“E’ ancora una volta la questione di un quadro che quadro non è più, la vicenda di una pittura ridotta ai suoi minimi termini, spostata su un piano diverso da quello al quale la storia fino al secolo scorso l’ha consegnata. Nel mio caso, quasi una proposizione tautologica: l’occhio casca con spontanea frequenza sul tema della superficie analizzata ed esplorata fino alle sue estreme conseguenze. Di questo ambito di ricerca il lavoro di Valerio Restagno rappresenta un’opzione molto interessante e personale. Il grado zero del linguaggio pittorico è raggiunto con apparente facilità ed elegante piacevolezza. Dinanzi ai suoi lavori ti prende una specie di piacere “liquido” che rende permeabile, al limite quasi dell’inesistente, il diaframma posto tra il farsi dell’opera e il suo essere “finita”, “consegnata”, “affidata” alla lettura, tra il creare e il prodotto. Nonostante sia fissato dalle colle viniliche, talvolta dagli amidi e dai cementi, e impregnato dalle tempere il tessuto o il panno è ancora lì con la sua intonsa morbidezza, accarezzata dalle velature. Pittura e superficie crescono e si delineano con modalità e caratteri assai prossimi alla scultura: l’opera appare ‘formata’, ‘plasmata’, e solo in un momento successivo dipinta. Il suo concretizzarsi è frutto di un’azione sinergica, di complicità e convergenze liriche e profonde….”