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Vito Boggeri – Sentieri
Attivo dagli anni sessanta, Vito Boggeri si è avvalso di linguaggi eterogenei: fotografia, video, pittura. E’ in esposizione permanente a New York, Parigi, San Paolo, Montreal, Tokio.
Comunicato stampa
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Passo dopo passo, i sentieri ci ascoltano
Sentieri come percorsi accidentati, tormentati, impervi. L’impegno nell’arte è così, non ha autostrade, ma solo vie sinuose, dal fondo sconnesso, capaci di portarti per mano ai confini di ogni orizzonte, di portarti ai propri confini.
L’inizio del viaggio qual è? Quando si può dire che si è cominciato a viaggiare? La partenza avviene prima del distacco, è qualcosa che già risiede in sé prima ancora di mettersi in moto. C’è una categoria di viaggiatori notturni che attraversano mondi di solitudine e territori della conoscenza, per poi tornare sempre a misurarsi con lo spirito della casa, per riconoscersi nelle proprie abitudini, nei propri gesti quotidiani, per essere sempre se stessi, night & day.
Vito Boggeri ha viaggiato su quei sentieri, ma è tuttora un esploratore di immagini e un ricercatore di linguaggi. La sua formazione avviene alla fine degli anni Cinquanta, ma la piena maturità ha inizio negli anni Settanta, i formidabili anni dell’introspezione, del post-assemblearismo ma comunque del sociale, della negazione dell’immagine pittorica. A conclusione di quel decennio la transavanguardia avrebbe ridato di nuovo luce, colore e soprattutto pittura nelle mostre come nelle pagine delle riviste d’arte. Era una rivoluzione che nasceva dalla reazione all’inaridimento delle forme, era la necessità di dipingere che prendeva il sopravvento sul messaggio, era il trionfo del privato dopo la deflagrazione del collettivo. Gli anni Settanta no, non avevano colore, neanche quello semplice e accattivante della pop, dominavano il bianco e il nero, nei reperti fotografici, nelle sperimentazioni dei media, nelle incursioni degli operatori d’arte, metà artisti metà maestri di un pensiero forte.
Le opere degli anni Settanta, per Boggeri così come per le menti migliori della sua generazione, nascono già come tracce, come reperti della memoria. Si portano dentro il viaggio, perché sono stazioni, tappe della navigazione, fermate d’autobus. C’è sempre un prima e un dopo, ciò che si fotografa è un’istantanea del passaggio, è un comportamento. Qualcosa è già successo e qualcos’altro succederà. Fosse anche un insabbiamento, la storia arriverà a una sua conclusione.
Alcuni dei compagni di strada di Boggeri, che avevano condiviso con lui un percorso linguistico, assurgono nel 1979 all’empireo della Transvanguardia. Saranno famosi! Trovano così un legittimo approdo eccellente, una destinazione internazionale. I sentieri hanno fatto strada, percorreranno le rotte intercontinentali.
Boggeri fa parte di quell’ampia e qualificata schiera di artisti che non ha voluto saltare sul treno quando l’amore è arrivato in città. Lui ha scelto la periferia come identità, periferia geografica e mentale, approccio che non permette di optare per l’itinerario più scorrevole e comodo. Come altri, al momento dello spartiacque alla fine degli anni Settanta, ha scelto di proseguire con coerenza la propria ricerca, ha scelto di procedere sul suo sentiero.
Gli anni Ottanta di Boggeri sono comunque legati alla pittura, ma il suo è un modus operandi scarno, essenziale. La sua pittura si porta dentro di sé la memoria del gesto, è più legata all’atto fisico che produce l’opera piuttosto che al contenuto immaginifico, non si lega al corpo, ma è essa stessa corpo. E in questo è perfettamente riconducibile agli scatti fotografici degli anni Settanta, performance corporee ed extracorporee, umane e post-umane.
