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Victoria Cano – Poder de la huella
Un’importante mostra delle sue opere relative al lungo periodo 1982-2010.
Comunicato stampa
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Canto per una mostra
Din, dan,
Din, don,
Din, din, dan, dan, din, don,
Si odon le campane dell’orologio.
Din, din, dan, dan,
Din, din, don,
Suonan campane tra cupole e pini in fiore
come pennellate che scappan dalla tavolozza del pittore
e lascian al lor passaggio una scia d’emozione.
Vieni, vieni, vieni
vieni a dondolarti ancora una volta
sull’altalena che si muove senza sosta.
Dove la notte e il dì ruotan a loro posta.
E tra bisbigli di uccelli
sopra colonne col nido
il tempo è energia che scorre
lasciando sul cammino labirinti di colore
capaci di trasformar il fiore di zagara in frutti dorati
la vite e l’ulivo in frutti verdi cangianti
e neri di liquido celestial.
Su alte terre sorge la verde quercia e il rosso papavero
da acque azzurre, profili riflessi e sorgenti che solcan belle
architetture.
Vieni, vieni, vieni
Vieni a ondeggiare e a volare
non smetter di dondolarti sul pendolo del tempo
vola e continua a sognare,
cammina nel labirinto delle tue orme lasciate.
Victoria Cano
Saluto del Direttore della Reale Accademia di Spagna a Roma
Sono molto felice che Victoria Cano faccia ritorno nell'Accademia con il suo “Poder de la huella”, un'importante mostra delle sue opere relative al lungo periodo 1982-2010. E' una soddisfazione riceverla in quanto artista di riconosciuta importanza nel panorama dell'arte contemporanea spagnola. Victoria Cano è conosciuta in Italia, attraverso interessanti mostre realizzate in diverse città a partire dal 1995, riannodando gli stretti rapporti che iniziò a tessere durante gli anni di permanenza in questa Casa come borsista (1982-1983). Fu importante, per la diffusione dell'opera
di Victoria in Italia, l'appoggio di diversi galleristi italiani, tra i quali cito Angelo de Florio, per la sua condizione, tuttora vigente, di attento seguitore delle nostre attività e di persona sempre disponibile nel sostenerci e consigliarci.
Sono felice anche del fatto che Victoria Cano abbia accettato (col suo proverbiale entusiasmo...) l'idea di realizzare una mostra in questa sede, essendo tale ritorno perfettamente coerente col nostro desiderio di stimolare e facilitare il mantenimento dei legami tra l'Accademia e gli artisti che in essa hanno trascorso periodi di formazione e, soprattutto, esperienze di vita, che generalmente sono state importanti per lo sviluppo delle loro carriere.
Infine, su un piano maggiormente personale, questa mostra è per me un'opportunità in più per commemorare anni molto importanti per chi ebbe la fortuna di iniziare a conoscere e ad annodare vincoli con l'Accademia attraverso un magnifico gruppo di borsisti, tra i quali era presente Victoria, riuniti intorno a un esimio direttore: lo scultore e accademico Venancio Blanco. Venancio mi aprì per la prima volta le porte di questa istituzione, ed io corrisposi aprendo quelle di casa mia, e non mancarono occasioni per delle serate, al Gianicolo e ai Parioli, delle quali conservo dei ricordi molto piacevoli. Sono passati quasi trent'anni e la fortuna ha fatto sì che io possa dirigere l'Accademia in questa fase, cosciente del fatto che mi hanno preceduto molti artisti illustri e professori che hanno contribuito affinché l'Istituzione accrescesse il proprio prestigio: tra di loro, una personalità prestigiosa nel mondo accademico e della cultura in generale, il Professor (nonché amico) Felipe Garín, che avalla quest'iniziativa in quanto curatore della mostra.
Victoria Cano ci ha riempito di colore, di allegria e di energia non solo le quattro ampie sale mostra attorno al chiostro cinquecentesco dell'ex convento francescano nel quale si stabilì l'Accademia di Spagna in Roma, inaugurata nell'1881, ma ha anche presentato nel chiostro stesso i suoi meravigliosi libri volanti. Prima di iniziare il percorso della mostra, dunque, il visitatore si vede già esposto a opere che affondano le proprie radici nell'interesse dell'artista verso la generazione dell'energia e verso l'energia come materia di trasformazione. Si tratta di ricerche e di processi creativi iniziati nel 1987, ai quali in seguito combinò i lavori sul laberinto de la identidad humana, sfociando in immagini generate dal poder de la huella, che ci immergono in
laberintos de identidad sempre sorprendenti. Il testo del professor Román de la Calle, profondo conoscitore dell'opera di Victoria Cano, getta luce sul complesso percorso intellettuale dell'artista, plasmatosi in opere di tanta ricchezza cromatica quanto di ricchezza intellettuale, poiché Victoria Cano aggiunge alle proprie doti artistiche un'encomiabile profondità di letture. Senza la pretesa di aggiungere alcunché di sostanziale alle intelligenti analisi degli specialisti, mi limito a esprimere il dovuto ringraziamento a Victoria Cano e a quanti, persone e istituzioni, anzitutto la Generalitat de Valencia, attraverso la propria Segreteria de Cultura hanno reso possibile questa mostra, che certamente sarà un'importante pietra miliare nella storia di questa Accademia Reale di Spagna in Roma.
Enrique Panés
Testo del curatore della mostra
Sono vivamente compiaciuto di aver avuto la possibilità di collaborare all’interessante progetto espositivo di Victoria Cano presso le sale della Reale Accademia di Spagna a Roma.
Ormai sono passati diversi anni da quando ebbi l’opportunità di seguire il suo percorso professionale, prima come professore nelle vecchie aule dell’antico Convento del Carmen di Valencia e anni dopo, grazie all’onore e alla fortuna di diventare il direttore della menzionata Accademia Reale di Spagna, imbattendomi nel suo ricordo di anni prima, quando Victoria era stata borsista della centenaria istituzione.
Ricordo come la sua decisa vocazione plastica e l’instancabile attività – che dura ancora oggi – l'abbiano fatta evolvere in modo più che soddisfacente. Quando è divenuta professoressa della Facoltà di Belle Arti di Valencia, abbiamo avuto ripetute occasioni di incontrarci e, quando recentemente ho studiato le sue opere nelle ampie stanze del magnifico studio che la accoglie, ho avuto la conferma di quanto la sua impostazione fosse e lo sia ancora, solida e chiara.
Affatto timorosa dei grandi formati, ha saputo penetrare nell’intimo del genere umano alla costante ricerca, con i suoi profili, le sue impronte digitali, quasi sempre presenti, i suoi simboli, di un incontro con l’uomo.
Come logica e ragionevole conseguenza di ciò, la rappresentazione visiva, plastica e a volte corporea del libro come oggetto, è un elemento abituale nelle sue opere. Si collega quindi con una delle più antiche tradizioni dell’uomo, il bisogno di fissare le idee su sostegni permanenti, facendo di questi un simbolo visivo misterioso e affascinante.
In questo stesso catalogo si possono vedere le sue opere più recenti, le sue idee personali e il suo ampio impegno professionale. Non rimane che congratularsi con lei e augurarle i migliori successi in queste sale espositive dell'Accademia Reale di Spagna a Roma, che tanti e così bei ricordi ci riporta alla memoria di entrambi.
Felipe V. Garín Llombart
Curatore dell’esposizione
Testo del Rettore della Universidad Politécnica di Valencia
È sempre un piacere scrivere delle righe di presentazione quando la richiesta ti arriva da una collega e amica. E ancor più quando tale richiesta è una felice conseguenza di un periodo lavorativo più o meno intenso, del quale è nostra volontà e potere lasciarne testimonianza scritta.
Mi ergo a testimone dell’entusiasmo e dello sforzo impiegato dalla professoressa Victoria Cano nella realizzazione del progetto espositivo presso la Accademia Reale di Spagna a Roma. Sono convinto che il risultato non lascerà indifferenti coloro che avranno l'opportunità di visitare un luogo così emblematico durante il periodo di permanenza di questa esposizione.
Il raffinamento e l’identità sono due temi centrali e ricorrenti del suo percorso artistico e non mi sorprende affatto che sia così, perchè posso assicurare che Victoria Cano possiede una travolgente personalità che trabocca di energia torrenziale. Un’energia fluita incessantemente nel corso della sua attività docente.
Non posso fare a meno di mettere a nota il suo copioso lavoro pedagogico e i numerosi premi e menzioni conseguiti al CEVISAMA da generazioni di suoi allievi. Un’energia che si è canalizzata altresì all’interno di una profusa attività creativa, che raggiunge ora un apprezzabile punto di svolta nell'Accademia spagnola di una città carica di energia creativa, di passione per l’incanto del suo passato.
Tutte le strade portano a Roma ma non tutti quelli che le percorrono, né tutti gli artisti, vi giungono. Congratulazioni e buona fortuna. O meglio, che la fortuna ti sorrida!
Juan Juliá Igual
Rettore della Universidad Politécnica di Valencia
Testo del Consigliere alla Cultura e allo Sport di Valencia
Fin dagli esordi, il percorso artistico di Victoria Cano è stato profondamente legato alla Comunitat Valenciana. Gli studi compiuti presso la Facoltà di Belle Arti di Valencia e la professione esercitata in questa terra ne sono la dimostrazione. Victoria Cano è di fatto una delle artiste più significative dell’attuale panorama artistico valenciano; in un certo modo però, il suo lavoro va legato anche alla città di Roma, dove ottenne una borsa di studio per completare la sua formazione presso l’Accademia Reale di Spagna a Roma.
L’esposizione a Roma costituisce quindi senza dubbio una ritrovata unione con una città in cui l'artista culminò la propria formazione, ma anche un'eccellente opportunità di promozione e diffusione dell’arte valenciana in Italia. Il suggestivo universo plastico e l’originale ideologia estetica di Victoria Cano, il suo interesse per l’identità dell’uomo in relazione con le forze vive della Natura in perenne mutamento, costituiscono uno stimolo di diffusione e conoscenza delle sue opere a Roma, come già lo sono in Spagna e nella Comunitat Valenciana.
Trini Miró
Consigliere alla Cultura e allo Sport
Testo del presidente della reale Accademia di belle Arti di San Carlos
Victoria Cano: tutte le "preposizioni" portano a Roma
"Dipingere DALL'interno è un'energia che
cerco in maniera esplicita quando mi metto
DI fronte a una tela bianca. Ma IN assenza della
natura, mi risulta difficile vivere
appieno il colore. CON essa, lo
trovo molto facilmente: vedo gamme
nere IN lontananza; al DI sotto della luce che riflette
l'orizzonte, scopro imponenti rossi
profilarsi DIETRO le colline
romane verso sera. Un po' più VERSO
nord, si innalzano fumi grigi SUI
tetti che CON grande difficoltà riescono
a risaltare TRA gli alberi lontani,
tutti DALLE forti tonalità
verde scuro"
Victoria Cano. Fantasie DALL'orizzonte (I)
- I -
Credo che sia già passato più o meno un quarto di secolo da quando, per la prima volta come critico d'arte, visitai professionalmente lo studio di Victoria Cano, sempre tirato a lucido. O perlomeno era così ogni volta che lei mi aspettava.
Da allora ho seguito passo passo il ritmo dei suoi lavori, che -esposizione dopo esposizione- hanno dato forma a un itinerario artistico notevole, a cavallo tra l'insegnamento e la ricerca, tra lo sguardo verso l'ambiente naturale -nelle sue molteplici manifestazioni- e il tortuoso esercizio creativo, ostinato a spingersi sempre oltre, nell'interesse delle proprie strategie artistiche.
In questo mio personale monitoraggio, più o meno periodico, ho fatto sì che i miei archivi raccogliessero, ampiamente documentati, gli echi, le impressioni e i commenti provenienti dall'insieme -sempre più considerevole- sia delle sue inquietudini creative che delle ricerche plastiche.
Perciò, non senza una certa conoscenza ed esperienza sul campo, mi azzardo ad affermare adesso come prima cosa che, solitamente, Victoria Cano con piena intensità la preparazione, lo sviluppo e l'esecuzione dei suoi vari progetti espositivi. E questa stessa intensità -nella misura in cui, coscientemente, l'adotta di giorno in giorno- è in grado anche di comunicarla e di contagiarla, con uguale vivacità, al proprio ambiente docentesco e, soprattutto, di plasmarla individualmente nelle sue opere oggetto di studio.
