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Vertigini
Un‟esposizione del tutto giocata sulle diversità produttive, rese fluide dall‟intento comune di riflettere sul tema lato di architettura, inteso come spazio estensibile entro il quale si attua l‟esperienza, intensa, delicata, inconscia e dichiarata della vita umana, portata in qualche modo, alla vertigine.
Comunicato stampa
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Un‟esposizione del tutto giocata sulle diversità produttive, rese fluide dall‟intento comune di riflettere sul tema lato di architettura, inteso come spazio estensibile entro il quale si attua l‟esperienza, intensa, delicata, inconscia e dichiarata della vita umana, portata in qualche modo, alla vertigine. Angelo Barone, Fausto Bertasa, Luigi Carboni, Maurizio Cosua, Vittorio D’Augusta e Mirco Marchelli, sono stati riuniti con le loro differenti tecniche e le loro poetiche eterogenee, per dar vita ad una mostra straordinaria, ove le opere, mantenendo saldamente la propria distanza estetica, ricostruiscono un concetto complesso che si dipana da ciò che pare essere croce e delizia dell‟esistenza umana: il luogo fisico di appartenenza, ove si svolgono tutte le azioni. Da tutto ciò, la consapevolezza sgorga come in preda ad una sorta di vertigine ininterrotta, generata dal corpo senza il permesso dell‟uomo che in esso viene ospitato. Il concetto generale che si deduce dalla lettura dei differenti cicli artistici è teso, al di là di qualunque retorica, a guidare l‟osservatore attraverso un cammino che porti ad una nuova cognizione del dato imprescindibile e alla sua conseguente salvaguardia non soltanto fisica ma, in primis, morale. L‟habitat infatti - sia esso naturale o completamente assoggettato da un‟urbanizzazione stravolgente a cui ormai l‟umanità è “educata” - viene inteso come quel luogo le cui caratteristiche permettono ad una specie di vivere e proliferare; è l‟ambiente che circonda una specie.
Il titolo della mostra, Vertigini, vuole fare riferimento a quel particolare sentire del corpo che, in qualche modo, precede l‟assenza stessa della parte conscia, per dare libero sfogo a sensazioni capaci di sovrastare la ragione e alle quali è necessario assoggettarsi. Cinque autori d‟eccellenza, tutti noti a livello nazionale, sono stati chiamati per esprimersi sul concetto di “habitat”. A far loro da cornice, gli spazi monumentali dell‟ex filanda di Castelceriolo (AL), “estensione” della storica galleria Studio Vigato di Alessandria: ognuno a suo modo interpreta il concetto di “circostante” e riflette su di esso, ridefinendo il luogo in cui si svolge il quotidiano dell‟umanità, secondo la propria poetica esperienziale. Un corpus di opere di grandi dimensioni sono state collocate in modo da circondare lo spettatore, nel tentativo di provocare una vertigine capace di porre nuovamente al centro l‟ambiente, non necessariamente utilizzando strumenti narrativi. Non un ragionamento sulla
necessità di tornare allo stato selvaggio e alla naturalità dell‟ambiente, ma piuttosto la proposizione di un coro a più voci, organizzato per suggerire all‟uomo un ragionamento personale e ponderato sulla migliore condizione riguardo l‟evolvere e il proliferare della specie d‟appartenenza. In modo che, spogliati dei pregiudizi, sia l‟abbondanza dei molteplici punti di vista a far da guida all‟osservatore attraverso l‟emotività della tecnica espressiva posta in campo per esprimerli.
