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Uzia Ograbek – Horse Milk
Personale
Comunicato stampa
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E’ una storia antica quella che stiamo per raccontare. Antica e importante, come lo sono le storie d’amore.
C’era una volta una bambina che aveva un nonno vecchio e tanto saggio e un cavallo a dondolo con le zampe alte come grattacieli perché montando sulla groppa si potesse toccare il cielo. Lo aveva chiesto lei un cavallo dalle zampe alte venti metri, dalla testa grande e dal ventre caldo e accogliente. Colore nero carbone.
Chissà perché proprio nero, visto che poi aveva voluto addolcirlo dipingendo una stella bianca sulla fronte e piccole chiazze di latte lungo le zampe altissime. Carino- così si chiamava il cavallo - rappresentava un po’ la sua nascita. Uzia lo accudiva teneramente come si fa con un bambino: lo nutriva dell’amore che solo gli esseri umani più sani sono capaci di sentire.
L’amore senza briglie che si interessa solo alla bellezza dell’altro.
Gli anni passavano e la dona bambina continuava a ricercare una nascita. Incontrò un uomo e scrutò in lui una grande virtù che era quella di costringere gli altri alla creatività, a qualunque costo. Ed ebbe l’esperienza di diventare mamma.
Un giorno Uzia vide un foglio di carta stampata e su di esso un’immagine: una donna bionda giocava a fare la lotta con un grande toro nero. Le apparve l’incontro del maschile e del femminile a far nascere in lei un’onda dirompente. Ne nacque Bianco di Zinco, che dell’immagine originaria non conserva nulla, perché l’opera d’arte è sempre trasformazione: il toro è diventato un cavallo, l’arena un mare d’oro, il pubblico un drappo di velluto rosso e compare all’orizzonte una striscia nera illuminata come la notte che lascia spazio al giorno a venire.
Venne poi un viaggio dal significato iniziatico. Uzia amava le prime volte e per la prima volta amò volare perché scoprì che da sopra la sua testa tutto il mondo era fatto come se l’era sempre immaginato e come l’aveva dipinto nei suoi quadri. Al cavallo si aggiunse un arcobaleno, ma di traverso perché non se ne potesse percepire l’inizio né la fine. La ragione? Non c’è fine alla creatività e l’inizio non è mai uno soltanto.
Poi i cavalli divennero zebre, attraversati da strisce scure, come imprigionati in una pelle che non era la loro. Uzia aveva perso la terra, il verde, soffriva dell’assenza di contatto con il mondo. Forse la prigione era fatta d’acqua, non lo sappiamo, ma da questa crisi nacque una nuova ricerca piena d’energia, come quella che fabbricano i mulini tedeschi.
Chi ha detto che esiste una fine per tutte storie? La nostra fiaba non finisce e ricomincia da dove è iniziata, senza macchie di latte o di malinconia. E’ Uzia che non ha più paura di raccontarsi, non teme lo sguardo indiscreto di chi vorrebbe sapere tutto, perché sa che in fondo chi ha troppa smania di sapere ha già smarrito il senso profondo delle cose. Il sentire.
Testo rielaborato da uno scritto di Valentina Sapienza
Uzia Ograbek nasce a Cracovia nel 1974. Inizia la formazione artistica presso l’Accademia di Belle Arti della stessa città, laureandosi in Restauro della Pittura nel 1999. Nello stesso anno inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Venezia, diplomandosi in pittura nel 2004. Attualmente vive e lavora a Venezia.
C’era una volta una bambina che aveva un nonno vecchio e tanto saggio e un cavallo a dondolo con le zampe alte come grattacieli perché montando sulla groppa si potesse toccare il cielo. Lo aveva chiesto lei un cavallo dalle zampe alte venti metri, dalla testa grande e dal ventre caldo e accogliente. Colore nero carbone.
Chissà perché proprio nero, visto che poi aveva voluto addolcirlo dipingendo una stella bianca sulla fronte e piccole chiazze di latte lungo le zampe altissime. Carino- così si chiamava il cavallo - rappresentava un po’ la sua nascita. Uzia lo accudiva teneramente come si fa con un bambino: lo nutriva dell’amore che solo gli esseri umani più sani sono capaci di sentire.
L’amore senza briglie che si interessa solo alla bellezza dell’altro.
Gli anni passavano e la dona bambina continuava a ricercare una nascita. Incontrò un uomo e scrutò in lui una grande virtù che era quella di costringere gli altri alla creatività, a qualunque costo. Ed ebbe l’esperienza di diventare mamma.
Un giorno Uzia vide un foglio di carta stampata e su di esso un’immagine: una donna bionda giocava a fare la lotta con un grande toro nero. Le apparve l’incontro del maschile e del femminile a far nascere in lei un’onda dirompente. Ne nacque Bianco di Zinco, che dell’immagine originaria non conserva nulla, perché l’opera d’arte è sempre trasformazione: il toro è diventato un cavallo, l’arena un mare d’oro, il pubblico un drappo di velluto rosso e compare all’orizzonte una striscia nera illuminata come la notte che lascia spazio al giorno a venire.
Venne poi un viaggio dal significato iniziatico. Uzia amava le prime volte e per la prima volta amò volare perché scoprì che da sopra la sua testa tutto il mondo era fatto come se l’era sempre immaginato e come l’aveva dipinto nei suoi quadri. Al cavallo si aggiunse un arcobaleno, ma di traverso perché non se ne potesse percepire l’inizio né la fine. La ragione? Non c’è fine alla creatività e l’inizio non è mai uno soltanto.
Poi i cavalli divennero zebre, attraversati da strisce scure, come imprigionati in una pelle che non era la loro. Uzia aveva perso la terra, il verde, soffriva dell’assenza di contatto con il mondo. Forse la prigione era fatta d’acqua, non lo sappiamo, ma da questa crisi nacque una nuova ricerca piena d’energia, come quella che fabbricano i mulini tedeschi.
Chi ha detto che esiste una fine per tutte storie? La nostra fiaba non finisce e ricomincia da dove è iniziata, senza macchie di latte o di malinconia. E’ Uzia che non ha più paura di raccontarsi, non teme lo sguardo indiscreto di chi vorrebbe sapere tutto, perché sa che in fondo chi ha troppa smania di sapere ha già smarrito il senso profondo delle cose. Il sentire.
Testo rielaborato da uno scritto di Valentina Sapienza
Uzia Ograbek nasce a Cracovia nel 1974. Inizia la formazione artistica presso l’Accademia di Belle Arti della stessa città, laureandosi in Restauro della Pittura nel 1999. Nello stesso anno inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Venezia, diplomandosi in pittura nel 2004. Attualmente vive e lavora a Venezia.
15
luglio 2005
Uzia Ograbek – Horse Milk
Dal 15 luglio al 15 agosto 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA PERELA’
Venezia, Castello, 3459, (Venezia)
Venezia, Castello, 3459, (Venezia)
Orario di apertura
da lunedì a domenica 16-20, chiuso di sabato, visite in altri orari previo appuntamento
Vernissage
15 Luglio 2005, ore 19
Autore