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Urban War
L’Associazione Immaginecolore.com è lieta di presentare la Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea Urban war, a cura di Emanuela Dho. L’intento di “Urban War” è di riflettere, attraverso il filtro della sensibilità artistica, sullo stato di tensione costante vissuto dalle metropoli contemporanee.
Comunicato stampa
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L’Associazione Immaginecolore.com è lieta di presentare la Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea “Urban war”, a cura di Emanuela Dho, presso la Immaginecolore.com Gallery di Vico del Fieno 21-R, nel cuore del centro storico di Genova. L’intento di “Urban War” è di riflettere, attraverso il filtro della sensibilità artistica, sullo stato di tensione costante vissuto dalle metropoli contemporanee. Un conflitto silenzioso, che nasce dal disagio del singolo individuo, confinato in prigioni di cemento, costretto in un tempo che non gli appartiene. Così, in una società malata di incomunicabilità, resa sterile dalla solitudine, l’Arte diviene ultimo grido d’aiuto di chi non si arrende all’ineluttabile, risposta all’omologazione di pensieri e sentimenti, ma anche lucida osservazione di una realtà sempre meno a misura d’uomo.
È un universo digitale, infatti, quello attraverso il quale si esprime la creatività di Paolo Frigerio, estrema astrazione di una spiritualità che si fa sintetica, immagine affascinante ed allucinata che ipnotizza ed incanta, attirando lo sguardo nella tela, dove il buio del cyber-spazio si popola inaspettatamente di colori abbaglianti in forme essenziali. L’emozione è contenuta, quasi rarefatta, affidata ad un gioco solo apparentemente casuale di bit, che l’artista – deus ex machina – domina con disincanto ed ironia. Le indistinte suggestioni dell’arte di Paolo Dolcet, invece, ispirano un percorso quasi dantesco attraverso un inferno urbano che prende corpo in geometrie abnormi, generate da un magma iridescente, microcosmo concentrato in se stesso e prossimo all’implosione. Non c’è disperazione, però, ma un fremito di vitalità che risale verso l’empireo, un bagliore accecante, nascosto sul fondo del vaso di Pandora ormai irrimediabilmente scoperchiato.
Nelle visioni postmoderne di Gabriela Bodin, invece, anche la luce sembra sprofondare in un abisso oscuro, dove un cielo nero fumo cola le sue lacrime di metallo su indifferenze e rimpianti, mentre un treno cieco continua la sua corsa verso il nulla e le macchine sfrecciano senza direzione, uniche tracce di colore nello spettro di una città svuotata, assente, scheletrita: sono scenari “tossici”, ansiogeni, accentuati da un evidente contrasto chiaroscurale, dalla rapidità del segno, da un’istintiva sintesi grafica e concettuale d’intenso impatto emotivo.
Anche la raffinatezza cromatica, che contraddistingue l’opera di Giuliano Giuliani, sembra piegarsi alla drammatica constatazione di un’esistenza frammentata, esplosa in elementi disgiunti e contrapposti, in un caos morbido e avvolgente dove la figura umana si smarrisce, confusa da una sovrabbondanza di stimoli e percezioni, fondamentalmente solitaria, lo sguardo perso nel dedalo infinito delle possibilità deluse, delle domande irrisolte, delle strade mai percorse.
Nelle opere di Walter Passarella il distacco tra uomo e società contemporanea è accentuato dall’uso della tecnica mista su fotografia, dove i personaggi si sovrappongono su piani differenti della realtà, vivendo in una pluralità di dimensioni, incapaci di comunicare, mentre gli unici punti di contatto sono costituiti da oggetti inanimati, effimeri varchi tra mondi di contrasti e sofferenze. Pure il tempo sembra imprigionato in un anello impossibile da spezzare, dove il passato guarda impotente ed indifferente il proprio divenire, come se nulla dovesse o potesse cambiare.
