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Vincenzo Marletta – Lusus illusionis
Questa mostra, che raggruppa lavori a grandi dimensioni che vanno dal 2005 fino a Improvvisazione del 2007 (100×240), include, inoltre opere create in rilievo su carta cotone (da 38×78 a 46×66) ed opere grafiche
Comunicato stampa
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“Lusus illusionis” - La materialità illusiva di Vincenzo Marletta
Di Antonio Zimarino
Ogni discorso sull’arte dovrebbe partire dall’arte e tornare in qualche modo
ad essa, per cui le nostre riflessioni non possono partire che
dall’evidenziare una serie di dati formali propri di queste opere. Dati
visivi, reali, constatabili a partire dai quali un discorso interpretativo
diventa credibile.
Diverse evidenze formali colpiscono immediatamente l’osservatore:
innanzitutto la qualità della materia e l’effetto di “illusio” che genera;
poi, l’estrema violenza del contrasto cromatico tra campi di colore omogenei
e le parti “metalliche – riflettenti”; ancora, colpiscono, le geometrie
irregolari, le contraddizioni prospettiche e spaziali che si sviluppano
continuamente sul piano o in rapporto con lo spazio della superficie; ci
sono poi rilievi luministici e materici, lievi spessori spaziali che
frangono o raccolgono le luci, tracce di disegni.
La materia appare come una pannellatura metallico bronzea appartenente ad
una specie di architettura post industriale, costruita da una tecnologia
immaginale e fantascientifica: essa evoca, più che “guerre stellari”, la
fantascienza alla Flash Gordon, un po’ tra demodè e futuribile. Emergono in
campi di colore puro, segnati da solchi che danno rilievo e profondità, ma
che sono anche traccia di “disegno” idealmente proseguibile all’infinito. La
luce ambientale genera il rilievo ma c’è anche una luce illusoria “interna”,
creata da un uso sapientissimo di velature di colore.
Fin qui il descrivere, ma il senso possibile?
Innanzitutto è pittura ? E’ scultura ? A quale campo storico o semantico può
essere riferito questo tipo di lavoro? Si è inventato anni fa il termine
“pittoscultura” in una stagione d’arte pre-concettuale che tentava il
superamento del quadro inteso come rappresentazione … personalmente questa
definizione non mi ha mai completamente soddisfatto per via della sua logica
“sommatoria”, però il termine offre effettivamente l’idea di un qualcosa che
si percepisce tanto come segno/colore che come fisicità. A me viene da
pensare soprattutto a un bassorilievo cromatico o in questo caso specifico,
a intenzionali progetti illusori nei quali la constatazione della materia
svela l’illudersi dell’occhio e della mente che ne decodifica il segnale
visivo.
La radice storica di questa forma astrattiva è comunque rintracciabile in
una progettualità “gestaltica” che è tra l’altro, una delle cifre di base di
buona parte della migliore ricerca artistica dell’area adriatica nei primi
anni Sessanta (ad es. Di Blasio, Colangelo, Spalletti, Summa,) ma ad essa
l’esperienza, l’osservazione e la riflessione sulla contemporaneità ha
consentito di aggiungere una sorta di “calore” cromatico che contrasta il
razionalismo astratto e asettico proprio di quella esperienza.
Ho idea che questa forte qualità del colore, questa intenzionalità
illusionistica nasca più da un attraversamento postmodernista che
dall’esperienza “Pop”: le due qualità sono sempre in qualche modo presenti e
rintracciabili in ogni composizione e giocano un ruolo fondamentale nel
definirne l’impatto visivo: l’occhio si disorienta nell’antitesi assoluta
tra colore puro assorbente e colore caldo riflettente, tra materiale
riverberato e ricco di piccole frammentazioni luministiche con superfici di
puro e piatto colore unitario. La straordinaria materia illusionisticamente
metallica si sovrappone, si intromette, riemerge, sfonda, apre, ma ha anche
una sorta di vissuto proprio: è erosa, incrostata, lavorata; è una parte di
qualcosa che è stato e che il tempo ha in qualche modo preso e modellato.
Metaforicamente appaiono come frammenti scomposti che tentano delle
ricomposizioni; o che si dissociano secondo logiche non canoniche,
rievocando soltanto, solidità e strutture razionali e funzionali che non
sono più tali. Diventano anzi, contraddizioni evidenti tra fisicità e
immaginazione, tra tracciato e spazio vuoto, tra rappresentazione e realtà.