Non è dunque questa autoriflessività, che si diffonde nel proprio ambiente, un tratto irrilevante, né sembra che storicamente lo sia mai stato, a giudicare dal ponderato consiglio che Quinto Orazio Flacco annotava, svariati secoli fa, nel suo tanto citato De Arte Poetica liber: “Si vis me flere, dolendum est // primum ipsi tibi” (versi 102-103). Il poeta classico, nella sua fondamentale opera precettiva, raccomandava esplicitamente in tal modo la previa partecipazione empirica dell'artista, nell'orizzonte degli obiettivi che direttamente si desiderano raggiungere -attraverso l'opera-, alle esperienze estetiche degli astanti. “Se vuoi commuovermi, comincia tu stesso a sperimentare tali sentimenti”. Gran bel consiglio quello tramandatoci dal vecchio Orazio, dall'amata Roma!
Ma, oltre a iniziare ogni sua tappa credendo e confidando pienamente in ciò che lei stessa si propone come meta, bisogna riconoscere che Victoria Cano riflette e argomenta minuziosamente, passo dopo passo, i momenti chiave del proprio lavoro. O, detto diversamente: per lei non esiste alcuna opera senza il dovuto contorno intellettuale, tecnico e operativo. Motivo per il quale ognuno dei segmenti della sua traiettoria artistica possiede ed esercita -a mo' di unico corrimano- la propria rispettiva poetica, con tutto ciò che questo termine simultaneamente racchiude: sia come “programma” che come parallela “concezione” artistica. Perciò non è la stessa cosa “fare” che “saper fare”, né ha granché senso la pratica senza una corrispettiva teorizzazione e revisione critica.
Tuttavia, nonostante il graduale sviluppo che le sue proposte hanno conosciuto durante questo ampio periodo di tempo (ricordiamo che la sua prima mostra individuale ebbe luogo nel 1981), è buona cosa, da parte nostra, sottolineare l'esistenza di alcune ben determinate linee di raccordo e di continuità tra le sue ricerche plastiche; così strettamente unite, d'altronde, ai suoi personali orientamenti e inquietudini esistenziali. Non per niente, come ci ricordava il sagace pedagogo John Dewey, “l'arte è sempre, nei suoi incontri e dialoghi con la vita, poco più che mera arte” (L'arte come esperienza).
Considero certamente difficile, pertanto, stabilire con relativa sicurezza una linea di penetrazione riflessiva nell'ambito della produzione pittorica di Vittoria Cano, senza previamente prestare piena attenzione a quel suo contagioso entusiasmo personale, ossia senza prendere nota della forte carica discorsiva presente nei suoi interventi contestuali o, detto diversamente, senza contrastare il poderoso sforzo che indubbiamente Victoria Cano esercita a ogni passo per trasferire concettualmente e plasticamente alle proprie opere quell'excursus chiaramente interdisciplinare che immancabilmente precede, segue e accompagna ogni suo progetto.
Non si tratta, tuttavia, di prendere le mosse dalla teoria o di giustificare a livello strategico, esclusivamente di fronte agli altri, le sue possibili pianificazioni operative, ma, di fatto, di presentarle nell'immediato brodo di coltura che, empiricamente, ne rende possibile un'efficace articolazione. Non abbiamo forse ripetuto, più di una volta, che le opere contemporanee non solo, certo, “fanno parlare di sé”, ma che le stesse -forse ben più di quelle relative ad altre coordinate storiche- “hanno bisogno che si parli di loro”?
In tal senso, indubbiamente, nel primo decennio di questo nuovo secolo l'arte continua a vivere nel bel mezzo di un'intensa e condivisa “situazione di loquacità”, alla quale ci stiamo globalmente riferendo in questo momento, ovviamente ereditata dalle sue precedenti tappe storiche. Il legame dell'arte con le parole e la connessione della plasticità col linguaggio, cioè, continua a essere -nella nostra tradizione culturale- tanto poderoso e ineludibile come plurali e ricorrenti sono e continuano a esserne le manifestazioni.
Siamo coscienti del fatto che tutto il nostro sapere è sistematizzato linguisticamente e, perciò, quando non riusciamo a collegare le nostre esperienze -per esempio di fronte a certe manifestazioni dell'arte contemporanea- con questo fondamentale archivio della nostra memoria, ci sentiamo decisamente persi, senza sapere come interpretare, comprendere o prendere parte attiva in ciò che sentiamo, come se avessimo ricevuto un messaggio illeggibile, una citazione anonima o una promessa senza contenuto. Infatti, in tali situazioni ci mancano le chiavi per decifrare i significati e ci è impossibile collegare ciò che percepiamo a ciò che sappiamo.
Ci sorprenderà, allora, che l'insieme dei progetti che Victoria Cano per decenni ci ha offerto a livello espositivo abbia motivato, sin dall'inizio, un'intensa tensione argomentativa, assieme a distinte soluzioni scenografiche nella loro presentazione interdisciplinare? Forse i motivi e le influenze, i contesti storici ai quali sono stati ascritti, i molteplici intrecci delle relazioni e quei giochi associativi che -permetteteci l'espressione- hanno sempre viaggiato, dall'una all'altra stazione visiva, nello stesso scomparto delle opere, non fanno parte -globalmente- dell'enigmatica ma irrinunciabile atmosfera che, in fin dei conti, ne rende possibile l'abbordaggio e il lavoro delle loro suggestive interpretazioni? Dove finisce, realmente, il sostrato significante e inizia l'alone luminoso, tra l'evanescente e il suggestivo, che emana dalla lunga ombra del significato delle forme?
Non mi sembra fuori luogo ricordare, nel frangente delle ultime opere di Victoria Cano, che l'essere umano ha due modi di possedere e di manipolare l'informazione: la “sa” o la “conosce”. Ora, noi conosciamo unicamente, con maggiore o minore precisione, ciò che, esplicitamente, si trova in uno stato cosciente. Al contrario, sapere presuppone la permanenza nella memoria di qualsiasi tipo di informazione o di abilità. Solo quando diviene cosciente, si trasforma in conoscenza.
Come mi pongo, dunque, per quanto mi riguarda, di fronte alle proposte pittoriche della nostra amica? Cosa so e cosa conosco della sua produzione e della sua traiettoria? Conserviamo nella memoria una complicata mappa semantica della realtà e delle regole d'uso che siamo soliti applicare, anche con grande abilità. Ma, realmente, possiamo solo “conoscere” tale mappa e tali regole mediante un faticosissimo lavoro di riflessione e analisi. Anche rispetto alla traiettoria artistica di Victoria Cano possiamo snocciolare discorsi e tessere sequenze di parole, così come possiamo sperimentare significati e stimare i giochi di corrispondenze tra gli elementi plastici, tra forme e colori, ritmi, tratti, gesti e movimenti. Anche se, in fondo, si tratta di saperi taciti, ravvolti, impliciti e persino collettivi, sebbene anonimi.
Come posso affrontare tale conglomerato di segni, impressioni, contrasti visuali e immagini -attraverso i quali vengono riassunte le sue opere- per collegarli, in qualche modo, alle parole? La verità è che mi piacerebbe che fosse chiaro che anche tutto questo repertorio di elementi e di relazioni che mi vengono offerti facevano parte -originariamente- di un processo complesso, dove anche il sapere ravvolto e tacito si interconnetteva con la conoscenza esplicita.
Qualcuno potrà dunque sorprendersi del fatto che io, ora, confrontandomi con queste opere con sommo interesse, anche fosse col cuore in mano, possa avere il presentimento che rappresentino qualcosa che forse sappiamo ma che, senza dubbio, non conosciamo? Certamente tra il sapere e il conoscere balla l'asso di cuori, che l'artista custodisce nella manica.
L'intelligenza realizza costantemente, da par suo, poderose sintesi di informazioni che la memoria custodisce gelosamente. Quante letture e mostre, quanti saggi e discussioni sull'arte contemporanea, quante interviste e osservazioni, cara Victoria, abbiamo vissuto insieme. Orbene, sono proprio le parole a permettermi di accedere e di godere di tale complesso deposito, come fosse un tesoro. Sono proprio loro -le parole- la mia canna da pesca, le quali, legate al filo delle tue opere, mi faciliteranno il recupero delle informazioni, raccolte, strato dopo stratto, nella memoria, per interpretarle meglio, sottoporle allo studio e beneficiare, più comodamente, delle mie nuove scoperte.
Il tuo mondo e il mio mondo sono, in fin dei conti, le rispettive somme dei nostri impliciti saperi. Fenomeni soggettivi e personali. Guardo attentamente e minuziosamente alcune tue opere. Ma temo che l'insieme di ciò che si possa percepire sia, in fondo, piuttosto limitato, fermandosi certamente alla nostra sfera sensoriale. Per questo dovrà essere completato con l'immaginazione e con la memoria.
Continuo a contemplare le tue proposte e ricordo anche altre tue precedenti mostre, quasi una dozzina, nientedimeno. E ho descritto la metà delle tue esposizioni. Tuttavia, devo mettere a punto tutto un contesto visivo, coi propri ricordi e saperi. Mi rendo pienamente conto che ci sono cose che non vedo ma che so. Non senza motivo viviamo nella sutura tra la percezione e la memoria, nella cerniera tra ciò che sentiamo e ciò che sappiamo.
Le tue opere fanno già parte del mio contesto di vita, dove si riunisce il presente e ciò che si sa, ciò che si ricorda, si percepisce e si immagina. E' semplicemente il mio “mondo”, che tuttavia non è il tuo mondo, né quello degli altri visitatori dell'esposizione né quello dei possibili lettori di questi paragrafi, presentati come riflessioni di un diario intimo e personale.
La verità è che -per esempio- tu, io e gli altri, come ingredienti principali dei nostri mondi, abbiamo molta informazione condivisa che ci giunge dalla realtà comune e globalizzata, dal contesto artistico coetaneo, dalle nostre amicizie e dal nostro ambito lavorativo o accademico. Tutto ciò fa sì che questi mondi, in larga parte, si sovrappongano e si embrichino. E, alla fin fine, occorre aggiungere che ci capiamo perché siamo simili e diversi al tempo stesso, ma talvolta possiamo intenderci male. Viviamo dunque nella stessa realtà, ma in mondi differenti.
Potranno tutte le preposizioni che utilizzi -nei tuoi “motti” iniziali, che aprono ogni epigrafe- condurci insieme fino a Roma?
- II -
“Abbondanti blu annunciano
l'immediata fuga DELLE nuvole PER
meglio lottare, senza tregua, CONTRO il
vento. E un po' malinconica, guardando
VERSO il centro di Roma, CON le sue
numerose cupole, immagino, CON
l'intenzione DI rallegrarmi un po', A rischio
di sentirmi triste, che lì vive, nel
vocìo quotidiano, A mia completa disposizione,
tutta l'immensa gamma DEI colori
dell'arcobaleno”
Victoria Cano. Fantasie PER l'orizzonte (II)
Victoria Cano si è sempre preoccupata in modo sincero -com'è risaputo tra coloro i quali hanno seguito gli ingranaggi del suo itinerario artistico- circa il ruolo irrinunciabile e le trasformazioni più accurate e particolari del “mondo dell'energia”. Potremmo dire che questa tematica si sia trasformata, da tempo, nell'autentico leitmotiv dell'insieme più palesemente paradigmatico della propria azione artistica.
Infatti, se anche è stato possibile, in realtà, inquadrare ognuna delle serie dei suoi lavori in epoche differenti, attorno ad alcuni dei diversi versanti di tali metamorfosi energetiche -che tanto l'attraggono e la preoccupano-, non per questo le sue esperienze nell'ambito dell'incisione, della pittura, dei libri-oggetto, delle installazioni o delle sculture hanno smesso di aprirsi, con spiccata versatilità, verso proposte condivise, come intrecciando i propri sforzi, di volta in volta, per affrontare insieme e in maniera differenziata alcuni degli stessi fili conduttori.
