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Venezia e il Secolo della Biennale
Dipinti, vetri e fotografie dalla Collezione della Fondazione di Venezia. 30 vetri di Murano e una selezione di fotografie dei maggiori protagonisti dell’arte del XX secolo
Comunicato stampa
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La Fondazione di Venezia porta a Roma presso il Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese parte della sua collezione, una selezione di opere tra dipinti, vetri e fotografie per ripercorrere le tappe del rapporto centenario che lega Venezia e La Biennale.
La mostra “Venezia e il secolo della Biennale. Dipinti, vetri e fotografie dalla Collezione della Fondazione di Venezia”, proposta dalla Fondazione di Venezia e promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali, sarà visitabile dal 10 marzo al 9 maggio 2010. Organizzazione e servizi museali Zètema Progetto Cultura. Catalogo Umberto Allemandi.
L’esposizione, curata da Enzo Di Martino, che segue le mostre precedenti di Palermo e Verona, rappresenta una nuova occasione per mostrare al pubblico e valorizzare la collezione della Fondazione di Venezia raramente accessibile e conferma l’attenzione e l’apertura del Museo Bilotti verso il mondo del collezionismo.
Attraverso le opere proposte, è inoltre possibile approfondire le vicende artistiche legate alla Biennale di Venezia che hanno segnato il secolo scorso. Una storia ricca di avvenimenti culturali, polemiche, mutamenti politici e perfino scandali clamorosi. La Fondazione di Venezia raccoglie l’eredità collezionistica di un istituto culturale che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, promosse la cultura e l’arte con spirito di rinnovamento e vitalità a livello europeo e che fu capace di stringere contatti con gli artisti più significativi nell'ambiente italiano.
Una storia documentata da una cinquantina di dipinti, tra i quali spiccano opere di Boccioni e i Ciardi, De Pisis e Carena, Casorati e Depero, Cagnaccio di San Pietro e Marussig, Vedova e Santomaso, Pizzinato, Tancredi e Plessi.
Il percorso comprende anche una trentina di vetri di Murano, acquisiti nello storico padiglione Venezia, creati da leggendari maestri vetrai e da prestigiosi artisti e designers come Tapio Wirkkala, Carlo Scarpa e Paolo Venini.
Ad aprire la mostra una selezione di fotografie dei maggiori protagonisti dell’arte del XX secolo, spesso ritratti al lavoro durante l’allestimento del loro spazio alla Biennale, che provengono dall’archivio del fotografo Graziano Arici e dall’archivio De Maria della Fondazione di Venezia.
Venezia e la Biennale
La Collezione della Fondazione di Venezia
Enzo Di Martino
Una collezione d’arte formatasi in oltre cento anni contiene naturalmente numerosi riferimenti storici che, nel caso della Fondazione di Venezia, hanno prevalentemente a che fare con la Biennale.
In un processo diverso da quello di una collezione privata, che configura invece una sorta di ritratto spirituale del solo collezionista. Inducendo perciò a molteplici riflessioni di carattere storico, culturale e perfino socio-economico, perché molte e diverse sono le motivazioni che ne hanno determinato la connotazione.
La committenza dell’arte
Sappiamo bene che l’arte si manifesta sempre nelle comunità sociali che elaborano anche altre ricerche e sviluppano nuove conoscenze, che concepiscono strutture sociali codificate, che si interrogano in varia maniera sul loro destino, che infine esprimono un’organizzazione complessa e ragionata dei rapporti sociali ed economici. Le connessioni tra lo sviluppo dell’economia e la ricerca artistica sono ormai evidenti nella storia dell’uomo e qualcuno sostiene che Le Vite del Vasari consentano di conoscere meglio dei trattati specialistici i rapporti sociali e i valori economici del tempo.
Il fenomeno appare ancora più clamoroso quando la committenza dell’arte, affidata un tempo solo al Principe e alla Chiesa, per ragioni di celebrazione o di devozione, si estende invece, con accenti laici, nelle società mercantili, a uno strato più vasto di persone, come è avvenuto ad esempio nei Paesi Bassi e, in particolare, a Venezia. La questione non è tanto quella di notare la differenza dei motivi tematici che determinavano la pittura, perché in fondo anche le corporazioni di mestiere a Venezia richiedevano agli artisti figure religiose e rappresentazioni di devozione. La novità risiede nel fatto che, per tale via, l’arte acquisisce nella nuova situazione un ruolo diverso, assume la funzione di strumento di omologazione culturale, diviene il segnale distintivo di una nuova condizione sociale ed economica.
Venezia e l’arte
Da questo punto di vista la grande storia dell’arte a Venezia risulta esemplare e particolarmente interessante perché la committenza qui è sempre stata diffusa e differenziata.
In cima a questa situazione di «necessità» dell’arte vi sono le maestose committenze dogali, per ragioni politiche, assieme a quelle parimenti sontuose, per ragioni di culto, delle oltre cento chiese disseminate nella città. Senza contare le esigenze delle Scuole grandi e piccole, cioè le numerose congregazioni, e l’ambizione di manifestare pubblicamente la propria ricchezza, esibita dai nobili mercanti nei loro magnifici palazzi. Nel grande mercato internazionale di Rialto, nei secoli d’oro della Repubblica Serenissima, erano esposti e messi in vendita non soltanto elementi di prima necessità o addizionali, le spezie ad esempio, ma, probabilmente, anche manufatti per la decorazione e l’abbellimento, come le preziose stoffe, i legni scolpiti e dipinti, i cuoi decorati e i raffinati vetri soffiati di Murano.
