nel sentire comune, è proprio questo: l’attimo fuggente colto al volo. L’istantanea. E poi vedi le foto di Totò e capisci che non è così, non sempre. Quello che coglie Totò non è un breve tic d’orologio, ma il punto culminante d’una identità. Il punto culminante d’una storia personale, d’una vita intera che lascia segni e solchi sul volto, che si coglie nello sguardo e nelle labbra. Ciascun volto, ciascuna persona, con le sue speranze e le delusioni, le sue amarezze e le gioie, le sue vittorie e le sconfitte. Uno scatto che diventa racconto e analisi, descrizione senza infingimenti e velame d’ancestrale pudore. Quella di Totò Scollo appare perciò come una ricerca dell’identità di alcuni suoi compaesani che si sono simpaticamente prestati alla bisogna. Per questo tipo di ricerca bastano solo i volti, incorniciati da uno sfondo che pare casuale e non lo è, perché concorre a definire il molteplice aspetto della personalità analizzata. Uno studio che si affida totalmente all’immagine, alle luci e alle ombre del bianco e nero. I ritrattisti di tutte le epoche avevano l’ausilio del colore, Totò e i grandi fotografi no. Solo il bianco e nero che scavano e definiscono i volti, e solo i volti, come per caso. Ma non è il caso, è l’occhio esperto del fotografo, ti rendi subito conto. Ne vien fuori una galleria di ritratti straordinari, di uomini e donne di Caltagirone, legati in larga parte al mondo della cultura e dell’arte, colti nella loro essenza più intima, che non si fa fatica a pensare quotidiana. Inutile fare nomi. E poi ci sono i meno noti, la gente che acriticamente vien definita comune e non lo è, talché ogni identità è una individualità unica e irrepetibile: operai, popolane, immigrati di colore. E così Totò Scollo, con i suoi scatti fotografici, giunge a definire un mondo e un’epoca, una mentalità e un costume: la sua riconoscibilissima Caltagirone nell’incipiente terzo millennio.
Domenico Seminerio
nella sua ultradecennale esperienza di promozione della cultura fotografica, torna ad ospitare una selezione di ritratti in bianco e nero che costituiscono le tappe di un viaggio negli sguardi che l'autore, Totò Scollo, autodidatta impegnato raccoglie e ordina quasi ostinatamente. Nelle note critiche dei nostri collaboratori e del direttore dei Musei Civici di Caltagirone, il senso questa mostra che si fa ricerca.
RITRATTI COME MEMORIA
Tutti coltiviamo la memoria che, per i latini, aveva sede nel cuore e serve per vivere: un uomo senza ricordi è senz’anima né storia. E l’uomo, contadino, la coltiva come può e come sa con gli strumenti che più gli sono adatti o congeniali: la penna, il pennello, la cinepresa, la macchina fotografica. La vita è una galleria di fatti, vicende e vicissitudini, volti, ritratti che si rincorrono alla velocità del tempo, dio senza misericordia, un turbine di vento. Una galleria di vivi e di morti. Alcuni labili, passeggeri, viandanti veloci nelle nostre esistenze; altri, inspiegabilmente presenti, vivi, eterni, anche dopo anni trascorsi senza che più abbiano incrociato il nostro cammino, senza un incontro, senza una parola.
Chi fotografa volti, fotografa vite, sentimenti, sensazioni e, intrecciandole con le proprie, finisce per dire e parlare di sé, del suo modo di essere, amare, sentire, interpretare: l’amicizia, l’esistenza, l’amore. Ma, anche, la tradizione, i costumi, la storia. E finisce per fermare in immagini anche l’essenza di una comunità o un paese, sia quando nella galleria di scatti si incontrano volti noti, che nel paese hanno lasciato traccia o lavorano nell’intento di farlo (studiosi, professionisti, artigiani, scrittori, preti, agnostici o credenti), sia quando cloruri e argenti e chimiche misture o moderni misteri digitali fermano sulla carta sensibile visi sconosciuti e passeggeri, nomadi o anonimi viandanti, la cosiddetta gente. E in questo intreccio si diradano le nebbie del paese ed emergono lentamente il suo carattere, la sua cultura, la sua cronaca che si farà storia; si rimodellano le vicende e i volti che l’hanno scritta, bella o brutta che sia, o ancora contribuiscono a scriverne gli ultimi tratti: Antonino Ragona, Gaetano Romano, padre Sinatra, Giacomo Scivoli, Maria Attanasio, Mimmo Seminerio, Domenico Amoroso per citare alcuni fra i “ritratti”. Voci e silenzio. Chi è, chi fu.
