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Vladimiro Elvieri / Maria Chiara Toni – Ai confini del segno – Incisioni
Opere di grande formato realizzate con tecniche calcografiche sperimentate dagli stessi autori e stampate su carte nere.
Comunicato stampa
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Vladimiro Elvieri: un innovatore
Raramente Corrado Cagli tralasciava il suo perenne contraddittorio oltranzista per concedersi qualche facezia, e quando accadeva non tutti se ne accorgevano perché le sue battute erano criptiche, a doppio o triplo taglio. Era saggio considerarle sempre molto seriamente. Discutendo circa l’asperità di poter creare nuove immagini senza tagliare il legame con l’arte classica mi disse: “Infine, l’unica vera difficoltà della pittura è che bisogna fare i quadri”. Ero addestrato alle sue morali sottintese e sapevo che c’era poco da sorridere. Infatti per creare non bastano le idee perché non si mostrano e dimostrano solo con l’esecuzione. Si possono anche recidere tutti i legami con ogni tradizione, fare tutto ciò che passa per la mente, ma è la prassi fattiva che evidenzia la capacità dell’artista, rendendo conto della qualità e validità delle sue idee, mediante la scelta dello strumento e dei materiali da utilizzare appropriatamente, adeguati a conferire visibilità al proprio pensiero. Quella lezione di spiccia filosofia dell’arte, mi sembra ancor più adatta per l’incisione, dove l’aspetto esecutivo è sempre dibattuto tra gli autori, in modi più peculiari ed esigenti. Alcuni, pensano che il dato tecnico sia primario, ma simile convinzione è ribaltabile: anche in possesso della tecnica più superba, chi è privo di capacità ideative non può ricavare nulla di valido. Pure nell’arte incisoria occorre tanta capacità immaginativa, quanta abilità esecutiva. Vladimiro Elvieri ha una farragine di idee e per ognuna inventa una possibilità tecnica con materiali idonei talvolta inventati e ciò lo rende un grande incisore, innovatore, valido alfiere della calcografia.
Elvieri entra ed esce, a cicli, dalla figurazione all’astrazione, come un incursore motivato da un’apparente letizia, ma con profondo impegno ideativo. Può permettersi ogni nomadismo perché sa rinnovarsi continuamente - la fantasia lo accompagna sottobraccio come benevola musa - e così deve chi è votato alla sperimentazione di nuove tecniche per derivarne immagini altre, diverse da ciò che ci si può aspettare, praticando ogni insubordinazione pur mantenendo il legame con la tradizione. Prima ancora di indagarne la poetica ci si rende conto che la qualità sorprendentemente insolita delle sue immagini deriva proprio dalla capacità d’inventare la tecnica idonea alla realizzazione del progetto, a determinate forme. Il suo entusiasmo, infatti, si accende sul “come” fare. “Cosa” rappresentare è solo una seconda fase, conseguente, ma premeditata del suo esercizio fantastico. Innanzitutto, la fantasia si rivela con l’immaginare nuove possibilità, diversi utilizzi, o procedure periferiche e tangenziali, in simbiosi con quelle innovative, ormai storiche, elaborate dai grandi stampatori. Nel campo dell’incisione, artisti inventori di propri procedimenti ce ne sono pochissimi. Elvieri, non solo ibridatore spregiudicato di tecniche omologate, è inventore d’inedite formulazioni. Conseguentemente, l’immaginazione è impegnata sia nella fase fattuale che nella formulazione dell’immagine. Giustamente, simili capacità, rendono a Vladimiro un’alta reputazione internazionale. Tanta vaghezza fantastica si traduce, poi, nelle immagini con cui può ampiamente dimostrare le priorità disegnative di cui è maestro, la qualità