La struttura architettonica di Venezia, del resto, risponde alla stessa logica, connotata com’è essenzialmente da elementi di puro ornamento, fatta di sole facciate che si specchiano sulle acque dei canali, in una concezione assai diversa rispetto alla solidità delle fortificazioni difensive di altri centri urbani del tempo. Da questo punto di vista Venezia appare per davvero una città d’arte, anzi è essa stessa un’opera d’arte, realizzata com’è con il solo scopo della bellezza, concepita per suscitare sorpresa e sbalordimento nel visitatore in arrivo dal mare, per procurargli quella illusione dello sguardo che è forse lo scopo più autentico dell’arte.
Solo una grande società mercantile come quella veneziana poteva permettersi di commissionare agli artisti la decorazione a fresco degli esterni, cioè di quasi tutte le facciate dei palazzi sul Canal Grande, e acquisire al loro interno l’incredibile quantità di tesori d’arte inestimabili che conosciamo e che affollano oggi i musei di tutto il mondo. Il Fontego dei Tedeschi a Rialto, affrescato nella facciata sul Canal Grande da Giorgione, e in quella che dà sulla calle laterale dall’allora giovane Tiziano, è un esempio clamoroso di questa straordinaria committenza che ha determinato uno sviluppo dell’arte che, per l’altissima qualità formale e l’incredibile quantità di opere, non ha confronti in nessuna parte del mondo.
Non sorprende allora se proprio qui, già nella prima metà del Settecento, prende avvio quella moderna relazione tra arte e committenza che prefigura per certi versi l’odierno rapporto tra artista e mercante. Mi riferisco al console, ma anche mercante e finanziere inglese Joseph Smith, e al suo rapporto con il pittore Antonio Canal, il Canaletto, del quale egli acquisisce in esclusiva l’intera produzione pittorica per esportarla in Inghilterra. Influenzando addirittura i motivi di ispirazione e i temi figurali da rappresentare - condurrà perfino Canaletto a vivere e lavorare per alcuni anni a Londra - e determinando così la nascita di quello che oggi chiamiamo il mercato e il sistema dell’arte, all’interno del quale l’artista non conosce più la destinazione delle sue opere disperse in numerose collezioni private.
Il mito di Venezia
L’ultimo dei celebri pittori del passato, Giandomenico Tiepolo, figlio e aiuto del grande Giambattista, muore nel 1804 e con la sua scomparsa si chiude forse per davvero la straordinaria stagione dell’arte a Venezia,durata miracolosamente alcuni secoli.
A partire dalla caduta della Repubblica, qualche anno prima, la città diviene nell’immaginario collettivo il luogo del passato e della nostalgia, del disastro epocale, meta di viaggiatori romantici alla ricerca del mito e della bellezza forse perduta per sempre. Byron, già nel 1817, scriveva che «di tredici secoli di ricchezza e di gloria non rimangono ora che ceneri e pianto». E Ruskin, nel suo Stones of Venice (Le pietre di Venezia), parlava nel 1857 di Venezia come di «un fantasma sulle sabbie del mare».
La città appare in quegli anni stremata sia da un punto di vista politico sia da quello culturale ed economico, immersa in una crisi che sembra irreversibile e che durerà, in effetti, alcuni decenni. Tuttavia grandi pittori da tutto il mondo vengono a visitarla - Sargent e Manet, Corot e Renoir, Moreau e Monet, tra i molti - come in un «pellegrinaggio alle sorgenti della pittura».
Tra questi, nel 1819 per la prima volta, verrà anche Turner, scoprendo così, anche in successivi soggiorni, la luce avvolgente e inafferrabile riflessa dall’acqua della laguna. Per il grande pittore inglese sarà una folgorazione visiva che modificherà radicalmente la sua maniera di dipingere. Facendo dire a Kenneth Clark che «la pittura moderna è nata a Venezia, quando Turner arriva sulla laguna e scopre il dissolversi delle forme nella luce».
Il Novecento a Venezia: la Biennale
Sorprendentemente, però, la città che aveva subito due dominazioni straniere riesce a cogliere dopo qualche decennio alcuni importanti appuntamenti storici e, con una sorta di miracolosa intuizione, perfino istituire, nel 1895, una grande rassegna internazionale d’arte come La Biennale di Venezia.
Un’istituzione ormai ultracentenaria che, pur nelle sue crisi ricorrenti, rimane ancora oggi la più prestigiosa manifestazione artistica internazionale, e che ha restituito alla città, almeno in questo campo, il ruolo storico di crocevia del mondo. Aprendosi nel corso degli anni a nuove discipline, istituendo nel 1932 il primo festival del cinema, nel 1934 quello del teatro e della musica, fino a giungere nel 1980 a dare vita alla Biennale di Architettura, ormai la maggiore manifestazione internazionale di questa disciplina. Divenendo così la più importante istituzione multidisciplinare del mondo, capace di attirare una straordinaria attenzione sulle sue attività, dunque su Venezia.
In questa sede, occorre fare cenno tuttavia anche a un’altra istituzione artistica, la Fondazione Bevilacqua La Masa per i giovani artisti, per certi versi «provocata» dalla stessa Biennale che all’inizio era infatti dominata dai grandi maestri delle Accademie europee.
Nel 1898, infatti, la duchessa Felicita Bevilacqua, vedova del generale garibaldino La Masa, decideva di lasciare il suo imponente Palazzo Pesaro al Comune di Venezia purché destinato - scriveva nel testamento - «a profitto dei giovani ai quali spesso è interdetto l’ingresso alle grandi mostre».
La Fondazione inizierà l’attività solo nel 1908, anche se il Comune aveva già installato a Ca’ Pesaro, fin dal 1902, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna.
