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Valerio Anceschi – Giochi sospesi
Valerio Anceschi estrae dal suo crogiolo incandescente giochi sospesi di rame, nastri che ondeggiano al collo con l’incidere del corpo ai quali accosta il bagliore di perle veneziane o il silenzio attutito di sassi vulcanici e millenari. Quando si mette alla prova con gli ornamenti per il corpo o quando va alla ricerca di frammenti di ferro da assemblare assieme, compie un gesto che solo apparentemente potrebbe apparire spinto dal caso
Comunicato stampa
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Valerio Anceschi. Giochi sospesi
Nicoletta Pallini
Valerio Anceschi estrae dal suo crogiolo incandescente giochi sospesi di rame, nastri che ondeggiano al collo con l’incidere del corpo ai quali accosta il bagliore di perle veneziane o il silenzio attutito di sassi vulcanici e millenari. Quando si mette alla prova con gli ornamenti per il corpo o quando va alla ricerca di frammenti di ferro da assemblare assieme, compie un gesto che solo apparentemente potrebbe apparire spinto dal caso. A prima vista le sue sculture, appese alla parete o ben piantate sulla terra e che oscillano al primo colpo di vento, possono anche apparire come esche o trappole, impronte cadute da altri emisferi, punti interrogativi che si librano nello spazio con le loro forme acuminate, coroncine dalle punte arrotondate di tante piccole Alici. O anche, altalene per adulti e bambini che trasportano nell’aria pensieri lontani. Il suo lavoro invita al gioco ma anche alla riflessione sull’interdipendenza delle cose e sulla mutevolezza del tutto.
Sono “giochi sospesi” dove intervengono ironia e poesia, aspirazione al cielo e desiderio di ancorarsi alla terra.
Anceschi con la sua scultura e con i suoi monili crea infatti una propria “ars combinatoria” dove i vari elementi e materiali si uniscono e si saldano fra di loro come se fossero essi stessi spinti da una necessità e da una forza interiore di trasformazione e di rinnovamento. E questo induce l’artista a prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
Sono gli stessi materiali, infatti, il ferro, il rame, gli ingranaggi abbandonati di ruote dentate e persino quei piccoli frammenti colorati di vetri di Murano a guidarlo nel suo percorso.
È dunque davvero il caso a prendere la mano allo scultore quando si imbatte “fortuitamente” nei materiali di recupero o quando getta nel fuoco nidi di rame che si contorcono al calore della fiamma? La sua sembra essere invece una necessità, una spinta precisa e determinata che ogni volta lo porta a considerare prima di tutto l’essenza stessa della materia che ha di fronte.
Come un alchimista, infatti, Anceschi tende l’orecchio e aspetta in silenzio, senza fretta.
Attende un richiamo e una risposta che gli possono arrivare solo da quegli stessi materiali scartati da altri e che lui recupera con caparbia tenacia. E mettendosi all’ascolto, aspetta pazientemente di intuire ciò che il ferro o il rame gli sussurrano. Solo in quel preciso momento, allora, interviene senza esitazioni unendo, assemblando, facendo combaciare certe parti e solo quelle, dando loro un altro senso e un altro significato, una nuova forma e una nuova collocazione nello spazio. Riuscendo a captare quella sorta di “ritmo interiore” che si annida anche nel più piccolo dei frammenti recuperati, Anceschi segue quel ritmo, lo recupera, lo fa nuovamente vibrare e a quel punto, con un’abilità tutta sua, dalla stasi inerte della materia fa riemergere il movimento, dal silenzio estrae una musicalità, tangibile e più evidente in molti casi, altre volte appena sussurrata. La sua potrebbe essere l’operazione di un rabdomante alla ricerca di un suono.
“Ogni singolo pezzo di ferro - scrive Anceschi - è per me come una guida che mi indica una strada da intraprendere […] È il singolo pezzo di ferro a darmi un segnale importante che mi spinge a compiere il gesto di consolidare il tutto con una saldatura potrei arrivare a dire che sono i singoli pezzi di ferro a contenere in sé la predisposizione ad assolvere anche la funzione del movimento.”
E il risultato sono forme concluse, precise, mai spezzettate o monche sia nella grande dimensione delle opere in ferro, sia negli ornamenti per il corpo, non meno significativi in questa nuova via intrapresa dallo scultore. E al di là della presenza concreta della materia, nelle sue opere è sempre presente una lievità aerea che consente al suo lavoro di librarsi nello spazio senza gravità. Il ferro ha quasi perso peso e si è trasformato di colpo in un gesto, in un segno non più inanimato ma che ritrova rinnovata la propria forza; il rame si fa ancora più duttile e malleabile aggrovigliandosi in spirali che racchiudono il mistero del vetro.
I “giochi sospesi” di Valerio Anceschi ci aprono dunque una porta, sono un segnale senza sbavature che ci indicano un percorso che dalle viscere della terra ci possono condurre anche fino al cielo. Come avviene in una serie di opere già del 2007 come “Svincolo” o “Anonimo N. 328” e che ritroviamo di nuovo
in “Aeriforme” del 2010. In “Giromondo” del 2009, poi, il ferro saldato si muove nell’aria addirittura a ritmo di danza; in “Grafia” del 2010 gli incastri sono un invito alla scrittura e alla lettura, in “Arco di Trionfo” del 2012 e in “Assimilazione” dello stesso anno diventano una soglia da attraversare per poter riprendere il cammino.
