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Vittorio Ferorelli / Matteo Sauli – Al bordo della strada
Il viaggio di Vittorio Ferorelli e Matteo Sauli inizia a Piacenza, sul Po, dove il crollo del ponte, qualche anno fa, ha determinato una cesura disagevole ma evocativa: il Po di nuovo frontiera, invalicabile se non con un lungo viaggio verso un altro guado.
Comunicato stampa
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Sulla dorsale dell’Emilia
“Allora c’erano dei libri che si chiamavano Sulla strada di Kerouac. Che erano bellissimi, tutti a fare l’autostop. Era molto bello in italiano, però con i nomi americani: Quella sera partimmo John, Dean e io sulla vecchia Pontiac del ‘55 del babbo di Dean e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson. Porc... E poi lo traduci in italiano: Quella sera partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant’Anna Pelago. Non è la stessa cosa, gli americani ci fregano con la lingua”.
Statale 17. Questo era il suo incipit nel live con i Nomadi del 1979. Ma anche Tra la via Emilia e il West. Vecchi titoli di Guccini continuano a tornarmi in mente mentre guardo le immagini del progetto Al bordo della strada.. Un fotografo e un narratore, Matteo Sauli e Vittorio Ferorelli, hanno percorso “eludendo ogni obbligo di velocità” l’intero tracciato da Piacenza a Rimini di questa via antica e sempre attuale. Ma il loro non è un blues, non c’è Dylan alle spalle, no, qui c’è qualcosa di elettronico, come delle campionature di rumori quotidiani intervallate da silenzi. Parole e fotografie delineano apparizioni di immagini senza una storia evidente, senza attese, senza una meta, neppure una distante, utopica, idealizzata.
Spesso sono residui, quelli che appaiono al margine della strada: ex fabbriche, ex discoteche, ex capannoni, ex negozi, ex oratori... potrebbe essere una frontiera, un nuovo West, ma non sembra che ci sia più nulla da conquistare, non nuove terre da coltivare, costruire, fabbricare. No, questa non è la terra del “possibile”, dello slancio ottimistico degli anni Sessanta. Questi sono i resti di una “civiltà” perduta, una civiltà del lavoro, in cui gli operai lavoravano e si riunivano per rivendicare propri diritti, e grazie a queste conquiste potevano dare ai figli più tempo del loro, il tempo anche per passare il pomeriggio all’oratorio a giocare a pallone e, quelli più grandi, la sera in discoteca o in locali più o meno equivoci, spesso a pochi passi dalle fabbriche.
A guardarle bene queste tracce sono proprio quelle del mondo degli anni Sessanta, quello del boom, quello in cui le autostrade non erano mica tante e si faceva ancora la Statale 9 in su e in giù, per lavoro, per divertimento.
Una statale antica, la numero 9. Lì da millenni, quando non c’era neanche lo “stato” che conosciamo ma una ben altra repubblica, divenuta poi impero. Ce ne accorgiamo ancora quando, dentro i centri storici, la strada cambia nome e ritrova una pavimentazione precedente all’asfalto.
Il viaggio di Vittorio Ferorelli e Matteo Sauli inizia a Piacenza, sul Po, dove il crollo del ponte, qualche anno fa, ha determinato una cesura disagevole ma evocativa: il Po di nuovo frontiera, invalicabile se non con un lungo viaggio verso un altro guado. È lì che i due viaggiatori fanno il primo incontro con gli “abitanti” della SS9, poche persone, va detto, ma con qualità assolutamente peculiari. Il testo di Ferorelli si apre con l’immagine degli “amici del Po”, un gruppo di anziani che giocano a carte, guardano il fiume, sorridono con occhi vivaci e pelle abbronzata mentre aspettano di pescare. Ma forse non pescheranno mai, l’essenza del loro stare lì è molto più sottile e priva di fini.
Le sue parole descrivono quello che gli occhi incontrano – strutture, scritte, manifesti, oggetti – senza evidente giudizio, lasciando scorrere la strada, le sue tracce e le sue apparizioni: ma già la scelta di descrivere un incontro piuttosto che un altro definisce la linea del suo sguardo, che isola quello che vede, gli dà luce anche se giace nella polvere. Ai testi sono unite saldamente le fotografie di Sauli, che invece colgono elementi stranianti, spesso ironici: un immenso ciao nei campi, gli occhi di Diabolik tra i cespugli. Nel libro tascabile che raccoglie il viaggio per intero (Al bordo della strada. Diario di viaggio sulla Statale 9 - Via Emilia, Bologna, Bononia University Press, 2012) il percorso si chiude con l’immagine su cui campeggia la scritta “concordia” a Ponte Gambino, su un muro dove porte e finestre sono chiuse, e potrebbe essere da decenni; nella doppia pagina successiva due cani di gesso si danno le spalle, a Faenza, forse guardiani immobili di una statale che diamo un po’ per scontata, come capita di dare per scontata la propria spina dorsale.
