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Vittorio D’Augusta – Paesaggi della mente
Tele campite di verdi paludosi, di blu accesi come lampade notturne, di sabbie calcificate e ramificate di minerali, di marroni carichi di humus grassi e grumosi
Comunicato stampa
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Se scaviamo nel passato, convinti che all’origine della creatività vi siano ancora immagini e figure archetipiche, capaci di
illuminare il nostro complesso presente, forse possiamo pure trovare gli enigmi e le parentele che correlano i fenomeni e
i misteri che ci circondano.
Da lungo tempo gli scienziati ricercano le proprietà di alcuni frammenti di quel prodigioso materiale meteorico, che
sprigiona fasci di colori contenenti tutti gli spettri di molecole sconosciute. Quando gli uomini di scienza sono stati
d’accordo che l’unica cosa da fare era ―non fare nulla‖, allora tutti si salvarono dalla minaccia di un colore arrivato dallo
spazio—uno spaventoso messaggero di regni informi dell’infinito—che in in qualche misura forse potrebbe ancora
aggirarsi tra noi.
Se pensiamo in generale a molti quadri di Vittorio D’augusta ci accorgiamo che i suoi colori mostrano di alludere alla
creazione del mondo, e mostrano pure di liberare l’anima del colore, che magari è stata da tempi immemori nascosta in
un immenso meteorite. Più guardiamo le tele campite di verdi paludosi, di blu accesi come lampade notturne, di sabbie
calcificate e ramificate di minerali, di marroni carichi di humus grassi e grumosi, più li sentiamo come presenze
―primordiali‖, perché a seconda della struttura molecolare, mutante di attimo in attimo allo spostarsi dell’ombra e della
luce, agitati dall’interno dal lavorio dell’energia calorica, li vediamo agitati da una vibrazione perenne, la quale fa
muovere le linee e ci ricorda l’idea del movimento infinito .
In questo senso il colore è stato nella sua materia e nella sua percezione il tutto e il nulla dell’arte. Guardando certi
dipinti capiamo che il colore è sì il corpo dell’arte, o meglio della pittura di D’augusta, ma piuttosto anche uno spirito
impuro, così presente, così seducente e leggero, così sporco e misterioso, che inevitabilmente si allontana vistosamente
dal colore pubblicitario, colore che ha quasi sempre un’immagine e un corpo esagerati. In questo caso noi vediamo che il
colore sta prima o in mezzo al movimento e alla forma, è un medium che nell’età delle comunicazioni precisa i suoi
meccanismi di ―opponenza‖, cioè l’inibizione verso la realtà del consumo.
Troviamo in D’augusta una ricerca precisa che va verso un nuovo concetto di spazio materico sedimentato, stratificato,
attraversato da tramature quadrate o a losanga, attraversato da segni in libertà, piante che galleggiano nell’aria,
scrostamenti, scritture diverse. Quella del nostro artista riminese - fiumese è una materia intrecciata al significante, è una
materia vista come la geometria notturna di un campo, invasa, attraversata dal segno. Si tratta di un lavoro legato al
―materialismo lirico‖: i fiori secchi, gli insetti, le corde, le uova nere, diventano congiunzioni-disgiunazioni della materia, si
oppongono all’idea di opera come rinvio trascendente ad un referente esterno.
In questo senso lo spazio d’augustiano è uno spazio che rompe risolutamente con l’immagine di una spazialità
trascendentale, perché si configura come spazio contaminato e corroso dal tempo, attraversato dalla memoria
dell’inconscio vivente e pulsante, dalle sedimentazioni, e dai ritorni di segni, sopravviventi dal ritmo circolare dell’eterno
ritorno.
In fondo sentiamo che in tutto questo il potere del dipinto deve provenire dall’interno per andare verso l’esterno e non il
contrario. La pittura di d’Augusta ha attraversato gli ultimi decenni mantenendosi fedele a se stessa e ai propri rigorosi
principi di partenza, ma rivelandosi allo stesso tempo capace di rinnovarsi costantemente. Un’astrazione contaminata da
presenze leggibili, che, come un racconto, ci guida nei territori magici dell’immaginazione e del ricordo. La superficie
della tela vibra, pulsa e si illumina, lasciando che le profondità spaziali, emozionali, spirituali del dipinto emergano con
tutta la loro indistruttibile leggerezza. A volte ci troviamo difronte a veri e propri ―muri di luce‖, superfici permeabili e
dense al tempo stesso, in cui l’occhio si perde seguendo le direzioni delle pennellate e addentrandosi nelle fessure di
pareti di colore che fanno solo intravvedere il loro segreto nascosto, che può anche coincidere con l’enigma della
bellezza.
