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Who uses the space?
Progetto del corso di Arti Visive NABA / Yang Jiechang
Comunicato stampa
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Lohkchat di Yang Jiechang
Isola Art Center ospita l’opera ‘Lohkchat, Rise and Fall’ dell’artista cinese Yang Jiechang. LOHKCHAT in Cantonese è una parolaccia. Il suo significato ed utilizzo sono comunque piuttosto comune. Di fronte ai disastri e alle catastrofi, naturali o culturali, l’ uomo è spesso impotente. Immobilizzato egli cerca le vie per affrontare la sua incapacità. L’alta tecnologia è una strada. La più primitiva e diretta è imprecare. Da questa prospettiva LOHKCHAT è molto di più di una parolaccia in Cantonese, è una forma di filosofia di vita - come crede Yang Jiechang - tipica della cultura locale Cantonese. Non è un fatalismo ma piuttosto un tipo di condiscendenza verso la condizione immutabile del ciclo della vita. Questa potrebbe
In parte spiegare la semplicità e la chiarezza della cultura locale Cantonese… L’installazione multimediale LOHKCHAT di Yang Jiechang rievoca una catastrofe causata dall’uomo. Egli interpone l’alta tecnologia (velivoli e pianta di un’ aeroporto moderno) con la sua locale filosofia di vita Cantonese. Nel video, che è una parte dell’installazione, le mani dell’artista appaiono enormi, posseggono un piccolo aereo, un giocattolo in una presa onnipotente, in qualche modo un palmo sovrannaturale. LOHKCHAT è una specie di aneddoto ironico in relazione allo sforzo dell’ uomo contro il fato e le forze al di là del controllo umano. Nel folklore Cinese questo sforzo è incarnato nella figura del re delle scimmie Sun Wukong, che voleva balzare fuori dall’onnipotente palmo del Buddha. Sono sicura, alla fine, conscio che avrebbe ancora fallito e che sarebbe bruciato sotto le Cinque Dita della Montagna, Sun Wukong potrebbe aver sussurrato qualcosa come Lohkchat (Martina Köppel, Yang 2003)
Originario di Canton, Jiechang (1956, Foshan, Cina. Vive e lavora a Parigi) appartiene, con Chen Zen e Huang Yong Ping alla prima generazione di artisti conosciuti dall’Ovest attraverso mostre come “Magiciens de la terre” curata nel 1992 da Jean Hubert Martin. Come per la maggior parte degli artisti della scena artistica di Guangzou, il lavoro di Jiechang ha una forte connotazione politica. Il pubblico italiano ha avuto occasione di scoprirlo alla Biennale di Venezia del 2003 nella sezione curata da Hou Hanru.
Who uses the space?
Progetto del corso di Arti Visive della NABA a cura di Marco Scotini
Il progetto Who uses the space? concepito per una struttura artistica alternativa come Isola Art Center vuole essere una riflessione sulle condizioni che assoggettano lo spazio, lo regolano, lo disciplinano e, allo stesso tempo, lo producono. Tra lo spazio della rappresentazione (quadro, installazione, video o altro), quello del museo e quello della città intercorre una stessa relazione ordinatrice oppure queste dimensioni di attività spaziali sono tra loro indipendenti? Quando nel 1975 Marcel Broodthaers pubblica un piccolo libro, La conquête de l’espace: Atlas à l’usage des artistes et des militaires (The Conquest of Space: Atlas for the Use of Artists and the Military) dà una risposta definitiva al problema. L’atlante è un sottile volume che contiene le mappe sagomate delle nazioni riprodotte tutte nello stesso formato, una per pagina. Broodthaers più di ogni altro ha insidiato la pretesa neutralità dell’istituzione museale facendola diventare di volta in volta - nella fiction del suo Musée d’Art Moderne - un luogo d’interdizione ai bambini (Museum enfants non admis), il display di ruoli amministrativi geometrizzati (a rectangular director), una tipologia di polizia spaziale, etc. La domanda Who uses the space? viene ora posta da un gruppo di giovani artisti alla loro prima esperienza espositiva, o quasi. Rispetto ad altre generazioni precedenti, quella attuale non si interroga più sull’essenza dell’arte ma sul suo carattere storico-culturale e funzionale. Il grado zero non è la tela bianca o “il disegno geometrico” ma la domanda radicale su “come” e “chi” produce lo spazio. E lo spazio è quello di vita contro quello dell’economia, lo spazio comune, lo spazio disegnato dalle differenze, lo spazio dell’esclusione, lo spazio di negoziazione, quello dell’integrazione e, soprattutto, quello trasformativo della migrazione. In questo senso, intervenire entro un contenitore d’azione e di auto-rappresentazione come è Isola Art Center è già una direzione operativa, una scelta di campo. Willem Sandberg diceva che in un museo si dovrebbe avere la sensazione di poter giocare a ping-pong. Oggi lo pensiamo come un luogo aperto di interazione e mobilitazione: soprattutto come uno spazio, tra gli altri, della trasformazione. Il progetto nato all’interno del corso di Arti Visive della Nuova accademia di Bella Arti di Milano (NABA) e curato da Marco Scotini coinvolge alcuni studenti dei corsi di Marcello Maloberti, Stefano Boccalini, Antonella Bruzzese (Gruppo A12), Dimitris Kozaris. Partecipano: Antonio Barletta, Malin Baumann, Marco Bongiorni, Valentina Brenna, Lisa Chiari, Tommaso Garner, Magne Ilsaas, Noga Inbar, Cristina Mariani, Alberto Montorfano, Halldor Sturluson, Vanessa Tagliabue, Lorenzo Tamai, Ian Tweedy, Lorenzo Zelaschi
Urban transformation
Out presenta nuovi materiali sulle attivita’ dell’ufficio a Milano, Citta’ del Messico, Tirana e di altre città. Sono a disposizione in modo permanente i materiali del Comitato “I Mille” sulla lotta del quartiere Isola in difesa dei suoi spazi pubblici.
