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Vittorio Valentini – Inquietanti manichini
La mostra è parte di una ricerca fotografica sui manichini quali oggetti, che sono si inanimati e freddi, ma che nella loro plasticità ritrovano soggettività e identità reali
Comunicato stampa
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Inquietanti Manichini
Un allestimento di circa 40 immagini curato da Laura Frasca.
Presentata dal pittore Concetto Pozzati e dall’architetto Pier Luigi Cervellati, la mostra è parte di una ricerca fotografica sui manichini quali oggetti, che sono si inanimati e freddi, ma che nella loro plasticità ritrovano soggettività e identità reali. Nel predisporre il set fotografico, nel muoverli e smontarli per “metterli in posa” e nell’osservarli da diverse angolazioni, Valentini si è lasciato sopraffare dai forti richiami in cui il manichino è entrato a far parte della storia dell’arte. Ecco allora queste fotografie in cui metafisica, surrealismo e dadaismo si intrecciano tra loro producendo situazioni di ironica inquietudine. Solo una “scala di grigi” poteva renderne appieno tutta la loro enigmatica forza. Il nero profondo da cui i manichini, o parte di essi, emergono ne acuisce il mistero dell’esistenza passata, allo stesso tempo la loro materica presenza nella gamma dei grigi, li impone ai nostri occhi nella loro oggettività, stimolando letture nuove e contemporanee.
"I manichini non sono burattini, tanto meno sono scambiabili per bambole. Per carità. I manichini sono manichini.
I miei sono il surrogato di ciò che avrei voluto possedere. Degli automi settecenteschi. Ahimè, non sono mai riuscito ad averne uno. Troppo costosi. Così ho ripiegato sui manichini. Se anche gli snodi non sono paragonabili ai meccanismi di orologeria, hanno comunque un loro fascino. La capacità tutta artigianale di incastrare pezzi torniti di legno, di farli ruotare o metterli in posizioni diverse e magari farli dialogare fra loro, in certi momenti della vita, ti sprigiona idee strampalate. Possedendo anche qualche burattino penso che potrei organizzare degli spettacoli per loro. Che è come far musica per sordi. (Cerco, per non essere considerato un matto, di spiegare il perché possiedo tanti manichini. Ma forse peggioro la situazione).
I miei manichini sono un poco inquietanti, ma di un’inquietudine diversa dalle muse dipinte da de Chirico. Pur senza orologeria, quelli in legno si muovono. Sono molto permalosi: vanno tenuti con cura. Occupano spazio, sono ingombranti. E subito possono anche non piacere come quelli che cinquant’anni fa tutti di un pezzo – senza articolazioni, in carta pesta, magari un poco naïve - ma con la faccia di attori allora famosi: Yul Brynner o Sofia Loren; adesso hanno assunto un altro aspetto, specie se fotografati da Vittorio Valentini. Lo confesso. Dopo il reportage che ha fatto, gli automi mi sembrano e sicuramente sono gli antenati dei robot. E un aspirapolvere, sono vecchio, davvero non mi affascina."
Pierluigi Cervellati
"Sono inquietanti e ironici, sono la teatralità, la sorpresa, il reperto, lo sguardo; sono trofei nell’interno-esterno, della collezione-mostra.
Basta fare un montaggio simbolico, spostare una mano (come avviene in Valentini) in un altro spazio, che da metafisici silenziosi e orfani diventano surreal-rumorosi (Magritte insegna). Guardo lento, sempre più lento, le fotografie di Vittorio e avverto che richiamano la mostra dechirichiana di Ferrara. Ho paura di questo silenzio (questo di Valentini in bianco e nero), un silenzio pieno e gonfio. Ho paura del nascosto che non vedo, del non detto ma non voglio che il tutto sia dicibile perché il suo spessore sta nell’indicibilità. Ritorno, ma non mi sono mai mosso sulle foto e cerco quel nascosto che non trovo perché tutto e celato, oscurato dal nero, segreto. Assisto ad una voluta contraddizione tra il visto e il visionario, tra il vero e il falso. C’è uno stupore anche nelle foto che è malinconico ma che ci richiede ancora interrogativi e non facili esclamativi, in una società falsamente liquida dove può galleggiare tutto ma che un pensiero affonda. Anche questo modo di guardare e di essere guardati è un modo di essere differenti che contiene l’aristocrazia estetica del collezionista e del fotografo.."
