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Tra cielo e alberi
L’idea che sta dietro questa rassegna video è quella di rappresentare una condizione peculiare dell’artista: il suo prendere contatto intimo e interiore con ciò che nutre il suo immaginario e la sua necessità di renderlo concreto nelle forme visibili
Comunicato stampa
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Rassegna:
XXIV Spoltore Ensamble 2006
TRA CIELO E ALBERI
Attraversare i “non-luoghi” e ricercare la sensatezza
di Antonio Zimarino
Il titolo indica un “non – luogo”, una zona inesistente nella realtà ma che serve ad indicare l’area simbolica di contatto tra l’elemento etereo e impalpabile con quello concreto delle forme di vita.
Quasi che in quella zona avvenga l’osmosi simbolica (e reale, per la vita stessa delle piante) tra l’elemento che da vita e la vita stessa.
L’idea che sta dietro questa rassegna video è quella di rappresentare una condizione peculiare dell’artista: il suo prendere contatto intimo e interiore con ciò che nutre il suo immaginario e la sua necessità di renderlo concreto nelle forme visibili.
Ma se questo processo naturale dell’artista si attua attraverso la realizzazione di “video arte” le implicazioni significative si fanno particolarmente interessanti. Anche il video è, come la zona tra il cielo e gli alberi, un “non luogo” dell’arte: esprime, rappresenta, racconta il movimento, l’immaginazione, il simbolo, la concretezza o qualsiasi cosa si voglia, ma “non – è” non è concreto se non nella sua visibilità. Il video può essere dunque pensato come un “area simbolica” dove avviene una prima osmosi tra l’immaginazione e la concretezza, anzi, dove entrambe vivono in forma virtuale, cioè rappresentativa del reale. La video arte si configura così come una forma rappresentativa della possibilità dell’immaginazione dinamica ed è per questo strumento tipico della nostra contemporaneità. Metaforicamente essa è anche uno stato di astrazione e rappresentazione tautologica di una difficoltà concreta dell’età tecnologica: quella di superare il non luogo dove ci siamo rinchiusi e dove preferiamo vivere le emozioni, senza fisicamente coinvolgerle nella crudezza del sentirle nella pelle.
La video arte però rappresenta soltanto questa condizione della realtà esistenziale perché se il prodotto immaginale resta tale, l’operazione che lo realizza è concretamente operativa, fisica. Il cerchio si chiude: l’immaginazione si restituisce come tale agli osservatori, ma dopo che un lavoro manuale e fisico(montaggio, ripresa, ideazione, concetto, sceneggiatura ecc.) l’ha resa visibile. La video arte si pone dunque come costruzione “concreta” di non luoghi immaginali ovvero è un processo fisico, concreto, persino faticoso, che genera l’identità, la riconoscibilità dell’immaginazione.
Questi artisti donano “non luoghi” immaginali, costruendoli attraverso una loro fisicità e una manualità: io la leggo come una metafora importante di una condizione in cui l’esistenza ci pone: l’arte del video ci potrebbe insegnare ad essere persone che provano a restituire al presente visibile, l’immaginazione, la facoltà che rende gli essere umani capaci di creare nuove prospettive di senso e di identità nella società. Così come l’artista realizza il proprio immaginario e lo rappresenta, anche noi, nella dimensione del vissuto, potremmo essere l’espressione di ciò che per noi immaginiamo. Potremmo provare ad essere, ad inseguire e a donare quello che profondamente sogniamo di noi e del senso del nostro essere.
Videodrome
La logica che lega il rapporto di senso tra i video, nasce dalla convinzione personale che le forme d’arte siano, tanto da parte dell’artista che da parte di chi le fruisce, un “luogo” fisico e visuale che mette in relazione attiva e dinamica il pensiero con il proprio essere e agire. L’arte è la “zona” dove si può trovare lo stimolo per essere, crescere, conoscere, a condizione di voler sinceramente cercare per se stessi e per gli altri, un’esistenza più sensata e meno subita.
Giancarlo Pacella, (Danze sciamaniche)
La frammentarietà ipnotica attraverso la quale è stata ricostruita una “danza neo-tribale” tende a generare uno stato di semicoscienza che apre alla dissociazione dal reale: in questo modo si esprime la ricerca del contatto con un “non luogo”. La danza stessa, rappresentata come un “dipinto mobile” dall’inquadratura della camera da presa, nella luce, nel ritmo e nel colore si fa immagine ipnotica di uno stato di coscienza e contatto tra due realtà razionalmente non comunicabili. Quello che vediamo è l’iconografia mobile di un rituale che astrae: è la ricerca e la rappresentazione della ricerca del contatto, fisico, estetico, emotivo e intellettuale con una dimensione differente da quella del quotidiano. L’immagine diventa una domanda, un’ipotesi ed una proposta di apertura alla dimensione ulteriore, attraverso la qualità estetica, la corporeità, la visualizzazione.