È dunque a Ca’ Pesaro che si manifesteranno le nuove tendenze dell’arte moderna a Venezia, per merito di giovani come Gino Rossi e Arturo Martini, Felice Casorati e perfino Amedeo Modigliani che, nel suo viaggio verso Parigi, vivrà in città un paio d’anni all’inizio del Novecento. È qui, proprio a Ca’ Pesaro, che Umberto Boccioni allestisce nell’estate del 1910 la sua prima mostra personale, presentata da Marinetti, con una risposta accogliente e interessata dei giovani artisti nei confronti dei Futuristi che qualche mese prima, con il celebre lancio dei volantini dalla Torre dell’Orologio in Piazza San Marco, avevano «insultato» la città definendo le «gondole sedie a dondolo per cretini», e invocando la «divina luce elettrica a liberare Venezia dal suo chiaro di luna da camera ammobiliata».
Una mostra importante, dunque, nella cui occasione fu acquisita la «Nonna», ora nella collezione della Fondazione di Venezia, voluta dai giovani artisti veneziani e ritenuta ormai storica, senza la quale, afferma qualcuno, forse non avremmo avuto il movimento pittorico del Futurismo.
La grande stagione di Ca’ Pesaro, e della Biennale, si appanna nel periodo tra le due guerre, durante il ventennio fascista, mentre all’indomani della Liberazione è ancora a Venezia che si riannodano le fila e i contatti perduti, che si intrecciano i segnali di speranza e di ripresa del mondo dell’arte. Forse per la presenza della Biennale e per la capacità di aggregazione che la grande istituzione artistica esercitava, o per il fatto che la città non aveva subito i disastri dei bombardamenti avvenuti su altri centri urbani, o più semplicemente perché pensare alla pittura e alla scultura qui è forse naturale come preoccuparsi della sopravvivenza, come vivere.
Resta il fatto che Venezia diviene allora il luogo dove molti giovani artisti, provenienti da ogni parte d’Italia, cominciano a pensare il futuro come un progetto espressivo e danno vita, il 1° ottobre del 1946, a quel Fronte Nuovo delle Arti dal quale scaturiranno poi, da un lato il movimento del Realismo Italiano, dall’altro l’ormai celebre Gruppo degli Otto del secondo astrattismo italiano.
Se si considera che l’ideatore del Fronte era il critico veneziano Giuseppe Marchiori, e che ben quattro degli undici artisti del gruppo (Pizzinato, Viani, Santomaso e Vedova) erano anch’essi veneziani, si deve concludere che il più importante movimento artistico del dopoguerra in Italia è stato concepito e ha preso l’avvio proprio a Venezia. Un movimento che ebbe la consacrazione alla Biennale del 1948, la prima del dopoguerra, un’edizione memorabile sia per la qualità delle mostre presentate, sia per l’entusiasmo e la speranza nel futuro di cui essa era portatrice, non soltanto per il mondo dell’arte.
Ma il 1948 è anche l’anno dell’arrivo a Venezia, per restarvi fino alla morte avvenuta nel 1979, di Peggy Guggenheim, l’eccentrica e ricchissima collezionista americana, e dell’installazione permanente nella città - a Palazzo Venier dei Leoni - della sua celebre raccolta di capolavori dell’arte del XX secolo.
La sensibilità di Venezia per i fatti dell’arte era del resto già stata manifestata con il primo premio di pittura nell’Italia del dopoguerra, il Premio Burano, tenuto già nel settembre del 1946. Un ambiente e una situazione che porteranno più tardi Lucio Fontana, nei primi anni cinquanta, a cercare proprio tra gli artisti veneziani (Guidi, Deluigi, Bacci, Morandis, Tancredi tra gli altri) quell’attenzione al Movimento dello Spazialismo che tanta influenza ebbe poi, non solo in Italia, negli anni successivi.
Intanto la Biennale andava avanti per la sua strada, pur tra crisi ricorrenti e ripetute polemiche, scandendo alcuni momenti fra i più importanti e significativi dell’arte contemporanea. Come il Gran Premio per la pittura a Emilio Vedova nel 1960 e a Lucio Fontana nel 1966, l’esplosione della Pop Art americana nel 1964 e dell’Optical Artnel 1966, la contestazione del 1968 e la riforma statutaria del 1973, il Leone d’Oro alla carriera attribuito a Jasper Johns nel 1988 e a Louise Bourgeois nel 1999, per fare alcuni esempi.
La Fondazione di Venezia è a fianco di questa grande avventura storica tanto è vero che nel 1995, in occasione del centenario, ha istituito uno speciale premio acquisto, per un’opera destinata al Museo d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, che è stato assegnato all’artista uruguaiano Ignacio Iturria.
La Collezione d’arte della Fondazione di Venezia
Seppure per grandi linee, abbiamo delineato una sorta di contesto storico nel quale va collocata la formazione nel tempo della Collezione d’arte della Fondazione di Venezia che, come è noto, proviene in gran parte dalle acquisizioni fatte nel corso di un secolo dalla Cassa di Risparmio di Venezia. Un Istituto che è stato tra i sostenitori della Biennale di Venezia fin dalla sua fondazione, nel 1895, come si può vedere dal manifesto della prima edizione della grande rassegna d’arte. Sostenendo nel contempo anche la «oppositiva» Fondazione Bevilacqua La Masa per i giovani artisti.
Bisogna dunque fare riferimento alle mostre di queste due storiche istituzioni artistiche veneziane - la Biennale e la Bevilacqua La Masa - per ritrovare le fonti di provenienza delle opere della collezione della Fondazione di Venezia. Con una strategia di acquisizioni tesa a configurare una raccolta dai connotati storico-critici riconoscibili documentando, infatti, prevalentemente gli avvenimenti e i protagonisti dell’arte a Venezia.
