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Umberto Zanetti – La storia del tempo
In mostra un’ampia selezione di opere realizzate da Zanetti, un “artista-ricercatore” che ha sperimentato una molteplicità di tecniche e materiali ottenendo importanti esiti artistici
Comunicato stampa
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UMBERTO ZANETTI. LA STORIA DEL TEMPO
Opere su marmo e pietra, fusioni in vetro, sculture, affreschi
Una mostra monografica che documenta l’originale ed articolata ricerca artistica di Zanetti,
dal 1958 ad oggi
Sabato 13 giugno, alle ore 17, 30 presso la Rocca Sforzesca di Dozza, si inaugura la mostra Umberto Zanetti. La storia del tempo. L'esposizione, promossa dal Comune di Dozza e dalla Fondazione Dozza Città d’Arte, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e dall’Assemblea Legislativa, presenta al pubblico un’ampia selezione di opere realizzate da Zanetti, un “artista-ricercatore” che ha sperimentato una molteplicità di tecniche e materiali ottenendo importanti esiti artistici.
Umberto Zanetti, nato a Bologna nel 1930, vive da molti anni a Dozza. Pittore autodidatta, discende da una famiglia di artisti: il nonno paterno Pietro Rocchi, pittore e incisore, è stato docente all’Istituto Statale d’Arte di Parma, ed anche gli zii materni sono stati pittori e decoratori. Ma sono soprattutto l’amore per la natura ed in particolare la passione per i minerali a stimolare la sua ricerca artistica. Sin da bambino raccoglie minerali e fossili nelle cave del Quaternario Bolognese; da adulto lo studio della mineralogia e della paleontologia lo porta a ricercare, sia in Italia che all’estero, reperti oggi raccolti in una vasta collezione in cui pesci fossili si alternano ad ammoniti, quarzi e lapislazzuli di ogni forma e dimensione.
In questo modo Zanetti scopre la sua vera identità di pittore che si rapporta costantemente alla natura: dalle pietre ricava direttamente i colori, i minerali e i fossili sono parti integranti nelle sue opere così come la simbologia formale che permea il suo lavoro richiama in parte la paleontologia.
L’artista giunge, attraverso un lungo percorso di sperimentazione, alla selezione di una cinquantina di minerali scelti per il loro modo di reagire al tempo e di rapportarsi alla luce, dunque per le loro valenze materiche e cromatiche. Questi elementi scientifico-conoscitivi entrano a far parte del processo creativo dell’artista; ed è proprio in quel momento che Zanetti abbandona ogni approccio razionale per seguire “la logica animata dal cuore” perché, come egli stesso afferma, “quando comincio non so dove approderò e quale viaggio le forme e i colori mi faranno fare”. L’artista intraprende un percorso emotivo che lo porta a recuperare una simbologia ancestrale, per cui la sua arte percepita come astratta può, più propriamente, dirsi simbolista. I diversi supporti utilizzati (pietra, metallo, vetro, legno, pergamena) hanno consentito all’artista di indagare il rapporto luce- colore, attraverso un’ampia gamma cromatica in cui non viene meno l’elemento simbolico, le ocre ad evocare il mondo antico, il blu dei lapislazzuli a suggerire un moto gioioso, il rosso cinabro ad indicare la stabilità e lo spessore di un sentimento profondo.
Zanetti, pittore estraneo a correnti e tendenze, identifica come suoi maestri Mirò ma soprattutto Klee e Kandisky cui lo ha avvicinato la lettura critica di Arturo Carlo Quintavalle. Fra gli altri importanti storici dell’arte che si sono occupati del lavoro di Zanetti, ricordiamo Aldo Angelini e Franco Solmi.
Dozza, che già in altre occasioni ha esposto opere di Umberto Zanetti, ha voluto ospitare questa mostra accompagnata da un’importante monografia sull’artista, pubblicata da Silvana Editoriale, che ne documenta l’intero percorso creativo, dalle prime opere figurative degli anni ’60 fino ai lavori degli ultimi anni.
La mostra rimarrà aperta fino al 23 agosto nei seguenti giorni e orari:
dal martedì al sabato: 10-12,30 e 15-18,30 - domenica e festivi: 10-13,00 e 15-19,30
giugno 2009 Fondazione Dozza Città d'Arte
Le avanguardie di pietra e il Medioevo
di Arturo Carlo Quintavalle
Conoscevo le vetrate di Umberto Zanetti, una lunga storia di ricerca attraverso le avanguardie, Magnelli parigino ma anche Kandinsky e Klee, avevo invece minore familiarità con le sue opere, dalla tecnica complessa e che, da sola, apre molte prospettive sulle interpretazioni possibili del lavoro del bolognese.