Elisabetta Rubeis (Parentesi)
Il video nasce nella ricerca di dare una visibilità possibile ad un “tempo interiore” intuito, percepito e cercato nello spazio del quotidiano. Il contatto necessario con la dimensione immaginale della possibilità e della profondità è una condizione necessaria e quotidiana per alimentare il nostro essere e la nostra coscienza. Essa nasce da ogni stimolo sensoriale e da essi, l’interiorità cerca i suoi percorsi in un tempo dilatato: “ … Le immagini descrivono soprattutto luoghi momentanei, raccontano di città ripensate partendo dalle piccole emozioni, un suono, un canto di donna… per ascoltare il passare delle stagioni, il movimento di un piuma, e lasciar posto anche al buio e alla sottile sensazione di percepire in un modo nuovo odori e spazi.” (Rubeis).
E’ dunque l’espressione della scoperta del bisogno primario di vivere talvolta nella “zona di mezzo”, nel luogo che non nega le differenti “dimensioni” che appartengono all’identità e alla complessità dell’individuo.
Mandra Cerrone (Argento)
Il contatto tra simbolico e reale può avvenire attraverso oggetti e rituali ricostruiti per ridonare tanto il senso terrestre del rapporto con il trascendente che il senso trasceso dell’esperienza presente. Ciò che era ricerca o incontro più o meno consapevole è già avvenuto, ciò che era intuizione necessaria ma casuale e istintuale diviene ricerca, pratica, meditata e cosciente. Come per un opera d’arte, insieme inscindibile di pensiero e forma, c’è il rito, l’oggetto, la forma, che realizzandosi, si “offre”, a ricordare che i due universi coesistono, che è possibile, oltre che necessario abitare il “non – luogo”: la strada è aperta per ciascuno. Il cospargersi il corpo d’argento, elemento simbolico alchemico del “femminile” indica un rito di transizione e di accettazione dall’adolescenza alla maturità femminile, ma puntando l’interesse sul gesto rituale, scopriamo che ci sono modi per riagganciare intenzionalmente noi stessi al senso del nostro esistere: è il caso della via dello “sciamanesimo” della psico – magia. Tutto ciò (ed è questa spesso l’essenza dell’arte stessa) richiama ad una consapevolezza del convivere quotidianamente come esseri umani “a due dimensioni”: quella del “senso” del nostro vivere e quello degli atti che lo realizzano
Piotr Hanzelewicz (Sunny morning)
La quotidianità sembra non concedere molto all’interiorità ma in realtà basterebbe avere gli occhi e l’intelligenza di riappropriarsi degli attimi, per scoprire di poter guardare l’ovvio e il banale attraverso altre considerazioni e comprensioni. Il disegno cristallizza l’attimo, impedisce che esso fluisca e quindi qualcosa si ferma in noi e, dandoci il tempo di pensare, ci consente di abitare in un luogo differente. E’ il tempo rallentato a concederci l’accesso a un luogo che pure esiste e che ci lascia la possibilità di ricostruire un nostro differente rapporto con l’esistenza. I non luoghi sono tra noi, necessari a farci essere qualcosa di diverso rispetto alle asfissianti regole della materia; basterebbe ricordarsi che ciò che fa divergere l’immanenza verso la sensatezza è il tempo che ci concediamo per leggerla. Dunque, nel tempo che ci prendiamo per capire e ricostruire le cose, ricostruiamo il rapporto con il senso del vedere e del fare. Possiamo ogni attimo abitare l’universo del senso, del possibile e dell’immaginario, senza negare il presente ma partendo da esso riutilizzando riflessione e pensiero e prendendoci il tempo per farlo.
… dunque in questo “videodrome” viaggiamo nei modi e nelle possibilità di abitare un luogo “impossibile” razionalmente, ma desiderato dalla nostra stessa condizione di uomini, a metà tra l’essere e il desiderare, il vivere e il sognare, l’immaginare e il rendere conto, il pensare e il fare. Possiamo vivere così. E’ necessario vivere così, aperti alla possibilità e senza la pretesa di definirci, dicendo di noi e delle cose le verità che si vanno scoprendo.