Una raccolta nella quale, già nella prima metà del secolo, troviamo opere di Arturo Tosi e Umberto Boccioni, Cesare Laurenti e Guido Marussig, Felice Casorati e Guglielmo Ciardi, Alessandro Milesi e Giulio Aristide Sartorio, Umberto Moggioli e Vittorio Zecchin, Lino Selvatico ed Emma Ciardi, Pio Semeghini e Cagnaccio di San Pietro, per citarne solo alcuni. Acquisizioni che continuano anche nell’immediato dopoguerra con opere di Virgilio Guidi e Bruno Saetti, Mario Deluigi e Giuseppe Zigaina, Felice Carena e Zoran Music. Particolarmente significative e importanti sono state poi le acquisizioni effettuate negli anni novanta del secolo appena passato, perché hanno consentito di completare, per quanto possibile, la documentazione dell’arte a Venezia nel Novecento. Sono così entrati a far parte della Collezione, dipinti di Gino Rossi e Fortunato Depero, Emilio Vedova e Giuseppe Santomaso, Gino Morandis e Alberto Gianquinto, Giulio Turcato e Tancredi, Riccardo Licata e Fabrizio Plessi, per segnalarne alcuni.
La recente acquisizione del Palazzo dei Tre Oci, infine, ha consentito l’ingresso nella collezione di dipinti di Mario De Maria, «Marius Pictor», come veniva chiamato a suo tempo, e del più consistente gruppo esistente delle opere di Astolfo De Maria.
Epilogo
Quella della Fondazione di Venezia appare come si vede una collezione aperta, formatasi nel corso del tempo, disposta da un lato a ricomporre, tassello dopo tassello, la ricerca artistica a Venezia negli ultimi cento anni, dall’altro attenta ai fenomeni della contemporaneità, alle espressioni più aggiornate e al lavoro dei giovani artisti. Ecco allora delinearsi visibilmente il binomio «arte ed economia», quell’intrecciarsi cioè dello sviluppo sociale di una comunità con le testimonianze espressive del suo immaginario, l’affermarsi di quella «indispensabilità» dell’arte anche all’interno delle società più pragmatiche e determinate dai fenomeni economici. È in questo intreccio, lo sappiamo ormai molto bene, che si manifestano la ricchezza culturale di una città e la grandezza immaginativa di un popolo.
E appare allora evidente il ruolo importante che può avere un’istituzione come la Fondazione di Venezia, radicata nella storia e nel tessuto sociale della collettività in cui è nata e ha sede. Dimostrando per tale via che la storia di una città e la vicenda sociale, culturale ed espressiva di una comunità, possono essere raccontate, anche e forse soprattutto, attraverso i segnali clamorosi dell’arte che essa è capace di esprimere. E conservare.
La Fondazione di Venezia
Dal dare al fare
La Fondazione di Venezia è un soggetto autonomo, moderno e innovatore, al servizio dello sviluppo civile del territorio veneziano. La sua missione è riassumibile in una frase: contribuire al miglioramento della qualità della vita e alla promozione sociale e culturale della collettività veneziana.
Per raggiungere questo scopo la Fondazione ha deciso di mutare il proprio approccio, trasformandosi da mero ente finanziatore - deputato ad erogare risorse - a soggetto capace di pensare e progettare, strutturandosi internamente in modo da gestire e coordinare le attività prodotte. La volontà di passare “dal dare al fare” è evidente in tutte le iniziative che la Fondazione ha svolto e sta svolgendo in questi anni, confrontarsi costantemente con il proprio territorio.
Sempre più vicina alla comunità e alle sue esigenze, più propositiva ed efficace nei settori di intervento, più attenta ai suoi interlocutori di riferimento (siano essi la società civile, le amministrazioni, le associazioni o gli enti non-profit), la Fondazione ha saputo affermare il proprio ruolo di soggetto pensante attivo e dinamico, capace di catalizzare le istituzioni che operano nell’area veneziana, coordinandone le attività.
Fucina di idee e progetti, ha sviluppato - a partire da intuizioni scaturite dal suo interno o dal confronto con altri soggetti - una vera e propria capacità progettuale finalizzata a realizzare e produrre interventi di grande rilevanza per il territorio.
Promuovendo il sincretismo di arti e saperi, la Fondazione favorisce la fruizione dei beni artistici e storici, la loro gestione imprenditoriale e la diffusione delle performing arts; sostiene la formazione (primaria, secondaria, universitaria e avanzata), l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro (attraverso tirocini e stage) e la specializzazione post lauream; incoraggia la ricerca scientifica, favorendo il trasferimento tecnologico da università ad impresa e lo sviluppo sul territorio di centri di ricerca.
Tutto questo attraverso un approccio, che fa della trasversalità settoriale il suo punto di forza: non si possono promuovere le arti senza fare anche formazione, non si può sostenere l’istruzione senza difendere la ricerca, non vi è ricerca senza la grande matrice della cultura di cui l’arte è espressione inverata. Sono nati così progetti come Giovani a Teatro, Scienza in Aula, Go Stage, Go Campo Art Enclosures, in cui il sostegno all’arte - sia essa visiva, performativa, musicale o letteraria - incontra la promozione di iniziative didattiche ed educative, la sfera sociale, la ricerca e la sperimentazione.
Il progetto M9, con il Museo del ’900, la mediateca-archivio e gli spazi espositivi polifunzionali e dedicati alla didattica, gli allestimenti interattivi e multisensoriali che lo caratterizzeranno, rappresenta la massima sintesi degli ideali della Fondazione, convinta sostenitrice dell’“imparare facendo”.
Adottando una vera e propria filosofia imprenditoriale nell’approccio organizzativo, la Fondazione si impegna ad operare secondo efficacia ed efficienza e, nel rispetto dei principi della trasparenza e della responsabilità sociale, pubblica ogni anno il proprio bilancio di missione, dove è possibile leggere finalità e valori, attività, programmi e progetti realizzati, oltre alla relazione economica e finanziaria.
Per maggiori informazioni, consultare il sito www.fondazionedivenezia.org.