I riferimenti all'energia, alla luce, all'acqua, al mondo tecnologico o all'universo organico, il ricorso alle forze della natura e alla loro potenza vulcanica o al miracolo dell'azione clorofilica, sono stati il sostrato di molte delle sue metafore e di un buon numero delle sue immagini analogiche, elaborando in tal modo -a volte con sottigliezza poetica, altre con spiccata violenza- tutto un repertorio simbolico, in grado di tradurre visivamente, nelle proprie opere, pensieri e timori, desideri e speranze.
Pictoribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit aequa potestas (Orazio, op. cit. supra 9-10). Come negare tanto ai pittori quanto ai poeti -già si domandava il lontano Q. Orazio Flacco in quella citazione che, da par nostro, riannodiamo al filo di queste riflessioni- quella sua curiosa libertà, che d'altronde è una sua netta caratteristica, di osare apertamente in tutto, di arrischiarsi verso l'inaspettato e il nuovo?
Non sono stati assenti neanche -durante questi anni, nel progressivo consolidamento dei suoi lavori- le strizzate d'occhio, più o meno dirette, al mondo della musica. Così -lo ricordo bene- approssimativamente un paio di decenni fa, verso il 1982, Victoria Cano, collegiale dell'Accademia delle Belle Arti di Spagna in Roma, dedicò già tutta una serie di pitture e di incisioni specificatamente al tema della musica, in concreto alle composizioni di Maurizio Furlani.
Posteriormente, inoltre, stavolta un decennio dopo, nel 1992, sotto il titolo Conductores de viento, io stesso redigevo un prologo a una delle sue esposizioni pittoriche. Il filo tematico era, allora, il suono, il vento e le costruzioni che li racchiudevano, potenziandoli o trasmettendoli coi loro marchingegni e le loro imponenti architetture esterne.
Si trattava, cioè, né più né meno che di una curiosa incursione visiva nel mondo degli organi musicali, trasformati, in quell'occasione, in ossessivo riferimento pittorico. L'organo come imponente fabbrica sonora, come architettura dentro un'altra architettura, si trasformava nel massimo protagonista.
In seguito Victoria Cano, già agli inizi di questo decennio che inaugurava il secolo, nella cornice dell'emblematico Palau de la Música de Valencia (2001-2002), ci mostrò alcune delle sue proposte di carattere tridimensionale, nelle quali l'albero della vita tramutava i propri rami in metaforiche mani e trasformava le foglie, cariche di clorofilla, in strane note musicali. Lo ricordo perfettamente, ripescando con le mie parole nel mare della memoria.
Tuttavia, ormai al margine di queste occasionali e saltuarie incursioni, le sue esperienze si sono orientate sempre di più soprattutto verso l'ambito del colore e della luce, della consistenza e degli spazi, mantenendo parimenti l'interesse verso i conduttori, le spirali, i mulinelli e le costellazioni. Se i suoi labirinti tecnologici restano ormai cronologicamente abbastanza lontani, in seguito sono stati, di fatto, gli universi naturali gli autentici protagonisti, in tutti i sensi, dei suoi riferimenti immediati, come pure il notevole gioco delle impronte o dei profili umani, personalizzati, trasformati nelle sue opere in risorse per migliaia di riferimenti. Anche se, di questi spazi concreti, parleremo più avanti.
Tornando alla pressante emergenza dei valori plastici nelle sue proposte, sarà bene annotarne, in quanto tali, i dialoghi basici tra il colore e la luce: luce controllata dallo spazio pittorico, a colpi decisi di materia; luce che sboccia timbricamente dal colore seguendo i tratti del pennello -cos'altro è il colore se non luce ammaestrata?-; ma anche luce repentina -quella luce nera che illumina e irrompe nel contesto espositivo, sempre dall'oscurità, per sorprendere e trasgredire le reazioni cromatiche e sorprendere anche noi stessi- in grado di trasformare, da sola, le norme e le strategie basiche del colore-materia con nuove tonalità e fluorescenze, dando luogo a forti contrasti, mai casuali ma perfettamente e minuziosamente calcolati. Forse è questo il trionfo del colore-luce che s'impone ovunque e genera curiosi scenari nella pittura di Victoria Cano, prevedibili -nei suoi montaggi- ma non per questo meno d'impatto.
Indubbiamente ci trovavamo, a oltranza, di fronte a un rischioso mondo pittorico -quello di Victoria Cano- intensificato e anche estremo, nelle sue radicali ansie di spettacolarità. Boschi in grado di trasformarsi in insiemi architettonici, col passaggio dal giorno alla notte, vortici naturali che si incendiavano, aperture che s'illuminavano dall'interno, spazi siderali o magmi tellurici che sembravano animarsi con le loro interne ebollizioni.
Non si trattava, in primo luogo, di una serie concatenata di preferenze scenografiche, che cercavano di generare misteriosi spazi per la rappresentazione? E, proprio nel bel mezzo di questi spazi, che la mostra stessa propiziava nel suo particolare montaggio, come curiose pietre miliari s'innalzavano queste proposte scultoriche, recuperate direttamente dalla figura bidimensionale. Alberi mitici che, segnalando attentamente con la loro presenza le zone aperte, ci indicavano dove, forse, poter spostare il nostro sguardo ed esercitare al tempo stesso i nostri personali tragitti (Mostra nel Palau Colomina, 2004).
Riusciranno le tue preposizioni, legate al filo delle descrizioni e delle metafore che articoli, perdurarci tra le dita fino alle porte di Roma?
- III -
“Mille edere DI metallo si avvinghiano ALLE
tegole, forse PER trovare meglio
una finestra, TRA il cielo e la terra,
DA dove scrutare, CON maggior
comodità, il singolare labirinto DEI
vicoli romani. Anche io, DA
lì, scopro perfettamente disegnata la tua
orma, fatta DI erba e acqua, DI terra
e sole. Tuttavia, dubito sempre TRA
il mero atto DI vedere e la drastica
risorsa DELLO sguardo, giacché -DA quanto ho
potuto constatare ogni giorno- NEI tuoi occhi
immensi e smisurati si riflette tutto
l'universo”.
Victoria Cano. Fantasie CONTRO l'orizzonte (III)
Come una sorta di punto e a capo, vorrei sottolineare la sua eccellente capacità per il disegno e l'interesse che personalmente ho sempre manifestato verso questi lavori, considerati a volte preparatori o complementari, anche se, di fatto, non sono mai esclusivamente ciò, date le spiccate caratteristiche e gli eccellenti risultati di tali proposte che, spesso, lei stessa conserva con certa riservatezza raccolti ed esposti in precisi spazi del suo ampio studio valenziano.
Il disegno è il migliore sguardo che si getta sul mondo, direttamente soggetto alla fermezza del sentimento e dipendente dal bisturi della ragione. Forse i disegni di Victoria Cano sono le vere e proprie impalcature della suo scenario visivo, nonostante lei stessa non si sia del tutto resa conto di questo fatto, così chiaro tanto dal punto di vista estetico quanto da quello squisitamente costruttivo.
Il disegno, come il linguaggio, si tramuta in canna da pesca per trasportarci dall'ambito del sapere al dominio della conoscenza. Lo abbiamo già evidenziato in precedenza. Il disegno diretto salta dalla percezione alla memoria congelata sul piano della rappresentazione. Così come il disegno, improvvisato attraverso la memoria, rivendica per sé i favori della conoscenza: ci aiuta a ricordare esplicitamente il sapere tacito avvolto nella memoria per rinnovarne l'immediata fragranza e vitalità.
D'altronde, in questo stesso scenario visivo, che è solito accompagnare i suoi montaggi espositivi con sempre maggiore insistenza, l'enigmatica presenza dell'umano -solo apparentemente assente- si circoscrive, in maniera diretta, alla traccia fissata dal segno di impronte digitali, spesso affioranti, quasi fossero i codici di una bizzarra identità, fra tronchi e superfici. Funzionano, a dire il vero, a mo' di piccoli labirinti formali, evidenziando certi territori o delimitando ricordi precisi.
Impronte mai anonime, poiché racchiudono il segreto della sua storia e fissano, senza dubbio, la sigla e la memoria di un'esistenza personalizzata. Forse dovremmo vederle, retoricamente, come la più adeguata e singolare sineddoche di un soggetto silenzioso, congiunto tacitamente ma in maniera eloquente alle scene della vita e della morte che, di fatto, sono quelle che vengono narrate in questi spazi pittorici di Victoria Cano.
Tuttavia, quello che in occasioni precedenti era semplicemente una sorta di preannuncio, adesso si trasforma nel vero e proprio leitmotiv dei suoi più recenti lavori ed è, inoltre, l'ingranaggio fondamentale della presente mostra, anche se per esso abbia dovuto passare, nel suo personale itinerario, tutta una serie di anni immersa nel progetto.
La verità è che sono stato, ancora una volta, il testimone principale di quest'avventura. Anche come soggetto direttamente coinvolto nell'impresa. Quasi un lustro fa, durante una delle mie visite al suo notevole studio, nel cuore della ciutat vella di Valencia, mi sorprese prendendo diligentemente le mie impronte digitali. Pensai, dopo la sorprendente richiesta, che avevo sbagliato posto, e di essere finito come minimo in questura.
Dovette mostrarmi la sua -all'epoca ancora- modesta collezione di impronte digitali (scheda completa) di vari amici e colleghi cui stava lentamente dando forma affinché, dopo le dovute spiegazioni, mi tranquillizzassi un po' e accantonassi la mia iniziale diffidenza.
Tutti siamo a conoscenza dei tortuosi giochi geometrici che ricoprono le nostre dita e che lasciamo, come traccia, dappertutto. E' senza dubbio il miglior testimone della nostra presenza quotidiana. Conosciamo anche il radicale individualismo e l'impossibilità di scambio tipiche di tali impronte “personali”. Ma sicuramente ci siamo preoccupati poco, che io sappia, della possibile forza della sua plasticità, se si gioca con le dimensioni e se ne intensificano i contrasti su uno sfondo adeguato. Tantomeno, da par mio, mi era mai capitato di verificare questo carattere personale delle impronte digitali, confrontandole con quelle dei miei vicini più prossimi.
Victoria Cano, tracciando nuovi legami con la natura, aveva già pensato di mettere a frutto, attraverso le proprie opere, le forme plastiche di tali impronte. C'è qualcosa di più genuino e naturale, nonché personale, in ognuno di noi? Qualcosa di più comune e al tempo stesso di più diverso?
Tale lavoro potrebbe trasformarsi in un esplicito omaggio all'amicizia. E così fu, ormai parecchio tempo fa, proprio nel mio caso, quando, in un piccolo quadro che mi venne offerto come pegno d'amicizia, constatai che le forme delle nuvole non erano altro che le dirette impronte delle mie dita, perfettamente integrate -per sua stessa ammissione- nell'insieme di quella rilettura della natura fatta paesaggio. Adesso è appesa nel mio studio a mo' di segreto documento condiviso.
Ma, indubbiamente, Victoria Cano attendeva il momento giusto per rendere pubblico il valore del progetto. Proprio prima dell'ultima estate, mi venne a visitare nel museo che dirigo munita di enormi cartelle. Non ho mai saputo da dove gli artisti traggano così tanta forza per manipolare i materiali dei loro lavori. E lì, sul grande tavolo di lavoro, sfilarono uno per uno gli studi, i disegni, i dipinti e le opere grafiche, a diretta presentazione della sua prossima mostra romana.
La verità è che non ha mai perso il suo attaccamento all'Italia e che Roma ha oscurato totalmente le sue aspettative passate, presenti e credo anche future. Lasciare il segno e le impronte personali in questa città continua a essere pericoloso, in quanto ti condanna a ritornare eternamente.
Non m'era mai passata per la mente né davanti allo sguardo una tale quantità di modi per mettere a frutto le impronte digitali. E' quasi più semplice formulare la domanda al contrario: in cosa non può davvero trasformarsi un'impronta digitale? E rilevai anche un'altra questione: perché tutte le impronte umane, pur essendo diverse, si somigliano così tanto?
Abbiamo, dunque, una doppia via di mutamento e di gioco comparativo. Era logico, pertanto, che le metafore rifluissero ovunque e che le sineddoche -la parte per il tutto- avessero il loro momento di gloria. Victoria Cano sorrideva, ancora una volta, intercalando in tal modo i suoi interventi sull'onda delle mie parole. Nuovamente, le parole e le immagini.
