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Vintage –Ceramica e design degli anni ’60 e ’70
Vintage segue la precedente esposizione sull’arte ceramica “Spritzdekor! Italia – Germania anni ’30″ospitata a luglio da Hyperstudio, proseguendone il filone tematicodedicato all’influsso dell’arte sulle forme e colori espressi nelle ceramiche e della scansione temporale che congiuntamente vi si rispecchia.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Venerdì 07 Dicembre a partire dalle ore 18, presso gli spazi della Galleria Hyperstudio in via del Guasto 5/a e presso la sede di LADIS in via Petroni, 9, l’Ass. culturale Lo Specchio di Dioniso presenta Vintage – forma e materia dell’arte negli anni ’60 - ‘70.
Vintage segue la precedente esposizione sull’arte ceramica “Spritzdekor! Italia – Germania anni ’30”ospitata a luglio da Hyperstudio, proseguendone il filone tematico dedicato all’influsso dell’arte sulle forme e colori espressi nelle ceramiche e della scansione temporale che congiuntamente vi si rispecchia.
All’interno di Vintage sarà possibile ammirare importanti opere dell’arte della ceramiche di artisti del tenore di Marcello Fantoni, Guido Gambone, Carlo Zauli e Alessio Tasca, Angelo Mangiarotti, Gianni Stoppino, Enzo Mari, Bruno Munari, Armando Testa, Osvaldo Cavandoli, Joe Colombo.
Vintage – forma e materia dell’arte negli anni ’60 - ‘70 è stato realizzato con la collaborazione dei progetti Mambo approvati dal Comune di Bologna per la riqualificazione della zona universitaria ”HyperStudio” galleria d’arte, design e ceramiche artistiche, “Matilda”, merchandasing e agenzia di comunicazione, della cooperativa Le Macchine Celibi , e di LADIS- Laboratori Didattici Sperimentali.
Vintage –Ceramica e design degli anni ’60 e ‘70
7 dicembre 2007-20 gennaio 2008
c/o galleria Hyperstudio- via del guasto 5/a
c/o LADIS , via Petroni, 9
Dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20
ingresso gratuito.
Per informazioni
Alessia Di Cintio
051-271533
L'arte informale è, più o meno consapevolmente, la risposta artistica che l'Europa dà alla profonda crisi morale, politica e ideologica conseguente agli orrori messi in luce dalla seconda guerra mondiale. Per sua stessa natura non è un movimento artistico omogeneo e in esso, pertanto, si raccolgono tendenze tra le più svariate e, a volte, anche contrapposte. Sviluppatosi nel decennio tra gli anni ’50 e ’60, l'Informale si pone in forte polemica con tutto ciò che, in qualche modo, può essere riconducibile ad una forma, sia essa figurativa o anche puramente astratta. L'Informale, dunque, nega in modo esplicito ogni forma e con essa la conoscenza razionale che ne deriva. Le esperienze più profonde della psiche emergono con spontanea casualità, è il colore stesso che diventa materia. Proprio per queste peculiarità è interessante l’influsso di tale periodo nell’espressione dell’arte ceramica. A partire dagli anni ’60 le opere appartenenti alla corrente del Minimalismo hanno come caratteristica l'utilizzo di un lessico formale essenziale, le opere sono composte da pochi elementi, i materiali in alcuni casi derivano da produzioni industriali, alcune delle matrici formali sono la geometria, il rigore esecutivo, il cromatismo limitato, l'assenza di decorazione. Il risultato è oggettuale. Oggetti geometricamente definiti, formati dalla ripetizione e variazione di elementi primari, forme pure, semplici.