La mostra “Venezia e il secolo della Biennale. Dipinti, vetri e fotografie dalla Collezione della Fondazione di Venezia”, proposta dalla Fondazione di Venezia e promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali, sarà visitabile dal 10 marzo al 9 maggio 2010. Organizzazione e servizi museali Zètema Progetto Cultura. Catalogo Umberto Allemandi.
L’esposizione, curata da Enzo Di Martino, che segue le mostre precedenti di Palermo e Verona, rappresenta una nuova occasione per mostrare al pubblico e valorizzare la collezione della Fondazione di Venezia raramente accessibile e conferma l’attenzione e l’apertura del Museo Bilotti verso il mondo del collezionismo.
Attraverso le opere proposte, è inoltre possibile approfondire le vicende artistiche legate alla Biennale di Venezia che hanno segnato il secolo scorso. Una storia ricca di avvenimenti culturali, polemiche, mutamenti politici e perfino scandali clamorosi. La Fondazione di Venezia raccoglie l’eredità collezionistica di un istituto culturale che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, promosse la cultura e l’arte con spirito di rinnovamento e vitalità a livello europeo e che fu capace di stringere contatti con gli artisti più significativi nell'ambiente italiano.
Una storia documentata da una cinquantina di dipinti, tra i quali spiccano opere di Boccioni e i Ciardi, De Pisis e Carena, Casorati e Depero, Cagnaccio di San Pietro e Marussig, Vedova e Santomaso, Pizzinato, Tancredi e Plessi.
Il percorso comprende anche una trentina di vetri di Murano, acquisiti nello storico padiglione Venezia, creati da leggendari maestri vetrai e da prestigiosi artisti e designers come Tapio Wirkkala, Carlo Scarpa e Paolo Venini.
Ad aprire la mostra una selezione di fotografie dei maggiori protagonisti dell’arte del XX secolo, spesso ritratti al lavoro durante l’allestimento del loro spazio alla Biennale, che provengono dall’archivio del fotografo Graziano Arici e dall’archivio De Maria della Fondazione di Venezia.
Venezia e la Biennale
La Collezione della Fondazione di Venezia
Enzo Di Martino
Una collezione d’arte formatasi in oltre cento anni contiene naturalmente numerosi riferimenti storici che, nel caso della Fondazione di Venezia, hanno prevalentemente a che fare con la Biennale.
In un processo diverso da quello di una collezione privata, che configura invece una sorta di ritratto spirituale del solo collezionista. Inducendo perciò a molteplici riflessioni di carattere storico, culturale e perfino socio-economico, perché molte e diverse sono le motivazioni che ne hanno determinato la connotazione.
La committenza dell’arte
Sappiamo bene che l’arte si manifesta sempre nelle comunità sociali che elaborano anche altre ricerche e sviluppano nuove conoscenze, che concepiscono strutture sociali codificate, che si interrogano in varia maniera sul loro destino, che infine esprimono un’organizzazione complessa e ragionata dei rapporti sociali ed economici. Le connessioni tra lo sviluppo dell’economia e la ricerca artistica sono ormai evidenti nella storia dell’uomo e qualcuno sostiene che Le Vite del Vasari consentano di conoscere meglio dei trattati specialistici i rapporti sociali e i valori economici del tempo.
Il fenomeno appare ancora più clamoroso quando la committenza dell’arte, affidata un tempo solo al Principe e alla Chiesa, per ragioni di celebrazione o di devozione, si estende invece, con accenti laici, nelle società mercantili, a uno strato più vasto di persone, come è avvenuto ad esempio nei Paesi Bassi e, in particolare, a Venezia. La questione non è tanto quella di notare la differenza dei motivi tematici che determinavano la pittura, perché in fondo anche le corporazioni di mestiere a Venezia richiedevano agli artisti figure religiose e rappresentazioni di devozione. La novità risiede nel fatto che, per tale via, l’arte acquisisce nella nuova situazione un ruolo diverso, assume la funzione di strumento di omologazione culturale, diviene il segnale distintivo di una nuova condizione sociale ed economica.
Venezia e l’arte
Da questo punto di vista la grande storia dell’arte a Venezia risulta esemplare e particolarmente interessante perché la committenza qui è sempre stata diffusa e differenziata.
In cima a questa situazione di «necessità» dell’arte vi sono le maestose committenze dogali, per ragioni politiche, assieme a quelle parimenti sontuose, per ragioni di culto, delle oltre cento chiese disseminate nella città. Senza contare le esigenze delle Scuole grandi e piccole, cioè le numerose congregazioni, e l’ambizione di manifestare pubblicamente la propria ricchezza, esibita dai nobili mercanti nei loro magnifici palazzi. Nel grande mercato internazionale di Rialto, nei secoli d’oro della Repubblica Serenissima, erano esposti e messi in vendita non soltanto elementi di prima necessità o addizionali, le spezie ad esempio, ma, probabilmente, anche manufatti per la decorazione e l’abbellimento, come le preziose stoffe, i legni scolpiti e dipinti, i cuoi decorati e i raffinati vetri soffiati di Murano.
La struttura architettonica di Venezia, del resto, risponde alla stessa logica, connotata com’è essenzialmente da elementi di puro ornamento, fatta di sole facciate che si specchiano sulle acque dei canali, in una concezione assai diversa rispetto alla solidità delle fortificazioni difensive di altri centri urbani del tempo. Da questo punto di vista Venezia appare per davvero una città d’arte, anzi è essa stessa un’opera d’arte, realizzata com’è con il solo scopo della bellezza, concepita per suscitare sorpresa e sbalordimento nel visitatore in arrivo dal mare, per procurargli quella illusione dello sguardo che è forse lo scopo più autentico dell’arte.
