Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Urfaut – Urtype
Prosegue il discorso espositivo su new media e tecnologie con una retrospettiva dell’ artista-hacker ideatore del dagherrotipo digitale che, accanto a supporti creati ad hoc, lightbox, una videoinstallazione, monitor digitali, traghettano il linguaggio fotografico verso la nuova era del digitale.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Il secondo progetto espositivo di Internonove, giovane home gallery, prosegue il discorso su new media, tecnologia e rapporti con le realtà umane, proponendo il lavoro di Urfaut, per la prima volta in una mostra personale a Torino. Attivo sul territorio italiano dal 1999, la sua ricerca si è da sempre rivolta alle nuove tecnologie e in particolare ha indagato la nuova era del digitale in fotografia cercando di ricostruirne l'identità artistica. Da questa ricerca hanno preso vita gli Urtypes o dagherrotipi del digitale, da cui il titolo della mostra, presentati per la prima volta nel 2014 alla Galerie Foto Forum di Bolzano.
Si tratta di un supporto fotografico inedito: un e-paper adatto alla lettura di un e-book, che con le opportune modifiche di software e hardware, si presta ad essere impresso indelebilmente dalle immagini fotografiche. Il funzionamento è in realtà simile a quello della fotografia classica; nell'era analogica, un foglio di carta ricco di sali d’argento veniva colpito, dentro la camera oscura, da un flusso di fotoni. Il negativo, lavorando come un filtro, lasciava passare pochi o nessun fotone per il bianco, molti fotoni per il nero più o meno intenso a seconda della cristallizzazione dei sali. Gli schermi di questi e-paper sono composti da piccole sfere bianche e nere immerse in un liquido viscoso, l'impulso elettrico porta in superficie le une o le altre e crea così 16 differenti tonalità di grigio cristallizzando l'immagine con la stessa granulosità della fotografia analogica che con la moderna stampa digitale viene a perdersi.
Tuttavia non si tratta solo di un problema estetico ma anche di un risultato filosofico, tutta la riflessione sulla fotografia classica da Barthes a Krauss parlava dell'immagine fotografica come di un istante congelato, di una traccia del reale fissata nella materia, di un rapporto indicale tra oggetto e immagine; con il digitale tutto sembra essere sconvolto perché la visualizzazione sugli schermi è calda, fluida nella materia e nel tempo, modificabile, passibile di alterazioni ed errori per il venir meno della sua certezza referenziale e in definitiva costruisce un nuovo rapporto iconico con il suo oggetto. McLuhan parlerebbe del trionfo della civiltà elettrica, Urfaut invece tenta di lanciare un ponte, di ricucire la cesura tra i due mondi, cercando di traghettare il linguaggio analogico verso la nuova era digitale. E lo fa tramite la creazione di un supporto caldo, fluido, manipolabile e quindi precario che però conserva la componente chimica delle origini del mezzo analogico. É proprio verso la ricerca del prototipo, del tipo primigenio, dell'archetipo che si orienta l'indagine artistica di Urfaut, a partire dalla radice etimologica del prefisso “ur” dal tedesco significa “antico, ancestrale” unita al valore simbolico dei contenuti.
I 22 Urtypes in esposizione rimandano alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico e alle 22 lettere dell'alfabeto iconico dell'età cristiana: gli arcani maggiori, i più potenti archetipi della cultura occidentale.
Una dichiarazione di poetica che abbraccia ciò che sta più a cuore a Urfaut: l'ignoto, l'elemento casuale, ciò che non vediamo e non comprendiamo. Urfaut fotografa il non detto, l'errore perché è tra le maglie dell'indecifrabile che egli ricerca la conoscenza. Se da un lato Thomas, il fotografo in Blow-Up, appena tenta di avvicinarsi alla realtà, ingrandendola, scopre che non la può conoscere perché nel momento in cui la afferra essa sfugge, sparisce, diventa altro, dall'altro Urfaut non rinuncia alla possibilità di indagare la realtà, la conoscenza, fino a quell'immagine assoluta misteriosa che nessuno vedrà mai, ma, a differenza del nichilismo di Antonioni, ci rimanda a realtà diverse, a possibilità surreali, a visioni simboliche slegate dal dato reale che pur tuttavia navigano in una foresta di significati indecifrabili i quali perturbano sia l'autore sia il fruitore.