Angelo Barone (Modica nel 1957, vive e lavora a Milano) basa la propria ricerca, realizzata lungo una carriera con regolarità certosina, tentando di carpire, attraverso ipotetiche e personalissime rappresentazioni, la realtà epifanica del circostante, che egli palesa attraverso passaggi di fotografia ed architettura fino a renderla corpo fisico e geometrico, essenza simbolica che racchiude, nel proprio essere misurabile, quel carattere di genuina sincerità che ne è nervo. Barone guarda al passato senza malinconia, riproponendo ciò che si è già compiuto come accadimento, filtrandolo attraverso un animo ed una sensibilità vocate, per correggere quello stato di dimenticanza in cui versa, attraverso una sorta di vergatura concreta, rispettosa e per nulla invadente. Per questo l‟attenzione dell‟artista è sempre puntata su scorci pregni di vita, che furono quotidiani più che universalmente storici, ricordi che sono ignorati dai più e che tornano a mostrarsi, grazie ad una luce poetica che ne amplifica la bellezza originaria. Barone evoca, attraverso un rigore asciutto, luoghi ove la vertigine è provocata da quella condizione latente di sottrazione che si palesa laddove si manifestino luoghi partigiani ed illusori, che, nonostante tutto, sono realtà vera, nonostante il loro essere campo di accadimenti minimi.
Fausto Bertasa (Bergamo, 1953 dove vive e lavora), dimostra come sempre una grande conoscenza dell‟arte, a partire dal suo periodo concettuale, mutuata da un rispetto incommensurabile nei confronti della dignità intrinseca di una materia pittorica, basata sulla fiducia nel colore, mentre si appresta a divenire opera di matrice astratta, evocando con la sola forza del sé, luoghi e sensazioni come semplici ma potenti suggerimenti emotivi. Bertasa colloca nei suoi lavori dei piccoli segni, parole dipinte”rubate” alle scritte che accompagnano i prodotti, come se loghi, codici a barre e altri elementi-simbolo altro non fossero che i cifrari di un nuovo habitat attorno a cui si è sviluppata e alfabetizzata, la società dei consumi, realtà dinanzi alla quale è impossibile non provare un vago sentore di vertigine, che si attenuerà solo nel momento in cui l‟equilibrio fra realtà attuata e realtà auspicata, si sarà realizzato.
Luigi Carboni (Pesaro, 1957 dove vive e lavora) con la sua estetica allo stesso tempo delicata e potente, accompagna lo spettatore in un viaggio che sembra compiersi fra l‟ambiguità di opposti che emergono contemporaneamente a livello di sensazione. Le sue tele sono sempre state tacciate di avere sembianze scultoree, fattore che deriva dal passato artistico dell‟artista, che a partire dagli anni „80, era basato sulla geometrizzazione ordinata degli elementi. Via via, la ricerca, ha lasciato sempre più spazio alla natura fisica di una pittura spessa e libera, in cui l‟ordine della griglia ha continuato ad emergere come muto elemento. Così le pitture di Carboni hanno la speciale caratteristica di imprigionare lo sguardo in quella pausa fugace che si crea fra ombra e luce, generatrice di vertigini, grazie ad un‟estetica capace di mostrare una libertà totale basata su una organizzazione sotterranea non disturbante: proprio come è per l‟ambiente, sia naturale, sia urbano, le cui fondamenta sommerse stanno scomparendo dalla vista, pur continuando ad adempiere alle loro funzioni strutturali.
Maurizio Cosua (Ferrara, 1943 – Venezia 2009) da sempre indaga quel rituale giocato fra conscio ed inconscio, di allontanamento e prevaricazione senza ritorno della cosiddetta civiltà sulla Natura, dichiarandone la scomparsa nella sua arte, come il più plausibile fra gli esiti e come il più fondato generatore di vertigine. Cosua, ha sempre operato in modo da rendere evidente quella corruzione irreparabile che intercorre fra Uomo e Natura: le sue pitture, fatte di terra, impiegano il materiale
reale, per rendere la realtà attraverso la prossimità con essa e ricordare quella sacralità che il progresso rischia di far cadere nell‟oblio della materia che costituisce la base della nostra vita, da sempre impiegata come simbolo materno e fertile, che era per l‟Uomo primitivo spazio amato e da amare. Cosua, che ha cominciato rivolgendosi agli spazi della propria esistenza, ha dato alla luce spesso lavori monocromi, dove tutto il significato è lasciato alla fisicità del materiale, allusivo, evocativo e, di conseguenza, più narrativo di qualunque racconto o immagine, che si allontani dall‟essenza in favore di una forma, che altro non ricorderebbe se non l‟artificialità.