Ma si delinea anche, del paese, la sua apertura mentale, il senso profondo dell’innata democrazia, la sua capacità di accoglienza e di integrazione: emerge nei volti di emigrati, uomini e donne, neri e bianchi, islamici o cristiani non importa, ed in quelli degli emarginati, gli sdentati, i miseri e i vagabondi. Perplessi, sognanti. Tutti accolti.
E tutti catturati in un atteggiamento sorridente, che può essere un attimo, una pausa d’angustie e di dolori, ma certamente è “in loro”. E su tutti si coglie un lampo di letizia, un alito sereno, un disarmante sorriso. Che è anche, è soprattutto, il sorriso di chi ha saputo coglierlo, dell’autore, in definitiva ironico, laicamente mistico, sognante, fiducioso. Nell’avvenire e nel mondo. Un percorso di affrancamento dalle imperanti quotidiane miserie, distruttive e avvilenti. Un messaggio di speranza e un cammino di rinascita da autentiche radici, di geni e di cultura, più incorruttibili e solide dell’odierno, superfluo e superficiale correre e affannarsi verso l’effimero, l’inconsistenza e il nulla.
Antonio Amico
I RITRATTI DI SALVATORE SCOLLO
Non è la prima volta che Salvatore Scollo ci sorprende piacevolmente e suggestivamente con immagini ricche di una forte carica emotiva e rigorosa struttura formale.
Pensiamo al paesaggio a cui si è dedicato a lungo, e continua a rivolgere un’ attenzione amorosa e nello stesso tempo critica, rispetto alle condizioni ed ai cambiamenti spesso brutalmente imposti.
La stessa “simpatia” appare nel ritratto, con in più, quell’incomparabile e indispensabile aspetto che è proprio ed esclusivamente del ritratto, allorché, anche solo per una frazione di secondo, si crea tra il fotografo e il soggetto, un rapporto che va molto oltre l’espressione dei rispettivi ruoli e diventa un reciproco riconoscimento umano; qualcosa di molto simile al sentimento di “pietas”, classicamente inteso, che non giudica ma accoglie e assume su di sé.
Per questa ragione nell’ampia galleria di personaggi esposti in mostra, nulla cambia rispetto a condizione sociale, notorietà, o lo stesso rapporto della persona ritratta con il fotografo. Ciò che conta è la “scelta” che presume appunto un riconoscimento emotivo ed esistenziale e che si racchiude e riassume nello sguardo, la cui profondità ed intensità rappresentano la cifra della profonda ricerca di Salvatore Scollo.
Domenico Amoroso
Salvatore Scollo: un cuore curioso in cerca di facce
di Marina Benedetto
Mi affascina il mistero delle vite
che si dipanano lungo la scacchiera
di giorni e strade, foto scolorite
memoria di vent'anni o di una sera.
E mi coinvolge l'eterno gocciolare
e il tempo sopra il viso di un passante
e il chiedermi se nei suoi occhi appare
l'insulto di una morte o di un'amante,
la rete misteriosa dei rapporti
che lega coi suoi fili evanescenti
la giostra eterna di ragioni o torti
il rintocco scaglioso dei momenti,
il mondo visto con gli occhi asfaltati
rincorrendo il balletto delle ore
noi che sappiamo dove siamo nati
ma non sapremo mai dove si muore
Francesco Guccini, Vite, 2004
La mia faccia
sono milioni di pagine
che non interessano a nessuno
ma ogni tanto un cuore curioso
vi legge una storia che non capirà mai
e finirà a battiti insoliti
Michael Santhers, La mia faccia, 1997
E’ un cuore curioso quello di Salvatore Scollo, che con la sua macchina fotografica colleziona ritratti in bianco e nero. Risaltano le rughe di cui il tempo ha solcato i visi anziani, il candore dei capelli, le tracce della vita che scorre. Se è vero che chi ritrae altri fa inevitabilmente passare nell’opera d’arte qualcosa di sé, penso a Salvatore Scollo come ad un uomo che vorrei avere amico. Egli mostra una capacità rara, quella di fissare nell’immagine il lato buono del soggetto, che traspare nell’espressione e nei volti univocamente atteggiati in un’ombra fuggevole di sorriso. E’ come se coloro che sono stati fotografati restituissero all’Autore la parte migliore di sé, certi di affidarla in custodia a qualcuno capace di farne buon uso.
Photographers are artists reading love stories, they’re always looking at other people’s emotions, other people’s passions.
Duane Michals, Asking questions without answers, 1997
Salvatore Scollo è un artista in caccia di emozioni, trasmesse attraverso i volti da lui ritratti. Confesso di aver guardato alcune fotografie – oggettivamente bellissime – cercando di oltrepassarle: tentando di cogliere, nel riflesso offerto dal finestrino di un’auto o negli occhiali di Dario Fo, il volto di colui che le ha scattate. E, a ben guardare, si intravede infatti l’ombra del suo viso rivelarsi nella superficie di vetro. Volevo a mio volta trovare il suo volto, per stabilire un ulteriore legame con le emozioni e le suggestioni evocate da queste immagini. Immagini vere, perché autentica è l’ispirazione che le ha generate.
