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Women Painters From Five Continents
La mostra presenta sei pittrici provenienti da culture e luoghi sparsi nei cinque continenti, analizzando la figura dell’artista nel mondo globale e i differenti approcci estetici/tematici derivanti dalle radici culturali dei rispettivi paesi di appartenenza.
Comunicato stampa
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WOMEN PAINTERS FROM FIVE CONTINENTS
“E' studiando questo tema di DONNE PITTRICI DAI CINQUE CONTINENTI che sono arrivata a chiarire a me stessa alcuni approdi nevralgici dell’arte contemporanea globale”, dice Daniela Palazzoli, curatrice della manifestazione. “Ora, attraverso questa esposizione voluta da OSART GALLERY di MILANO di dipinti di così alto livello sia espressivo che mediatico, spero di attizzare un dialogo stringente con altri. Rispondo quindi subito alle domande più pressanti sull’argomento”. “La scelta della pittura - dice Andrea Sirio Ortolani di OSART GALLERY - deriva dalla nostra passione per questo linguaggio che richiede competenza, preparazione, passione, concentrazione, investimento di energie e di forze sia immaginative che razionali, individualmente, socialmente e culturalmente complesse. La pittura è anche diffusa globalmente, con sorprendente ed inattesa ricchezza di variabili”.
In passato molte donne artiste si sono rivelate grandi pittrici, sia pure a fasi storiche alterne dipendenti dalla possibilità o meno di sapere, vedere, viaggiare, agire e farsi conoscere, connessa con la liberalità del loro ambiente vitale. Sono state le battaglie condotte negli anni Settanta, soprattutto nelle nazioni democratiche, a creare una possibilità stabile di autodeterminazione del genere femminile, con conseguente crescita di attenzione per i loro esiti creativi positivi. Mostrare queste Women Painters from Five Continents significa quindi mostrare un tipo di artista lontana anni luce rispetto ai vecchi modi di considerare la donna, nonché a quello di praticare la pittura come semplice espressione di sé. Queste artiste, che, esclusa la pittrice aborigena, vanno dai 27 ai 40 anni, - grazie alla consuetudine col mondo delle idee, e ad una vita equamente suddivisa fra pensiero, creatività ed azioni pratiche - modellano l’unicità dei loro stili pittorici facendo dialogare le loro doti ‘femminili’ di intuizione psicologica e di conoscenza dei valori universali della vita con le nuove capacità e forze creative pragmatiche che derivano da una diretta e liberatoria consuetudine di mondo. La progressiva apertura di molte nazioni alla democrazia e al libero mercato, con la sua caduta di barriere sociali, artistiche e culturali oltre che economiche, accresce anche attenzione e consapevolezza - a livello globale - verso i risvolti a lungo termine di queste scelte. La prima è che, fra paesi, si cominciano a fare paragoni e confronti non solo materiali, ma centrati anche sui vari aspetti del buon vivere umano, culturale e sociale in cui molte donne giocano ruoli di primo piano. Grazie a questi riconoscimenti il processo di attenzione a favore dell’affermazione anche creativa delle donne si va affinando. L’importante è imparare a godere di queste offerte di combinazioni e giochi inediti tessuti fra razionale ed emotivo; funzionale, edonistico ed estetico; forte e psicologicamente sensibile, che migliora ed arricchisce la qualità umana delle nostre vite.
Ci introduciamo al tema attraverso la pittrice aborigena Ruby Williamson (1940 circa), che ci richiama alla realtà ancestrale del continente australe, e all'ingegno e alla volontà di alcune artiste che sono state capaci di superare i confini, loro imposti, che le escludevano dalla pratica pittorica. E’ da migliaia di anni che gli aborigeni comunicano in modi molteplici i loro “Sogni” (Dreamings) sulla creazione della loro terra, e sulla nascita della vita, degli esseri umani, e del codice morale che li guida da parte degli spiriti ancestrali. Nel 1971, si cominciarono ad introdurre presso alcune tribù supporti moderni e la pittura ad acrilico, che facilitarono produzione e diffusione di queste opere. Questa era un’attività solo maschile, mentre le donne erano relegate alla produzione di manufatti manuali. Intorno al 1980 esse cominciano ad emanciparsi, e a dipingere da sole opere sempre più apprezzate (al punto che oggi ottengono riconoscimenti pari e superiori a quelli dei pittori) grazie alla loro capacità di interpretare con verve e immaginazione i canoni dei simboli, e le forme astratte attraverso cui vengono raccontati visivamente sia storie e miti che i punti salienti del paesaggio e degli insediamenti, grazie ai quali esse vivono in comunione col loro villaggio.