Elena Pirazzoli
“Allora c’erano dei libri che si chiamavano Sulla strada di Kerouac. Che erano bellissimi, tutti a fare l’autostop. Era molto bello in italiano, però con i nomi americani: Quella sera partimmo John, Dean e io sulla vecchia Pontiac del ‘55 del babbo di Dean e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson. Porc... E poi lo traduci in italiano: Quella sera partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant’Anna Pelago. Non è la stessa cosa, gli americani ci fregano con la lingua”.
Statale 17. Questo era il suo incipit nel live con i Nomadi del 1979. Ma anche Tra la via Emilia e il West. Vecchi titoli di Guccini continuano a tornarmi in mente mentre guardo le immagini del progetto Al bordo della strada.
Spesso sono residui, quelli che appaiono al margine della strada: ex fabbriche, ex discoteche, ex capannoni, ex negozi, ex oratori... potrebbe essere una frontiera, un nuovo West, ma non sembra che ci sia più nulla da conquistare, non nuove terre da coltivare, costruire, fabbricare. No, questa non è la terra del “possibile”, dello slancio ottimistico degli anni Sessanta. Questi sono i resti di una “civiltà” perduta, una civiltà del lavoro, in cui gli operai lavoravano e si riunivano per rivendicare propri diritti, e grazie a queste conquiste potevano dare ai figli più tempo del loro, il tempo anche per passare il pomeriggio all’oratorio a giocare a pallone e, quelli più grandi, la sera in discoteca o in locali più o meno equivoci, spesso a pochi passi dalle fabbriche.
A guardarle bene queste tracce sono proprio quelle del mondo degli anni Sessanta, quello del boom, quello in cui le autostrade non erano mica tante e si faceva ancora la Statale 9 in su e in giù, per lavoro, per divertimento.
Una statale antica, la numero 9. Lì da millenni, quando non c’era neanche lo “stato” che conosciamo ma una ben altra repubblica, divenuta poi impero. Ce ne accorgiamo ancora quando, dentro i centri storici, la strada cambia nome e ritrova una pavimentazione precedente all’asfalto.
Il viaggio di Vittorio Ferorelli e Matteo Sauli inizia a Piacenza, sul Po, dove il crollo del ponte, qualche anno fa, ha determinato una cesura disagevole ma evocativa: il Po di nuovo frontiera, invalicabile se non con un lungo viaggio verso un altro guado. È lì che i due viaggiatori fanno il primo incontro con gli “abitanti” della SS9, poche persone, va detto, ma con qualità assolutamente peculiari. Il testo di Ferorelli si apre con l’immagine degli “amici del Po”, un gruppo di anziani che giocano a carte, guardano il fiume, sorridono con occhi vivaci e pelle abbronzata mentre aspettano di pescare. Ma forse non pescheranno mai, l’essenza del loro stare lì è molto più sottile e priva di fini.
Le sue parole descrivono quello che gli occhi incontrano – strutture, scritte, manifesti, oggetti – senza evidente giudizio, lasciando scorrere la strada, le sue tracce e le sue apparizioni: ma già la scelta di descrivere un incontro piuttosto che un altro definisce la linea del suo sguardo, che isola quello che vede, gli dà luce anche se giace nella polvere. Ai testi sono unite saldamente le fotografie di Sauli, che invece colgono elementi stranianti, spesso ironici: un immenso ciao nei campi, gli occhi di Diabolik tra i cespugli. Nel libro tascabile che raccoglie il viaggio per intero (Al bordo della strada. Diario di viaggio sulla Statale 9 - Via Emilia, Bologna, Bononia University Press, 2012) il percorso si chiude con l’immagine su cui campeggia la scritta “concordia” a Ponte Gambino, su un muro dove porte e finestre sono chiuse, e potrebbe essere da decenni; nella doppia pagina successiva due cani di gesso si danno le spalle, a Faenza, forse guardiani immobili di una statale che diamo un po’ per scontata, come capita di dare per scontata la propria spina dorsale.
Elena Pirazzoli
30
dicembre 2014
Vittorio Ferorelli / Matteo Sauli – Al bordo della strada
Dal 30 dicembre 2014 al 09 gennaio 2015
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
SPAZIO LAVI’!
Sarnano, Via Roma, 8, (Macerata)
Sarnano, Via Roma, 8, (Macerata)
Orario di apertura
da lunedì a domenica ore 18-20
Vernissage
30 Dicembre 2014, ore 18.00
Autore
Curatore