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Vernizzi e gli amici di Bagutta
Sono esposti venticinque dipinti e una selezione di disegni di Renato Vernizzi (Parma 1904 – Milano 1972) realizzati dall’artista dagli anni ’40. Ai lavori di Vernizzi sono affiancati i dipinti di altri diciotto artisti appartenenti storico cenacolo di “Bagutta”.
Comunicato stampa
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Sono esposti venticinque dipinti e una selezione di disegni di Renato Vernizzi (Parma 1904 - Milano 1972) realizzati dall’artista dagli anni ’40. Ai lavori di Vernizzi sono affiancati i dipinti di altri diciotto artisti: Barbieri, Bucci, Carpi, Consadori, Dalla Zorza, Labò, Monti, Morelli, Novello, Palazzi, Pastorio, Salietti, Semeghini, Steffenini, Tallone, Tomea, Vagnetti, Vellani Marchi, accomunati dall’appartenenza allo storico cenacolo di artisti e letterati che aveva il suo luogo di ritrovo all’osteria “Bagutta”, sede dell’omonimo premio letterario.
Scrive Elena Pontiggia nella presentazione in catalogo:
“C’è stato un impressionismo italiano? C’è stato, c’è stato. Anzi, se i francesi non avessero avocato a sé quel nome, legandolo per sempre a Monet e compagni (che invece non avevano mai pensato di chiamarsi così), si potrebbe usarlo per alcuni dei nostri pittori più coinvolgenti. Renato Vernizzi, per esempio.
Guardando le sue opere non si saprebbe come chiamare altrimenti la sua capacità di fissare sulla tela momenti e cose dell’esistenza: quella capacità, per così dire, di accorgersi della vita e raccontarla com’è, con l’aiuto di linee e colori.
Accorgersi della vita non è una cosa ovvia. C’è un bel verso di Vivian Lamarque che dice pressappoco: “Mia figlia ha in corso l’infanzia, come avvertirla?”. Ma tutti noi abbiamo in corso la vita e non è facile avvertirci, appunto perché siamo troppo impegnati a vivere. O a sopravvivere.
Vernizzi, invece, ci avverte. Vede, in una sera qualunque, due Finestre illuminate, in cui un lampadario appeso al soffitto rischiara non solo gli appartamenti, ma anche un cespuglio di rose che altrimenti sarebbe immerso nell’oscurità, e si lascia commuovere da quel rettangolo di ocre e di gialli che respingono il buio.
Si commuove, si intende, da pittore. La sua commozione non nasce da intenerimenti sentimentali o dalla retorica dei buoni sentimenti, ma dalla magia della luce, dal sortilegio dei colori. E tuttavia Vernizzi non sottrae la visione al tessuto vivo delle cose, non si accontenta solo di geometrie e cromatismi, ma va a cercare segni e luci nelle pieghe dell’esistenza quotidiana, nei momenti apparentemente anonimi (e, invece, tanto significativi) della vita di tutti i giorni.” (…)
Renato Vernizzi nasce a Parma il 1° Luglio 1904. Il padre era decoratore e un amico del nonno, il pittore Icilio Bianchi, fu il suo primo maestro. Nel 1922 si iscrive all'Accademia di Parma dove si diploma nel 1927. Negli anni trenta si trasferisce a Milano, esordisce come disegnatore per giornali e riviste, entra in contatto con i fermenti culturali del tempo e, abbandonata la pittura novecentista, fa gruppo con quei pittori che, giovani maestri come lui, andranno a costituire lo storico gruppo dei chiaristi. E’ invitato alle Biennali di Venezia, alle Biennali di Milano, alle Quadriennali di Roma e a tutte le Mostre Nazionali di maggior rilievo. Nel 1941 vince, per il paesaggio, il Primo Premio Bergamo, che costituirà una specie di definitiva consacrazione. Partecipa al Cenacolo letterario-artistico della trattoria Bagutta di Milano, entrando in contatto costruttivo con quella che sarà poi l’èlite culturale del tempo.