Anche la personalità e la pittura di Rosson Crow (1982) - texana, dotata di un vasto bagaglio di studi artistici e viaggi pittorici - si nutre del rapporto con degli ambienti sociali di riferimento. Nel suo caso – come con Texas Painting (George Strait) – essa è affascinata da alcuni interni di pub, bar ed altri luoghi pubblici, divenuti ormai parte dei miti e delle leggende locali, a causa delle serate epiche a cui hanno fatto da magnete e da sfondo, e del tipo di aggregazione umana che ricordano. Qui ad esempio essa evoca un celebre musicista country George Strait, attraverso una pittura ricca di improvvisazioni e colorazioni jazzistiche, rock e country. Poiché nelle sue scenografie non compaiono persone, essa integra i suoi palcoscenici con la prepotente vitalità della sua gestualità pittorica che diventa, per i nostri sguardi, la protagonista complice di una ‘vita notturna dipinta’. Fra esplosioni e depressioni di colore, ed una intensa vitalità segnica, ci ritroviamo anche noi ad abitare la sua immaginaria casa della notte.
L’artista sud coreana Chung, Suejin (1969) è una grande osservatrice che ama raccontare possibili incontri ed incroci, più che storie lineari, di persone, eventi, situazioni, oggetti attraverso affinità ed enigmi che possiamo incontrare nel catalogo pressoché infinito del mondo delle merci, dei giochi e delle attività socializzanti del mondo moderno. Questa sua fantasia figurativamente immaginifica, da acrobatica giocoliera, è così attraente e misteriosa da tentarci di sostare lì, a bearci nell’interpretazione delle sue opere. Ma è meglio non farlo, tanto più che questi suoi quadri enciclopedici, a un livello profondo sono opere astratte, strutture tridimensionali, in cui siamo invitati ad addentrarci non solo secondo le coordinate verticali ed orizzontali della superficie, ma anche nella profondità delle tre dimensioni del quadro (e quindi anche lungo le diagonali). Dice lei: “La pittura è geometria multi-dimensionale. E il capire la pittura ha a che fare con la risonanza che si crea fra la struttura multi-dimensionale del dipingere e la struttura di coscienza di chi osserva”. Grazie alla sua generosità ed ingegnosità creative, struttura, forme, colori e incontri di storie e di frammenti ci invitano a partecipare a una partita a scacchi continua fra realtà ed astrazione.
Quella che ci propone Iva Kontic (1982) è una installazione basata su tre vedute di strade cittadine dipinte, come se le osservassimo da una finestra, stando all’interno della stanza. Chi visita la mostra si trova al centro dell’installazione composta dai tre quadri, e ‘abita’ questo ambiente con veduta-su-strada, ma scarsa visibilità all’interno, che si trova in fitta penombra. Guardo Iva con un punto interrogativo negli occhi: l’insieme è curioso, e molto ben dipinto, ma per me non è coinvolgente. “E’ Belgrado, la mia città, spiega. Ma soprattutto è la rappresentazione di un fallimento, di un incontro mancato”. Nuovo punto di domanda da parte mia, accompagnato questa volta da un confronto mentale sulle differenze fra ciò che vedo io, e ciò che vedono, lei, e altri abitanti di Belgrado. Noi, passanti del mondo globale, restiamo indifferenti. Iva Kontic che vive lontano dalla sua città natale, ha dipinto queste vedute di Belgrado con la nostalgia di chi ha negli occhi, nel naso e nelle orecchie, luci, profumi, suoni, di un mondo incantato di memorie d’infanzia. Per lei e per altri quella veduta è la partitura di una vita. Per noi, anonimi viaggiatori disincantati, essa è solo un punto su un atlante, un punto che al massimo ci interessa come punto artistico messo a fuoco dalla Kontic su una realtà agrodolce della globalizzazione. Una realtà del glocal. Affetti e memoria riconoscono a un paesaggio un'unicità, sia reale che fittizia, che nasce da una specie di identità psicologica fra un'esistenza e i luoghi in cui si svolge. Agli ‘estranei’ giramondo globali come noi restano solo due strade: capire ed accettare, oppure non viaggiare e restarsene a casa, ignorando, se gli riesce, il mondo globale che avanza. Io viaggio, e anche Iva Kontic in fondo non rinuncia a farlo.