Se pensi la fotografia come strumento per produrre narrazione, documento e memoria non hai lo stesso atteggiamento di chi vuole creare un’icona, ovvero del pittore, il cui senso estetico è nella forma dell’atto. Questa produce immagini estetiche e non c’è nulla di più inutile di una bella foto e di più contradditorio di una concettuale. Cartier-Bresson non sarebbe diventato Cartier-Bresson se in Images à la Sauvette non fosse stato presente il testo in cui definisce la fotografia. Io credo che il fotografo sia un lettore del mondo e che le immagini siano ricevute. Quando Glenn Gould suona Bach non è Bach, lo interpreta. Il mondo scrive l’immagine: il fotografo l’interpreta.
Ferdinando Scianna, Intervista a cura di Luisa Castellini, in Espoarte Contemporary Art Magazine n.69, 2011
Un volto, attraverso gli occhi, fa affiorare l’immagine interiore che il fotografo sa cogliere nel soggetto: nell’istante fotografico si fissano riflessi e frammenti della personalità composita di chi viene ritratto. Spesso è un attimo fugace, nel quale si gioca la fiducia con cui ci si può affidare all’altro, per lasciare trasparire una parte di noi stessi molto intima e personale: la nostra anima messa a nudo.
Si può scegliere di fotografare paesaggi, luci, ombre, guerre, ricorrenze, occasioni. Chi punta il suo obiettivo su un viso opera una scelta di campo ben precisa, gioca la sua arte puntando sulla propria capacità di dare vita espressivo-emozionale a quell’immagine, veicolando per suo tramite l’interiorità del ritratto alla soggettività dell’osservatore.
Forse tutto questo
avviene in un laboratorio?
sotto una sola lampada di giorno
e miliardi di lampade di notte?
Forse siamo generazioni sperimentali?
Travasati da un recipiente all’altro,
scossi in alambicchi,
osservati non soltanto da occhi,
e infine presi a uno a uno
con le pinzette?
O forse è altrimenti:
nessun intervento?
I cambiamenti avvengono da sé
in conformità al piano?
L’ago del diagramma traccia a poco a poco
gli zigzag previsti?
Forse finora non siamo di grande interesse?
I monitor di controllo sono accesi di rado?
Solo in caso di guerre, meglio se grandi,
di voli al di sopra della nostra zolla di Terra,
o di migrazioni rilevanti tra i punti A e B?
O forse è il contrario:
là piacciono solo le piccole cose?
, Forse tutto questo, 1998
Salvatore Scollo non opera con lo spirito arido dell’entomologo: al contrario, attraverso la poetica delle piccole cose cantata da Wisława Szymborska, egli ci offre un ricco e variegato catalogo di umanità varia. In questa galleria di ritratti l’Artista restituisce a coloro che ne sono protagonisti la grandiosità della propria unicità, i personaggi celebri vengono accostati alle persone comuni, ciascuno di loro consegna alla nostra percezione un frammento della sua vita, non importa se degna di fama o confusa fra le tante esistenze normali delle persone qualunque. Qui ognuno, alla pari, ci emoziona con l’immagine del suo volto: e il merito va all’Autore, alla sua capacità di far balenare ciò che sta dietro questi visi, alla forza con cui essi si proiettano al di fuori della fotografia per dialogare con noi.
Marina Benedetto
Totò Scollo è cittadino di Caltagirone, membro di quella polis che da sempre pone alla base della sua personalità siciliana portandolo a preservare e difendere con ostinazione e passione quell’identità culturale fatta di argilla e di figuratività laddove la riconoscibilità di quanto rappresentato e la sua identificabilità sono due aspetti della personale volontà di comunicare.
Attraverso il ritratto fotografico, qui declinato in tanti esemplari casi, Totò comunica il suo rapporto con la comunità che lo circonda e con quei protagonisti apparentemente lontani da quella ma pur sempre con quella collegati; poiché molti si riconosceranno nei ritratti appesi alle pareti é indispensabile capire perché, tra i tanti generi di fotografia strumentali alla rappresentazione della sua polis, abbia scelto proprio il ritratto.