estetica dei pensieri e la poesia che prende forma attraverso un segno elegante, fermo, sicuro, fortemente determinato. Ognuno conosce come non sia possibile essere ottimi nell’arte incisoria senza poter disegnare ancora meglio. Vladimiro è un viaggiatore scanzonato che aderisce momentaneamente alle strutture di generi differenti, spesso contemporaneamente, mutando stile, da vero eclettico inquieto, percorrendo sentieri differenti, perfino divergenti, un nomade della cultura aperto ad ogni orizzonte. “Solo gl’intelligenti sanno essere eclettici”, diceva Cagli. Possiamo analizzare ognuna delle immagini prodotte da Elvieri sotto varie angolazioni, verificando che la stessa incisione può intendersi come una fantasia narrativa con struttura astratta, oppure un’ideazione astratta in forma narrativa. L’eclettismo artistico, del resto, è il più evidente sintomo di libertà mentale, e non credo esista alcuna forma poetica originale nata fuori dal libero pensiero. Elvieri non si preoccupa di assodare un proprio stile attraverso la ripetizione, l’interminabile reiterazione dei modi e dei temi, giacché la sua forma è insita nel segno con cui produce le forme più differenti: tale, infatti, è il vero stile. Semmai, una indagine critica - migliore della presente - dovrebbe denotare anche il carattere giocoso e spesso ironico della sua poetica. Nell’opera di Elvieri c’è un vero divertimento del fare, gioia nell’inventare, ma anche insofferenza per il limite imposto dalla tradizione. E’ un artista plurilogico: in altre parole, capace di esprimere pensieri differenti evitando ogni tentazione ripetitiva o rituale; ma il dato ottimista - sebbene talvolta con una venatura corrosiva - esprime la qualità ironica, il sarcasmo che può annidarsi tanto nel procedimento quanto nell’immagine. Se il nostro sguardo ripercorre graffi, solchi, la traccia delle linee, le acrobazie con aghi, rotelle, punte varie, sgarzini, bisturi, “zampe”, abrasioni, incroci, intagli, incisi direttamente o no sulle superfici più disparate, insomma il linguaggio espressivo straricco di Elvieri, rileviamo inevitabilmente lo spirito libertario che governa la sua immaginazione. E non è tutto quanto ci sarebbe da dire in proposito.
Renzo Margonari
Mantova, 2011
Maria Chiara Toni: fantasia esistenziale
Esistono territori dell’immagine la cui esplorazione è interdetta a coloro che non sappiano coniugare la competenza nel valutare gli aspetti tecnici con la sensibilità e l’intuizione nel considerare quelli poetici che l’immagine contiene. Molto spesso simili difficoltà si presentano soprattutto nell’ambito critico delle opere d’arte incisoria dove troppo facilmente la competenza tecnica prevale sulla capacità di discernere la qualità poetica; per contro, talvolta coloro che s’impegnano nel commentare gli esiti estetici nell’arte incisa non hanno la minima nozione dei processi che consentono all’autore il raggiungimento dei risultati che lo valorizzano. Nella calcografia si verifica con evidenza l’ovvia e basilare necessità - paradossalmente la più trasgredita dalla critica d’arte - che il commentatore debba esprimersi con piena cognizione dei processi fattivi che consentono il risultato, poiché nell’ambito incisorio - ancor più che in altre forme espressive - la problematica tecnica incide sull’esito poetico essendovi direttamente correlata, ma non pensi che le capacità meccaniche possano di per sé definire la qualità artistica. Le stampe di Maria Chiara Toni, ad esempio, non sono valutabili prescindendo dalla straordinaria qualità tecnica - spesso esercitata in ambito sperimentale - che determina la magica allusività del suo immaginario.