Vittorio D’Augusta (Fiume 1937, vive e lavora a Rimini) attraverso la sua pratica morbida e libera, fa in modo che il suo pennello danzi liberamente fino a quando una forma appena riconoscibile evochi attraverso i propri meccanismi segreti quell‟ambiente in cui l‟uomo è ormai costretto a muoversi, che è abituato a subire e dinanzi al quale non ci sono più interrogativi da porsi. Le opere di D‟Augusta – appartenente al gruppo dei Nuovi Nuovi - sono popolate da quelle che l‟autore stesso identifica come geometrie imperfette, evocative di architetture insoddisfacenti, proposte come suggerimento di possibili gradi di libertà per l‟uomo.: Luoghi bidimensionali, sospesi come quinte fra sogno e realtà, in cui la ragione non ha ancora perduto le sue speranze e si manifesta senza pensare ad una possibile sconfitta. Così grazie ad un‟immaginazione non ancora condannata dalla certezza di un risultato, è possibile prendere fiato dalla vertigine, fluttuando fra danze di colore e muovendosi fra piante di improbabili appartamenti, giardini e orti in cui è possibile sostare per riflettere, meditare e riposarsi, prima che tutto abbia di nuovo inizio.
Mirco Marchelli (Novi Ligure 1963, vive e lavora a Ovada). Difficile pensare ad una bandiera come ad un luogo. Al contrario, se l‟autore è il proteiforme Mirco Marchelli, artista allo stato puro, ma anche cuoco, intellettuale, musicista e molto altro. Maestro della tecnica mista, egli crea l‟opera partendo da un oggetto che già possiede una sua storia: si prende gioco del simbolo ma senza sfacciataggine, piuttosto mettendoci di mezzo il tempo, provocatore di vertigini, dovute al continuo slittamento da un attimo ad un altro, che non sia necessariamente il passato sbiadito ed impolverato del vecchio oggetto ritrovato. Marchelli crea un ambiente, partendo da una realtà già compiuta, per modificare la coscienza di un presente a cui egli resta ben ancorato, di una realtà che non ha nulla a che fare con la malinconia, né con un eventuale monito per il futuro. Il legame che le sue opere mantengono col passato è piuttosto un modo di rendere solida un‟architettura verticalistica, attraverso la cura delle fondamenta su cui essa stessa si regge, soprattutto dove la prossimità più vicina sia un futuro ancor più elevato…
Viviana Siviero
Il titolo della mostra, Vertigini, vuole fare riferimento a quel particolare sentire del corpo che, in qualche modo, precede l‟assenza stessa della parte conscia, per dare libero sfogo a sensazioni capaci di sovrastare la ragione e alle quali è necessario assoggettarsi. Cinque autori d‟eccellenza, tutti noti a livello nazionale, sono stati chiamati per esprimersi sul concetto di “habitat”. A far loro da cornice, gli spazi monumentali dell‟ex filanda di Castelceriolo (AL), “estensione” della storica galleria Studio Vigato di Alessandria: ognuno a suo modo interpreta il concetto di “circostante” e riflette su di esso, ridefinendo il luogo in cui si svolge il quotidiano dell‟umanità, secondo la propria poetica esperienziale. Un corpus di opere di grandi dimensioni sono state collocate in modo da circondare lo spettatore, nel tentativo di provocare una vertigine capace di porre nuovamente al centro l‟ambiente, non necessariamente utilizzando strumenti narrativi. Non un ragionamento sulla
necessità di tornare allo stato selvaggio e alla naturalità dell‟ambiente, ma piuttosto la proposizione di un coro a più voci, organizzato per suggerire all‟uomo un ragionamento personale e ponderato sulla migliore condizione riguardo l‟evolvere e il proliferare della specie d‟appartenenza. In modo che, spogliati dei pregiudizi, sia l‟abbondanza dei molteplici punti di vista a far da guida all‟osservatore attraverso l‟emotività della tecnica espressiva posta in campo per esprimerli.