Il chiostro dell'Accademia Spagnola delle Belle Arti in Roma è invaso da uno stormo di uccelli alfabetizzati con sfondi cromatici e forme turgide. O, per meglio dire, sono i libri dell'artista a sorvolare lo spazio del chiostro, dandoci il benvenuto romano dalla storia delle parole congelate nelle loro pagine?
In realtà, di fronte al visitatore, coi legami impiegati tra “el poder de la huella” e “las metamorfosis de la energia”, le quattro sale dell'Accademia vivono -di per sé- stagioni dell'anno diverse. Parlano anche, dalla preponderante distinzione dei colori (gialli, rossi, azzurri e verdi), di tematiche duttilmente diversificate: Architetture e Nature, Profili e Identità.
Abbiamo tutto un vasto repertorio di fantasia. Dipinti e libri. 80 quadri e 84 libri. Quattro sale e un chiostro. Paesaggi urbani e paesaggi antropologici si intrecciano allo sguardo. Labirinti e mutazioni si dispiegano di fronte alla silente riflessione.
Ma, dalle impronte e coi libri, continuano a tracciarsi i fili conduttori. Entrambi gli elementi semantici obbediscono alle stesse regole di mutamento. Le impronte-teste si collocano, insistentemente, al centro di tanti quadri di Victoria Cano e quasi sempre tra le due facciate aperte dei libri, mostrandocene impassibili i dorsi, mentre il sobrio e figurato personaggio dà una scorsa-sguardo a quelle pagine, dove forse la tipografia e le illustrazioni, i testi e gli spazi hanno concordato sindacalmente le soluzioni delle loro enigmatiche e invisibili composizioni.
Quante funzioni, nella preparazione di questo gruppo espositivo, rientrano a livello immaginario nei poteri delle impronte? Abbiamo visto impronte-teste, impronte-tuberi, impronte-lune e impronte-soli; impronte-petali di fiori, impronte-finestre e impronte-porte insieme a impronte-labirinti, impronte-tavolozze da pittore, impronte-strati geografici, impronte-isole o impronte-tsunami; impronte-alberi e tronchi con impronte, impronte con occhi e impronte anonime.
Ma, assicurata la semplice definizione ovale, ne restava aperta la conformazione delle superfici, abitate dalle forme più svariate: forme dipinte e forme reali, forme volume e forme disegno. Anche forme braille e forme gesto. Con tutto questo complesso, gli spazi pittorici divengono spazi di rappresentazione, dove la narratività cavalca a dorso delle strutture plastiche.
Tuttavia, in questa particolare geografia antropologica, Victoria Cano ha continuato a fare passi decisivi tra le contingenze e le necessità. Il fatto è che è passata abilmente dall'impronta e dalle sue radici personaliste al profilo in serie dei soggetti. Perché anche il profilo identificatore -come giocando con le semplici silhouette del volto messo di lato- può trasformarsi in uno schema elementare che si moltiplica in modo indefinito, in quanto elemento fattivo di un tutto pittorico. Abbiamo così facendo i “profili sommati” trasformati in una superficie marina infestata dalle onde, tramutati nella verde distesa di un paesaggio definito dalle chiome degli alberi o camuffati in un sorprendente insieme di nuvole che popolano i cieli.
Curiose scoperte formali -tutte quante- che mi ricordano certi libricini di gioco creativo, dove bisognava giocare a riconoscere somiglianze o a scoprire contrasti e che costituivano la mia passione nei lontani momenti liberi dell'infanzia. Già allora mostravo un intenso appetito per la scoperta e per questo divoravo a fondo quei libricini, dove la percezione, l'immaginazione e la memoria visiva avevano così tanto da dire.
Ma esiste davvero quest'appetito rivelatore, in grado di favorire il presentimento della fattibilità della scoperta, in quelle situazioni di ricerca creativa? Lo stesso Igor Stravinskij, di fatto, nella sua famosa Poetica della musica, insiste in maniera acuta proprio su tale questione: “Qualsiasi creazione presuppone, in origine, una specie di appetito che fa presagire la scoperta. A questa sensazione anticipatoria dell'atto creatore si accompagna l'intuizione di un'incognita già acquisita, ma ancora indecifrabile, che non sarà possibile chiarire se non grazie all'impegno di una tecnica accorta”.
Alla presenza di questa sorta di olfatto personale per la prossimità della scoperta, cioè, si associa anche la presupposizione che la scoperta non solo si trovi già lì, a portata di mano, ma che appaia anche rafforzata dalla consapevolezza di poter dominare, mediante lo sforzo, l'abilità imprescindibile per raggiungerla. E Stravinskij completa ancor meglio la propria argomentazione nel seguente modo: “La facoltà creatrice non giunge mai da sola. Si associa sempre al dono dell'osservazione. Il vero inventore si riconosce dal fatto che trova sempre attorno a sé, financo nelle cose più comuni e umili, elementi degni di essere notati”.
E' chiaro, perciò, che la soddisfazione della scoperta, anche se all'inizio possa scaturire da un avvenimento fortunoso, corre sempre parallela all'applicazione dell'ansioso sforzo per realizzarla. E Victoria Cano sa bene come si legano l'eventuale caso, lo sforzo e la scoperta.
Per terminare, mi piacerebbe evidenziare alcuni punti ancora della sua attività artistica. Ma cercherò di essere generico sulla questione, per non risultare eccessivamene prolisso circa la sua biografia. Fra tutte, la prima cosa che possiede ritengo sia un forte desiderio di dipingere. Dopo verrebbe la capacità di mettere in moto tutta una considerevole ricchezza di automatismi, di strategie e di procedure pittoriche, dirette, nel loro insieme, verso lo sviluppo del suo lavoro. E, in terzo luogo, può contare su un efficace criterio selettivo.
Chissà perché, mi domando spesso, alle persone creative vengono in mente, in genere, molte più cose e di miglior qualità? La verità è che nelle loro rispettive traiettorie, grazie alla loro distinta operatività, eligono e rafforzano le proprie abitudini compositive e il loro potenziale espressivo, apprendono automatismi stilistici originali e promuovono persino ingegnose capacità, che saltano fuori in ogni momento.
Come ebbero luogo, concretamente, le scoperte delle impronte, dei libri volanti o dei profili accumulati? Credo, insieme a Paul Valéry, che gli artisti non abbiano motivo di trovare facilmente i propri elementi e le proprie regole di composizione. Ma proprio per questo le cercano, e cercandole le trovano. Lavorano più volte a un poema, a un quadro, a una scultura o a una coreografia di ballo. Forse non si sentono mai facilmente soddisfatti e devono insistere anche altre dieci volte nei loro ritocchi; ma a forza di tornarci sopra senza sosta, finiscono per familiarizzare con la serie delle sue “possibilità”, più che con l'opera in questione.
E' possibile che nella vita creativa gli avvenimenti appaiano con certa facilità e scatenino molteplici possibilità, ma bisogna saper selezionare con rigore e sapendo esattamente come trarne vantaggio. Questa è la regola d'oro di tale processo: essere sempre perseveranti nel fare e perfezionare costantemente la capacità preconizzante durante la progettazione.
In fin dei conti, il processo pittorico è come l'avventura della vita, un saggio o stolto mix -a seconda dei casi- di meccanicismi e invenzioni. Siamo gli autori della nostra stessa biografia, anche se ci aiutano parecchio -nel compito- la situazione, la storia e il carattere.
Per questo, mantenere un efficace stile pittorico o di vita non è altro che uno sfoggio di talento creativo, sottolineando -fra le righe e in questo modo- che non tutte le strade portano a Roma, nonostante le “preposizioni” di Victoria Cano, forse eccessivamente ottimiste, continuino a impegnarsi profetizzandoci il contrario.
Román de la Calle
Presidente della Reale Accademia delle Belle Arti di San Carlos. Valenza
Curriculum di Victoria Cano Perez
Alcalá La Real (Jaén, España). Dottorato in Belle Arti (1988) e docente ordinario (1989) presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università Politecnica di Valencia. Vincitrice del concorso bandito dal Ministero degli Affari Esteri spagnolo per un pensionato artistico presso la Accademia di Spagna a Roma (1982-1983). Direttrice della Cátedra de Empresa Metrovalencia en Bellas Artes (2007). Vicedirettrice alla Cultura del Dipartimento di disegno della Facoltà di Belle Arti (2008).
Ha ricevuto diversi premi, tra i più importanti nel 1980 il Primer Accésit Nacional de Grabado en Ribarroja del Turia (Valencia). Nel 1981 Primo Premio Fondazione Roig (Incisione) Valencia e nel 1986 il XXVIII Premio Senyera di Incisione Comune di Valencia. Diploma e medaglia Olimpica a Pechino 2008 nelle ’” Olympic Fine Arts”. Premio Internazionale Cevisama 2010 alla carriera.
Vive e lavora a Valencia (Spagna) dal 1978 e il suo impegno artistico si incentra sul tema dell’energia, degli adduttori di vento, dei fluidi, delle transizioni, ecc.. Ha intitolato le sue serie pittoriche “Horizonte de Sucesos” (Orizzonte di avvenimenti), “Dialogo de Sucesos” (Dialogo di avvenimenti) in cui il polittico e la luce esprimono diversi livelli di comunicazione. Dialoghi tra immagini, impronte e metafore, lì dove uomo e natura sono allo stesso tempo materia nell’ infinito atto di divenire. Altre serie sono “Preposiciones de Energía” (Preposizioni di Energia), “Entre líneas” (Tra le righe), “El color de la huella” (Il colore dell’impronta) e “El perfil humano” (Il profilo umano) in cui il colore, la consistenza e la linea esprimono una natura antropomorfica.
Tra le mostre individuali si ricordano quelle celebrate a Valencia, Galería Nave 10 (1989, 90, 91, 92, 93 e 2004). A Roma De Florio Arte (1985). Priugli agli Scalzi (Venezia). Galleria San Placido (Catania). Galleria Novart (Madrid). A Montevideo (Uruguay), Museo Torres García, (1996). Nel 1998 Galleria Ciovasso (Milano). Arte delle Musse, De´Florio Arte (Roma). Galleria Rettori Tribio (Trieste). La Galleria (Pordenone). Nel 1999, Museo de la Ciudad di Valencia e Consiglio Provinciale di Jaén. 2002 Palau de la Música. Valencia. Hotel Central Park. Roma. ICAV e Palacio de Colomina. Università CEU San Pablo (2004). 2005 Metro Colón di Valencia. 2006 Università di Jaén.
Ha collaborato come pittrice-scenografa, con la Compagnia teatrale italiana di Luisa Mariani in progetti come la Ley de la Selva di Elvira Lindo e Siete Puertas en el Espacio (2001), Land Art, organizzato dal comune di Roma (1999).
Partecipa a diverse Fiere Internazionali grazie alla realizzazione di numerose esposizioni collettive, tra cui ricordiamo come ultima quella del Olympic Fine Arts Beijing 2008, celebrata in occasione dei Giochi Olimpici di Pechino 2008.
Le sue opere fanno parte delle collezioni delle seguenti istituzioni: Comune di Valencia. Calcografia Nazionale di Roma. Fundación Renau (Valencia). Centro Romano della Grafica (Roma). Reale Accademia delle Belle Arti di Spagna a Roma. Museo della Stampa di Urbino. Ministero degli Affari Esteri spagnolo (Madrid). Cassa di Risparmio di Segorbe (Valencia). Collezione della Caja Rural de Torrent (Valencia). Fondi di Arte Contemporanea della U. P. V. e Universidad de México. Ambasciata spagnola di Harare. Museo Torres García, Montevideo (Uruguay). Cortes Valencianas (Valencia). Museo Vaticano. Hotel Central Park di Roma. Palau de la Música (Valencia). Università CEU San Pablo, ICAV. Consiglio provinciale di Jaén, Metro Valencia, Università di Jaén e Museo delle Belle Arti commemorativo delle Olimpiadi di Pechino 2008.
Din, dan,
Din, don,
Din, din, dan, dan, din, don,
Si odon le campane dell’orologio.