Zanetti dunque prende una pietra, un marmo, di norma con tonalità, colori di base, insomma con un "appeal" per lui particolare, e lo liscia, lo definisce nel perimetro.
Quindi traccia sulla superficie un disegno, poi, a mano, secondo un ritmo che ritengo assai lento, lo scava. Non a fondo, naturalmente, appena il necessario per stendere poi, negli incavi, un colore che è denso perché carico di materia, oppure per inserire qualche pietra, magari uno zircone, oppure altri frammenti di "natura", nel tessuto dell'immagine.
Naturalmente il procedimento non deve ingannare: siamo di fronte a una ricerca sui materiali e sulla loro funzione, non certo ad opere di oreficeria e, infatti, se riflettiamo, la storia stessa ci conferma che il lavoro di Zanetti ha lontani antecedenti, lontane tracce. Da medievalista direi che sono i litostrati romani e soprattutto le riprese in epoca medievale, l'ambito romano dei Vassalleto, a giocare a fondo per le scelte di Zanetti. Solo su queste basi si potrà intendere la scelta del supporto di pietra o di marmo e dell'inserto coloristico che lo modifica, un inserto ottenuto prevalentemente con altre pietre, altri marmi e che usa poco colori "liberi".
Non bastano queste radici, però: Zanetti, che ha degli antecedenti figurativi, ha puntato, in tempi recenti, su un discorso nuovo che appare più stimolante. Il fascino delle sue opere a lungo meditate ha molte tracce, molti riferimenti che vanno individuati per comprendere quanta cultura, quanta esperienza sia necessaria, oggi, ad un artefice che non voglia restare nei solchi precostituiti del mercato.
Così dunque, se prendiamo La danza dell'amore, il rapporto è evidente con la cultura medievale delle pietre che abbiamo già sottolineato, ma con molte trasformazioni, a cominciare dal rapporto con Magnelli e con Kandinsky, per non parlare del profilo alla Braque della colomba. Geometrie, densità dei colori, rapporto analitico con il Cubismo che, del resto, accomuna molte delle opere di Zanetti e di Mastroianni, ma anche attenzione alla civilità del mosaico tardoantico, come è chiaro in pezzi quali Omaggio a Solnhofen.
Ma le attenzioni alla storia dell'immagine di Zanetti sono complesse, come per Il volo eterno, che si può ben ricondurre anche alle fonti della civiltà secentesca meridionale, e insieme collegare alla cultura dei paliotti carpigiani questa volta settecenteschi. Insomma Zanetti mette a punto un linguaggio dalla tonalità profondamente nuove e dai riferimenti molto articolati. Le sue forme non sono però semplicemente le forme del disegno romanico o di quello barocco, hanno infatti una diversa gamma di riferimenti che dobbiamo cogliere. Zanetti lavora sulla "natura" anche perchè ha un esperienza precisa della mineralogia e della paleontologia, e quindi il suo costruire immagini come "ridotte", appiattite, nasce da un rapporto immediato con un universo fossile che rivela la sua presenza quasi in ogni interstizio del tessuto di immagine costruito dall'artista.
Se diciamo tessuto diciamo anche rapporto storico con altri fatti: vi sono opere graffite, tenute sui bruni ed i gialli, insomma sulle terre, che riconfermano altre connessioni europee di Zanetti, quelle che lo rilegano a certo Dubuffet degli anni Cinquanta e Sessanta, mentre altri pezzi, come Il grande viaggio, fanno pensare che la cultura Jugend, soprattutto quella della Vienna di Klimt, lo abbia a fondo interessato.
Se riflettiamo, c'è molta coerenza in queste scelte, Zanetti punta infatti sulla ricerca dell'immagine che si appiattisce nella pietra come, negli strati del naturale, si fanno pietra e, quindi, a due dimensioni le forme tridimensionali degli esseri animati. La cultura che questa riduzione della forma en plat, in piatto, ha portato avanti più a fondo è quella Jugend che del medioevo ravennate riscopre le radici, e alludo soprattutto alla civiltà viennese della fine del secolo scorso e degli inizi del nostro.