Angelo Barone (Modica nel 1957, vive e lavora a Milano) basa la propria ricerca, realizzata lungo una carriera con regolarità certosina, tentando di carpire, attraverso ipotetiche e personalissime rappresentazioni, la realtà epifanica del circostante, che egli palesa attraverso passaggi di fotografia ed architettura fino a renderla corpo fisico e geometrico, essenza simbolica che racchiude, nel proprio essere misurabile, quel carattere di genuina sincerità che ne è nervo. Barone guarda al passato senza malinconia, riproponendo ciò che si è già compiuto come accadimento, filtrandolo attraverso un animo ed una sensibilità vocate, per correggere quello stato di dimenticanza in cui versa, attraverso una sorta di vergatura concreta, rispettosa e per nulla invadente. Per questo l‟attenzione dell‟artista è sempre puntata su scorci pregni di vita, che furono quotidiani più che universalmente storici, ricordi che sono ignorati dai più e che tornano a mostrarsi, grazie ad una luce poetica che ne amplifica la bellezza originaria. Barone evoca, attraverso un rigore asciutto, luoghi ove la vertigine è provocata da quella condizione latente di sottrazione che si palesa laddove si manifestino luoghi partigiani ed illusori, che, nonostante tutto, sono realtà vera, nonostante il loro essere campo di accadimenti minimi.
Fausto Bertasa (Bergamo, 1953 dove vive e lavora), dimostra come sempre una grande conoscenza dell‟arte, a partire dal suo periodo concettuale, mutuata da un rispetto incommensurabile nei confronti della dignità intrinseca di una materia pittorica, basata sulla fiducia nel colore, mentre si appresta a divenire opera di matrice astratta, evocando con la sola forza del sé, luoghi e sensazioni come semplici ma potenti suggerimenti emotivi. Bertasa colloca nei suoi lavori dei piccoli segni, parole dipinte”rubate” alle scritte che accompagnano i prodotti, come se loghi, codici a barre e altri elementi-simbolo altro non fossero che i cifrari di un nuovo habitat attorno a cui si è sviluppata e alfabetizzata, la società dei consumi, realtà dinanzi alla quale è impossibile non provare un vago sentore di vertigine, che si attenuerà solo nel momento in cui l‟equilibrio fra realtà attuata e realtà auspicata, si sarà realizzato.
Luigi Carboni (Pesaro, 1957 dove vive e lavora) con la sua estetica allo stesso tempo delicata e potente, accompagna lo spettatore in un viaggio che sembra compiersi fra l‟ambiguità di opposti che emergono contemporaneamente a livello di sensazione. Le sue tele sono sempre state tacciate di avere sembianze scultoree, fattore che deriva dal passato artistico dell‟artista, che a partire dagli anni „80, era basato sulla geometrizzazione ordinata degli elementi. Via via, la ricerca, ha lasciato sempre più spazio alla natura fisica di una pittura spessa e libera, in cui l‟ordine della griglia ha continuato ad emergere come muto elemento. Così le pitture di Carboni hanno la speciale caratteristica di imprigionare lo sguardo in quella pausa fugace che si crea fra ombra e luce, generatrice di vertigini, grazie ad un‟estetica capace di mostrare una libertà totale basata su una organizzazione sotterranea non disturbante: proprio come è per l‟ambiente, sia naturale, sia urbano, le cui fondamenta sommerse stanno scomparendo dalla vista, pur continuando ad adempiere alle loro funzioni strutturali.