Din, din, dan, dan,
Din, din, don,
Suonan campane tra cupole e pini in fiore
come pennellate che scappan dalla tavolozza del pittore
e lascian al lor passaggio una scia d’emozione.
Vieni, vieni, vieni
vieni a dondolarti ancora una volta
sull’altalena che si muove senza sosta.
Dove la notte e il dì ruotan a loro posta.
E tra bisbigli di uccelli
sopra colonne col nido
il tempo è energia che scorre
lasciando sul cammino labirinti di colore
capaci di trasformar il fiore di zagara in frutti dorati
la vite e l’ulivo in frutti verdi cangianti
e neri di liquido celestial.
Su alte terre sorge la verde quercia e il rosso papavero
da acque azzurre, profili riflessi e sorgenti che solcan belle
architetture.
Vieni, vieni, vieni
Vieni a ondeggiare e a volare
non smetter di dondolarti sul pendolo del tempo
vola e continua a sognare,
cammina nel labirinto delle tue orme lasciate.
Victoria Cano
Saluto del Direttore della Reale Accademia di Spagna a Roma
Sono molto felice che Victoria Cano faccia ritorno nell'Accademia con il suo “Poder de la huella”, un'importante mostra delle sue opere relative al lungo periodo 1982-2010. E' una soddisfazione riceverla in quanto artista di riconosciuta importanza nel panorama dell'arte contemporanea spagnola. Victoria Cano è conosciuta in Italia, attraverso interessanti mostre realizzate in diverse città a partire dal 1995, riannodando gli stretti rapporti che iniziò a tessere durante gli anni di permanenza in questa Casa come borsista (1982-1983). Fu importante, per la diffusione dell'opera
di Victoria in Italia, l'appoggio di diversi galleristi italiani, tra i quali cito Angelo de Florio, per la sua condizione, tuttora vigente, di attento seguitore delle nostre attività e di persona sempre disponibile nel sostenerci e consigliarci.
Sono felice anche del fatto che Victoria Cano abbia accettato (col suo proverbiale entusiasmo...) l'idea di realizzare una mostra in questa sede, essendo tale ritorno perfettamente coerente col nostro desiderio di stimolare e facilitare il mantenimento dei legami tra l'Accademia e gli artisti che in essa hanno trascorso periodi di formazione e, soprattutto, esperienze di vita, che generalmente sono state importanti per lo sviluppo delle loro carriere.
Infine, su un piano maggiormente personale, questa mostra è per me un'opportunità in più per commemorare anni molto importanti per chi ebbe la fortuna di iniziare a conoscere e ad annodare vincoli con l'Accademia attraverso un magnifico gruppo di borsisti, tra i quali era presente Victoria, riuniti intorno a un esimio direttore: lo scultore e accademico Venancio Blanco. Venancio mi aprì per la prima volta le porte di questa istituzione, ed io corrisposi aprendo quelle di casa mia, e non mancarono occasioni per delle serate, al Gianicolo e ai Parioli, delle quali conservo dei ricordi molto piacevoli. Sono passati quasi trent'anni e la fortuna ha fatto sì che io possa dirigere l'Accademia in questa fase, cosciente del fatto che mi hanno preceduto molti artisti illustri e professori che hanno contribuito affinché l'Istituzione accrescesse il proprio prestigio: tra di loro, una personalità prestigiosa nel mondo accademico e della cultura in generale, il Professor (nonché amico) Felipe Garín, che avalla quest'iniziativa in quanto curatore della mostra.
Victoria Cano ci ha riempito di colore, di allegria e di energia non solo le quattro ampie sale mostra attorno al chiostro cinquecentesco dell'ex convento francescano nel quale si stabilì l'Accademia di Spagna in Roma, inaugurata nell'1881, ma ha anche presentato nel chiostro stesso i suoi meravigliosi libri volanti. Prima di iniziare il percorso della mostra, dunque, il visitatore si vede già esposto a opere che affondano le proprie radici nell'interesse dell'artista verso la generazione dell'energia e verso l'energia come materia di trasformazione. Si tratta di ricerche e di processi creativi iniziati nel 1987, ai quali in seguito combinò i lavori sul laberinto de la identidad humana, sfociando in immagini generate dal poder de la huella, che ci immergono in
laberintos de identidad sempre sorprendenti. Il testo del professor Román de la Calle, profondo conoscitore dell'opera di Victoria Cano, getta luce sul complesso percorso intellettuale dell'artista, plasmatosi in opere di tanta ricchezza cromatica quanto di ricchezza intellettuale, poiché Victoria Cano aggiunge alle proprie doti artistiche un'encomiabile profondità di letture. Senza la pretesa di aggiungere alcunché di sostanziale alle intelligenti analisi degli specialisti, mi limito a esprimere il dovuto ringraziamento a Victoria Cano e a quanti, persone e istituzioni, anzitutto la Generalitat de Valencia, attraverso la propria Segreteria de Cultura hanno reso possibile questa mostra, che certamente sarà un'importante pietra miliare nella storia di questa Accademia Reale di Spagna in Roma.
Enrique Panés
Testo del curatore della mostra
Sono vivamente compiaciuto di aver avuto la possibilità di collaborare all’interessante progetto espositivo di Victoria Cano presso le sale della Reale Accademia di Spagna a Roma.
Ormai sono passati diversi anni da quando ebbi l’opportunità di seguire il suo percorso professionale, prima come professore nelle vecchie aule dell’antico Convento del Carmen di Valencia e anni dopo, grazie all’onore e alla fortuna di diventare il direttore della menzionata Accademia Reale di Spagna, imbattendomi nel suo ricordo di anni prima, quando Victoria era stata borsista della centenaria istituzione.
Ricordo come la sua decisa vocazione plastica e l’instancabile attività – che dura ancora oggi – l'abbiano fatta evolvere in modo più che soddisfacente. Quando è divenuta professoressa della Facoltà di Belle Arti di Valencia, abbiamo avuto ripetute occasioni di incontrarci e, quando recentemente ho studiato le sue opere nelle ampie stanze del magnifico studio che la accoglie, ho avuto la conferma di quanto la sua impostazione fosse e lo sia ancora, solida e chiara.
Affatto timorosa dei grandi formati, ha saputo penetrare nell’intimo del genere umano alla costante ricerca, con i suoi profili, le sue impronte digitali, quasi sempre presenti, i suoi simboli, di un incontro con l’uomo.
Come logica e ragionevole conseguenza di ciò, la rappresentazione visiva, plastica e a volte corporea del libro come oggetto, è un elemento abituale nelle sue opere. Si collega quindi con una delle più antiche tradizioni dell’uomo, il bisogno di fissare le idee su sostegni permanenti, facendo di questi un simbolo visivo misterioso e affascinante.
In questo stesso catalogo si possono vedere le sue opere più recenti, le sue idee personali e il suo ampio impegno professionale. Non rimane che congratularsi con lei e augurarle i migliori successi in queste sale espositive dell'Accademia Reale di Spagna a Roma, che tanti e così bei ricordi ci riporta alla memoria di entrambi.
Felipe V. Garín Llombart
Curatore dell’esposizione
Testo del Rettore della Universidad Politécnica di Valencia
È sempre un piacere scrivere delle righe di presentazione quando la richiesta ti arriva da una collega e amica. E ancor più quando tale richiesta è una felice conseguenza di un periodo lavorativo più o meno intenso, del quale è nostra volontà e potere lasciarne testimonianza scritta.
Mi ergo a testimone dell’entusiasmo e dello sforzo impiegato dalla professoressa Victoria Cano nella realizzazione del progetto espositivo presso la Accademia Reale di Spagna a Roma. Sono convinto che il risultato non lascerà indifferenti coloro che avranno l'opportunità di visitare un luogo così emblematico durante il periodo di permanenza di questa esposizione.
Il raffinamento e l’identità sono due temi centrali e ricorrenti del suo percorso artistico e non mi sorprende affatto che sia così, perchè posso assicurare che Victoria Cano possiede una travolgente personalità che trabocca di energia torrenziale. Un’energia fluita incessantemente nel corso della sua attività docente.
Non posso fare a meno di mettere a nota il suo copioso lavoro pedagogico e i numerosi premi e menzioni conseguiti al CEVISAMA da generazioni di suoi allievi. Un’energia che si è canalizzata altresì all’interno di una profusa attività creativa, che raggiunge ora un apprezzabile punto di svolta nell'Accademia spagnola di una città carica di energia creativa, di passione per l’incanto del suo passato.
Tutte le strade portano a Roma ma non tutti quelli che le percorrono, né tutti gli artisti, vi giungono. Congratulazioni e buona fortuna. O meglio, che la fortuna ti sorrida!
Juan Juliá Igual
Rettore della Universidad Politécnica di Valencia
Testo del Consigliere alla Cultura e allo Sport di Valencia
Fin dagli esordi, il percorso artistico di Victoria Cano è stato profondamente legato alla Comunitat Valenciana. Gli studi compiuti presso la Facoltà di Belle Arti di Valencia e la professione esercitata in questa terra ne sono la dimostrazione. Victoria Cano è di fatto una delle artiste più significative dell’attuale panorama artistico valenciano; in un certo modo però, il suo lavoro va legato anche alla città di Roma, dove ottenne una borsa di studio per completare la sua formazione presso l’Accademia Reale di Spagna a Roma.
L’esposizione a Roma costituisce quindi senza dubbio una ritrovata unione con una città in cui l'artista culminò la propria formazione, ma anche un'eccellente opportunità di promozione e diffusione dell’arte valenciana in Italia. Il suggestivo universo plastico e l’originale ideologia estetica di Victoria Cano, il suo interesse per l’identità dell’uomo in relazione con le forze vive della Natura in perenne mutamento, costituiscono uno stimolo di diffusione e conoscenza delle sue opere a Roma, come già lo sono in Spagna e nella Comunitat Valenciana.
Trini Miró
Consigliere alla Cultura e allo Sport
Testo del presidente della reale Accademia di belle Arti di San Carlos
Victoria Cano: tutte le "preposizioni" portano a Roma
"Dipingere DALL'interno è un'energia che
cerco in maniera esplicita quando mi metto
DI fronte a una tela bianca. Ma IN assenza della
natura, mi risulta difficile vivere
appieno il colore. CON essa, lo
trovo molto facilmente: vedo gamme
nere IN lontananza; al DI sotto della luce che riflette
l'orizzonte, scopro imponenti rossi
profilarsi DIETRO le colline
romane verso sera. Un po' più VERSO
nord, si innalzano fumi grigi SUI
tetti che CON grande difficoltà riescono
a risaltare TRA gli alberi lontani,
tutti DALLE forti tonalità
verde scuro"
Victoria Cano. Fantasie DALL'orizzonte (I)
- I -
Credo che sia già passato più o meno un quarto di secolo da quando, per la prima volta come critico d'arte, visitai professionalmente lo studio di Victoria Cano, sempre tirato a lucido. O perlomeno era così ogni volta che lei mi aspettava.
Da allora ho seguito passo passo il ritmo dei suoi lavori, che -esposizione dopo esposizione- hanno dato forma a un itinerario artistico notevole, a cavallo tra l'insegnamento e la ricerca, tra lo sguardo verso l'ambiente naturale -nelle sue molteplici manifestazioni- e il tortuoso esercizio creativo, ostinato a spingersi sempre oltre, nell'interesse delle proprie strategie artistiche.
In questo mio personale monitoraggio, più o meno periodico, ho fatto sì che i miei archivi raccogliessero, ampiamente documentati, gli echi, le impressioni e i commenti provenienti dall'insieme -sempre più considerevole- sia delle sue inquietudini creative che delle ricerche plastiche.
Perciò, non senza una certa conoscenza ed esperienza sul campo, mi azzardo ad affermare adesso come prima cosa che, solitamente, Victoria Cano con piena intensità la preparazione, lo sviluppo e l'esecuzione dei suoi vari progetti espositivi. E questa stessa intensità -nella misura in cui, coscientemente, l'adotta di giorno in giorno- è in grado anche di comunicarla e di contagiarla, con uguale vivacità, al proprio ambiente docentesco e, soprattutto, di plasmarla individualmente nelle sue opere oggetto di studio.