XXIV Spoltore Ensamble 2006
TRA CIELO E ALBERI
Attraversare i “non-luoghi” e ricercare la sensatezza
di Antonio Zimarino
Il titolo indica un “non – luogo”, una zona inesistente nella realtà ma che serve ad indicare l’area simbolica di contatto tra l’elemento etereo e impalpabile con quello concreto delle forme di vita.
Quasi che in quella zona avvenga l’osmosi simbolica (e reale, per la vita stessa delle piante) tra l’elemento che da vita e la vita stessa.
L’idea che sta dietro questa rassegna video è quella di rappresentare una condizione peculiare dell’artista: il suo prendere contatto intimo e interiore con ciò che nutre il suo immaginario e la sua necessità di renderlo concreto nelle forme visibili.
Ma se questo processo naturale dell’artista si attua attraverso la realizzazione di “video arte” le implicazioni significative si fanno particolarmente interessanti. Anche il video è, come la zona tra il cielo e gli alberi, un “non luogo” dell’arte: esprime, rappresenta, racconta il movimento, l’immaginazione, il simbolo, la concretezza o qualsiasi cosa si voglia, ma “non – è” non è concreto se non nella sua visibilità. Il video può essere dunque pensato come un “area simbolica” dove avviene una prima osmosi tra l’immaginazione e la concretezza, anzi, dove entrambe vivono in forma virtuale, cioè rappresentativa del reale. La video arte si configura così come una forma rappresentativa della possibilità dell’immaginazione dinamica ed è per questo strumento tipico della nostra contemporaneità. Metaforicamente essa è anche uno stato di astrazione e rappresentazione tautologica di una difficoltà concreta dell’età tecnologica: quella di superare il non luogo dove ci siamo rinchiusi e dove preferiamo vivere le emozioni, senza fisicamente coinvolgerle nella crudezza del sentirle nella pelle.
La video arte però rappresenta soltanto questa condizione della realtà esistenziale perché se il prodotto immaginale resta tale, l’operazione che lo realizza è concretamente operativa, fisica. Il cerchio si chiude: l’immaginazione si restituisce come tale agli osservatori, ma dopo che un lavoro manuale e fisico(montaggio, ripresa, ideazione, concetto, sceneggiatura ecc.) l’ha resa visibile. La video arte si pone dunque come costruzione “concreta” di non luoghi immaginali ovvero è un processo fisico, concreto, persino faticoso, che genera l’identità, la riconoscibilità dell’immaginazione.
Questi artisti donano “non luoghi” immaginali, costruendoli attraverso una loro fisicità e una manualità: io la leggo come una metafora importante di una condizione in cui l’esistenza ci pone: l’arte del video ci potrebbe insegnare ad essere persone che provano a restituire al presente visibile, l’immaginazione, la facoltà che rende gli essere umani capaci di creare nuove prospettive di senso e di identità nella società. Così come l’artista realizza il proprio immaginario e lo rappresenta, anche noi, nella dimensione del vissuto, potremmo essere l’espressione di ciò che per noi immaginiamo. Potremmo provare ad essere, ad inseguire e a donare quello che profondamente sogniamo di noi e del senso del nostro essere.
Videodrome
La logica che lega il rapporto di senso tra i video, nasce dalla convinzione personale che le forme d’arte siano, tanto da parte dell’artista che da parte di chi le fruisce, un “luogo” fisico e visuale che mette in relazione attiva e dinamica il pensiero con il proprio essere e agire. L’arte è la “zona” dove si può trovare lo stimolo per essere, crescere, conoscere, a condizione di voler sinceramente cercare per se stessi e per gli altri, un’esistenza più sensata e meno subita.
Giancarlo Pacella, (Danze sciamaniche)
La frammentarietà ipnotica attraverso la quale è stata ricostruita una “danza neo-tribale” tende a generare uno stato di semicoscienza che apre alla dissociazione dal reale: in questo modo si esprime la ricerca del contatto con un “non luogo”. La danza stessa, rappresentata come un “dipinto mobile” dall’inquadratura della camera da presa, nella luce, nel ritmo e nel colore si fa immagine ipnotica di uno stato di coscienza e contatto tra due realtà razionalmente non comunicabili. Quello che vediamo è l’iconografia mobile di un rituale che astrae: è la ricerca e la rappresentazione della ricerca del contatto, fisico, estetico, emotivo e intellettuale con una dimensione differente da quella del quotidiano. L’immagine diventa una domanda, un’ipotesi ed una proposta di apertura alla dimensione ulteriore, attraverso la qualità estetica, la corporeità, la visualizzazione.