A scorrere le opere di Zanetti scopriamo animali strani, uccelli che si fanno conchiglie, o, viceversa, conchiglie col becco di uccello, pesci che, insieme, sono schegge di roccia, e intere gamme di colore che vengono fuori dalla cultura dei ferri e degli smalti.
Una delle attenzioni evidenti di Zanetti è infatti per la civiltà medievale degli smalti, quelli limosini cloisonné e champlevé, e tale attenzione spiega anche molto delle novità, delle caratteristiche inusitate del "segno" dell'artista, il suo modo di perimetrare le figure, di constrastarle contro il fondo, di ricavare il disegno finale.
Medioevo, cultura Jugend, ma anche attenzione alle altre civiltà dell'immagine appiattita, della non- prospettiva, quelle Inca e Maja sopra tutti.
Eppure lo sguardo rivolto al passato non deve fare dimenticare la volontà di essere presente e partecipe della rivoluzione delle avanguardie che mi pare evidente nella più recente opera di Zanetti. Le sue belle vetrate, alcune delle sue pietre, mi sembrano rispondere ad un discorso che nasce da Klee e da Kandinsky del Cavaliere azzurro e trova conferme anche nel lavoro, come ho accennato, di Magnelli a Parigi e di certo neo-futurista Mastroianni che, lui pure, si sa, fa dei rilievi piatti ma con altre e ben differenti tecniche. Le avanguardie, quelle del Cavaliere azzurro e il Klee degli anni Venti suggeriscono anche la scelta dei colori di Zanetti che non prende, dal futurismo, la violenza delle tinte ma resta nel "naturale", sceglie cioè le pietre, sceglie le terre. In questa direzione è Klee, più di Kandinsky credo, a indicargli la strada e anche per questo, forse, i lavori del bolognese, di grande evidenza grafica, acquistano una più lunga durata proprio grazie alla loro costruzione sottilmente tonale.
Mi sembra che lo spazio della architettura, le vetrate che filtrano la luce, ma anche i pannelli a parete oppure i pavimenti istoriati, mi sembra dicevo che questo spazio sia congeniale alle immagini di un artista come Zanetti, che, del lavoro sulle pagine di pietra della "storia naturale", è attento cultore.
Opere su marmo e pietra, fusioni in vetro, sculture, affreschi
Una mostra monografica che documenta l’originale ed articolata ricerca artistica di Zanetti,
dal 1958 ad oggi
Sabato 13 giugno, alle ore 17, 30 presso la Rocca Sforzesca di Dozza, si inaugura la mostra Umberto Zanetti. La storia del tempo. L'esposizione, promossa dal Comune di Dozza e dalla Fondazione Dozza Città d’Arte, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e dall’Assemblea Legislativa, presenta al pubblico un’ampia selezione di opere realizzate da Zanetti, un “artista-ricercatore” che ha sperimentato una molteplicità di tecniche e materiali ottenendo importanti esiti artistici.
Umberto Zanetti, nato a Bologna nel 1930, vive da molti anni a Dozza. Pittore autodidatta, discende da una famiglia di artisti: il nonno paterno Pietro Rocchi, pittore e incisore, è stato docente all’Istituto Statale d’Arte di Parma, ed anche gli zii materni sono stati pittori e decoratori. Ma sono soprattutto l’amore per la natura ed in particolare la passione per i minerali a stimolare la sua ricerca artistica. Sin da bambino raccoglie minerali e fossili nelle cave del Quaternario Bolognese; da adulto lo studio della mineralogia e della paleontologia lo porta a ricercare, sia in Italia che all’estero, reperti oggi raccolti in una vasta collezione in cui pesci fossili si alternano ad ammoniti, quarzi e lapislazzuli di ogni forma e dimensione.
In questo modo Zanetti scopre la sua vera identità di pittore che si rapporta costantemente alla natura: dalle pietre ricava direttamente i colori, i minerali e i fossili sono parti integranti nelle sue opere così come la simbologia formale che permea il suo lavoro richiama in parte la paleontologia.