Tra questi campi e spazi, i segni tracciano grandi e improbabili geometrie
frutto di una sorta di razionalità in autocritica contraddittoria e in
ricerca di altra possibilità combinatoria; talvolta si colgono anche delle
sequenze geometriche e logiche che però esistono coerentemente solo in campi
definiti.
Campi di ragionamento, frammentati, percorsi da luci, ombre ed usure,
all’interno, all’intorno, al di sopra, al di dentro di spazi senza
dimensione: ciascuno erode l’altro, come in un combattimento incessante tra
fisicità intellettuale e enigmatico “nulla”, che tuttavia non mi sembra
qualificato drammaticamente: le parti superficiali sono sempre costituite da
gamme cromatiche alte, non dunque “negative” anche se sicuramente “tese”.
Ecco che, ancora una volta, procedendo tra rilievi formali e suggestioni
culturali, si approda ad una interpretazione possibile: non è la verità, non
è la definizione assoluta dell’oggetto, ma la possibilità di dare un senso a
questi determinati dati visuali. Ma non per via di oroscopo, quanto per
riflessione sul dato oggettivo dello sguardo: sono, per me, immagini di una
razionalità persa e di volta in volta recuperata o ipotizzata come
associazione temporalmente limitata e casuale, o come altra possibile
armonia di una condizione precedente ma ormai dissolta; rovine che tentano
di riconnettersi, architetture in crisi di identità, percorsi intellettuali
legati oggi al caso o alla contraddizione della razionalità ma che furono un
tempo coerenti e che in parte lo sono ancora.
La straordinaria capacità tecnica di Marletta però ci spiazza ancora: essa è
illusione di spazio e materia, apparenza di massa e peso fisico,
suggerimento di durezza. E’ illusione, è immagine, concetto: è una sorta di
gioco credibile, di realtà virtuale, una rappresentazione di verità. Ma la
rappresentazione non è meno vera per il senso che esprime, quindi “è vera”
nella dimensione intellettuale. L’illusione del vero non è diversa dal vero
stesso, quando ciò che si vede, significa. La verità dell’oggetto è nel
senso del suo formarsi, in ciò che in noi detta e suggerisce e non
necessariamente nella sua fisicità.
D’altro canto, non ci può essere alcun “senso” credibile in ciò che vediamo
se l’oggetto non si qualifica in una sua propria identità, ovvero, qualsiasi
cosa parla in un modo in quanto è costituita in una determinata complessità
formale: l’arte è tale perché c’è l’identità dell’opera; la forma dice in
quanto è costituita in quel modo e non in un altro. Anche se illude, anche
se sembra, essa è, e significa anche perché illude, anche perché sembra.
Ed è questo il sensatissimo gioco dell’illusione: “deleytar aprovechando”
direbbe Lope De Vega sintetizzando Aristotele: insegnare dilettando, dire
come gioco, dove il gioco dilettevole sta nella visualità estetica e nella
“illusio” e l’apprendimento, nell’interrogarci sul senso possibile
dell’”illusio”.
Queste spettacolari opere di Marletta, che si stagliano sulle superfici dei
muri come aperture di spazi, come sfondamenti immaginali e illusionistici
del consueto, non fanno altro che generare il necessario gioco di senso
delle “illusioni” grazie alle quali continuiamo a capire, a giocare con il
possibile, a leggere, ad interpretare attraverso gli occhi, in quello
straordinario gioco dell’intelligenza che è il fare e amare l’arte per
quello che l’opera ci dice e non per quello che lei o altri vogliano
venderci. Il gioco visuale è sempre un gioco di sensatezza possibile e la
qualità del gioco potrà sempre essere intuita dalla profondità alla quale il
gioco interpretativo può condurci: a condizione che il nostro interpretare
non perda mai di vista l’identità formale dell’opera. Ecco come tornare ad
amare l’arte e a ridarle una funzione. Ecco come pensare un “valore” delle
cose.
23
febbraio 2007
Vincenzo Marletta – Lusus illusionis
Dal 23 febbraio al 10 marzo 2007
arte contemporanea
Location
HUB
Pescara, Via 397 da denominare (zona nuovo Tribunale), 52, (Pescara)
Pescara, Via 397 da denominare (zona nuovo Tribunale), 52, (Pescara)
Orario di apertura
tutti i giorni 17-24
Vernissage
23 Febbraio 2007, ore 19.30
Autore