Giocoforza anch’io, richiamo alla memoria quando il grande Leonardo Sciascia scrisse a proposito del ritratto fotografico mutuando nella circostanza dalla figura filosofica dell’entelechia: in effetti, un soggetto fotografato, ad esempio il vescovo della diocesi, è nell’attimo della fotografia alla sua massima espressione di vescovo di quella diocesi con tutto il suo vissuto e con tutto il suo personale proposito di vivere ancora questa dimensione. Per capirci basta rifarsi alla Divina Commedia, laddove i dannati danteschi sono rappresentati tutti nel momento rivelativo e fondante della colpa e della loro espiazione al massimo della potenzialità della loro rappresentazione.
Anche qui il nostro amico sembra scherzare con l’incontro-riitratto fotografico; dentro il suo obiettivo cade la vecchiaia, lo oblio, l’antico vigore, la ruga, la giovinezza, l’infanzia, la similitudine, la tristezza.
Eppure, questa comunità di volti non sembra appartenere a una polis che pretende dal nostro Totò uno sguardo politico quanto e piuttosto agli abitanti di una dimensione leopardiana con la quale scambiare una sensazione, una speranza, un augurio prima del ritorno a casa.
Il nostro fotografo nel ritratto privilegia la cattura dello sguardo e, pertanto, lascia che l’immagine si determini da se, senza forzarne l’ambientazione, senza immettervi nessun accenno caricaturale o ironico. C’è molto rispetto dei soggetti ritratti, e come nella Spoon River americana, di questi personaggi trattieni la sensazione di averli conosciuti da sempre, di aver camminato con loro.
Fotografia, quindi, come volontà di catturare qualcosa che i protagonisti ritratti non conoscono e che ora, rivedendosi, possono insieme individuare.
Ogni città ha i suoi cantori, innamorati delle cose semplici come le basole delle strade, come i sedili bistrattati; Totò è un cantore della sua comunità, e per quanto la intramezzi con personaggi nuovi che di quella potrebbero benissimo far parte, la guarda diritto negli occhi muovendo paradossalmente da una certa distanza. Una distanza che, ripetiamo, riesce sempre riempire di perspicace introspezione, di storia riconosciuta e narrata e, mi permetto di dire, di omaggio gentile.
Pippo Pappalardo
BAGLIORI D’IDENTITA’
(Le foto di Totò Scollo)
Sono attimi acchiappati al volo e poi mutati in immagini. Ritraggono un volto, un’espressione, un paesaggio. La testimonianza d’un tempo brevissimo fissato per sempre. Che descrive quell’attimo meglio di cento parole. La fotografia, nel sentire comune, è proprio questo: l’attimo fuggente colto al volo. L’istantanea. E poi vedi le foto di Totò e capisci che non è così, non sempre. Quello che coglie Totò non è un breve tic d’orologio, ma il punto culminante d’una identità. Il punto culminante d’una storia personale, d’una vita intera che lascia segni e solchi sul volto, che si coglie nello sguardo e nelle labbra. Ciascun volto, ciascuna persona, con le sue speranze e le delusioni, le sue amarezze e le gioie, le sue vittorie e le sconfitte. Uno scatto che diventa racconto e analisi, descrizione senza infingimenti e velame d’ancestrale pudore. Quella di Totò Scollo appare perciò come una ricerca dell’identità di alcuni suoi compaesani che si sono simpaticamente prestati alla bisogna. Per questo tipo di ricerca bastano solo i volti, incorniciati da uno sfondo che pare casuale e non lo è, perché concorre a definire il molteplice aspetto della personalità analizzata. Uno studio che si affida totalmente all’immagine, alle luci e alle ombre del bianco e nero. I ritrattisti di tutte le epoche avevano l’ausilio del colore, Totò e i grandi fotografi no. Solo il bianco e nero che scavano e definiscono i volti, e solo i volti, come per caso. Ma non è il caso, è l’occhio esperto del fotografo, ti rendi subito conto. Ne vien fuori una galleria di ritratti straordinari, di uomini e donne di Caltagirone, legati in larga parte al mondo della cultura e dell’arte, colti nella loro essenza più intima, che non si fa fatica a pensare quotidiana. Inutile fare nomi. E poi ci sono i meno noti, la gente che acriticamente vien definita comune e non lo è, talché ogni identità è una individualità unica e irrepetibile: operai, popolane, immigrati di colore. E così Totò Scollo, con i suoi scatti fotografici, giunge a definire un mondo e un’epoca, una mentalità e un costume: la sua riconoscibilissima Caltagirone nell’incipiente terzo millennio.
Domenico Seminerio
23
marzo 2013
Totò Scollo – Ritratti
Dal 23 marzo al 14 aprile 2013
fotografia
Location
GALLERIA FOTOGRAFICA LUIGI GHIRRI
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Orario di apertura
lun./dom. 9.00 -12.30, 16.00 -19.00
Vernissage
23 Marzo 2013, ore 18.30
Autore
Curatore