Infatti Vittorio D’augusta è davvero un pittore singolare, certo molto caparbio, che si situa a lato di tutte le situazioni
odierne, ma capace come pochi altri di riguadagnare la ―fonte‖ della visione, il suo livello pre-iconografico, in cui si coglie
il motivo insistito della penetrazione della luce dall’esterno all’interno, attraverso l’incandescenza domata di una cromia
che sembra finalmente raccogliere, trasmutata, la fatica sofferta e protratta di una ―visione ― inseguita, con mano lenta,
ma occhio iperteso, in un corpo a corpo con la luce e le sue ―tinture‖.
D’augusta evidentemente individua nel vedere una questione nodale in cui si addensano molti dei problemi del nostro
stare al mondo, e ne coglie la complessa struttura reversibile .Tutto ciò porta l’autore ad un’inedita riarticolazione del
rapporto tra vedere e pensare, tra immagine ed emozione. Tuttavia in queste ―opere aperte‖ un tema pittorico è
modulato in modo variabile con diverse ricorrenze, si espande si intreccia ad altri, si diversifica, prende forma e vita a
seconda delle situazioni da cui emerge o in cui si interiorizza. Ciò rende la lettura di questi lavori particolarmente
affascinante e viva, proprio perché entra in gioco una sensazione di imprendibilità, che richiede una prontezza della
mobilità dello sguardo.
Non dimentichiamo che a differenza di una sequenza di parole, gli elementi che costituiscono una porzione di pittura non
sono fissati allo stesso modo delle note musicali o delle lettere dell’alfabeto, ma sono segni fluttuanti tracciati su una
superficie con un’inflessione conferita loro dalla precisa soggettività di un’artista come D’augusta.
illuminare il nostro complesso presente, forse possiamo pure trovare gli enigmi e le parentele che correlano i fenomeni e
i misteri che ci circondano.
Da lungo tempo gli scienziati ricercano le proprietà di alcuni frammenti di quel prodigioso materiale meteorico, che
sprigiona fasci di colori contenenti tutti gli spettri di molecole sconosciute. Quando gli uomini di scienza sono stati
d’accordo che l’unica cosa da fare era ―non fare nulla‖, allora tutti si salvarono dalla minaccia di un colore arrivato dallo
spazio—uno spaventoso messaggero di regni informi dell’infinito—che in in qualche misura forse potrebbe ancora
aggirarsi tra noi.
Se pensiamo in generale a molti quadri di Vittorio D’augusta ci accorgiamo che i suoi colori mostrano di alludere alla
creazione del mondo, e mostrano pure di liberare l’anima del colore, che magari è stata da tempi immemori nascosta in
un immenso meteorite. Più guardiamo le tele campite di verdi paludosi, di blu accesi come lampade notturne, di sabbie
calcificate e ramificate di minerali, di marroni carichi di humus grassi e grumosi, più li sentiamo come presenze
―primordiali‖, perché a seconda della struttura molecolare, mutante di attimo in attimo allo spostarsi dell’ombra e della
luce, agitati dall’interno dal lavorio dell’energia calorica, li vediamo agitati da una vibrazione perenne, la quale fa
muovere le linee e ci ricorda l’idea del movimento infinito .
In questo senso il colore è stato nella sua materia e nella sua percezione il tutto e il nulla dell’arte. Guardando certi
dipinti capiamo che il colore è sì il corpo dell’arte, o meglio della pittura di D’augusta, ma piuttosto anche uno spirito
impuro, così presente, così seducente e leggero, così sporco e misterioso, che inevitabilmente si allontana vistosamente
dal colore pubblicitario, colore che ha quasi sempre un’immagine e un corpo esagerati. In questo caso noi vediamo che il
colore sta prima o in mezzo al movimento e alla forma, è un medium che nell’età delle comunicazioni precisa i suoi
meccanismi di ―opponenza‖, cioè l’inibizione verso la realtà del consumo.