Non è dunque questa autoriflessività, che si diffonde nel proprio ambiente, un tratto irrilevante, né sembra che storicamente lo sia mai stato, a giudicare dal ponderato consiglio che Quinto Orazio Flacco annotava, svariati secoli fa, nel suo tanto citato De Arte Poetica liber: “Si vis me flere, dolendum est // primum ipsi tibi” (versi 102-103). Il poeta classico, nella sua fondamentale opera precettiva, raccomandava esplicitamente in tal modo la previa partecipazione empirica dell'artista, nell'orizzonte degli obiettivi che direttamente si desiderano raggiungere -attraverso l'opera-, alle esperienze estetiche degli astanti. “Se vuoi commuovermi, comincia tu stesso a sperimentare tali sentimenti”. Gran bel consiglio quello tramandatoci dal vecchio Orazio, dall'amata Roma!
Ma, oltre a iniziare ogni sua tappa credendo e confidando pienamente in ciò che lei stessa si propone come meta, bisogna riconoscere che Victoria Cano riflette e argomenta minuziosamente, passo dopo passo, i momenti chiave del proprio lavoro. O, detto diversamente: per lei non esiste alcuna opera senza il dovuto contorno intellettuale, tecnico e operativo. Motivo per il quale ognuno dei segmenti della sua traiettoria artistica possiede ed esercita -a mo' di unico corrimano- la propria rispettiva poetica, con tutto ciò che questo termine simultaneamente racchiude: sia come “programma” che come parallela “concezione” artistica. Perciò non è la stessa cosa “fare” che “saper fare”, né ha granché senso la pratica senza una corrispettiva teorizzazione e revisione critica.
Tuttavia, nonostante il graduale sviluppo che le sue proposte hanno conosciuto durante questo ampio periodo di tempo (ricordiamo che la sua prima mostra individuale ebbe luogo nel 1981), è buona cosa, da parte nostra, sottolineare l'esistenza di alcune ben determinate linee di raccordo e di continuità tra le sue ricerche plastiche; così strettamente unite, d'altronde, ai suoi personali orientamenti e inquietudini esistenziali. Non per niente, come ci ricordava il sagace pedagogo John Dewey, “l'arte è sempre, nei suoi incontri e dialoghi con la vita, poco più che mera arte” (L'arte come esperienza).
Considero certamente difficile, pertanto, stabilire con relativa sicurezza una linea di penetrazione riflessiva nell'ambito della produzione pittorica di Vittoria Cano, senza previamente prestare piena attenzione a quel suo contagioso entusiasmo personale, ossia senza prendere nota della forte carica discorsiva presente nei suoi interventi contestuali o, detto diversamente, senza contrastare il poderoso sforzo che indubbiamente Victoria Cano esercita a ogni passo per trasferire concettualmente e plasticamente alle proprie opere quell'excursus chiaramente interdisciplinare che immancabilmente precede, segue e accompagna ogni suo progetto.
Non si tratta, tuttavia, di prendere le mosse dalla teoria o di giustificare a livello strategico, esclusivamente di fronte agli altri, le sue possibili pianificazioni operative, ma, di fatto, di presentarle nell'immediato brodo di coltura che, empiricamente, ne rende possibile un'efficace articolazione. Non abbiamo forse ripetuto, più di una volta, che le opere contemporanee non solo, certo, “fanno parlare di sé”, ma che le stesse -forse ben più di quelle relative ad altre coordinate storiche- “hanno bisogno che si parli di loro”?
In tal senso, indubbiamente, nel primo decennio di questo nuovo secolo l'arte continua a vivere nel bel mezzo di un'intensa e condivisa “situazione di loquacità”, alla quale ci stiamo globalmente riferendo in questo momento, ovviamente ereditata dalle sue precedenti tappe storiche. Il legame dell'arte con le parole e la connessione della plasticità col linguaggio, cioè, continua a essere -nella nostra tradizione culturale- tanto poderoso e ineludibile come plurali e ricorrenti sono e continuano a esserne le manifestazioni.
Siamo coscienti del fatto che tutto il nostro sapere è sistematizzato linguisticamente e, perciò, quando non riusciamo a collegare le nostre esperienze -per esempio di fronte a certe manifestazioni dell'arte contemporanea- con questo fondamentale archivio della nostra memoria, ci sentiamo decisamente persi, senza sapere come interpretare, comprendere o prendere parte attiva in ciò che sentiamo, come se avessimo ricevuto un messaggio illeggibile, una citazione anonima o una promessa senza contenuto. Infatti, in tali situazioni ci mancano le chiavi per decifrare i significati e ci è impossibile collegare ciò che percepiamo a ciò che sappiamo.
Ci sorprenderà, allora, che l'insieme dei progetti che Victoria Cano per decenni ci ha offerto a livello espositivo abbia motivato, sin dall'inizio, un'intensa tensione argomentativa, assieme a distinte soluzioni scenografiche nella loro presentazione interdisciplinare? Forse i motivi e le influenze, i contesti storici ai quali sono stati ascritti, i molteplici intrecci delle relazioni e quei giochi associativi che -permetteteci l'espressione- hanno sempre viaggiato, dall'una all'altra stazione visiva, nello stesso scomparto delle opere, non fanno parte -globalmente- dell'enigmatica ma irrinunciabile atmosfera che, in fin dei conti, ne rende possibile l'abbordaggio e il lavoro delle loro suggestive interpretazioni? Dove finisce, realmente, il sostrato significante e inizia l'alone luminoso, tra l'evanescente e il suggestivo, che emana dalla lunga ombra del significato delle forme?
Non mi sembra fuori luogo ricordare, nel frangente delle ultime opere di Victoria Cano, che l'essere umano ha due modi di possedere e di manipolare l'informazione: la “sa” o la “conosce”. Ora, noi conosciamo unicamente, con maggiore o minore precisione, ciò che, esplicitamente, si trova in uno stato cosciente. Al contrario, sapere presuppone la permanenza nella memoria di qualsiasi tipo di informazione o di abilità. Solo quando diviene cosciente, si trasforma in conoscenza.
Come mi pongo, dunque, per quanto mi riguarda, di fronte alle proposte pittoriche della nostra amica? Cosa so e cosa conosco della sua produzione e della sua traiettoria? Conserviamo nella memoria una complicata mappa semantica della realtà e delle regole d'uso che siamo soliti applicare, anche con grande abilità. Ma, realmente, possiamo solo “conoscere” tale mappa e tali regole mediante un faticosissimo lavoro di riflessione e analisi. Anche rispetto alla traiettoria artistica di Victoria Cano possiamo snocciolare discorsi e tessere sequenze di parole, così come possiamo sperimentare significati e stimare i giochi di corrispondenze tra gli elementi plastici, tra forme e colori, ritmi, tratti, gesti e movimenti. Anche se, in fondo, si tratta di saperi taciti, ravvolti, impliciti e persino collettivi, sebbene anonimi.
Come posso affrontare tale conglomerato di segni, impressioni, contrasti visuali e immagini -attraverso i quali vengono riassunte le sue opere- per collegarli, in qualche modo, alle parole? La verità è che mi piacerebbe che fosse chiaro che anche tutto questo repertorio di elementi e di relazioni che mi vengono offerti facevano parte -originariamente- di un processo complesso, dove anche il sapere ravvolto e tacito si interconnetteva con la conoscenza esplicita.
Qualcuno potrà dunque sorprendersi del fatto che io, ora, confrontandomi con queste opere con sommo interesse, anche fosse col cuore in mano, possa avere il presentimento che rappresentino qualcosa che forse sappiamo ma che, senza dubbio, non conosciamo? Certamente tra il sapere e il conoscere balla l'asso di cuori, che l'artista custodisce nella manica.
L'intelligenza realizza costantemente, da par suo, poderose sintesi di informazioni che la memoria custodisce gelosamente. Quante letture e mostre, quanti saggi e discussioni sull'arte contemporanea, quante interviste e osservazioni, cara Victoria, abbiamo vissuto insieme. Orbene, sono proprio le parole a permettermi di accedere e di godere di tale complesso deposito, come fosse un tesoro. Sono proprio loro -le parole- la mia canna da pesca, le quali, legate al filo delle tue opere, mi faciliteranno il recupero delle informazioni, raccolte, strato dopo stratto, nella memoria, per interpretarle meglio, sottoporle allo studio e beneficiare, più comodamente, delle mie nuove scoperte.
Il tuo mondo e il mio mondo sono, in fin dei conti, le rispettive somme dei nostri impliciti saperi. Fenomeni soggettivi e personali. Guardo attentamente e minuziosamente alcune tue opere. Ma temo che l'insieme di ciò che si possa percepire sia, in fondo, piuttosto limitato, fermandosi certamente alla nostra sfera sensoriale. Per questo dovrà essere completato con l'immaginazione e con la memoria.
Continuo a contemplare le tue proposte e ricordo anche altre tue precedenti mostre, quasi una dozzina, nientedimeno. E ho descritto la metà delle tue esposizioni. Tuttavia, devo mettere a punto tutto un contesto visivo, coi propri ricordi e saperi. Mi rendo pienamente conto che ci sono cose che non vedo ma che so. Non senza motivo viviamo nella sutura tra la percezione e la memoria, nella cerniera tra ciò che sentiamo e ciò che sappiamo.
Le tue opere fanno già parte del mio contesto di vita, dove si riunisce il presente e ciò che si sa, ciò che si ricorda, si percepisce e si immagina. E' semplicemente il mio “mondo”, che tuttavia non è il tuo mondo, né quello degli altri visitatori dell'esposizione né quello dei possibili lettori di questi paragrafi, presentati come riflessioni di un diario intimo e personale.
La verità è che -per esempio- tu, io e gli altri, come ingredienti principali dei nostri mondi, abbiamo molta informazione condivisa che ci giunge dalla realtà comune e globalizzata, dal contesto artistico coetaneo, dalle nostre amicizie e dal nostro ambito lavorativo o accademico. Tutto ciò fa sì che questi mondi, in larga parte, si sovrappongano e si embrichino. E, alla fin fine, occorre aggiungere che ci capiamo perché siamo simili e diversi al tempo stesso, ma talvolta possiamo intenderci male. Viviamo dunque nella stessa realtà, ma in mondi differenti.
Potranno tutte le preposizioni che utilizzi -nei tuoi “motti” iniziali, che aprono ogni epigrafe- condurci insieme fino a Roma?
- II -
“Abbondanti blu annunciano
l'immediata fuga DELLE nuvole PER
meglio lottare, senza tregua, CONTRO il
vento. E un po' malinconica, guardando
VERSO il centro di Roma, CON le sue
numerose cupole, immagino, CON
l'intenzione DI rallegrarmi un po', A rischio
di sentirmi triste, che lì vive, nel
vocìo quotidiano, A mia completa disposizione,
tutta l'immensa gamma DEI colori
dell'arcobaleno”
Victoria Cano. Fantasie PER l'orizzonte (II)
Victoria Cano si è sempre preoccupata in modo sincero -com'è risaputo tra coloro i quali hanno seguito gli ingranaggi del suo itinerario artistico- circa il ruolo irrinunciabile e le trasformazioni più accurate e particolari del “mondo dell'energia”. Potremmo dire che questa tematica si sia trasformata, da tempo, nell'autentico leitmotiv dell'insieme più palesemente paradigmatico della propria azione artistica.
Infatti, se anche è stato possibile, in realtà, inquadrare ognuna delle serie dei suoi lavori in epoche differenti, attorno ad alcuni dei diversi versanti di tali metamorfosi energetiche -che tanto l'attraggono e la preoccupano-, non per questo le sue esperienze nell'ambito dell'incisione, della pittura, dei libri-oggetto, delle installazioni o delle sculture hanno smesso di aprirsi, con spiccata versatilità, verso proposte condivise, come intrecciando i propri sforzi, di volta in volta, per affrontare insieme e in maniera differenziata alcuni degli stessi fili conduttori.
I riferimenti all'energia, alla luce, all'acqua, al mondo tecnologico o all'universo organico, il ricorso alle forze della natura e alla loro potenza vulcanica o al miracolo dell'azione clorofilica, sono stati il sostrato di molte delle sue metafore e di un buon numero delle sue immagini analogiche, elaborando in tal modo -a volte con sottigliezza poetica, altre con spiccata violenza- tutto un repertorio simbolico, in grado di tradurre visivamente, nelle proprie opere, pensieri e timori, desideri e speranze.
Pictoribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit aequa potestas (Orazio, op. cit. supra 9-10). Come negare tanto ai pittori quanto ai poeti -già si domandava il lontano Q. Orazio Flacco in quella citazione che, da par nostro, riannodiamo al filo di queste riflessioni- quella sua curiosa libertà, che d'altronde è una sua netta caratteristica, di osare apertamente in tutto, di arrischiarsi verso l'inaspettato e il nuovo?
Non sono stati assenti neanche -durante questi anni, nel progressivo consolidamento dei suoi lavori- le strizzate d'occhio, più o meno dirette, al mondo della musica. Così -lo ricordo bene- approssimativamente un paio di decenni fa, verso il 1982, Victoria Cano, collegiale dell'Accademia delle Belle Arti di Spagna in Roma, dedicò già tutta una serie di pitture e di incisioni specificatamente al tema della musica, in concreto alle composizioni di Maurizio Furlani.
Posteriormente, inoltre, stavolta un decennio dopo, nel 1992, sotto il titolo Conductores de viento, io stesso redigevo un prologo a una delle sue esposizioni pittoriche. Il filo tematico era, allora, il suono, il vento e le costruzioni che li racchiudevano, potenziandoli o trasmettendoli coi loro marchingegni e le loro imponenti architetture esterne.
Si trattava, cioè, né più né meno che di una curiosa incursione visiva nel mondo degli organi musicali, trasformati, in quell'occasione, in ossessivo riferimento pittorico. L'organo come imponente fabbrica sonora, come architettura dentro un'altra architettura, si trasformava nel massimo protagonista.
In seguito Victoria Cano, già agli inizi di questo decennio che inaugurava il secolo, nella cornice dell'emblematico Palau de la Música de Valencia (2001-2002), ci mostrò alcune delle sue proposte di carattere tridimensionale, nelle quali l'albero della vita tramutava i propri rami in metaforiche mani e trasformava le foglie, cariche di clorofilla, in strane note musicali. Lo ricordo perfettamente, ripescando con le mie parole nel mare della memoria.
Tuttavia, ormai al margine di queste occasionali e saltuarie incursioni, le sue esperienze si sono orientate sempre di più soprattutto verso l'ambito del colore e della luce, della consistenza e degli spazi, mantenendo parimenti l'interesse verso i conduttori, le spirali, i mulinelli e le costellazioni. Se i suoi labirinti tecnologici restano ormai cronologicamente abbastanza lontani, in seguito sono stati, di fatto, gli universi naturali gli autentici protagonisti, in tutti i sensi, dei suoi riferimenti immediati, come pure il notevole gioco delle impronte o dei profili umani, personalizzati, trasformati nelle sue opere in risorse per migliaia di riferimenti. Anche se, di questi spazi concreti, parleremo più avanti.
Tornando alla pressante emergenza dei valori plastici nelle sue proposte, sarà bene annotarne, in quanto tali, i dialoghi basici tra il colore e la luce: luce controllata dallo spazio pittorico, a colpi decisi di materia; luce che sboccia timbricamente dal colore seguendo i tratti del pennello -cos'altro è il colore se non luce ammaestrata?-; ma anche luce repentina -quella luce nera che illumina e irrompe nel contesto espositivo, sempre dall'oscurità, per sorprendere e trasgredire le reazioni cromatiche e sorprendere anche noi stessi- in grado di trasformare, da sola, le norme e le strategie basiche del colore-materia con nuove tonalità e fluorescenze, dando luogo a forti contrasti, mai casuali ma perfettamente e minuziosamente calcolati. Forse è questo il trionfo del colore-luce che s'impone ovunque e genera curiosi scenari nella pittura di Victoria Cano, prevedibili -nei suoi montaggi- ma non per questo meno d'impatto.
Indubbiamente ci trovavamo, a oltranza, di fronte a un rischioso mondo pittorico -quello di Victoria Cano- intensificato e anche estremo, nelle sue radicali ansie di spettacolarità. Boschi in grado di trasformarsi in insiemi architettonici, col passaggio dal giorno alla notte, vortici naturali che si incendiavano, aperture che s'illuminavano dall'interno, spazi siderali o magmi tellurici che sembravano animarsi con le loro interne ebollizioni.
Non si trattava, in primo luogo, di una serie concatenata di preferenze scenografiche, che cercavano di generare misteriosi spazi per la rappresentazione? E, proprio nel bel mezzo di questi spazi, che la mostra stessa propiziava nel suo particolare montaggio, come curiose pietre miliari s'innalzavano queste proposte scultoriche, recuperate direttamente dalla figura bidimensionale. Alberi mitici che, segnalando attentamente con la loro presenza le zone aperte, ci indicavano dove, forse, poter spostare il nostro sguardo ed esercitare al tempo stesso i nostri personali tragitti (Mostra nel Palau Colomina, 2004).
Riusciranno le tue preposizioni, legate al filo delle descrizioni e delle metafore che articoli, perdurarci tra le dita fino alle porte di Roma?
- III -
“Mille edere DI metallo si avvinghiano ALLE
tegole, forse PER trovare meglio
una finestra, TRA il cielo e la terra,
DA dove scrutare, CON maggior
comodità, il singolare labirinto DEI
vicoli romani. Anche io, DA
lì, scopro perfettamente disegnata la tua
orma, fatta DI erba e acqua, DI terra
e sole. Tuttavia, dubito sempre TRA
il mero atto DI vedere e la drastica
risorsa DELLO sguardo, giacché -DA quanto ho
potuto constatare ogni giorno- NEI tuoi occhi
immensi e smisurati si riflette tutto
l'universo”.
Victoria Cano. Fantasie CONTRO l'orizzonte (III)
Come una sorta di punto e a capo, vorrei sottolineare la sua eccellente capacità per il disegno e l'interesse che personalmente ho sempre manifestato verso questi lavori, considerati a volte preparatori o complementari, anche se, di fatto, non sono mai esclusivamente ciò, date le spiccate caratteristiche e gli eccellenti risultati di tali proposte che, spesso, lei stessa conserva con certa riservatezza raccolti ed esposti in precisi spazi del suo ampio studio valenziano.
Il disegno è il migliore sguardo che si getta sul mondo, direttamente soggetto alla fermezza del sentimento e dipendente dal bisturi della ragione. Forse i disegni di Victoria Cano sono le vere e proprie impalcature della suo scenario visivo, nonostante lei stessa non si sia del tutto resa conto di questo fatto, così chiaro tanto dal punto di vista estetico quanto da quello squisitamente costruttivo.
Il disegno, come il linguaggio, si tramuta in canna da pesca per trasportarci dall'ambito del sapere al dominio della conoscenza. Lo abbiamo già evidenziato in precedenza. Il disegno diretto salta dalla percezione alla memoria congelata sul piano della rappresentazione. Così come il disegno, improvvisato attraverso la memoria, rivendica per sé i favori della conoscenza: ci aiuta a ricordare esplicitamente il sapere tacito avvolto nella memoria per rinnovarne l'immediata fragranza e vitalità.
D'altronde, in questo stesso scenario visivo, che è solito accompagnare i suoi montaggi espositivi con sempre maggiore insistenza, l'enigmatica presenza dell'umano -solo apparentemente assente- si circoscrive, in maniera diretta, alla traccia fissata dal segno di impronte digitali, spesso affioranti, quasi fossero i codici di una bizzarra identità, fra tronchi e superfici. Funzionano, a dire il vero, a mo' di piccoli labirinti formali, evidenziando certi territori o delimitando ricordi precisi.
Impronte mai anonime, poiché racchiudono il segreto della sua storia e fissano, senza dubbio, la sigla e la memoria di un'esistenza personalizzata. Forse dovremmo vederle, retoricamente, come la più adeguata e singolare sineddoche di un soggetto silenzioso, congiunto tacitamente ma in maniera eloquente alle scene della vita e della morte che, di fatto, sono quelle che vengono narrate in questi spazi pittorici di Victoria Cano.
Tuttavia, quello che in occasioni precedenti era semplicemente una sorta di preannuncio, adesso si trasforma nel vero e proprio leitmotiv dei suoi più recenti lavori ed è, inoltre, l'ingranaggio fondamentale della presente mostra, anche se per esso abbia dovuto passare, nel suo personale itinerario, tutta una serie di anni immersa nel progetto.
La verità è che sono stato, ancora una volta, il testimone principale di quest'avventura. Anche come soggetto direttamente coinvolto nell'impresa. Quasi un lustro fa, durante una delle mie visite al suo notevole studio, nel cuore della ciutat vella di Valencia, mi sorprese prendendo diligentemente le mie impronte digitali. Pensai, dopo la sorprendente richiesta, che avevo sbagliato posto, e di essere finito come minimo in questura.
Dovette mostrarmi la sua -all'epoca ancora- modesta collezione di impronte digitali (scheda completa) di vari amici e colleghi cui stava lentamente dando forma affinché, dopo le dovute spiegazioni, mi tranquillizzassi un po' e accantonassi la mia iniziale diffidenza.
Tutti siamo a conoscenza dei tortuosi giochi geometrici che ricoprono le nostre dita e che lasciamo, come traccia, dappertutto. E' senza dubbio il miglior testimone della nostra presenza quotidiana. Conosciamo anche il radicale individualismo e l'impossibilità di scambio tipiche di tali impronte “personali”. Ma sicuramente ci siamo preoccupati poco, che io sappia, della possibile forza della sua plasticità, se si gioca con le dimensioni e se ne intensificano i contrasti su uno sfondo adeguato. Tantomeno, da par mio, mi era mai capitato di verificare questo carattere personale delle impronte digitali, confrontandole con quelle dei miei vicini più prossimi.
Victoria Cano, tracciando nuovi legami con la natura, aveva già pensato di mettere a frutto, attraverso le proprie opere, le forme plastiche di tali impronte. C'è qualcosa di più genuino e naturale, nonché personale, in ognuno di noi? Qualcosa di più comune e al tempo stesso di più diverso?
Tale lavoro potrebbe trasformarsi in un esplicito omaggio all'amicizia. E così fu, ormai parecchio tempo fa, proprio nel mio caso, quando, in un piccolo quadro che mi venne offerto come pegno d'amicizia, constatai che le forme delle nuvole non erano altro che le dirette impronte delle mie dita, perfettamente integrate -per sua stessa ammissione- nell'insieme di quella rilettura della natura fatta paesaggio. Adesso è appesa nel mio studio a mo' di segreto documento condiviso.
Ma, indubbiamente, Victoria Cano attendeva il momento giusto per rendere pubblico il valore del progetto. Proprio prima dell'ultima estate, mi venne a visitare nel museo che dirigo munita di enormi cartelle. Non ho mai saputo da dove gli artisti traggano così tanta forza per manipolare i materiali dei loro lavori. E lì, sul grande tavolo di lavoro, sfilarono uno per uno gli studi, i disegni, i dipinti e le opere grafiche, a diretta presentazione della sua prossima mostra romana.
La verità è che non ha mai perso il suo attaccamento all'Italia e che Roma ha oscurato totalmente le sue aspettative passate, presenti e credo anche future. Lasciare il segno e le impronte personali in questa città continua a essere pericoloso, in quanto ti condanna a ritornare eternamente.
Non m'era mai passata per la mente né davanti allo sguardo una tale quantità di modi per mettere a frutto le impronte digitali. E' quasi più semplice formulare la domanda al contrario: in cosa non può davvero trasformarsi un'impronta digitale? E rilevai anche un'altra questione: perché tutte le impronte umane, pur essendo diverse, si somigliano così tanto?
Abbiamo, dunque, una doppia via di mutamento e di gioco comparativo. Era logico, pertanto, che le metafore rifluissero ovunque e che le sineddoche -la parte per il tutto- avessero il loro momento di gloria. Victoria Cano sorrideva, ancora una volta, intercalando in tal modo i suoi interventi sull'onda delle mie parole. Nuovamente, le parole e le immagini.