Maurizio Cosua (Ferrara, 1943 – Venezia 2009) da sempre indaga quel rituale giocato fra conscio ed inconscio, di allontanamento e prevaricazione senza ritorno della cosiddetta civiltà sulla Natura, dichiarandone la scomparsa nella sua arte, come il più plausibile fra gli esiti e come il più fondato generatore di vertigine. Cosua, ha sempre operato in modo da rendere evidente quella corruzione irreparabile che intercorre fra Uomo e Natura: le sue pitture, fatte di terra, impiegano il materiale
reale, per rendere la realtà attraverso la prossimità con essa e ricordare quella sacralità che il progresso rischia di far cadere nell‟oblio della materia che costituisce la base della nostra vita, da sempre impiegata come simbolo materno e fertile, che era per l‟Uomo primitivo spazio amato e da amare. Cosua, che ha cominciato rivolgendosi agli spazi della propria esistenza, ha dato alla luce spesso lavori monocromi, dove tutto il significato è lasciato alla fisicità del materiale, allusivo, evocativo e, di conseguenza, più narrativo di qualunque racconto o immagine, che si allontani dall‟essenza in favore di una forma, che altro non ricorderebbe se non l‟artificialità.
Vittorio D’Augusta (Fiume 1937, vive e lavora a Rimini) attraverso la sua pratica morbida e libera, fa in modo che il suo pennello danzi liberamente fino a quando una forma appena riconoscibile evochi attraverso i propri meccanismi segreti quell‟ambiente in cui l‟uomo è ormai costretto a muoversi, che è abituato a subire e dinanzi al quale non ci sono più interrogativi da porsi. Le opere di D‟Augusta – appartenente al gruppo dei Nuovi Nuovi - sono popolate da quelle che l‟autore stesso identifica come geometrie imperfette, evocative di architetture insoddisfacenti, proposte come suggerimento di possibili gradi di libertà per l‟uomo.: Luoghi bidimensionali, sospesi come quinte fra sogno e realtà, in cui la ragione non ha ancora perduto le sue speranze e si manifesta senza pensare ad una possibile sconfitta. Così grazie ad un‟immaginazione non ancora condannata dalla certezza di un risultato, è possibile prendere fiato dalla vertigine, fluttuando fra danze di colore e muovendosi fra piante di improbabili appartamenti, giardini e orti in cui è possibile sostare per riflettere, meditare e riposarsi, prima che tutto abbia di nuovo inizio.
Mirco Marchelli (Novi Ligure 1963, vive e lavora a Ovada). Difficile pensare ad una bandiera come ad un luogo. Al contrario, se l‟autore è il proteiforme Mirco Marchelli, artista allo stato puro, ma anche cuoco, intellettuale, musicista e molto altro. Maestro della tecnica mista, egli crea l‟opera partendo da un oggetto che già possiede una sua storia: si prende gioco del simbolo ma senza sfacciataggine, piuttosto mettendoci di mezzo il tempo, provocatore di vertigini, dovute al continuo slittamento da un attimo ad un altro, che non sia necessariamente il passato sbiadito ed impolverato del vecchio oggetto ritrovato. Marchelli crea un ambiente, partendo da una realtà già compiuta, per modificare la coscienza di un presente a cui egli resta ben ancorato, di una realtà che non ha nulla a che fare con la malinconia, né con un eventuale monito per il futuro. Il legame che le sue opere mantengono col passato è piuttosto un modo di rendere solida un‟architettura verticalistica, attraverso la cura delle fondamenta su cui essa stessa si regge, soprattutto dove la prossimità più vicina sia un futuro ancor più elevato…
Viviana Siviero
29
maggio 2010
Vertigini
Dal 29 maggio al 25 luglio 2010
arte contemporanea
Location
STUDIO VIGATO (SEDE CHIUSA)
Alessandria, Via Ulderico Ollearo, 2, (Alessandria)
Alessandria, Via Ulderico Ollearo, 2, (Alessandria)
Orario di apertura
da Lunedì a Sabato 10.30 – 12.30 / 16.30 – 19.30
Vernissage
29 Maggio 2010, ore 18
Autore
Curatore