Mi chiedo quante volte (troppe, sospetto) la critica offra elogi e attenzione ad autori che se proponessero le stesse immagini in ambiti differenti dall’incisione non verrebbero presi in considerazione neppure per bonomia. Evidentemente l’azione tecnica contiene, secondo alcuni, un merito virtuale. Così vediamo stente naturine morte o melensi paesaggini complimentati per l’integralismo fedele ai metodi più elementari d’esecuzione come anziché d’un limite si trattasse d’un pregio, e non altrettanto vien dato a quegli artisti che oltre a offrire aspetti validamente poetici s’imbarcano, per raggiungerli, in prodigiose ricerche e sperimentazioni che estendono le facoltà espressive di quest’arte. Maria Chiara Toni, per esempio, vi riesce senza trasgredire minimamente la deontologia incisoria, né la precisa e specifica vocazione del linguaggio sicché gl’integralisti e i puritani della calcografia avrebbero ben poco da obiettare circa i suoi procedimenti che però sono avventurosi e ricchi di proposizioni atte a dimostrare la sua poetica che in buona parte ne dipende. Infatti sotto il profilo critico è stupido poter credere che si possa esprimere una personalità, inventare un mondo figurale, senza inventare del pari un linguaggio altrettanto progressivo: è ciò che i veri artisti hanno sempre fatto; non si capisce perché il medesimo principio non dovrebbe valere per chi ha scelto l’incisione per realizzare le proprie visioni. Queste considerazioni, sulle quali varrebbe forse la pena di soffermarsi, mi sembrano indispensabili per un corretto approccio al mondo visionario di Maria Chiara Toni che risulta una delle voci più interessanti nell’ambito della nuova calcografia italiana.
La fantasia di quest’artista è di un genere particolare nel quale si trovano mescolati momenti d’ironico sarcasmo, spia di una sottile belligeranza verso i disvalori della società contemporanea, ed altri disposti all’evocazione del mito e al senso naturale dell’introspezione che offre consistenza visiva al sogno e ai fantasmi dell’inconscio. Quando, come accade nelle sue opere migliori, questi aspetti si distribuiscono in parti uguali e convivono armonicamente, le immagini raggiungono un’intensità difficilmente qualificabile a parole e fortemente determinata dagli inchiostri, dalla tessitura segnica e persino dalla pressione di stampa. Una fantasia, la sua, che non si disimpegna dalla problematica esistenziale ma si confronta - come sanno le donne - con la concretezza critica, pur capace di non escludere illusione e utopia e, infine, rende un’immagine dell’uomo come un bozzolo che potrebbe contenere una crisalide, blocco solido e armonioso che trattiene una forza latente e in attesa. Dunque, non una visione pessimista seppure indubbiamente critica. Per Maria Chiara l’umanità è insieme totem e totemizzata, resa sacrale dai suoi stessi miti, santificata per aver immaginato la santità, brutale e brutalizzata per aver realizzato l’alienazione tecnologica ed elettronica. Per Maria Chiara Toni siamo vittime e aguzzini di noi, nemici della nostra intelligenza, affondiamo in desertiche gore risplendendo di alati pensieri. Ella segnala la contraddizione di una civiltà che ha raggiunto apici di sviluppo, di conoscenze scientifiche superiori, senza avere ancora individuato un obbiettivo che giustifichi l’appellativo di “umani” che ci attribuiamo. Questa umanità che continuamente si confronta con display elettronici illuminati da diafane luci verdi o azzurrine, che si guarda recitare nel video televisivo senza raccapriccio, è incapace di vedere il proprio volto in uno specchio, non sa più riconoscersi alla restituzione di un’immagine veritiera di sé. Eppure, a me pare che nelle fantastiche invenzioni della Toni non prevalga l’accorata drammaticità di queste riflessioni pur tanto evidenti, ma invece una sorta di tollerante moralismo, direi una materna disapprovazione, un rimprovero pacato, una sintesi problematica che non ha parvenze agghiaccianti, perché le sue forme sono turgide e forti, bloccate, e gli spazi vuoti delle sue composizioni sono spazi incantati e promettenti. Sui fogli neri, sovente impiegati dall’artista per imprimere le proprie incisioni, si stende un buio avvolgente, intimo, che se sottolinea la povertà e la solitudine individuale aspetta di riempirsi di presenze positive (…).