In occasione della mostra retrospettiva a Internonove, accanto agli Urtypes, completano l'allestimento i precedenti lavori dell'artista quali Uncle Bob un progetto crossmediale iniziato nel 1999 e tuttora in divenire che affonda le radici nel genere noir e ruota attorno al modello della detective story, l'archetipo più comune del raccontare postmoderno. Imago, progetto nato nel 2005, tratta immagini catturate con il primo cellulare munito di fotocamera integrata in bassa definizione (0.1 megapixel) e retroproiettate su pellicole olografiche (qui in mostra è presente un esemplare della serie Solid Version, in cui le immagini vengono esposte attraverso dei lightbox); la sfida è quella di ridare corporeità alle immagini deformate dall'entropia del pixel. Digital Frame, lavoro del 2010, primo esperimento di mostra fotografica interamente digitale che vede le opere riprodotte da schermi LCD opportunamente incorniciati per una riflessione sullo stesso mezzo fotografico. Nel 2013 parte la creazione di Daily Phone Notes, un photo-blog collegato a una piattaforma di social network, dove viene giornalmente caricata una fotografia tratta dal quotidiano della vita dell’autore, realizzata rigorosamente con un dispositivo mobile dotato di fotocamera per un totale di 1096 scatti a chiusura del progetto, tuttora in corso. Questo percorso "a rebours" rispetto alle tendenze attuali si pone come una provocazione per evidenziare i rischi della perdita del linguaggio fotografico insiti in alcune evoluzioni dell'attuale pratica del mezzo a livello digitale. Il punto in questione non è ovviamente l'uso in sè di tecnologie digitali ma la progressiva perdita di una grammatica essenziale del visuale, sostituita spesso da soluzioni stereotipate fornite da griglie, filtri, schemi crociati che generano una rozza simulazione ed illusione di struttura. Il progetto prevede poi un ritorno di questo materiale alla tradizionale stampa cartacea.
É importante sottolineare come la ricerca di Urfaut sia percorsa da un fil rouge principe che lega inevitabilmente il passato analogico con il presente digitale e pone l'artista in una posizione di avanguardia rispetto alla più grossa rivoluzione avvenuta in campo fotografico nell'ultimo ventennio.
Si tratta di un supporto fotografico inedito: un e-paper adatto alla lettura di un e-book, che con le opportune modifiche di software e hardware, si presta ad essere impresso indelebilmente dalle immagini fotografiche. Il funzionamento è in realtà simile a quello della fotografia classica; nell'era analogica, un foglio di carta ricco di sali d’argento veniva colpito, dentro la camera oscura, da un flusso di fotoni. Il negativo, lavorando come un filtro, lasciava passare pochi o nessun fotone per il bianco, molti fotoni per il nero più o meno intenso a seconda della cristallizzazione dei sali. Gli schermi di questi e-paper sono composti da piccole sfere bianche e nere immerse in un liquido viscoso, l'impulso elettrico porta in superficie le une o le altre e crea così 16 differenti tonalità di grigio cristallizzando l'immagine con la stessa granulosità della fotografia analogica che con la moderna stampa digitale viene a perdersi.
Tuttavia non si tratta solo di un problema estetico ma anche di un risultato filosofico, tutta la riflessione sulla fotografia classica da Barthes a Krauss parlava dell'immagine fotografica come di un istante congelato, di una traccia del reale fissata nella materia, di un rapporto indicale tra oggetto e immagine; con il digitale tutto sembra essere sconvolto perché la visualizzazione sugli schermi è calda, fluida nella materia e nel tempo, modificabile, passibile di alterazioni ed errori per il venir meno della sua certezza referenziale e in definitiva costruisce un nuovo rapporto iconico con il suo oggetto. McLuhan parlerebbe del trionfo della civiltà elettrica, Urfaut invece tenta di lanciare un ponte, di ricucire la cesura tra i due mondi, cercando di traghettare il linguaggio analogico verso la nuova era digitale. E lo fa tramite la creazione di un supporto caldo, fluido, manipolabile e quindi precario che però conserva la componente chimica delle origini del mezzo analogico. É proprio verso la ricerca del prototipo, del tipo primigenio, dell'archetipo che si orienta l'indagine artistica di Urfaut, a partire dalla radice etimologica del prefisso “ur” dal tedesco significa “antico, ancestrale” unita al valore simbolico dei contenuti.