Spetta alle tele di Stefano Sorrentino, infine, compendiare il tema della mostra: ai piedi dello skyline cittadino, archetipo di una metropoli irriconoscibile e, per questo, universale, un labirinto di parole disarticolate si aggroviglia informe. Sono le voci spezzate di un’umanità ferita, frasi sconnesse di una novella Babele destinata alla caduta, grida mute portate da un vento che soffia senza mai posarsi, per non rivelare il silenzio assordante di una moltitudine di infinite solitudini.
Emanuela Dho
È un universo digitale, infatti, quello attraverso il quale si esprime la creatività di Paolo Frigerio, estrema astrazione di una spiritualità che si fa sintetica, immagine affascinante ed allucinata che ipnotizza ed incanta, attirando lo sguardo nella tela, dove il buio del cyber-spazio si popola inaspettatamente di colori abbaglianti in forme essenziali. L’emozione è contenuta, quasi rarefatta, affidata ad un gioco solo apparentemente casuale di bit, che l’artista – deus ex machina – domina con disincanto ed ironia. Le indistinte suggestioni dell’arte di Paolo Dolcet, invece, ispirano un percorso quasi dantesco attraverso un inferno urbano che prende corpo in geometrie abnormi, generate da un magma iridescente, microcosmo concentrato in se stesso e prossimo all’implosione. Non c’è disperazione, però, ma un fremito di vitalità che risale verso l’empireo, un bagliore accecante, nascosto sul fondo del vaso di Pandora ormai irrimediabilmente scoperchiato.
Nelle visioni postmoderne di Gabriela Bodin, invece, anche la luce sembra sprofondare in un abisso oscuro, dove un cielo nero fumo cola le sue lacrime di metallo su indifferenze e rimpianti, mentre un treno cieco continua la sua corsa verso il nulla e le macchine sfrecciano senza direzione, uniche tracce di colore nello spettro di una città svuotata, assente, scheletrita: sono scenari “tossici”, ansiogeni, accentuati da un evidente contrasto chiaroscurale, dalla rapidità del segno, da un’istintiva sintesi grafica e concettuale d’intenso impatto emotivo.
Anche la raffinatezza cromatica, che contraddistingue l’opera di Giuliano Giuliani, sembra piegarsi alla drammatica constatazione di un’esistenza frammentata, esplosa in elementi disgiunti e contrapposti, in un caos morbido e avvolgente dove la figura umana si smarrisce, confusa da una sovrabbondanza di stimoli e percezioni, fondamentalmente solitaria, lo sguardo perso nel dedalo infinito delle possibilità deluse, delle domande irrisolte, delle strade mai percorse.
Nelle opere di Walter Passarella il distacco tra uomo e società contemporanea è accentuato dall’uso della tecnica mista su fotografia, dove i personaggi si sovrappongono su piani differenti della realtà, vivendo in una pluralità di dimensioni, incapaci di comunicare, mentre gli unici punti di contatto sono costituiti da oggetti inanimati, effimeri varchi tra mondi di contrasti e sofferenze. Pure il tempo sembra imprigionato in un anello impossibile da spezzare, dove il passato guarda impotente ed indifferente il proprio divenire, come se nulla dovesse o potesse cambiare.
Spetta alle tele di Stefano Sorrentino, infine, compendiare il tema della mostra: ai piedi dello skyline cittadino, archetipo di una metropoli irriconoscibile e, per questo, universale, un labirinto di parole disarticolate si aggroviglia informe. Sono le voci spezzate di un’umanità ferita, frasi sconnesse di una novella Babele destinata alla caduta, grida mute portate da un vento che soffia senza mai posarsi, per non rivelare il silenzio assordante di una moltitudine di infinite solitudini.
Emanuela Dho
08
novembre 2008
Urban War
Dall'otto al 23 novembre 2008
arte contemporanea
Location
IMMAGINECOLORE.COM
Genova, Vico Del Fieno, 21r, (Genova)
Genova, Vico Del Fieno, 21r, (Genova)
Orario di apertura
tutti i pomeriggi dal martedì al sabato
Vernissage
8 Novembre 2008, h 18.00
Autore
Curatore