Renzo Margonari
Raramente Corrado Cagli tralasciava il suo perenne contraddittorio oltranzista per concedersi qualche facezia, e quando accadeva non tutti se ne accorgevano perché le sue battute erano criptiche, a doppio o triplo taglio. Era saggio considerarle sempre molto seriamente. Discutendo circa l’asperità di poter creare nuove immagini senza tagliare il legame con l’arte classica mi disse: “Infine, l’unica vera difficoltà della pittura è che bisogna fare i quadri”. Ero addestrato alle sue morali sottintese e sapevo che c’era poco da sorridere. Infatti per creare non bastano le idee perché non si mostrano e dimostrano solo con l’esecuzione. Si possono anche recidere tutti i legami con ogni tradizione, fare tutto ciò che passa per la mente, ma è la prassi fattiva che evidenzia la capacità dell’artista, rendendo conto della qualità e validità delle sue idee, mediante la scelta dello strumento e dei materiali da utilizzare appropriatamente, adeguati a conferire visibilità al proprio pensiero. Quella lezione di spiccia filosofia dell’arte, mi sembra ancor più adatta per l’incisione, dove l’aspetto esecutivo è sempre dibattuto tra gli autori, in modi più peculiari ed esigenti. Alcuni, pensano che il dato tecnico sia primario, ma simile convinzione è ribaltabile: anche in possesso della tecnica più superba, chi è privo di capacità ideative non può ricavare nulla di valido. Pure nell’arte incisoria occorre tanta capacità immaginativa, quanta abilità esecutiva. Vladimiro Elvieri ha una farragine di idee e per ognuna inventa una possibilità tecnica con materiali idonei talvolta inventati e ciò lo rende un grande incisore, innovatore, valido alfiere della calcografia.
Elvieri entra ed esce, a cicli, dalla figurazione all’astrazione, come un incursore motivato da un’apparente letizia, ma con profondo impegno ideativo. Può permettersi ogni nomadismo perché sa rinnovarsi continuamente - la fantasia lo accompagna sottobraccio come benevola musa - e così deve chi è votato alla sperimentazione di nuove tecniche per derivarne immagini altre, diverse da ciò che ci si può aspettare, praticando ogni insubordinazione pur mantenendo il legame con la tradizione. Prima ancora di indagarne la poetica ci si rende conto che la qualità sorprendentemente insolita delle sue immagini deriva proprio dalla capacità d’inventare la tecnica idonea alla realizzazione del progetto, a determinate forme. Il suo entusiasmo, infatti, si accende sul “come” fare. “Cosa” rappresentare è solo una seconda fase, conseguente, ma premeditata del suo esercizio fantastico. Innanzitutto, la fantasia si rivela con l’immaginare nuove possibilità, diversi utilizzi, o procedure periferiche e tangenziali, in simbiosi con quelle innovative, ormai storiche, elaborate dai grandi stampatori. Nel campo dell’incisione, artisti inventori di propri procedimenti ce ne sono pochissimi. Elvieri, non solo ibridatore spregiudicato di tecniche omologate, è inventore d’inedite formulazioni. Conseguentemente, l’immaginazione è impegnata sia nella fase fattuale che nella formulazione dell’immagine. Giustamente, simili capacità, rendono a Vladimiro un’alta reputazione internazionale. Tanta vaghezza fantastica si traduce, poi, nelle immagini con cui può ampiamente dimostrare le priorità disegnative di cui è maestro, la qualità estetica dei pensieri e la poesia che prende forma attraverso un segno elegante, fermo, sicuro, fortemente determinato. Ognuno conosce come non sia possibile essere ottimi nell’arte incisoria senza poter disegnare ancora meglio. Vladimiro è un viaggiatore scanzonato che aderisce momentaneamente alle strutture di generi differenti, spesso contemporaneamente, mutando stile, da vero eclettico inquieto, percorrendo sentieri differenti, perfino divergenti, un nomade della cultura aperto ad ogni orizzonte. “Solo gl’intelligenti sanno essere eclettici”, diceva Cagli. Possiamo analizzare ognuna delle immagini prodotte da Elvieri sotto varie angolazioni, verificando che la stessa incisione può intendersi come una fantasia narrativa con struttura astratta, oppure un’ideazione astratta in forma narrativa. L’eclettismo artistico, del resto, è il più evidente sintomo di libertà mentale, e non credo esista alcuna forma poetica originale nata fuori dal libero pensiero. Elvieri non si preoccupa di assodare un proprio