L’artista giunge, attraverso un lungo percorso di sperimentazione, alla selezione di una cinquantina di minerali scelti per il loro modo di reagire al tempo e di rapportarsi alla luce, dunque per le loro valenze materiche e cromatiche. Questi elementi scientifico-conoscitivi entrano a far parte del processo creativo dell’artista; ed è proprio in quel momento che Zanetti abbandona ogni approccio razionale per seguire “la logica animata dal cuore” perché, come egli stesso afferma, “quando comincio non so dove approderò e quale viaggio le forme e i colori mi faranno fare”. L’artista intraprende un percorso emotivo che lo porta a recuperare una simbologia ancestrale, per cui la sua arte percepita come astratta può, più propriamente, dirsi simbolista. I diversi supporti utilizzati (pietra, metallo, vetro, legno, pergamena) hanno consentito all’artista di indagare il rapporto luce- colore, attraverso un’ampia gamma cromatica in cui non viene meno l’elemento simbolico, le ocre ad evocare il mondo antico, il blu dei lapislazzuli a suggerire un moto gioioso, il rosso cinabro ad indicare la stabilità e lo spessore di un sentimento profondo.
Zanetti, pittore estraneo a correnti e tendenze, identifica come suoi maestri Mirò ma soprattutto Klee e Kandisky cui lo ha avvicinato la lettura critica di Arturo Carlo Quintavalle. Fra gli altri importanti storici dell’arte che si sono occupati del lavoro di Zanetti, ricordiamo Aldo Angelini e Franco Solmi.
Dozza, che già in altre occasioni ha esposto opere di Umberto Zanetti, ha voluto ospitare questa mostra accompagnata da un’importante monografia sull’artista, pubblicata da Silvana Editoriale, che ne documenta l’intero percorso creativo, dalle prime opere figurative degli anni ’60 fino ai lavori degli ultimi anni.
La mostra rimarrà aperta fino al 23 agosto nei seguenti giorni e orari:
dal martedì al sabato: 10-12,30 e 15-18,30 - domenica e festivi: 10-13,00 e 15-19,30
giugno 2009 Fondazione Dozza Città d'Arte
Le avanguardie di pietra e il Medioevo
di Arturo Carlo Quintavalle
Conoscevo le vetrate di Umberto Zanetti, una lunga storia di ricerca attraverso le avanguardie, Magnelli parigino ma anche Kandinsky e Klee, avevo invece minore familiarità con le sue opere, dalla tecnica complessa e che, da sola, apre molte prospettive sulle interpretazioni possibili del lavoro del bolognese.
Zanetti dunque prende una pietra, un marmo, di norma con tonalità, colori di base, insomma con un "appeal" per lui particolare, e lo liscia, lo definisce nel perimetro.
Quindi traccia sulla superficie un disegno, poi, a mano, secondo un ritmo che ritengo assai lento, lo scava. Non a fondo, naturalmente, appena il necessario per stendere poi, negli incavi, un colore che è denso perché carico di materia, oppure per inserire qualche pietra, magari uno zircone, oppure altri frammenti di "natura", nel tessuto dell'immagine.
Naturalmente il procedimento non deve ingannare: siamo di fronte a una ricerca sui materiali e sulla loro funzione, non certo ad opere di oreficeria e, infatti, se riflettiamo, la storia stessa ci conferma che il lavoro di Zanetti ha lontani antecedenti, lontane tracce. Da medievalista direi che sono i litostrati romani e soprattutto le riprese in epoca medievale, l'ambito romano dei Vassalleto, a giocare a fondo per le scelte di Zanetti. Solo su queste basi si potrà intendere la scelta del supporto di pietra o di marmo e dell'inserto coloristico che lo modifica, un inserto ottenuto prevalentemente con altre pietre, altri marmi e che usa poco colori "liberi".
Non bastano queste radici, però: Zanetti, che ha degli antecedenti figurativi, ha puntato, in tempi recenti, su un discorso nuovo che appare più stimolante. Il fascino delle sue opere a lungo meditate ha molte tracce, molti riferimenti che vanno individuati per comprendere quanta cultura, quanta esperienza sia necessaria, oggi, ad un artefice che non voglia restare nei solchi precostituiti del mercato.
Così dunque, se prendiamo La danza dell'amore, il rapporto è evidente con la cultura medievale delle pietre che abbiamo già sottolineato, ma con molte trasformazioni, a cominciare dal rapporto con Magnelli e con Kandinsky, per non parlare del profilo alla Braque della colomba. Geometrie, densità dei colori, rapporto analitico con il Cubismo che, del resto, accomuna molte delle opere di Zanetti e di Mastroianni, ma anche attenzione alla civilità del mosaico tardoantico, come è chiaro in pezzi quali Omaggio a Solnhofen.