Concetto Pozzati
L'AUTORE :
VITTORIO VALENTINI
Nato a Villa Bartolomea in provincia di Verona, fin dall’adolescenza manifesta interesse per la fotografia. Si trasferisce poi a Bologna dove trasforma il proprio hobby in professione. Inizia l’attività come assistente fotografo in un’importante agenzia pubblicitaria di Bologna. In seguito ha lavorato presso un ente pubblico di ricerca scientifica, come responsabile della documentazione fotografica delle varie attività, progettando e realizzando prodotti editoriali - libri strenna, calendari, opuscoli, poster - e audiovisivi scientifici. Parallelamente ha continuato a sviluppare una propria indagine di ricerca creativa e di approfondimento del linguaggio fotografico. Ha tenuto lezioni sulla fotografia e corsi di formazione professionale: Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna di Pisa; Università di Padova, per il Corso di laurea in Cultura e tecnologia della moda; Liceo Fermi di Bologna, Bandiera Gialla, associazione di promozione sociale, BIG Società di comunicazione. Alcune opere dei suoi progetti fotografici sono state selezionate e acquisite dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione (C.S.A.C.) dell’Università di Parma. Sul suo lavoro creativo è stata svolta una tesi di laurea del Corso in Beni artistici, teatrali, cinematografici e dei nuovi media dell'Università di Parma. Un'altra tesi del Corso di laurea in cultura e tecnologia della moda dell'Università di Padova ha preso in esame il suo progetto fotografico sui Manichini. Ha esposto sue fotografie in mostre personali e collettive in Italia e all’estero, presso gallerie pubbliche e private. Vive a Bologna dove lavora come libero professionista.
Un allestimento di circa 40 immagini curato da Laura Frasca.
Presentata dal pittore Concetto Pozzati e dall’architetto Pier Luigi Cervellati, la mostra è parte di una ricerca fotografica sui manichini quali oggetti, che sono si inanimati e freddi, ma che nella loro plasticità ritrovano soggettività e identità reali. Nel predisporre il set fotografico, nel muoverli e smontarli per “metterli in posa” e nell’osservarli da diverse angolazioni, Valentini si è lasciato sopraffare dai forti richiami in cui il manichino è entrato a far parte della storia dell’arte. Ecco allora queste fotografie in cui metafisica, surrealismo e dadaismo si intrecciano tra loro producendo situazioni di ironica inquietudine. Solo una “scala di grigi” poteva renderne appieno tutta la loro enigmatica forza. Il nero profondo da cui i manichini, o parte di essi, emergono ne acuisce il mistero dell’esistenza passata, allo stesso tempo la loro materica presenza nella gamma dei grigi, li impone ai nostri occhi nella loro oggettività, stimolando letture nuove e contemporanee.
"I manichini non sono burattini, tanto meno sono scambiabili per bambole. Per carità. I manichini sono manichini.
I miei sono il surrogato di ciò che avrei voluto possedere. Degli automi settecenteschi. Ahimè, non sono mai riuscito ad averne uno. Troppo costosi. Così ho ripiegato sui manichini. Se anche gli snodi non sono paragonabili ai meccanismi di orologeria, hanno comunque un loro fascino. La capacità tutta artigianale di incastrare pezzi torniti di legno, di farli ruotare o metterli in posizioni diverse e magari farli dialogare fra loro, in certi momenti della vita, ti sprigiona idee strampalate. Possedendo anche qualche burattino penso che potrei organizzare degli spettacoli per loro. Che è come far musica per sordi. (Cerco, per non essere considerato un matto, di spiegare il perché possiedo tanti manichini. Ma forse peggioro la situazione).