Solo una grande società mercantile come quella veneziana poteva permettersi di commissionare agli artisti la decorazione a fresco degli esterni, cioè di quasi tutte le facciate dei palazzi sul Canal Grande, e acquisire al loro interno l’incredibile quantità di tesori d’arte inestimabili che conosciamo e che affollano oggi i musei di tutto il mondo. Il Fontego dei Tedeschi a Rialto, affrescato nella facciata sul Canal Grande da Giorgione, e in quella che dà sulla calle laterale dall’allora giovane Tiziano, è un esempio clamoroso di questa straordinaria committenza che ha determinato uno sviluppo dell’arte che, per l’altissima qualità formale e l’incredibile quantità di opere, non ha confronti in nessuna parte del mondo.
Non sorprende allora se proprio qui, già nella prima metà del Settecento, prende avvio quella moderna relazione tra arte e committenza che prefigura per certi versi l’odierno rapporto tra artista e mercante. Mi riferisco al console, ma anche mercante e finanziere inglese Joseph Smith, e al suo rapporto con il pittore Antonio Canal, il Canaletto, del quale egli acquisisce in esclusiva l’intera produzione pittorica per esportarla in Inghilterra. Influenzando addirittura i motivi di ispirazione e i temi figurali da rappresentare - condurrà perfino Canaletto a vivere e lavorare per alcuni anni a Londra - e determinando così la nascita di quello che oggi chiamiamo il mercato e il sistema dell’arte, all’interno del quale l’artista non conosce più la destinazione delle sue opere disperse in numerose collezioni private.
Il mito di Venezia
L’ultimo dei celebri pittori del passato, Giandomenico Tiepolo, figlio e aiuto del grande Giambattista, muore nel 1804 e con la sua scomparsa si chiude forse per davvero la straordinaria stagione dell’arte a Venezia,durata miracolosamente alcuni secoli.
A partire dalla caduta della Repubblica, qualche anno prima, la città diviene nell’immaginario collettivo il luogo del passato e della nostalgia, del disastro epocale, meta di viaggiatori romantici alla ricerca del mito e della bellezza forse perduta per sempre. Byron, già nel 1817, scriveva che «di tredici secoli di ricchezza e di gloria non rimangono ora che ceneri e pianto». E Ruskin, nel suo Stones of Venice (Le pietre di Venezia), parlava nel 1857 di Venezia come di «un fantasma sulle sabbie del mare».
La città appare in quegli anni stremata sia da un punto di vista politico sia da quello culturale ed economico, immersa in una crisi che sembra irreversibile e che durerà, in effetti, alcuni decenni. Tuttavia grandi pittori da tutto il mondo vengono a visitarla - Sargent e Manet, Corot e Renoir, Moreau e Monet, tra i molti - come in un «pellegrinaggio alle sorgenti della pittura».
Tra questi, nel 1819 per la prima volta, verrà anche Turner, scoprendo così, anche in successivi soggiorni, la luce avvolgente e inafferrabile riflessa dall’acqua della laguna. Per il grande pittore inglese sarà una folgorazione visiva che modificherà radicalmente la sua maniera di dipingere. Facendo dire a Kenneth Clark che «la pittura moderna è nata a Venezia, quando Turner arriva sulla laguna e scopre il dissolversi delle forme nella luce».
Il Novecento a Venezia: la Biennale
Sorprendentemente, però, la città che aveva subito due dominazioni straniere riesce a cogliere dopo qualche decennio alcuni importanti appuntamenti storici e, con una sorta di miracolosa intuizione, perfino istituire, nel 1895, una grande rassegna internazionale d’arte come La Biennale di Venezia.
Un’istituzione ormai ultracentenaria che, pur nelle sue crisi ricorrenti, rimane ancora oggi la più prestigiosa manifestazione artistica internazionale, e che ha restituito alla città, almeno in questo campo, il ruolo storico di crocevia del mondo. Aprendosi nel corso degli anni a nuove discipline, istituendo nel 1932 il primo festival del cinema, nel 1934 quello del teatro e della musica, fino a giungere nel 1980 a dare vita alla Biennale di Architettura, ormai la maggiore manifestazione internazionale di questa disciplina. Divenendo così la più importante istituzione multidisciplinare del mondo, capace di attirare una straordinaria attenzione sulle sue attività, dunque su Venezia.
In questa sede, occorre fare cenno tuttavia anche a un’altra istituzione artistica, la Fondazione Bevilacqua La Masa per i giovani artisti, per certi versi «provocata» dalla stessa Biennale che all’inizio era infatti dominata dai grandi maestri delle Accademie europee.
Nel 1898, infatti, la duchessa Felicita Bevilacqua, vedova del generale garibaldino La Masa, decideva di lasciare il suo imponente Palazzo Pesaro al Comune di Venezia purché destinato - scriveva nel testamento - «a profitto dei giovani ai quali spesso è interdetto l’ingresso alle grandi mostre».
La Fondazione inizierà l’attività solo nel 1908, anche se il Comune aveva già installato a Ca’ Pesaro, fin dal 1902, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna.
È dunque a Ca’ Pesaro che si manifesteranno le nuove tendenze dell’arte moderna a Venezia, per merito di giovani come Gino Rossi e Arturo Martini, Felice Casorati e perfino Amedeo Modigliani che, nel suo viaggio verso Parigi, vivrà in città un paio d’anni all’inizio del Novecento. È qui, proprio a Ca’ Pesaro, che Umberto Boccioni allestisce nell’estate del 1910 la sua prima mostra personale, presentata da Marinetti, con una risposta accogliente e interessata dei giovani artisti nei confronti dei Futuristi che qualche mese prima, con il celebre lancio dei volantini dalla Torre dell’Orologio in Piazza San Marco, avevano «insultato» la città definendo le «gondole sedie a dondolo per cretini», e invocando la «divina luce elettrica a liberare Venezia dal suo chiaro di luna da camera ammobiliata».