Dopo essere stato partecipe del Novecento italiano, protagonista del Chiarismo, nonché autore di un suo par-ticolare fauvismo correntiano, le sue eccezionali qualità di ritrattista lo vedono in una forte e singolare rilettura del Cinquecento veneto e spagnolo. Grande risonanza ebbero i ritratti per i quali posò, con viva ammirazione, il conterraneo Arturo Toscanini. Per molti anni, pur continuando a lavorare e a vivere a Milano, è titolare della Cattedra di Figura all’Istituto d’Arte di Parma. Muore nella capitale lombarda il 18 gennaio 1972.
Scrive Elena Pontiggia nella presentazione in catalogo:
“C’è stato un impressionismo italiano? C’è stato, c’è stato. Anzi, se i francesi non avessero avocato a sé quel nome, legandolo per sempre a Monet e compagni (che invece non avevano mai pensato di chiamarsi così), si potrebbe usarlo per alcuni dei nostri pittori più coinvolgenti. Renato Vernizzi, per esempio.
Guardando le sue opere non si saprebbe come chiamare altrimenti la sua capacità di fissare sulla tela momenti e cose dell’esistenza: quella capacità, per così dire, di accorgersi della vita e raccontarla com’è, con l’aiuto di linee e colori.
Accorgersi della vita non è una cosa ovvia. C’è un bel verso di Vivian Lamarque che dice pressappoco: “Mia figlia ha in corso l’infanzia, come avvertirla?”. Ma tutti noi abbiamo in corso la vita e non è facile avvertirci, appunto perché siamo troppo impegnati a vivere. O a sopravvivere.
Vernizzi, invece, ci avverte. Vede, in una sera qualunque, due Finestre illuminate, in cui un lampadario appeso al soffitto rischiara non solo gli appartamenti, ma anche un cespuglio di rose che altrimenti sarebbe immerso nell’oscurità, e si lascia commuovere da quel rettangolo di ocre e di gialli che respingono il buio.
Si commuove, si intende, da pittore. La sua commozione non nasce da intenerimenti sentimentali o dalla retorica dei buoni sentimenti, ma dalla magia della luce, dal sortilegio dei colori. E tuttavia Vernizzi non sottrae la visione al tessuto vivo delle cose, non si accontenta solo di geometrie e cromatismi, ma va a cercare segni e luci nelle pieghe dell’esistenza quotidiana, nei momenti apparentemente anonimi (e, invece, tanto significativi) della vita di tutti i giorni.” (…)
Renato Vernizzi nasce a Parma il 1° Luglio 1904. Il padre era decoratore e un amico del nonno, il pittore Icilio Bianchi, fu il suo primo maestro. Nel 1922 si iscrive all'Accademia di Parma dove si diploma nel 1927. Negli anni trenta si trasferisce a Milano, esordisce come disegnatore per giornali e riviste, entra in contatto con i fermenti culturali del tempo e, abbandonata la pittura novecentista, fa gruppo con quei pittori che, giovani maestri come lui, andranno a costituire lo storico gruppo dei chiaristi. E’ invitato alle Biennali di Venezia, alle Biennali di Milano, alle Quadriennali di Roma e a tutte le Mostre Nazionali di maggior rilievo. Nel 1941 vince, per il paesaggio, il Primo Premio Bergamo, che costituirà una specie di definitiva consacrazione. Partecipa al Cenacolo letterario-artistico della trattoria Bagutta di Milano, entrando in contatto costruttivo con quella che sarà poi l’èlite culturale del tempo.
Dopo essere stato partecipe del Novecento italiano, protagonista del Chiarismo, nonché autore di un suo par-ticolare fauvismo correntiano, le sue eccezionali qualità di ritrattista lo vedono in una forte e singolare rilettura del Cinquecento veneto e spagnolo. Grande risonanza ebbero i ritratti per i quali posò, con viva ammirazione, il conterraneo Arturo Toscanini. Per molti anni, pur continuando a lavorare e a vivere a Milano, è titolare della Cattedra di Figura all’Istituto d’Arte di Parma. Muore nella capitale lombarda il 18 gennaio 1972.
08
marzo 2012
Vernizzi e gli amici di Bagutta
Dall'otto marzo al 07 aprile 2012
arte moderna
Location
GALLERIA PONTE ROSSO
Milano, Via Brera, 2, (Milano)
Milano, Via Brera, 2, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10-12.30 e 15.30-19; chiuso domenica e lunedì.
Vernissage
8 Marzo 2012, ore 18
Autore