Nicoletta Pallini
Valerio Anceschi estrae dal suo crogiolo incandescente giochi sospesi di rame, nastri che ondeggiano al collo con l’incidere del corpo ai quali accosta il bagliore di perle veneziane o il silenzio attutito di sassi vulcanici e millenari. Quando si mette alla prova con gli ornamenti per il corpo o quando va alla ricerca di frammenti di ferro da assemblare assieme, compie un gesto che solo apparentemente potrebbe apparire spinto dal caso. A prima vista le sue sculture, appese alla parete o ben piantate sulla terra e che oscillano al primo colpo di vento, possono anche apparire come esche o trappole, impronte cadute da altri emisferi, punti interrogativi che si librano nello spazio con le loro forme acuminate, coroncine dalle punte arrotondate di tante piccole Alici. O anche, altalene per adulti e bambini che trasportano nell’aria pensieri lontani. Il suo lavoro invita al gioco ma anche alla riflessione sull’interdipendenza delle cose e sulla mutevolezza del tutto.
Sono “giochi sospesi” dove intervengono ironia e poesia, aspirazione al cielo e desiderio di ancorarsi alla terra.
Anceschi con la sua scultura e con i suoi monili crea infatti una propria “ars combinatoria” dove i vari elementi e materiali si uniscono e si saldano fra di loro come se fossero essi stessi spinti da una necessità e da una forza interiore di trasformazione e di rinnovamento. E questo induce l’artista a prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
Sono gli stessi materiali, infatti, il ferro, il rame, gli ingranaggi abbandonati di ruote dentate e persino quei piccoli frammenti colorati di vetri di Murano a guidarlo nel suo percorso.
È dunque davvero il caso a prendere la mano allo scultore quando si imbatte “fortuitamente” nei materiali di recupero o quando getta nel fuoco nidi di rame che si contorcono al calore della fiamma? La sua sembra essere invece una necessità, una spinta precisa e determinata che ogni volta lo porta a considerare prima di tutto l’essenza stessa della materia che ha di fronte.
Come un alchimista, infatti, Anceschi tende l’orecchio e aspetta in silenzio, senza fretta.
Attende un richiamo e una risposta che gli possono arrivare solo da quegli stessi materiali scartati da altri e che lui recupera con caparbia tenacia. E mettendosi all’ascolto, aspetta pazientemente di intuire ciò che il ferro o il rame gli sussurrano. Solo in quel preciso momento, allora, interviene senza esitazioni unendo, assemblando, facendo combaciare certe parti e solo quelle, dando loro un altro senso e un altro significato, una nuova forma e una nuova collocazione nello spazio. Riuscendo a captare quella sorta di “ritmo interiore” che si annida anche nel più piccolo dei frammenti recuperati, Anceschi segue quel ritmo, lo recupera, lo fa nuovamente vibrare e a quel punto, con un’abilità tutta sua, dalla stasi inerte della materia fa riemergere il movimento, dal silenzio estrae una musicalità, tangibile e più evidente in molti casi, altre volte appena sussurrata. La sua potrebbe essere l’operazione di un rabdomante alla ricerca di un suono.
“Ogni singolo pezzo di ferro - scrive Anceschi - è per me come una guida che mi indica una strada da intraprendere […] È il singolo pezzo di ferro a darmi un segnale importante che mi spinge a compiere il gesto di consolidare il tutto con una saldatura potrei arrivare a dire che sono i singoli pezzi di ferro a contenere in sé la predisposizione ad assolvere anche la funzione del movimento.”
E il risultato sono forme concluse, precise, mai spezzettate o monche sia nella grande dimensione delle opere in ferro, sia negli ornamenti per il corpo, non meno significativi in questa nuova via intrapresa dallo scultore. E al di là della presenza concreta della materia, nelle sue opere è sempre presente una lievità aerea che consente al suo lavoro di librarsi nello spazio senza gravità. Il ferro ha quasi perso peso e si è trasformato di colpo in un gesto, in un segno non più inanimato ma che ritrova rinnovata la propria forza; il rame si fa ancora più duttile e malleabile aggrovigliandosi in spirali che racchiudono il mistero del vetro.
I “giochi sospesi” di Valerio Anceschi ci aprono dunque una porta, sono un segnale senza sbavature che ci indicano un percorso che dalle viscere della terra ci possono condurre anche fino al cielo. Come avviene in una serie di opere già del 2007 come “Svincolo” o “Anonimo N. 328” e che ritroviamo di nuovo
in “Aeriforme” del 2010. In “Giromondo” del 2009, poi, il ferro saldato si muove nell’aria addirittura a ritmo di danza; in “Grafia” del 2010 gli incastri sono un invito alla scrittura e alla lettura, in “Arco di Trionfo” del 2012 e in “Assimilazione” dello stesso anno diventano una soglia da attraversare per poter riprendere il cammino.
15
dicembre 2013
Valerio Anceschi – Giochi sospesi
Dal 15 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014
arte contemporanea
Location
VILLA CERNIGLIARO
Sordevolo, Via Clemente Vercellone, 4, (Biella)
Sordevolo, Via Clemente Vercellone, 4, (Biella)
Orario di apertura
lunedì, giovedì, venerdì, sabato ore 19 - 24;
domenica ore 11 - 24; altre visite su prenotazione.
Vernissage
15 Dicembre 2013, h 16.30
Autore
Curatore