Elisabetta Rubeis (Parentesi)
Il video nasce nella ricerca di dare una visibilità possibile ad un “tempo interiore” intuito, percepito e cercato nello spazio del quotidiano. Il contatto necessario con la dimensione immaginale della possibilità e della profondità è una condizione necessaria e quotidiana per alimentare il nostro essere e la nostra coscienza. Essa nasce da ogni stimolo sensoriale e da essi, l’interiorità cerca i suoi percorsi in un tempo dilatato: “ … Le immagini descrivono soprattutto luoghi momentanei, raccontano di città ripensate partendo dalle piccole emozioni, un suono, un canto di donna… per ascoltare il passare delle stagioni, il movimento di un piuma, e lasciar posto anche al buio e alla sottile sensazione di percepire in un modo nuovo odori e spazi.” (Rubeis).
E’ dunque l’espressione della scoperta del bisogno primario di vivere talvolta nella “zona di mezzo”, nel luogo che non nega le differenti “dimensioni” che appartengono all’identità e alla complessità dell’individuo.
Mandra Cerrone (Argento)
Il contatto tra simbolico e reale può avvenire attraverso oggetti e rituali ricostruiti per ridonare tanto il senso terrestre del rapporto con il trascendente che il senso trasceso dell’esperienza presente. Ciò che era ricerca o incontro più o meno consapevole è già avvenuto, ciò che era intuizione necessaria ma casuale e istintuale diviene ricerca, pratica, meditata e cosciente. Come per un opera d’arte, insieme inscindibile di pensiero e forma, c’è il rito, l’oggetto, la forma, che realizzandosi, si “offre”, a ricordare che i due universi coesistono, che è possibile, oltre che necessario abitare il “non – luogo”: la strada è aperta per ciascuno. Il cospargersi il corpo d’argento, elemento simbolico alchemico del “femminile” indica un rito di transizione e di accettazione dall’adolescenza alla maturità femminile, ma puntando l’interesse sul gesto rituale, scopriamo che ci sono modi per riagganciare intenzionalmente noi stessi al senso del nostro esistere: è il caso della via dello “sciamanesimo” della psico – magia. Tutto ciò (ed è questa spesso l’essenza dell’arte stessa) richiama ad una consapevolezza del convivere quotidianamente come esseri umani “a due dimensioni”: quella del “senso” del nostro vivere e quello degli atti che lo realizzano
Piotr Hanzelewicz (Sunny morning)
La quotidianità sembra non concedere molto all’interiorità ma in realtà basterebbe avere gli occhi e l’intelligenza di riappropriarsi degli attimi, per scoprire di poter guardare l’ovvio e il banale attraverso altre considerazioni e comprensioni. Il disegno cristallizza l’attimo, impedisce che esso fluisca e quindi qualcosa si ferma in noi e, dandoci il tempo di pensare, ci consente di abitare in un luogo differente. E’ il tempo rallentato a concederci l’accesso a un luogo che pure esiste e che ci lascia la possibilità di ricostruire un nostro differente rapporto con l’esistenza. I non luoghi sono tra noi, necessari a farci essere qualcosa di diverso rispetto alle asfissianti regole della materia; basterebbe ricordarsi che ciò che fa divergere l’immanenza verso la sensatezza è il tempo che ci concediamo per leggerla. Dunque, nel tempo che ci prendiamo per capire e ricostruire le cose, ricostruiamo il rapporto con il senso del vedere e del fare. Possiamo ogni attimo abitare l’universo del senso, del possibile e dell’immaginario, senza negare il presente ma partendo da esso riutilizzando riflessione e pensiero e prendendoci il tempo per farlo.
… dunque in questo “videodrome” viaggiamo nei modi e nelle possibilità di abitare un luogo “impossibile” razionalmente, ma desiderato dalla nostra stessa condizione di uomini, a metà tra l’essere e il desiderare, il vivere e il sognare, l’immaginare e il rendere conto, il pensare e il fare. Possiamo vivere così. E’ necessario vivere così, aperti alla possibilità e senza la pretesa di definirci, dicendo di noi e delle cose le verità che si vanno scoprendo.
15
agosto 2006
Tra cielo e alberi
Dal 15 al 23 agosto 2006
arte contemporanea
Location
CASA D’ATTANASIO
Spoltore, Piazza Giuseppe D'albenzio, (Pescara)
Spoltore, Piazza Giuseppe D'albenzio, (Pescara)
Orario di apertura
Dalle 19,30 alle 23,00
Autore
Curatore