Troviamo in D’augusta una ricerca precisa che va verso un nuovo concetto di spazio materico sedimentato, stratificato,
attraversato da tramature quadrate o a losanga, attraversato da segni in libertà, piante che galleggiano nell’aria,
scrostamenti, scritture diverse. Quella del nostro artista riminese - fiumese è una materia intrecciata al significante, è una
materia vista come la geometria notturna di un campo, invasa, attraversata dal segno. Si tratta di un lavoro legato al
―materialismo lirico‖: i fiori secchi, gli insetti, le corde, le uova nere, diventano congiunzioni-disgiunazioni della materia, si
oppongono all’idea di opera come rinvio trascendente ad un referente esterno.
In questo senso lo spazio d’augustiano è uno spazio che rompe risolutamente con l’immagine di una spazialità
trascendentale, perché si configura come spazio contaminato e corroso dal tempo, attraversato dalla memoria
dell’inconscio vivente e pulsante, dalle sedimentazioni, e dai ritorni di segni, sopravviventi dal ritmo circolare dell’eterno
ritorno.
In fondo sentiamo che in tutto questo il potere del dipinto deve provenire dall’interno per andare verso l’esterno e non il
contrario. La pittura di d’Augusta ha attraversato gli ultimi decenni mantenendosi fedele a se stessa e ai propri rigorosi
principi di partenza, ma rivelandosi allo stesso tempo capace di rinnovarsi costantemente. Un’astrazione contaminata da
presenze leggibili, che, come un racconto, ci guida nei territori magici dell’immaginazione e del ricordo. La superficie
della tela vibra, pulsa e si illumina, lasciando che le profondità spaziali, emozionali, spirituali del dipinto emergano con
tutta la loro indistruttibile leggerezza. A volte ci troviamo difronte a veri e propri ―muri di luce‖, superfici permeabili e
dense al tempo stesso, in cui l’occhio si perde seguendo le direzioni delle pennellate e addentrandosi nelle fessure di
pareti di colore che fanno solo intravvedere il loro segreto nascosto, che può anche coincidere con l’enigma della
bellezza.
Infatti Vittorio D’augusta è davvero un pittore singolare, certo molto caparbio, che si situa a lato di tutte le situazioni
odierne, ma capace come pochi altri di riguadagnare la ―fonte‖ della visione, il suo livello pre-iconografico, in cui si coglie
il motivo insistito della penetrazione della luce dall’esterno all’interno, attraverso l’incandescenza domata di una cromia
che sembra finalmente raccogliere, trasmutata, la fatica sofferta e protratta di una ―visione ― inseguita, con mano lenta,
ma occhio iperteso, in un corpo a corpo con la luce e le sue ―tinture‖.
D’augusta evidentemente individua nel vedere una questione nodale in cui si addensano molti dei problemi del nostro
stare al mondo, e ne coglie la complessa struttura reversibile .Tutto ciò porta l’autore ad un’inedita riarticolazione del
rapporto tra vedere e pensare, tra immagine ed emozione. Tuttavia in queste ―opere aperte‖ un tema pittorico è
modulato in modo variabile con diverse ricorrenze, si espande si intreccia ad altri, si diversifica, prende forma e vita a
seconda delle situazioni da cui emerge o in cui si interiorizza. Ciò rende la lettura di questi lavori particolarmente
affascinante e viva, proprio perché entra in gioco una sensazione di imprendibilità, che richiede una prontezza della
mobilità dello sguardo.
Non dimentichiamo che a differenza di una sequenza di parole, gli elementi che costituiscono una porzione di pittura non
sono fissati allo stesso modo delle note musicali o delle lettere dell’alfabeto, ma sono segni fluttuanti tracciati su una
superficie con un’inflessione conferita loro dalla precisa soggettività di un’artista come D’augusta.
14
maggio 2011
Vittorio D’Augusta – Paesaggi della mente
Dal 14 maggio al 14 giugno 2011
arte contemporanea
Location
STUDIO VIGATO
Bergamo, Via San Tomaso, 72, (Bergamo)
Bergamo, Via San Tomaso, 72, (Bergamo)
Orario di apertura
Lun–Ven 10–12 / 15– 19, Sab 11-20. Domenica su appuntamento
Vernissage
14 Maggio 2011, ore 17
Autore
Curatore