Spesso le opere sono realizzate attraverso procedimenti industriali. L'esecuzione a volte è sottratta alla mano dell'artista e affidata alla precisione dello strumento meccanico. In questo approccio si può riconoscere anche un atteggiamento politico ed etico del design, che rifiuta ogni orpello decorativo in funzione anticonsumista, quasi a ricondurre tramite la linearità e semplicità della forma l’oggetto alla sua primaria funzione antropologica. Le investigazioni sui fondamenti percettivi, basate sulla psicologia della gestalt, sono una delle modalità con cui l’arte cerca di superare l’impasse della crisi dell’informale, della reiterazione ormai ridotta a cifra decorativa di materie e segni. Rifondare il linguaggio a partire dai dati universali e basilari della percezione: da qui prendono mossa le “Nuove Tendenze” dell’arte ottica, cinetica e programmata (di cui Enzo Mari è stato un protagonista), ribattezzate, dopo l’approdo in America, con l’etichetta di Op Art. E dall’altra parte, in rotta con l’approccio critico della Scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse) verso una società dei consumi e un’industria culturale che riducono l’uomo “a una dimensione”, ci sono artisti che decidono di operare una ricognizione positiva, non preventivamente ostile, della nuova iconosfera urbana segnata dall’enfasi della merce, con il ruolo sempre più pervasivo di mass media, pubblicità è moda. E’ l’approccio della Pop Art, che gioca col quotidiano, che mette al centro della scena l’oggetto banale, facendolo divenire l’eroe improbabile di un’epica istantanea. Certo è che in questo periodo l’avvento della televisione scombina i giochi e le tecniche della comunicazione. Qui in Italia il Carosello è più di una serie di reclame: è il programma che entra nelle case quando la famiglia intera è riunita per la cena, diviene un elemento capace di segnare il costume. Abilissimo Armando Testa a reinventare per il nuovo media le sue strategie di comunicazione, che fanno diventare il prodotto stesso protagonista della mini narrazione da 1 minuto del Carosello, sempre con un tocco di ironia, di gioco, di visionarietà divertita che hanno consegnato le sue invenzioni all’immaginario collettivo della generazione di chi allora era bambino o adolescente (il pianeta dei papilla, carmencita e caballero, l’ippopotamo blu). E poi, dopo il boom degli anni ‘60, la crisi economica e petrolifera, l’austerity e le contestazioni che segnano l’avvio degli anni ‘70: anni in cui torna a prevalere un atteggiamento di critica e di riduzionismo linguistico, quasi l’esigenza di una “critica tramite l’autocritica”, come scriveva Joseph Kosuth, uno dei protagonisti dell’arte concettuale. Questo poliedrico e screziato insieme di tendenze e sommovimenti, artistici, sociali e di costume si manifesta e traspare nelle produzioni ceramiche e nel design di quegli affascinanti decenni, che oggi, non senza un po’ di nostalgia, tornano prepotentemente di moda nella nostra società attuale.
Una società la nostra in cui, forse perché il futuro appare più incerto e meno promettente, si gioca da un po’ una sorta di gioco del “revival permanente”, e in cui la nostalgia, da sentimento individuale, diviene pathos collettivo, capace di contagiare anche le giovani generazioni.
In un presente assolutizzato, che si è divorato passato e futuro, tradizioni e utopie, (“orizzonte dell’attesa” e “orizzonte della memoria”, direbbero gli ermeneuti), celebriamo riti quotidiani di costruzione delle epiche che ci sono oggi consentite, cercando in un passato divenuto tecnicamente disponibile, filmato, registrato, presente negli archivi dell’informazione, e dunque perennemente riciclabile e attualizzabile, quei frammenti di intensità, di pathos, di emozioni che sempre più raramente viviamo nell’oggi. Un rito collettivo di nostalgia che da un lato consuma e dall’altro nobilità, venandolo di una temperatura emotiva e di una luce d’affetto, il quotidiano di ieri, nuovo mito dell’infanzia e di “età dell’innocenza” di una società mediatica e tecnologica: la società del revival permanente.
Carlo Terrosi
Definizione di Vintage, da Wikipedia, l'enciclopedia libera on line:
“Si definisce come vintage un oggetto prodotto nel ventennio precedente o prima, il quale per vari motivi è diventato oggetto cult per le sue qualità superiori, se confrontate ad altre produzioni precedenti o successive dello stesso oggetto. Anche se pronunciato impropriamente all'inglese /vinteig/, il vocabolo Vintage deriva assolutamente dal francese "l'age du vin" (l'annata del vino) e, per estensione, da "vendange" (vendemmia). La pronuncia più corretta é /véntadg/. anche per l'unica Associazione culturale nazionale dei Ricercatori Moda d'Epoca (Vintage Workshop) e per il significato dettagliato e l'etimologia del vocabolo Vintage. Il termine coniato inizialmente per i vini vendemmiati e prodotti nelle annate migliori, è poi diventato sinonimo della espressione d'annata.
Successivamente applicato anche per altri oggetti (ad esempio le chitarre), il termine estende il suo significato a quegli strumenti musicali, che possono essere definiti di culto appunto per la loro produzione considerata particolarmente riuscita in determinate annate ma anche semplicemente per una migliore qualità dovuta alla stagionatura dei legni (i quali, più essiccati acquisiscono caratteristiche di risonanza migliori degli stessi strumenti correntemente in produzione).
In genere, oggetti sono definiti Vintage quando, pur essendo di produzioni antiche, conservano funzionalità/caratteristiche/fascino superiori ad oggetti moderni. Raramente oggetti da museo (non funzionanti, ma di sola testimonianza storica) sono considerati vintage. In quesi casi vengono preferiti termini quali rarità, capolavori, pezzi d'arte etc...