Il chiostro dell'Accademia Spagnola delle Belle Arti in Roma è invaso da uno stormo di uccelli alfabetizzati con sfondi cromatici e forme turgide. O, per meglio dire, sono i libri dell'artista a sorvolare lo spazio del chiostro, dandoci il benvenuto romano dalla storia delle parole congelate nelle loro pagine?
In realtà, di fronte al visitatore, coi legami impiegati tra “el poder de la huella” e “las metamorfosis de la energia”, le quattro sale dell'Accademia vivono -di per sé- stagioni dell'anno diverse. Parlano anche, dalla preponderante distinzione dei colori (gialli, rossi, azzurri e verdi), di tematiche duttilmente diversificate: Architetture e Nature, Profili e Identità.
Abbiamo tutto un vasto repertorio di fantasia. Dipinti e libri. 80 quadri e 84 libri. Quattro sale e un chiostro. Paesaggi urbani e paesaggi antropologici si intrecciano allo sguardo. Labirinti e mutazioni si dispiegano di fronte alla silente riflessione.
Ma, dalle impronte e coi libri, continuano a tracciarsi i fili conduttori. Entrambi gli elementi semantici obbediscono alle stesse regole di mutamento. Le impronte-teste si collocano, insistentemente, al centro di tanti quadri di Victoria Cano e quasi sempre tra le due facciate aperte dei libri, mostrandocene impassibili i dorsi, mentre il sobrio e figurato personaggio dà una scorsa-sguardo a quelle pagine, dove forse la tipografia e le illustrazioni, i testi e gli spazi hanno concordato sindacalmente le soluzioni delle loro enigmatiche e invisibili composizioni.
Quante funzioni, nella preparazione di questo gruppo espositivo, rientrano a livello immaginario nei poteri delle impronte? Abbiamo visto impronte-teste, impronte-tuberi, impronte-lune e impronte-soli; impronte-petali di fiori, impronte-finestre e impronte-porte insieme a impronte-labirinti, impronte-tavolozze da pittore, impronte-strati geografici, impronte-isole o impronte-tsunami; impronte-alberi e tronchi con impronte, impronte con occhi e impronte anonime.
Ma, assicurata la semplice definizione ovale, ne restava aperta la conformazione delle superfici, abitate dalle forme più svariate: forme dipinte e forme reali, forme volume e forme disegno. Anche forme braille e forme gesto. Con tutto questo complesso, gli spazi pittorici divengono spazi di rappresentazione, dove la narratività cavalca a dorso delle strutture plastiche.
Tuttavia, in questa particolare geografia antropologica, Victoria Cano ha continuato a fare passi decisivi tra le contingenze e le necessità. Il fatto è che è passata abilmente dall'impronta e dalle sue radici personaliste al profilo in serie dei soggetti. Perché anche il profilo identificatore -come giocando con le semplici silhouette del volto messo di lato- può trasformarsi in uno schema elementare che si moltiplica in modo indefinito, in quanto elemento fattivo di un tutto pittorico. Abbiamo così facendo i “profili sommati” trasformati in una superficie marina infestata dalle onde, tramutati nella verde distesa di un paesaggio definito dalle chiome degli alberi o camuffati in un sorprendente insieme di nuvole che popolano i cieli.
Curiose scoperte formali -tutte quante- che mi ricordano certi libricini di gioco creativo, dove bisognava giocare a riconoscere somiglianze o a scoprire contrasti e che costituivano la mia passione nei lontani momenti liberi dell'infanzia. Già allora mostravo un intenso appetito per la scoperta e per questo divoravo a fondo quei libricini, dove la percezione, l'immaginazione e la memoria visiva avevano così tanto da dire.
Ma esiste davvero quest'appetito rivelatore, in grado di favorire il presentimento della fattibilità della scoperta, in quelle situazioni di ricerca creativa? Lo stesso Igor Stravinskij, di fatto, nella sua famosa Poetica della musica, insiste in maniera acuta proprio su tale questione: “Qualsiasi creazione presuppone, in origine, una specie di appetito che fa presagire la scoperta. A questa sensazione anticipatoria dell'atto creatore si accompagna l'intuizione di un'incognita già acquisita, ma ancora indecifrabile, che non sarà possibile chiarire se non grazie all'impegno di una tecnica accorta”.
Alla presenza di questa sorta di olfatto personale per la prossimità della scoperta, cioè, si associa anche la presupposizione che la scoperta non solo si trovi già lì, a portata di mano, ma che appaia anche rafforzata dalla consapevolezza di poter dominare, mediante lo sforzo, l'abilità imprescindibile per raggiungerla. E Stravinskij completa ancor meglio la propria argomentazione nel seguente modo: “La facoltà creatrice non giunge mai da sola. Si associa sempre al dono dell'osservazione. Il vero inventore si riconosce dal fatto che trova sempre attorno a sé, financo nelle cose più comuni e umili, elementi degni di essere notati”.
E' chiaro, perciò, che la soddisfazione della scoperta, anche se all'inizio possa scaturire da un avvenimento fortunoso, corre sempre parallela all'applicazione dell'ansioso sforzo per realizzarla. E Victoria Cano sa bene come si legano l'eventuale caso, lo sforzo e la scoperta.
Per terminare, mi piacerebbe evidenziare alcuni punti ancora della sua attività artistica. Ma cercherò di essere generico sulla questione, per non risultare eccessivamene prolisso circa la sua biografia. Fra tutte, la prima cosa che possiede ritengo sia un forte desiderio di dipingere. Dopo verrebbe la capacità di mettere in moto tutta una considerevole ricchezza di automatismi, di strategie e di procedure pittoriche, dirette, nel loro insieme, verso lo sviluppo del suo lavoro. E, in terzo luogo, può contare su un efficace criterio selettivo.
Chissà perché, mi domando spesso, alle persone creative vengono in mente, in genere, molte più cose e di miglior qualità? La verità è che nelle loro rispettive traiettorie, grazie alla loro distinta operatività, eligono e rafforzano le proprie abitudini compositive e il loro potenziale espressivo, apprendono automatismi stilistici originali e promuovono persino ingegnose capacità, che saltano fuori in ogni momento.
Come ebbero luogo, concretamente, le scoperte delle impronte, dei libri volanti o dei profili accumulati? Credo, insieme a Paul Valéry, che gli artisti non abbiano motivo di trovare facilmente i propri elementi e le proprie regole di composizione. Ma proprio per questo le cercano, e cercandole le trovano. Lavorano più volte a un poema, a un quadro, a una scultura o a una coreografia di ballo. Forse non si sentono mai facilmente soddisfatti e devono insistere anche altre dieci volte nei loro ritocchi; ma a forza di tornarci sopra senza sosta, finiscono per familiarizzare con la serie delle sue “possibilità”, più che con l'opera in questione.
E' possibile che nella vita creativa gli avvenimenti appaiano con certa facilità e scatenino molteplici possibilità, ma bisogna saper selezionare con rigore e sapendo esattamente come trarne vantaggio. Questa è la regola d'oro di tale processo: essere sempre perseveranti nel fare e perfezionare costantemente la capacità preconizzante durante la progettazione.
In fin dei conti, il processo pittorico è come l'avventura della vita, un saggio o stolto mix -a seconda dei casi- di meccanicismi e invenzioni. Siamo gli autori della nostra stessa biografia, anche se ci aiutano parecchio -nel compito- la situazione, la storia e il carattere.
Per questo, mantenere un efficace stile pittorico o di vita non è altro che uno sfoggio di talento creativo, sottolineando -fra le righe e in questo modo- che non tutte le strade portano a Roma, nonostante le “preposizioni” di Victoria Cano, forse eccessivamente ottimiste, continuino a impegnarsi profetizzandoci il contrario.
Román de la Calle
Presidente della Reale Accademia delle Belle Arti di San Carlos. Valenza
Curriculum di Victoria Cano Perez
Alcalá La Real (Jaén, España). Dottorato in Belle Arti (1988) e docente ordinario (1989) presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università Politecnica di Valencia. Vincitrice del concorso bandito dal Ministero degli Affari Esteri spagnolo per un pensionato artistico presso la Accademia di Spagna a Roma (1982-1983). Direttrice della Cátedra de Empresa Metrovalencia en Bellas Artes (2007). Vicedirettrice alla Cultura del Dipartimento di disegno della Facoltà di Belle Arti (2008).
Ha ricevuto diversi premi, tra i più importanti nel 1980 il Primer Accésit Nacional de Grabado en Ribarroja del Turia (Valencia). Nel 1981 Primo Premio Fondazione Roig (Incisione) Valencia e nel 1986 il XXVIII Premio Senyera di Incisione Comune di Valencia. Diploma e medaglia Olimpica a Pechino 2008 nelle ’” Olympic Fine Arts”. Premio Internazionale Cevisama 2010 alla carriera.
Vive e lavora a Valencia (Spagna) dal 1978 e il suo impegno artistico si incentra sul tema dell’energia, degli adduttori di vento, dei fluidi, delle transizioni, ecc.. Ha intitolato le sue serie pittoriche “Horizonte de Sucesos” (Orizzonte di avvenimenti), “Dialogo de Sucesos” (Dialogo di avvenimenti) in cui il polittico e la luce esprimono diversi livelli di comunicazione. Dialoghi tra immagini, impronte e metafore, lì dove uomo e natura sono allo stesso tempo materia nell’ infinito atto di divenire. Altre serie sono “Preposiciones de Energía” (Preposizioni di Energia), “Entre líneas” (Tra le righe), “El color de la huella” (Il colore dell’impronta) e “El perfil humano” (Il profilo umano) in cui il colore, la consistenza e la linea esprimono una natura antropomorfica.
Tra le mostre individuali si ricordano quelle celebrate a Valencia, Galería Nave 10 (1989, 90, 91, 92, 93 e 2004). A Roma De Florio Arte (1985). Priugli agli Scalzi (Venezia). Galleria San Placido (Catania). Galleria Novart (Madrid). A Montevideo (Uruguay), Museo Torres García, (1996). Nel 1998 Galleria Ciovasso (Milano). Arte delle Musse, De´Florio Arte (Roma). Galleria Rettori Tribio (Trieste). La Galleria (Pordenone). Nel 1999, Museo de la Ciudad di Valencia e Consiglio Provinciale di Jaén. 2002 Palau de la Música. Valencia. Hotel Central Park. Roma. ICAV e Palacio de Colomina. Università CEU San Pablo (2004). 2005 Metro Colón di Valencia. 2006 Università di Jaén.
Ha collaborato come pittrice-scenografa, con la Compagnia teatrale italiana di Luisa Mariani in progetti come la Ley de la Selva di Elvira Lindo e Siete Puertas en el Espacio (2001), Land Art, organizzato dal comune di Roma (1999).
Partecipa a diverse Fiere Internazionali grazie alla realizzazione di numerose esposizioni collettive, tra cui ricordiamo come ultima quella del Olympic Fine Arts Beijing 2008, celebrata in occasione dei Giochi Olimpici di Pechino 2008.
Le sue opere fanno parte delle collezioni delle seguenti istituzioni: Comune di Valencia. Calcografia Nazionale di Roma. Fundación Renau (Valencia). Centro Romano della Grafica (Roma). Reale Accademia delle Belle Arti di Spagna a Roma. Museo della Stampa di Urbino. Ministero degli Affari Esteri spagnolo (Madrid). Cassa di Risparmio di Segorbe (Valencia). Collezione della Caja Rural de Torrent (Valencia). Fondi di Arte Contemporanea della U. P. V. e Universidad de México. Ambasciata spagnola di Harare. Museo Torres García, Montevideo (Uruguay). Cortes Valencianas (Valencia). Museo Vaticano. Hotel Central Park di Roma. Palau de la Música (Valencia). Università CEU San Pablo, ICAV. Consiglio provinciale di Jaén, Metro Valencia, Università di Jaén e Museo delle Belle Arti commemorativo delle Olimpiadi di Pechino 2008.
11
ottobre 2010
Victoria Cano – Poder de la huella
Dall'undici ottobre al 07 novembre 2010
arte contemporanea
Location
REAL ACADEMIA DE ESPANA – ACCADEMIA REALE DI SPAGNA
Roma, Via Di San Pietro In Montorio, 3, (Roma)
Roma, Via Di San Pietro In Montorio, 3, (Roma)
Vernissage
11 Ottobre 2010, ore 19
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