La pittura per lei è solo uno dei tanti strumenti a disposizione. Ciò che conta sono l’urgenza e il senso di necessità a dire certe cose, che la fanno reagire al mondo costruendo opere. Altre artiste qui presenti possono condividere queste affermazioni, o meglio potrebbero… se non fosse che. Se non fosse che la pittura è oggi la scrittura visiva per eccellenza, universale, elastica, condivisibile, e leggibile sia sul piano sensibile, fisico, materico che su quello concettuale e persino installattivo.
Lo dimostrano le due artiste del nostro progetto - Hayv Kahraman e Lynette Yiadom-Boakye - il cui interesse appassionato si rivolge, più che alla casa ed allo spazio, agli esseri umani.
La biografia umana e creativa di Hayv Kahraman (1981) ci introduce a un modello di artista che si sta diffondendo fra le generazioni globali di nuovo tipo – gente cresciuta in più di un paese, che oggi dispone di formazioni educative e di contatti sociali e culturali che permettono il confronto critico fra modelli sociali, e la pratica di una grande varietà di tecniche e stili artistici a cui attingere. Kahraman è estremamente diretta nell’affrontare il tema che le sta a cuore: l’oppressione femminile e le violenze di cui sono vittime le donne di paesi come l’Iraq in cui lei è nata. Strumento fondamentale della sua strategia comunicativa è la sorpresa: ci avviciniamo ai suoi quadri quasi storditi dalla eleganza di linee e dalla bellezza delle sue donne sinuose e dai colli slanciati, per arrestarci allibiti quando ci rendiamo conto delle soperchierie a cui sono sottoposti questi poveri esseri trasformati in marionette. La sua formazione nella tecnica disegnativa con inchiostri sumi - che è anche una filosofia che mira a controbilanciare in modo dinamico le forze dell’universo - si arricchisce nel tempo di altri stimoli culturali, dalla miniatura persiana ad alcune suggestioni della raffigurazione rinascimentale (Kahraman ha studiato anche a Firenze). Anche nelle opere di grandi dimensioni essa tratta sempre le sue figure - su fondi neutri - in chiave bidimensionale a piatto. Questo le permette di eliminare ogni distrazione dal contrasto fra l’elastica bellezza di linee delle loro silhouette e le forme di oppressione che subiscono. Con lei la bellezza diventa così una nuova arma di denuncia: anche chi non vuole ascoltarla alla fine non resiste al fascino delle immagini, si avvicina e viene assalito dai contenuti. E’ in questo modo, che rende obsoleto il brutto, che lei riesce a catturare l’attenzione di chi guarda, per invitarlo ad una interpretazione e ad una riflessione attive.
Lynette Yiadom-Boakye (1977), anglo-ganese, ha esordito con dei ritratti ispirati alla grande tradizione ritrattistica europea di cui ama l’autorevolezza e la presenza simbolica. Anche i suoi personaggi sono figure forti, aggressive, agguerrite: ‘con denti forti’ come dice lei. Infatti Yiadom-Boakye li dipinge, non perchè stiano lì a farsi rimirare, ma per la loro capacità di affrontare l’altro - cioè noi -, di attirare la nostra attenzione, e di ingaggiarci in un confronto e in un dialogo di mutua interrogazione sulle nostre rispettive personalità, o anche solo su cosa vogliamo o ci aspettiamo da un ‘altro’. I suoi “ritratti” non sono persone reali, ma fittizie. La loro credibilità nasce dal fatto che sono proiezioni del suo immaginario, nutrito di sogni oltre che di suggestioni fisiche e di richiami iconografici a figure di potere come politici e ambasciatori. Gli occhi, che spesso emergono dal nero degli sfondi, più che farsi guardare, fissano inesorabili l’osservatore. Di recente Yiadom-Boakye, oltre a ritratti singoli, ha iniziato a fare dei gruppi. Il tema questa volta è quello dei Partisans, o seguaci di un capo. Per la prima volta l'opera ha un tono narrativo: i protagonisti del dipinto non sono più statici, ma colti in un'azione che ha risvolti fra il misterioso e l'ironico. I ʻseguaciʼ sembrano risvegliati d'improvviso dal sonno - hanno ancora addosso le loro calze da notte e si proteggono dal freddo avvolti nelle lenzuola. Essi seguono straniti una figura carismatica femminile (simile a Lynette stessa) che li guida come fosse calamitata dal bastone che regge in mano. L'idea di potere, che nelle opere precedenti veniva affidata a dei testimonials ufficiali, qui trasmigra decisamente in una guida al femminile. Proprio perchè il senso della sua arte è più concettuale che figurativo, per lei la pittura non è un optional. E' una forma di scrittura determinante: riesce a visualizzare l’inesistente e a nutrire di presenza fisica e materica le sue figure.