stile attraverso la ripetizione, l’interminabile reiterazione dei modi e dei temi, giacché la sua forma è insita nel segno con cui produce le forme più differenti: tale, infatti, è il vero stile. Semmai, una indagine critica - migliore della presente - dovrebbe denotare anche il carattere giocoso e spesso ironico della sua poetica. Nell’opera di Elvieri c’è un vero divertimento del fare, gioia nell’inventare, ma anche insofferenza per il limite imposto dalla tradizione. E’ un artista plurilogico: in altre parole, capace di esprimere pensieri differenti evitando ogni tentazione ripetitiva o rituale; ma il dato ottimista - sebbene talvolta con una venatura corrosiva - esprime la qualità ironica, il sarcasmo che può annidarsi tanto nel procedimento quanto nell’immagine. Se il nostro sguardo ripercorre graffi, solchi, la traccia delle linee, le acrobazie con aghi, rotelle, punte varie, sgarzini, bisturi, “zampe”, abrasioni, incroci, intagli, incisi direttamente o no sulle superfici più disparate, insomma il linguaggio espressivo straricco di Elvieri, rileviamo inevitabilmente lo spirito libertario che governa la sua immaginazione. E non è tutto quanto ci sarebbe da dire in proposito.
Renzo Margonari
Mantova, 2011
Maria Chiara Toni: fantasia esistenziale
Esistono territori dell’immagine la cui esplorazione è interdetta a coloro che non sappiano coniugare la competenza nel valutare gli aspetti tecnici con la sensibilità e l’intuizione nel considerare quelli poetici che l’immagine contiene. Molto spesso simili difficoltà si presentano soprattutto nell’ambito critico delle opere d’arte incisoria dove troppo facilmente la competenza tecnica prevale sulla capacità di discernere la qualità poetica; per contro, talvolta coloro che s’impegnano nel commentare gli esiti estetici nell’arte incisa non hanno la minima nozione dei processi che consentono all’autore il raggiungimento dei risultati che lo valorizzano. Nella calcografia si verifica con evidenza l’ovvia e basilare necessità - paradossalmente la più trasgredita dalla critica d’arte - che il commentatore debba esprimersi con piena cognizione dei processi fattivi che consentono il risultato, poiché nell’ambito incisorio - ancor più che in altre forme espressive - la problematica tecnica incide sull’esito poetico essendovi direttamente correlata, ma non pensi che le capacità meccaniche possano di per sé definire la qualità artistica. Le stampe di Maria Chiara Toni, ad esempio, non sono valutabili prescindendo dalla straordinaria qualità tecnica - spesso esercitata in ambito sperimentale - che determina la magica allusività del suo immaginario.
Mi chiedo quante volte (troppe, sospetto) la critica offra elogi e attenzione ad autori che se proponessero le stesse immagini in ambiti differenti dall’incisione non verrebbero presi in considerazione neppure per bonomia. Evidentemente l’azione tecnica contiene, secondo alcuni, un merito virtuale. Così vediamo stente naturine morte o melensi paesaggini complimentati per l’integralismo fedele ai metodi più elementari d’esecuzione come anziché d’un limite si trattasse d’un pregio, e non altrettanto vien dato a quegli artisti che oltre a offrire aspetti validamente poetici s’imbarcano, per raggiungerli, in prodigiose ricerche e sperimentazioni che estendono le facoltà espressive di quest’arte. Maria Chiara Toni, per esempio, vi riesce senza trasgredire minimamente la deontologia incisoria, né la precisa e specifica vocazione del linguaggio sicché gl’integralisti e i puritani della calcografia avrebbero ben poco da obiettare circa i suoi procedimenti che però sono avventurosi e ricchi di proposizioni atte a dimostrare la sua poetica che in buona parte ne dipende. Infatti sotto il profilo critico è stupido poter credere che si possa esprimere una personalità, inventare un mondo figurale, senza inventare del pari un linguaggio altrettanto progressivo: è ciò che i veri artisti hanno sempre fatto; non si capisce perché il medesimo principio non dovrebbe valere per chi ha scelto l’incisione per realizzare le proprie visioni. Queste considerazioni, sulle quali varrebbe forse la pena di soffermarsi, mi sembrano indispensabili per un corretto approccio al mondo visionario di Maria Chiara Toni che risulta una delle voci più interessanti nell’ambito della nuova calcografia italiana.