Una mostra importante, dunque, nella cui occasione fu acquisita la «Nonna», ora nella collezione della Fondazione di Venezia, voluta dai giovani artisti veneziani e ritenuta ormai storica, senza la quale, afferma qualcuno, forse non avremmo avuto il movimento pittorico del Futurismo.
La grande stagione di Ca’ Pesaro, e della Biennale, si appanna nel periodo tra le due guerre, durante il ventennio fascista, mentre all’indomani della Liberazione è ancora a Venezia che si riannodano le fila e i contatti perduti, che si intrecciano i segnali di speranza e di ripresa del mondo dell’arte. Forse per la presenza della Biennale e per la capacità di aggregazione che la grande istituzione artistica esercitava, o per il fatto che la città non aveva subito i disastri dei bombardamenti avvenuti su altri centri urbani, o più semplicemente perché pensare alla pittura e alla scultura qui è forse naturale come preoccuparsi della sopravvivenza, come vivere.
Resta il fatto che Venezia diviene allora il luogo dove molti giovani artisti, provenienti da ogni parte d’Italia, cominciano a pensare il futuro come un progetto espressivo e danno vita, il 1° ottobre del 1946, a quel Fronte Nuovo delle Arti dal quale scaturiranno poi, da un lato il movimento del Realismo Italiano, dall’altro l’ormai celebre Gruppo degli Otto del secondo astrattismo italiano.
Se si considera che l’ideatore del Fronte era il critico veneziano Giuseppe Marchiori, e che ben quattro degli undici artisti del gruppo (Pizzinato, Viani, Santomaso e Vedova) erano anch’essi veneziani, si deve concludere che il più importante movimento artistico del dopoguerra in Italia è stato concepito e ha preso l’avvio proprio a Venezia. Un movimento che ebbe la consacrazione alla Biennale del 1948, la prima del dopoguerra, un’edizione memorabile sia per la qualità delle mostre presentate, sia per l’entusiasmo e la speranza nel futuro di cui essa era portatrice, non soltanto per il mondo dell’arte.
Ma il 1948 è anche l’anno dell’arrivo a Venezia, per restarvi fino alla morte avvenuta nel 1979, di Peggy Guggenheim, l’eccentrica e ricchissima collezionista americana, e dell’installazione permanente nella città - a Palazzo Venier dei Leoni - della sua celebre raccolta di capolavori dell’arte del XX secolo.
La sensibilità di Venezia per i fatti dell’arte era del resto già stata manifestata con il primo premio di pittura nell’Italia del dopoguerra, il Premio Burano, tenuto già nel settembre del 1946. Un ambiente e una situazione che porteranno più tardi Lucio Fontana, nei primi anni cinquanta, a cercare proprio tra gli artisti veneziani (Guidi, Deluigi, Bacci, Morandis, Tancredi tra gli altri) quell’attenzione al Movimento dello Spazialismo che tanta influenza ebbe poi, non solo in Italia, negli anni successivi.
Intanto la Biennale andava avanti per la sua strada, pur tra crisi ricorrenti e ripetute polemiche, scandendo alcuni momenti fra i più importanti e significativi dell’arte contemporanea. Come il Gran Premio per la pittura a Emilio Vedova nel 1960 e a Lucio Fontana nel 1966, l’esplosione della Pop Art americana nel 1964 e dell’Optical Artnel 1966, la contestazione del 1968 e la riforma statutaria del 1973, il Leone d’Oro alla carriera attribuito a Jasper Johns nel 1988 e a Louise Bourgeois nel 1999, per fare alcuni esempi.
La Fondazione di Venezia è a fianco di questa grande avventura storica tanto è vero che nel 1995, in occasione del centenario, ha istituito uno speciale premio acquisto, per un’opera destinata al Museo d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, che è stato assegnato all’artista uruguaiano Ignacio Iturria.
La Collezione d’arte della Fondazione di Venezia
Seppure per grandi linee, abbiamo delineato una sorta di contesto storico nel quale va collocata la formazione nel tempo della Collezione d’arte della Fondazione di Venezia che, come è noto, proviene in gran parte dalle acquisizioni fatte nel corso di un secolo dalla Cassa di Risparmio di Venezia. Un Istituto che è stato tra i sostenitori della Biennale di Venezia fin dalla sua fondazione, nel 1895, come si può vedere dal manifesto della prima edizione della grande rassegna d’arte. Sostenendo nel contempo anche la «oppositiva» Fondazione Bevilacqua La Masa per i giovani artisti.
Bisogna dunque fare riferimento alle mostre di queste due storiche istituzioni artistiche veneziane - la Biennale e la Bevilacqua La Masa - per ritrovare le fonti di provenienza delle opere della collezione della Fondazione di Venezia. Con una strategia di acquisizioni tesa a configurare una raccolta dai connotati storico-critici riconoscibili documentando, infatti, prevalentemente gli avvenimenti e i protagonisti dell’arte a Venezia.
Una raccolta nella quale, già nella prima metà del secolo, troviamo opere di Arturo Tosi e Umberto Boccioni, Cesare Laurenti e Guido Marussig, Felice Casorati e Guglielmo Ciardi, Alessandro Milesi e Giulio Aristide Sartorio, Umberto Moggioli e Vittorio Zecchin, Lino Selvatico ed Emma Ciardi, Pio Semeghini e Cagnaccio di San Pietro, per citarne solo alcuni. Acquisizioni che continuano anche nell’immediato dopoguerra con opere di Virgilio Guidi e Bruno Saetti, Mario Deluigi e Giuseppe Zigaina, Felice Carena e Zoran Music. Particolarmente significative e importanti sono state poi le acquisizioni effettuate negli anni novanta del secolo appena passato, perché hanno consentito di completare, per quanto possibile, la documentazione dell’arte a Venezia nel Novecento. Sono così entrati a far parte della Collezione, dipinti di Gino Rossi e Fortunato Depero, Emilio Vedova e Giuseppe Santomaso, Gino Morandis e Alberto Gianquinto, Giulio Turcato e Tancredi, Riccardo Licata e Fabrizio Plessi, per segnalarne alcuni.