I miei manichini sono un poco inquietanti, ma di un’inquietudine diversa dalle muse dipinte da de Chirico. Pur senza orologeria, quelli in legno si muovono. Sono molto permalosi: vanno tenuti con cura. Occupano spazio, sono ingombranti. E subito possono anche non piacere come quelli che cinquant’anni fa tutti di un pezzo – senza articolazioni, in carta pesta, magari un poco naïve - ma con la faccia di attori allora famosi: Yul Brynner o Sofia Loren; adesso hanno assunto un altro aspetto, specie se fotografati da Vittorio Valentini. Lo confesso. Dopo il reportage che ha fatto, gli automi mi sembrano e sicuramente sono gli antenati dei robot. E un aspirapolvere, sono vecchio, davvero non mi affascina."
Pierluigi Cervellati
"Sono inquietanti e ironici, sono la teatralità, la sorpresa, il reperto, lo sguardo; sono trofei nell’interno-esterno, della collezione-mostra.
Basta fare un montaggio simbolico, spostare una mano (come avviene in Valentini) in un altro spazio, che da metafisici silenziosi e orfani diventano surreal-rumorosi (Magritte insegna). Guardo lento, sempre più lento, le fotografie di Vittorio e avverto che richiamano la mostra dechirichiana di Ferrara. Ho paura di questo silenzio (questo di Valentini in bianco e nero), un silenzio pieno e gonfio. Ho paura del nascosto che non vedo, del non detto ma non voglio che il tutto sia dicibile perché il suo spessore sta nell’indicibilità. Ritorno, ma non mi sono mai mosso sulle foto e cerco quel nascosto che non trovo perché tutto e celato, oscurato dal nero, segreto. Assisto ad una voluta contraddizione tra il visto e il visionario, tra il vero e il falso. C’è uno stupore anche nelle foto che è malinconico ma che ci richiede ancora interrogativi e non facili esclamativi, in una società falsamente liquida dove può galleggiare tutto ma che un pensiero affonda. Anche questo modo di guardare e di essere guardati è un modo di essere differenti che contiene l’aristocrazia estetica del collezionista e del fotografo.."
Concetto Pozzati
L'AUTORE :
VITTORIO VALENTINI
Nato a Villa Bartolomea in provincia di Verona, fin dall’adolescenza manifesta interesse per la fotografia. Si trasferisce poi a Bologna dove trasforma il proprio hobby in professione. Inizia l’attività come assistente fotografo in un’importante agenzia pubblicitaria di Bologna. In seguito ha lavorato presso un ente pubblico di ricerca scientifica, come responsabile della documentazione fotografica delle varie attività, progettando e realizzando prodotti editoriali - libri strenna, calendari, opuscoli, poster - e audiovisivi scientifici. Parallelamente ha continuato a sviluppare una propria indagine di ricerca creativa e di approfondimento del linguaggio fotografico. Ha tenuto lezioni sulla fotografia e corsi di formazione professionale: Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna di Pisa; Università di Padova, per il Corso di laurea in Cultura e tecnologia della moda; Liceo Fermi di Bologna, Bandiera Gialla, associazione di promozione sociale, BIG Società di comunicazione. Alcune opere dei suoi progetti fotografici sono state selezionate e acquisite dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione (C.S.A.C.) dell’Università di Parma. Sul suo lavoro creativo è stata svolta una tesi di laurea del Corso in Beni artistici, teatrali, cinematografici e dei nuovi media dell'Università di Parma. Un'altra tesi del Corso di laurea in cultura e tecnologia della moda dell'Università di Padova ha preso in esame il suo progetto fotografico sui Manichini. Ha esposto sue fotografie in mostre personali e collettive in Italia e all’estero, presso gallerie pubbliche e private. Vive a Bologna dove lavora come libero professionista.
02
febbraio 2018
Vittorio Valentini – Inquietanti manichini
Dal 02 al 24 febbraio 2018
fotografia
Location
PAOLETTI
Bologna, Galleria Cavour, 3/c, (Bologna)
Bologna, Galleria Cavour, 3/c, (Bologna)
Orario di apertura
da Lunedì a Sabato
dalle 10:00 alle 13:00
dalle 15.30 alle 19.30
Vernissage
2 Febbraio 2018, ore 18.30
Autore