Vintage segue la precedente esposizione sull’arte ceramica “Spritzdekor! Italia – Germania anni ’30”ospitata a luglio da Hyperstudio, proseguendone il filone tematico dedicato all’influsso dell’arte sulle forme e colori espressi nelle ceramiche e della scansione temporale che congiuntamente vi si rispecchia.
All’interno di Vintage sarà possibile ammirare importanti opere dell’arte della ceramiche di artisti del tenore di Marcello Fantoni, Guido Gambone, Carlo Zauli e Alessio Tasca, Angelo Mangiarotti, Gianni Stoppino, Enzo Mari, Bruno Munari, Armando Testa, Osvaldo Cavandoli, Joe Colombo.
Vintage – forma e materia dell’arte negli anni ’60 - ‘70 è stato realizzato con la collaborazione dei progetti Mambo approvati dal Comune di Bologna per la riqualificazione della zona universitaria ”HyperStudio” galleria d’arte, design e ceramiche artistiche, “Matilda”, merchandasing e agenzia di comunicazione, della cooperativa Le Macchine Celibi , e di LADIS- Laboratori Didattici Sperimentali.
Vintage –Ceramica e design degli anni ’60 e ‘70
7 dicembre 2007-20 gennaio 2008
c/o galleria Hyperstudio- via del guasto 5/a
c/o LADIS , via Petroni, 9
Dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20
ingresso gratuito.
Per informazioni
Alessia Di Cintio
051-271533
L'arte informale è, più o meno consapevolmente, la risposta artistica che l'Europa dà alla profonda crisi morale, politica e ideologica conseguente agli orrori messi in luce dalla seconda guerra mondiale. Per sua stessa natura non è un movimento artistico omogeneo e in esso, pertanto, si raccolgono tendenze tra le più svariate e, a volte, anche contrapposte. Sviluppatosi nel decennio tra gli anni ’50 e ’60, l'Informale si pone in forte polemica con tutto ciò che, in qualche modo, può essere riconducibile ad una forma, sia essa figurativa o anche puramente astratta. L'Informale, dunque, nega in modo esplicito ogni forma e con essa la conoscenza razionale che ne deriva. Le esperienze più profonde della psiche emergono con spontanea casualità, è il colore stesso che diventa materia. Proprio per queste peculiarità è interessante l’influsso di tale periodo nell’espressione dell’arte ceramica. A partire dagli anni ’60 le opere appartenenti alla corrente del Minimalismo hanno come caratteristica l'utilizzo di un lessico formale essenziale, le opere sono composte da pochi elementi, i materiali in alcuni casi derivano da produzioni industriali, alcune delle matrici formali sono la geometria, il rigore esecutivo, il cromatismo limitato, l'assenza di decorazione. Il risultato è oggettuale. Oggetti geometricamente definiti, formati dalla ripetizione e variazione di elementi primari, forme pure, semplici.
Spesso le opere sono realizzate attraverso procedimenti industriali. L'esecuzione a volte è sottratta alla mano dell'artista e affidata alla precisione dello strumento meccanico. In questo approccio si può riconoscere anche un atteggiamento politico ed etico del design, che rifiuta ogni orpello decorativo in funzione anticonsumista, quasi a ricondurre tramite la linearità e semplicità della forma l’oggetto alla sua primaria funzione antropologica. Le investigazioni sui fondamenti percettivi, basate sulla psicologia della gestalt, sono una delle modalità con cui l’arte cerca di superare l’impasse della crisi dell’informale, della reiterazione ormai ridotta a cifra decorativa di materie e segni. Rifondare il linguaggio a partire dai dati universali e basilari della percezione: da qui prendono mossa le “Nuove Tendenze” dell’arte ottica, cinetica e programmata (di cui Enzo Mari è stato un protagonista), ribattezzate, dopo l’approdo in America, con l’etichetta di Op Art. E dall’altra parte, in rotta con l’approccio critico della Scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse) verso una società dei consumi e un’industria culturale che riducono l’uomo “a una dimensione”, ci sono artisti che decidono di operare una ricognizione positiva, non preventivamente ostile, della nuova iconosfera urbana segnata dall’enfasi della merce, con il ruolo sempre più pervasivo di mass media, pubblicità è moda. E’ l’approccio della Pop Art, che gioca col quotidiano, che mette al centro della scena l’oggetto banale, facendolo divenire l’eroe improbabile di un’epica istantanea. Certo è che in questo periodo l’avvento della televisione scombina i giochi e le tecniche della comunicazione. Qui in Italia il Carosello è più di una serie di reclame: è il programma che entra nelle case quando la famiglia intera è riunita per la cena, diviene un elemento capace di segnare il costume. Abilissimo Armando Testa a reinventare per il nuovo media le sue strategie di comunicazione, che fanno diventare il prodotto stesso protagonista della mini narrazione da 1 minuto del Carosello, sempre con un tocco di ironia, di gioco, di visionarietà divertita che hanno consegnato le sue invenzioni all’immaginario collettivo della generazione di chi allora era bambino o adolescente (il pianeta dei papilla, carmencita e caballero, l’ippopotamo blu). E poi, dopo il boom degli anni ‘60, la crisi economica e petrolifera, l’austerity e le contestazioni che segnano l’avvio degli anni ‘70: anni in cui torna a prevalere un atteggiamento di critica e di riduzionismo linguistico, quasi l’esigenza di una “critica tramite l’autocritica”, come scriveva Joseph Kosuth, uno dei protagonisti dell’arte concettuale. Questo poliedrico e screziato insieme di tendenze e sommovimenti, artistici, sociali e di costume si manifesta e traspare nelle produzioni ceramiche e nel design di quegli affascinanti decenni, che oggi, non senza un po’ di nostalgia, tornano prepotentemente di moda nella nostra società attuale.