La recente acquisizione del Palazzo dei Tre Oci, infine, ha consentito l’ingresso nella collezione di dipinti di Mario De Maria, «Marius Pictor», come veniva chiamato a suo tempo, e del più consistente gruppo esistente delle opere di Astolfo De Maria.
Epilogo
Quella della Fondazione di Venezia appare come si vede una collezione aperta, formatasi nel corso del tempo, disposta da un lato a ricomporre, tassello dopo tassello, la ricerca artistica a Venezia negli ultimi cento anni, dall’altro attenta ai fenomeni della contemporaneità, alle espressioni più aggiornate e al lavoro dei giovani artisti. Ecco allora delinearsi visibilmente il binomio «arte ed economia», quell’intrecciarsi cioè dello sviluppo sociale di una comunità con le testimonianze espressive del suo immaginario, l’affermarsi di quella «indispensabilità» dell’arte anche all’interno delle società più pragmatiche e determinate dai fenomeni economici. È in questo intreccio, lo sappiamo ormai molto bene, che si manifestano la ricchezza culturale di una città e la grandezza immaginativa di un popolo.
E appare allora evidente il ruolo importante che può avere un’istituzione come la Fondazione di Venezia, radicata nella storia e nel tessuto sociale della collettività in cui è nata e ha sede. Dimostrando per tale via che la storia di una città e la vicenda sociale, culturale ed espressiva di una comunità, possono essere raccontate, anche e forse soprattutto, attraverso i segnali clamorosi dell’arte che essa è capace di esprimere. E conservare.
La Fondazione di Venezia
Dal dare al fare
La Fondazione di Venezia è un soggetto autonomo, moderno e innovatore, al servizio dello sviluppo civile del territorio veneziano. La sua missione è riassumibile in una frase: contribuire al miglioramento della qualità della vita e alla promozione sociale e culturale della collettività veneziana.
Per raggiungere questo scopo la Fondazione ha deciso di mutare il proprio approccio, trasformandosi da mero ente finanziatore - deputato ad erogare risorse - a soggetto capace di pensare e progettare, strutturandosi internamente in modo da gestire e coordinare le attività prodotte. La volontà di passare “dal dare al fare” è evidente in tutte le iniziative che la Fondazione ha svolto e sta svolgendo in questi anni, confrontarsi costantemente con il proprio territorio.
Sempre più vicina alla comunità e alle sue esigenze, più propositiva ed efficace nei settori di intervento, più attenta ai suoi interlocutori di riferimento (siano essi la società civile, le amministrazioni, le associazioni o gli enti non-profit), la Fondazione ha saputo affermare il proprio ruolo di soggetto pensante attivo e dinamico, capace di catalizzare le istituzioni che operano nell’area veneziana, coordinandone le attività.
Fucina di idee e progetti, ha sviluppato - a partire da intuizioni scaturite dal suo interno o dal confronto con altri soggetti - una vera e propria capacità progettuale finalizzata a realizzare e produrre interventi di grande rilevanza per il territorio.
Promuovendo il sincretismo di arti e saperi, la Fondazione favorisce la fruizione dei beni artistici e storici, la loro gestione imprenditoriale e la diffusione delle performing arts; sostiene la formazione (primaria, secondaria, universitaria e avanzata), l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro (attraverso tirocini e stage) e la specializzazione post lauream; incoraggia la ricerca scientifica, favorendo il trasferimento tecnologico da università ad impresa e lo sviluppo sul territorio di centri di ricerca.
Tutto questo attraverso un approccio, che fa della trasversalità settoriale il suo punto di forza: non si possono promuovere le arti senza fare anche formazione, non si può sostenere l’istruzione senza difendere la ricerca, non vi è ricerca senza la grande matrice della cultura di cui l’arte è espressione inverata. Sono nati così progetti come Giovani a Teatro, Scienza in Aula, Go Stage, Go Campo Art Enclosures, in cui il sostegno all’arte - sia essa visiva, performativa, musicale o letteraria - incontra la promozione di iniziative didattiche ed educative, la sfera sociale, la ricerca e la sperimentazione.
Il progetto M9, con il Museo del ’900, la mediateca-archivio e gli spazi espositivi polifunzionali e dedicati alla didattica, gli allestimenti interattivi e multisensoriali che lo caratterizzeranno, rappresenta la massima sintesi degli ideali della Fondazione, convinta sostenitrice dell’“imparare facendo”.
Adottando una vera e propria filosofia imprenditoriale nell’approccio organizzativo, la Fondazione si impegna ad operare secondo efficacia ed efficienza e, nel rispetto dei principi della trasparenza e della responsabilità sociale, pubblica ogni anno il proprio bilancio di missione, dove è possibile leggere finalità e valori, attività, programmi e progetti realizzati, oltre alla relazione economica e finanziaria.
Per maggiori informazioni, consultare il sito www.fondazionedivenezia.org.
09
marzo 2010
Venezia e il Secolo della Biennale
Dal 09 marzo al 09 maggio 2010
design
fotografia
arte contemporanea
fotografia
arte contemporanea
Location
MUSEO CARLO BILOTTI – ARANCIERA DI VILLA BORGHESE
Roma, Viale Fiorello La Guardia, 4, (Roma)
Roma, Viale Fiorello La Guardia, 4, (Roma)
Biglietti
Biglietto integrato Museo + Mostra: € 6.00 intero, € 4.00 ridotto, gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente.
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 9.00 - 19.00; la biglietteria chiude alle ore 18.30; lunedì chiuso
Vernissage
9 Marzo 2010, ore 18
Ufficio stampa
ZETEMA
Autore
Curatore