Ma le attenzioni alla storia dell'immagine di Zanetti sono complesse, come per Il volo eterno, che si può ben ricondurre anche alle fonti della civiltà secentesca meridionale, e insieme collegare alla cultura dei paliotti carpigiani questa volta settecenteschi. Insomma Zanetti mette a punto un linguaggio dalla tonalità profondamente nuove e dai riferimenti molto articolati. Le sue forme non sono però semplicemente le forme del disegno romanico o di quello barocco, hanno infatti una diversa gamma di riferimenti che dobbiamo cogliere. Zanetti lavora sulla "natura" anche perchè ha un esperienza precisa della mineralogia e della paleontologia, e quindi il suo costruire immagini come "ridotte", appiattite, nasce da un rapporto immediato con un universo fossile che rivela la sua presenza quasi in ogni interstizio del tessuto di immagine costruito dall'artista.
Se diciamo tessuto diciamo anche rapporto storico con altri fatti: vi sono opere graffite, tenute sui bruni ed i gialli, insomma sulle terre, che riconfermano altre connessioni europee di Zanetti, quelle che lo rilegano a certo Dubuffet degli anni Cinquanta e Sessanta, mentre altri pezzi, come Il grande viaggio, fanno pensare che la cultura Jugend, soprattutto quella della Vienna di Klimt, lo abbia a fondo interessato.
Se riflettiamo, c'è molta coerenza in queste scelte, Zanetti punta infatti sulla ricerca dell'immagine che si appiattisce nella pietra come, negli strati del naturale, si fanno pietra e, quindi, a due dimensioni le forme tridimensionali degli esseri animati. La cultura che questa riduzione della forma en plat, in piatto, ha portato avanti più a fondo è quella Jugend che del medioevo ravennate riscopre le radici, e alludo soprattutto alla civiltà viennese della fine del secolo scorso e degli inizi del nostro.
A scorrere le opere di Zanetti scopriamo animali strani, uccelli che si fanno conchiglie, o, viceversa, conchiglie col becco di uccello, pesci che, insieme, sono schegge di roccia, e intere gamme di colore che vengono fuori dalla cultura dei ferri e degli smalti.
Una delle attenzioni evidenti di Zanetti è infatti per la civiltà medievale degli smalti, quelli limosini cloisonné e champlevé, e tale attenzione spiega anche molto delle novità, delle caratteristiche inusitate del "segno" dell'artista, il suo modo di perimetrare le figure, di constrastarle contro il fondo, di ricavare il disegno finale.
Medioevo, cultura Jugend, ma anche attenzione alle altre civiltà dell'immagine appiattita, della non- prospettiva, quelle Inca e Maja sopra tutti.
Eppure lo sguardo rivolto al passato non deve fare dimenticare la volontà di essere presente e partecipe della rivoluzione delle avanguardie che mi pare evidente nella più recente opera di Zanetti. Le sue belle vetrate, alcune delle sue pietre, mi sembrano rispondere ad un discorso che nasce da Klee e da Kandinsky del Cavaliere azzurro e trova conferme anche nel lavoro, come ho accennato, di Magnelli a Parigi e di certo neo-futurista Mastroianni che, lui pure, si sa, fa dei rilievi piatti ma con altre e ben differenti tecniche. Le avanguardie, quelle del Cavaliere azzurro e il Klee degli anni Venti suggeriscono anche la scelta dei colori di Zanetti che non prende, dal futurismo, la violenza delle tinte ma resta nel "naturale", sceglie cioè le pietre, sceglie le terre. In questa direzione è Klee, più di Kandinsky credo, a indicargli la strada e anche per questo, forse, i lavori del bolognese, di grande evidenza grafica, acquistano una più lunga durata proprio grazie alla loro costruzione sottilmente tonale.
Mi sembra che lo spazio della architettura, le vetrate che filtrano la luce, ma anche i pannelli a parete oppure i pavimenti istoriati, mi sembra dicevo che questo spazio sia congeniale alle immagini di un artista come Zanetti, che, del lavoro sulle pagine di pietra della "storia naturale", è attento cultore.
13
giugno 2009
Umberto Zanetti – La storia del tempo
Dal 13 giugno al 23 agosto 2009
arte contemporanea
Location
ROCCA SFORZESCA – PINACOTECA
Dozza, Piazzale Rocca, (Bologna)
Dozza, Piazzale Rocca, (Bologna)
Orario di apertura
dal martedì al sabato: 10-12,30 e 15-18,30, domenica e festivi: 10-13 e 15-19,30
Vernissage
13 Giugno 2009, ore 17.30
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