Per domenica e’ prevista la messa in terra di una palma nel giardino di via Confalonieri.
Appuntamenti:
Giovedì 12 maggio ore 18.30
“Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione”:
In occasione della ristampa del volume di Simonetta Fadda "Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione", Paolo Rosa (Laboratorio di comunicazione militante; Studio azzurro), Luciano Giaccari (MuEl), Luciano Inga-Pin (galleria il Diagramma), Horatio Goni (expanded cinema) e Alberto Grifi (Anna, Parco Lambro) parleranno della loro esperienza col video negli anni Settanta. Il libro prende in esame il modo in cui il video si è affermato come mezzo artistico nel mondo, con un approccio "impegnato" e "radicale" che in parte è stato poi introiettato nel mondo dell'arte, a livello di modalità di presentazione e di forme adottate nelle opere.
In permanenza opere di: Massimo Bartolini, Tania Bruguera, Loris Cecchini, Gabriele di Matteo, Bernardo Giorgi, Maurizio Nannucci, Luca Pancrazzi, Dan Perjovschi, Marietica Potrc, vedovamazzei
Isola Art Center ospita l’opera ‘Lohkchat, Rise and Fall’ dell’artista cinese Yang Jiechang. LOHKCHAT in Cantonese è una parolaccia. Il suo significato ed utilizzo sono comunque piuttosto comune. Di fronte ai disastri e alle catastrofi, naturali o culturali, l’ uomo è spesso impotente. Immobilizzato egli cerca le vie per affrontare la sua incapacità. L’alta tecnologia è una strada. La più primitiva e diretta è imprecare. Da questa prospettiva LOHKCHAT è molto di più di una parolaccia in Cantonese, è una forma di filosofia di vita - come crede Yang Jiechang - tipica della cultura locale Cantonese. Non è un fatalismo ma piuttosto un tipo di condiscendenza verso la condizione immutabile del ciclo della vita. Questa potrebbe
In parte spiegare la semplicità e la chiarezza della cultura locale Cantonese… L’installazione multimediale LOHKCHAT di Yang Jiechang rievoca una catastrofe causata dall’uomo. Egli interpone l’alta tecnologia (velivoli e pianta di un’ aeroporto moderno) con la sua locale filosofia di vita Cantonese. Nel video, che è una parte dell’installazione, le mani dell’artista appaiono enormi, posseggono un piccolo aereo, un giocattolo in una presa onnipotente, in qualche modo un palmo sovrannaturale. LOHKCHAT è una specie di aneddoto ironico in relazione allo sforzo dell’ uomo contro il fato e le forze al di là del controllo umano. Nel folklore Cinese questo sforzo è incarnato nella figura del re delle scimmie Sun Wukong, che voleva balzare fuori dall’onnipotente palmo del Buddha. Sono sicura, alla fine, conscio che avrebbe ancora fallito e che sarebbe bruciato sotto le Cinque Dita della Montagna, Sun Wukong potrebbe aver sussurrato qualcosa come Lohkchat (Martina Köppel, Yang 2003)
Originario di Canton, Jiechang (1956, Foshan, Cina. Vive e lavora a Parigi) appartiene, con Chen Zen e Huang Yong Ping alla prima generazione di artisti conosciuti dall’Ovest attraverso mostre come “Magiciens de la terre” curata nel 1992 da Jean Hubert Martin. Come per la maggior parte degli artisti della scena artistica di Guangzou, il lavoro di Jiechang ha una forte connotazione politica. Il pubblico italiano ha avuto occasione di scoprirlo alla Biennale di Venezia del 2003 nella sezione curata da Hou Hanru.
Who uses the space?