La fantasia di quest’artista è di un genere particolare nel quale si trovano mescolati momenti d’ironico sarcasmo, spia di una sottile belligeranza verso i disvalori della società contemporanea, ed altri disposti all’evocazione del mito e al senso naturale dell’introspezione che offre consistenza visiva al sogno e ai fantasmi dell’inconscio. Quando, come accade nelle sue opere migliori, questi aspetti si distribuiscono in parti uguali e convivono armonicamente, le immagini raggiungono un’intensità difficilmente qualificabile a parole e fortemente determinata dagli inchiostri, dalla tessitura segnica e persino dalla pressione di stampa. Una fantasia, la sua, che non si disimpegna dalla problematica esistenziale ma si confronta - come sanno le donne - con la concretezza critica, pur capace di non escludere illusione e utopia e, infine, rende un’immagine dell’uomo come un bozzolo che potrebbe contenere una crisalide, blocco solido e armonioso che trattiene una forza latente e in attesa. Dunque, non una visione pessimista seppure indubbiamente critica. Per Maria Chiara l’umanità è insieme totem e totemizzata, resa sacrale dai suoi stessi miti, santificata per aver immaginato la santità, brutale e brutalizzata per aver realizzato l’alienazione tecnologica ed elettronica. Per Maria Chiara Toni siamo vittime e aguzzini di noi, nemici della nostra intelligenza, affondiamo in desertiche gore risplendendo di alati pensieri. Ella segnala la contraddizione di una civiltà che ha raggiunto apici di sviluppo, di conoscenze scientifiche superiori, senza avere ancora individuato un obbiettivo che giustifichi l’appellativo di “umani” che ci attribuiamo. Questa umanità che continuamente si confronta con display elettronici illuminati da diafane luci verdi o azzurrine, che si guarda recitare nel video televisivo senza raccapriccio, è incapace di vedere il proprio volto in uno specchio, non sa più riconoscersi alla restituzione di un’immagine veritiera di sé. Eppure, a me pare che nelle fantastiche invenzioni della Toni non prevalga l’accorata drammaticità di queste riflessioni pur tanto evidenti, ma invece una sorta di tollerante moralismo, direi una materna disapprovazione, un rimprovero pacato, una sintesi problematica che non ha parvenze agghiaccianti, perché le sue forme sono turgide e forti, bloccate, e gli spazi vuoti delle sue composizioni sono spazi incantati e promettenti. Sui fogli neri, sovente impiegati dall’artista per imprimere le proprie incisioni, si stende un buio avvolgente, intimo, che se sottolinea la povertà e la solitudine individuale aspetta di riempirsi di presenze positive (…).
Renzo Margonari
17
marzo 2012
Vladimiro Elvieri / Maria Chiara Toni – Ai confini del segno – Incisioni
Dal 17 marzo al 14 aprile 2012
arte contemporanea
Location
GALLERIA AB/ARTE
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Orario di apertura
giovedì 15,30 - 19,30 venerdì e sabato 9,30 - 12,30 e 15,30 - 19,30
Vernissage
17 Marzo 2012, ore 18
Autore
Curatore