Chi visita la mostra si trova al centro di uno spazio che è l’esatto opposto di una quadreria o di una sala espositiva normale. Le opere ci appaiono - non appese al muro per la contemplazione - ma protese verso di noi, intente a coinvolgerci, a chiedere il nostro parere, a provocare attenzione, domande e contraddittori. Anche se queste artiste per età e cultura appartengono a un mondo che sembra avere superato il clima delle battaglie femministe radicali, lo stesso impegno e sensibilità umana con cui esse fanno delle scelte nelle impostazioni della vita quotidiana e nei temi per cui battersi, le porta a considerare il dipingere un’attività comunicativa forte ed impegnata. Talento, forza creativa, capacità di convincere, intrattenere, sedurre - con uno scopo - trasformano lo spazio espositivo in un’arena in cui, attraverso la bellezza, esse ci ingaggiano su argomenti come la sensibilità verso l’ambiente, la percezione di ciò che si può chiamare ‘casa’ nel mondo globale, i rapporti fra i generi, quelli fra le razze e fra i sessi, e che cosa alla fine fa di un individuo una persona distinta da ogni altra, capace di stare anche con gli altri. Queste artiste non si conoscono, non fanno parte di un gruppo e provengono da culture e luoghi sparsi nei cinque continenti. Ognuna ha stile e personalità creativi autonomi. Alcune affinità di discorso che ritroviamo in questo percorso seminale ci rassicurano: sono la promessa di una possibilità di intesa, di dialogo a livello globale in cui l’energia creativa dell’arte riesce ad avere un ruolo forte e persuasivo.
Daniela Palazzoli
Daniela Palazzoli si è laureata in Storia dell'Arte presso l'Università Statale di Milano con una tesi sul ruolo degli artisti nella Scuola del Bauhaus. Ha iniziato la sua carriera accademica insegnando alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e alla Rutgers University, New Jersey State University. In seguito presso l'Accademia di Brera di Milano – Accademia che ha anche diretto – ha avviato e tenuto un corso che studiava le relazioni tra arte, mass media e cultura dei nuovi media.
Critico d'arte e curatore di fama internazionale, dagli anni '70 al 2000 Daniela Palazzoli ha curato molte esposizioni museali, libri ed eventi dedicati all'arte, alla fotografia, al video e al libro d'artista come mezzo espressivo (ATAC - Amici Torinesi dell'Arte Contemporanea - ha da poco pubblicato un volume su alcune di queste attività).
Dopo il 2000 si è anche occupata dell'esplorazione dell'arte contemporanea nei Paesi emergenti con esposizioni museali e libri come China Art Now, 2004/5 e India Art Now, 2007.
“E' studiando questo tema di DONNE PITTRICI DAI CINQUE CONTINENTI che sono arrivata a chiarire a me stessa alcuni approdi nevralgici dell’arte contemporanea globale”, dice Daniela Palazzoli, curatrice della manifestazione. “Ora, attraverso questa esposizione voluta da OSART GALLERY di MILANO di dipinti di così alto livello sia espressivo che mediatico, spero di attizzare un dialogo stringente con altri. Rispondo quindi subito alle domande più pressanti sull’argomento”. “La scelta della pittura - dice Andrea Sirio Ortolani di OSART GALLERY - deriva dalla nostra passione per questo linguaggio che richiede competenza, preparazione, passione, concentrazione, investimento di energie e di forze sia immaginative che razionali, individualmente, socialmente e culturalmente complesse. La pittura è anche diffusa globalmente, con sorprendente ed inattesa ricchezza di variabili”.