Una società la nostra in cui, forse perché il futuro appare più incerto e meno promettente, si gioca da un po’ una sorta di gioco del “revival permanente”, e in cui la nostalgia, da sentimento individuale, diviene pathos collettivo, capace di contagiare anche le giovani generazioni.
In un presente assolutizzato, che si è divorato passato e futuro, tradizioni e utopie, (“orizzonte dell’attesa” e “orizzonte della memoria”, direbbero gli ermeneuti), celebriamo riti quotidiani di costruzione delle epiche che ci sono oggi consentite, cercando in un passato divenuto tecnicamente disponibile, filmato, registrato, presente negli archivi dell’informazione, e dunque perennemente riciclabile e attualizzabile, quei frammenti di intensità, di pathos, di emozioni che sempre più raramente viviamo nell’oggi. Un rito collettivo di nostalgia che da un lato consuma e dall’altro nobilità, venandolo di una temperatura emotiva e di una luce d’affetto, il quotidiano di ieri, nuovo mito dell’infanzia e di “età dell’innocenza” di una società mediatica e tecnologica: la società del revival permanente.
Carlo Terrosi
Definizione di Vintage, da Wikipedia, l'enciclopedia libera on line:
“Si definisce come vintage un oggetto prodotto nel ventennio precedente o prima, il quale per vari motivi è diventato oggetto cult per le sue qualità superiori, se confrontate ad altre produzioni precedenti o successive dello stesso oggetto. Anche se pronunciato impropriamente all'inglese /vinteig/, il vocabolo Vintage deriva assolutamente dal francese "l'age du vin" (l'annata del vino) e, per estensione, da "vendange" (vendemmia). La pronuncia più corretta é /véntadg/. anche per l'unica Associazione culturale nazionale dei Ricercatori Moda d'Epoca (Vintage Workshop) e per il significato dettagliato e l'etimologia del vocabolo Vintage. Il termine coniato inizialmente per i vini vendemmiati e prodotti nelle annate migliori, è poi diventato sinonimo della espressione d'annata.
Successivamente applicato anche per altri oggetti (ad esempio le chitarre), il termine estende il suo significato a quegli strumenti musicali, che possono essere definiti di culto appunto per la loro produzione considerata particolarmente riuscita in determinate annate ma anche semplicemente per una migliore qualità dovuta alla stagionatura dei legni (i quali, più essiccati acquisiscono caratteristiche di risonanza migliori degli stessi strumenti correntemente in produzione).
In genere, oggetti sono definiti Vintage quando, pur essendo di produzioni antiche, conservano funzionalità/caratteristiche/fascino superiori ad oggetti moderni. Raramente oggetti da museo (non funzionanti, ma di sola testimonianza storica) sono considerati vintage. In quesi casi vengono preferiti termini quali rarità, capolavori, pezzi d'arte etc...
07
dicembre 2007
Vintage –Ceramica e design degli anni ’60 e ’70
Dal 07 dicembre 2007 al 20 gennaio 2008
arti decorative e industriali
Location
GALLERIA HYPERSTUDIO
Bologna, Via Del Guasto, 5/a, (Bologna)
Bologna, Via Del Guasto, 5/a, (Bologna)
Orario di apertura
Dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20
Vernissage
7 Dicembre 2007, ore 18
Autore
Curatore