Ebbene, sono maturi i tempi affinché una generazione di artisti abbia un pieno e completo riconoscimento da parte della critica storica e del mercato, rivalutando il percorso artistico di chi si è interrogato sull’evoluzione del linguaggio ma non si è consegnato alla tendenza di turno. In Italia c’è un nutrito gruppo di artisti capace di testimoniare con il proprio lavoro che un’altra pittura è possibile, che si può dipingere senza essere necessariamente condizionati dalla moda e dallo show business.
In questi ultimi anni le opere di Boggeri hanno assunto sempre più la valenza testimoniale in un’epoca come la nostra, sopraffatta dal trionfo dei media. La sua pittura è un attestato di coerenza con quell’immediatezza espressiva che già gli veniva riconosciuta agli inizi della carriera. Le sue immagini sono fantastiche ma non sono mai ridondanti, sono esse stesse sentieri, cioè ferite della terra, solchi determinati dal passo dell’uomo nel bel mezzo della natura. I segni stessi della sua pittura sono sentieri che tracciano il paesaggio vitale.
Le sue recenti carte magiche, popolate di personaggi fantastici, sono espressione di un’umanità in transizione. In realtà c’è la consapevolezza di essere in viaggio, ma non è determinabile la destinazione. È questo il destino del ricercatore: il desiderio di andare sempre e comunque oltre il traguardo, la meta.
Naufraghi… Il naufragio è una condizione del viaggio. Oggi che si naviga sempre più a vista, tra le onde e i flutti di una rete incommensurabile, la perdita del proprio centro è una tensione a regola d’arte. Le zattere seguono i sentieri del mare. Ci sarà poi sempre un porto per l’accoglienza e un nuovo sentiero per rimettersi in strada.
Boggeri è così, nella natura delle cose. Un linguaggio semplice e immediato, un linguaggio convincente. La pittura, la sua pittura, non nasconde le ombre del nostro tempo. Le celebra. Ma non tradisce i desideri, le ragioni del viaggio.
Passo dopo passo, i sentieri ci ascoltano.
Enzo Battarra
Sentieri come percorsi accidentati, tormentati, impervi. L’impegno nell’arte è così, non ha autostrade, ma solo vie sinuose, dal fondo sconnesso, capaci di portarti per mano ai confini di ogni orizzonte, di portarti ai propri confini.
L’inizio del viaggio qual è? Quando si può dire che si è cominciato a viaggiare? La partenza avviene prima del distacco, è qualcosa che già risiede in sé prima ancora di mettersi in moto. C’è una categoria di viaggiatori notturni che attraversano mondi di solitudine e territori della conoscenza, per poi tornare sempre a misurarsi con lo spirito della casa, per riconoscersi nelle proprie abitudini, nei propri gesti quotidiani, per essere sempre se stessi, night & day.
Vito Boggeri ha viaggiato su quei sentieri, ma è tuttora un esploratore di immagini e un ricercatore di linguaggi. La sua formazione avviene alla fine degli anni Cinquanta, ma la piena maturità ha inizio negli anni Settanta, i formidabili anni dell’introspezione, del post-assemblearismo ma comunque del sociale, della negazione dell’immagine pittorica. A conclusione di quel decennio la transavanguardia avrebbe ridato di nuovo luce, colore e soprattutto pittura nelle mostre come nelle pagine delle riviste d’arte. Era una rivoluzione che nasceva dalla reazione all’inaridimento delle forme, era la necessità di dipingere che prendeva il sopravvento sul messaggio, era il trionfo del privato dopo la deflagrazione del collettivo. Gli anni Settanta no, non avevano colore, neanche quello semplice e accattivante della pop, dominavano il bianco e il nero, nei reperti fotografici, nelle sperimentazioni dei media, nelle incursioni degli operatori d’arte, metà artisti metà maestri di un pensiero forte.
Le opere degli anni Settanta, per Boggeri così come per le menti migliori della sua generazione, nascono già come tracce, come reperti della memoria. Si portano dentro il viaggio, perché sono stazioni, tappe della navigazione, fermate d’autobus. C’è sempre un prima e un dopo, ciò che si fotografa è un’istantanea del passaggio, è un comportamento. Qualcosa è già successo e qualcos’altro succederà. Fosse anche un insabbiamento, la storia arriverà a una sua conclusione.