Progetto del corso di Arti Visive della NABA a cura di Marco Scotini
Il progetto Who uses the space? concepito per una struttura artistica alternativa come Isola Art Center vuole essere una riflessione sulle condizioni che assoggettano lo spazio, lo regolano, lo disciplinano e, allo stesso tempo, lo producono. Tra lo spazio della rappresentazione (quadro, installazione, video o altro), quello del museo e quello della città intercorre una stessa relazione ordinatrice oppure queste dimensioni di attività spaziali sono tra loro indipendenti? Quando nel 1975 Marcel Broodthaers pubblica un piccolo libro, La conquête de l’espace: Atlas à l’usage des artistes et des militaires (The Conquest of Space: Atlas for the Use of Artists and the Military) dà una risposta definitiva al problema. L’atlante è un sottile volume che contiene le mappe sagomate delle nazioni riprodotte tutte nello stesso formato, una per pagina. Broodthaers più di ogni altro ha insidiato la pretesa neutralità dell’istituzione museale facendola diventare di volta in volta - nella fiction del suo Musée d’Art Moderne - un luogo d’interdizione ai bambini (Museum enfants non admis), il display di ruoli amministrativi geometrizzati (a rectangular director), una tipologia di polizia spaziale, etc. La domanda Who uses the space? viene ora posta da un gruppo di giovani artisti alla loro prima esperienza espositiva, o quasi. Rispetto ad altre generazioni precedenti, quella attuale non si interroga più sull’essenza dell’arte ma sul suo carattere storico-culturale e funzionale. Il grado zero non è la tela bianca o “il disegno geometrico” ma la domanda radicale su “come” e “chi” produce lo spazio. E lo spazio è quello di vita contro quello dell’economia, lo spazio comune, lo spazio disegnato dalle differenze, lo spazio dell’esclusione, lo spazio di negoziazione, quello dell’integrazione e, soprattutto, quello trasformativo della migrazione. In questo senso, intervenire entro un contenitore d’azione e di auto-rappresentazione come è Isola Art Center è già una direzione operativa, una scelta di campo. Willem Sandberg diceva che in un museo si dovrebbe avere la sensazione di poter giocare a ping-pong. Oggi lo pensiamo come un luogo aperto di interazione e mobilitazione: soprattutto come uno spazio, tra gli altri, della trasformazione. Il progetto nato all’interno del corso di Arti Visive della Nuova accademia di Bella Arti di Milano (NABA) e curato da Marco Scotini coinvolge alcuni studenti dei corsi di Marcello Maloberti, Stefano Boccalini, Antonella Bruzzese (Gruppo A12), Dimitris Kozaris. Partecipano: Antonio Barletta, Malin Baumann, Marco Bongiorni, Valentina Brenna, Lisa Chiari, Tommaso Garner, Magne Ilsaas, Noga Inbar, Cristina Mariani, Alberto Montorfano, Halldor Sturluson, Vanessa Tagliabue, Lorenzo Tamai, Ian Tweedy, Lorenzo Zelaschi
Urban transformation
Out presenta nuovi materiali sulle attivita’ dell’ufficio a Milano, Citta’ del Messico, Tirana e di altre città. Sono a disposizione in modo permanente i materiali del Comitato “I Mille” sulla lotta del quartiere Isola in difesa dei suoi spazi pubblici.
Per domenica e’ prevista la messa in terra di una palma nel giardino di via Confalonieri.
Appuntamenti:
Giovedì 12 maggio ore 18.30
“Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione”:
In occasione della ristampa del volume di Simonetta Fadda "Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione", Paolo Rosa (Laboratorio di comunicazione militante; Studio azzurro), Luciano Giaccari (MuEl), Luciano Inga-Pin (galleria il Diagramma), Horatio Goni (expanded cinema) e Alberto Grifi (Anna, Parco Lambro) parleranno della loro esperienza col video negli anni Settanta. Il libro prende in esame il modo in cui il video si è affermato come mezzo artistico nel mondo, con un approccio "impegnato" e "radicale" che in parte è stato poi introiettato nel mondo dell'arte, a livello di modalità di presentazione e di forme adottate nelle opere.
In permanenza opere di: Massimo Bartolini, Tania Bruguera, Loris Cecchini, Gabriele di Matteo, Bernardo Giorgi, Maurizio Nannucci, Luca Pancrazzi, Dan Perjovschi, Marietica Potrc, vedovamazzei
05
maggio 2005
Who uses the space?
Dal 05 al 22 maggio 2005
giovane arte
Location
ISOLA ART CENTER
Milano, Via Federico Confalonieri, 10, (Milano)
Milano, Via Federico Confalonieri, 10, (Milano)
Orario di apertura
ven. sab. dom. 16-20
Vernissage
5 Maggio 2005, ore 18,30
Autore
Curatore