I 22 Urtypes in esposizione rimandano alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico e alle 22 lettere dell'alfabeto iconico dell'età cristiana: gli arcani maggiori, i più potenti archetipi della cultura occidentale.
Una dichiarazione di poetica che abbraccia ciò che sta più a cuore a Urfaut: l'ignoto, l'elemento casuale, ciò che non vediamo e non comprendiamo. Urfaut fotografa il non detto, l'errore perché è tra le maglie dell'indecifrabile che egli ricerca la conoscenza. Se da un lato Thomas, il fotografo in Blow-Up, appena tenta di avvicinarsi alla realtà, ingrandendola, scopre che non la può conoscere perché nel momento in cui la afferra essa sfugge, sparisce, diventa altro, dall'altro Urfaut non rinuncia alla possibilità di indagare la realtà, la conoscenza, fino a quell'immagine assoluta misteriosa che nessuno vedrà mai, ma, a differenza del nichilismo di Antonioni, ci rimanda a realtà diverse, a possibilità surreali, a visioni simboliche slegate dal dato reale che pur tuttavia navigano in una foresta di significati indecifrabili i quali perturbano sia l'autore sia il fruitore.
In occasione della mostra retrospettiva a Internonove, accanto agli Urtypes, completano l'allestimento i precedenti lavori dell'artista quali Uncle Bob un progetto crossmediale iniziato nel 1999 e tuttora in divenire che affonda le radici nel genere noir e ruota attorno al modello della detective story, l'archetipo più comune del raccontare postmoderno. Imago, progetto nato nel 2005, tratta immagini catturate con il primo cellulare munito di fotocamera integrata in bassa definizione (0.1 megapixel) e retroproiettate su pellicole olografiche (qui in mostra è presente un esemplare della serie Solid Version, in cui le immagini vengono esposte attraverso dei lightbox); la sfida è quella di ridare corporeità alle immagini deformate dall'entropia del pixel. Digital Frame, lavoro del 2010, primo esperimento di mostra fotografica interamente digitale che vede le opere riprodotte da schermi LCD opportunamente incorniciati per una riflessione sullo stesso mezzo fotografico. Nel 2013 parte la creazione di Daily Phone Notes, un photo-blog collegato a una piattaforma di social network, dove viene giornalmente caricata una fotografia tratta dal quotidiano della vita dell’autore, realizzata rigorosamente con un dispositivo mobile dotato di fotocamera per un totale di 1096 scatti a chiusura del progetto, tuttora in corso. Questo percorso "a rebours" rispetto alle tendenze attuali si pone come una provocazione per evidenziare i rischi della perdita del linguaggio fotografico insiti in alcune evoluzioni dell'attuale pratica del mezzo a livello digitale. Il punto in questione non è ovviamente l'uso in sè di tecnologie digitali ma la progressiva perdita di una grammatica essenziale del visuale, sostituita spesso da soluzioni stereotipate fornite da griglie, filtri, schemi crociati che generano una rozza simulazione ed illusione di struttura. Il progetto prevede poi un ritorno di questo materiale alla tradizionale stampa cartacea.
É importante sottolineare come la ricerca di Urfaut sia percorsa da un fil rouge principe che lega inevitabilmente il passato analogico con il presente digitale e pone l'artista in una posizione di avanguardia rispetto alla più grossa rivoluzione avvenuta in campo fotografico nell'ultimo ventennio.
03
aprile 2015
Urfaut – Urtype
Dal 03 aprile al 03 maggio 2015
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
INTERNONOVE HOME GALLERY
Torino, Via Bernardino Galliari, 2 bis, (Torino)
Torino, Via Bernardino Galliari, 2 bis, (Torino)
Orario di apertura
Ogni venerdì dalle 19.00 alle 23.00
Vernissage
3 Aprile 2015, ore 19.00 su invito
Autore
Curatore