Alcuni dei compagni di strada di Boggeri, che avevano condiviso con lui un percorso linguistico, assurgono nel 1979 all’empireo della Transvanguardia. Saranno famosi! Trovano così un legittimo approdo eccellente, una destinazione internazionale. I sentieri hanno fatto strada, percorreranno le rotte intercontinentali.
Boggeri fa parte di quell’ampia e qualificata schiera di artisti che non ha voluto saltare sul treno quando l’amore è arrivato in città. Lui ha scelto la periferia come identità, periferia geografica e mentale, approccio che non permette di optare per l’itinerario più scorrevole e comodo. Come altri, al momento dello spartiacque alla fine degli anni Settanta, ha scelto di proseguire con coerenza la propria ricerca, ha scelto di procedere sul suo sentiero.
Gli anni Ottanta di Boggeri sono comunque legati alla pittura, ma il suo è un modus operandi scarno, essenziale. La sua pittura si porta dentro di sé la memoria del gesto, è più legata all’atto fisico che produce l’opera piuttosto che al contenuto immaginifico, non si lega al corpo, ma è essa stessa corpo. E in questo è perfettamente riconducibile agli scatti fotografici degli anni Settanta, performance corporee ed extracorporee, umane e post-umane.
Ebbene, sono maturi i tempi affinché una generazione di artisti abbia un pieno e completo riconoscimento da parte della critica storica e del mercato, rivalutando il percorso artistico di chi si è interrogato sull’evoluzione del linguaggio ma non si è consegnato alla tendenza di turno. In Italia c’è un nutrito gruppo di artisti capace di testimoniare con il proprio lavoro che un’altra pittura è possibile, che si può dipingere senza essere necessariamente condizionati dalla moda e dallo show business.
In questi ultimi anni le opere di Boggeri hanno assunto sempre più la valenza testimoniale in un’epoca come la nostra, sopraffatta dal trionfo dei media. La sua pittura è un attestato di coerenza con quell’immediatezza espressiva che già gli veniva riconosciuta agli inizi della carriera. Le sue immagini sono fantastiche ma non sono mai ridondanti, sono esse stesse sentieri, cioè ferite della terra, solchi determinati dal passo dell’uomo nel bel mezzo della natura. I segni stessi della sua pittura sono sentieri che tracciano il paesaggio vitale.
Le sue recenti carte magiche, popolate di personaggi fantastici, sono espressione di un’umanità in transizione. In realtà c’è la consapevolezza di essere in viaggio, ma non è determinabile la destinazione. È questo il destino del ricercatore: il desiderio di andare sempre e comunque oltre il traguardo, la meta.
Naufraghi… Il naufragio è una condizione del viaggio. Oggi che si naviga sempre più a vista, tra le onde e i flutti di una rete incommensurabile, la perdita del proprio centro è una tensione a regola d’arte. Le zattere seguono i sentieri del mare. Ci sarà poi sempre un porto per l’accoglienza e un nuovo sentiero per rimettersi in strada.
Boggeri è così, nella natura delle cose. Un linguaggio semplice e immediato, un linguaggio convincente. La pittura, la sua pittura, non nasconde le ombre del nostro tempo. Le celebra. Ma non tradisce i desideri, le ragioni del viaggio.
Passo dopo passo, i sentieri ci ascoltano.
Enzo Battarra
10
novembre 2007
Vito Boggeri – Sentieri
Dal 10 novembre al 07 dicembre 2007
arte contemporanea
Location
MUSEO CAMPANO
Capua, Via Roma, 68, (Caserta)
Capua, Via Roma, 68, (Caserta)
Orario di apertura
dal martedì alla domenica dalle 9.00 alle 13. ed il martedì e il giovedì anche dalle 15.00 alle 18
Vernissage
10 Novembre 2007, ore 18
Sito web
www.vitoboggeri.it
Autore
Curatore