In passato molte donne artiste si sono rivelate grandi pittrici, sia pure a fasi storiche alterne dipendenti dalla possibilità o meno di sapere, vedere, viaggiare, agire e farsi conoscere, connessa con la liberalità del loro ambiente vitale. Sono state le battaglie condotte negli anni Settanta, soprattutto nelle nazioni democratiche, a creare una possibilità stabile di autodeterminazione del genere femminile, con conseguente crescita di attenzione per i loro esiti creativi positivi. Mostrare queste Women Painters from Five Continents significa quindi mostrare un tipo di artista lontana anni luce rispetto ai vecchi modi di considerare la donna, nonché a quello di praticare la pittura come semplice espressione di sé. Queste artiste, che, esclusa la pittrice aborigena, vanno dai 27 ai 40 anni, - grazie alla consuetudine col mondo delle idee, e ad una vita equamente suddivisa fra pensiero, creatività ed azioni pratiche - modellano l’unicità dei loro stili pittorici facendo dialogare le loro doti ‘femminili’ di intuizione psicologica e di conoscenza dei valori universali della vita con le nuove capacità e forze creative pragmatiche che derivano da una diretta e liberatoria consuetudine di mondo. La progressiva apertura di molte nazioni alla democrazia e al libero mercato, con la sua caduta di barriere sociali, artistiche e culturali oltre che economiche, accresce anche attenzione e consapevolezza - a livello globale - verso i risvolti a lungo termine di queste scelte. La prima è che, fra paesi, si cominciano a fare paragoni e confronti non solo materiali, ma centrati anche sui vari aspetti del buon vivere umano, culturale e sociale in cui molte donne giocano ruoli di primo piano. Grazie a questi riconoscimenti il processo di attenzione a favore dell’affermazione anche creativa delle donne si va affinando. L’importante è imparare a godere di queste offerte di combinazioni e giochi inediti tessuti fra razionale ed emotivo; funzionale, edonistico ed estetico; forte e psicologicamente sensibile, che migliora ed arricchisce la qualità umana delle nostre vite.
Ci introduciamo al tema attraverso la pittrice aborigena Ruby Williamson (1940 circa), che ci richiama alla realtà ancestrale del continente australe, e all'ingegno e alla volontà di alcune artiste che sono state capaci di superare i confini, loro imposti, che le escludevano dalla pratica pittorica. E’ da migliaia di anni che gli aborigeni comunicano in modi molteplici i loro “Sogni” (Dreamings) sulla creazione della loro terra, e sulla nascita della vita, degli esseri umani, e del codice morale che li guida da parte degli spiriti ancestrali. Nel 1971, si cominciarono ad introdurre presso alcune tribù supporti moderni e la pittura ad acrilico, che facilitarono produzione e diffusione di queste opere. Questa era un’attività solo maschile, mentre le donne erano relegate alla produzione di manufatti manuali. Intorno al 1980 esse cominciano ad emanciparsi, e a dipingere da sole opere sempre più apprezzate (al punto che oggi ottengono riconoscimenti pari e superiori a quelli dei pittori) grazie alla loro capacità di interpretare con verve e immaginazione i canoni dei simboli, e le forme astratte attraverso cui vengono raccontati visivamente sia storie e miti che i punti salienti del paesaggio e degli insediamenti, grazie ai quali esse vivono in comunione col loro villaggio.
Anche la personalità e la pittura di Rosson Crow (1982) - texana, dotata di un vasto bagaglio di studi artistici e viaggi pittorici - si nutre del rapporto con degli ambienti sociali di riferimento. Nel suo caso – come con Texas Painting (George Strait) – essa è affascinata da alcuni interni di pub, bar ed altri luoghi pubblici, divenuti ormai parte dei miti e delle leggende locali, a causa delle serate epiche a cui hanno fatto da magnete e da sfondo, e del tipo di aggregazione umana che ricordano. Qui ad esempio essa evoca un celebre musicista country George Strait, attraverso una pittura ricca di improvvisazioni e colorazioni jazzistiche, rock e country. Poiché nelle sue scenografie non compaiono persone, essa integra i suoi palcoscenici con la prepotente vitalità della sua gestualità pittorica che diventa, per i nostri sguardi, la protagonista complice di una ‘vita notturna dipinta’. Fra esplosioni e depressioni di colore, ed una intensa vitalità segnica, ci ritroviamo anche noi ad abitare la sua immaginaria casa della notte.
L’artista sud coreana Chung, Suejin (1969) è una grande osservatrice che ama raccontare possibili incontri ed incroci, più che storie lineari, di persone, eventi, situazioni, oggetti attraverso affinità ed enigmi che possiamo incontrare nel catalogo pressoché infinito del mondo delle merci, dei giochi e delle attività socializzanti del mondo moderno. Questa sua fantasia figurativamente immaginifica, da acrobatica giocoliera, è così attraente e misteriosa da tentarci di sostare lì, a bearci nell’interpretazione delle sue opere. Ma è meglio non farlo, tanto più che questi suoi quadri enciclopedici, a un livello profondo sono opere astratte, strutture tridimensionali, in cui siamo invitati ad addentrarci non solo secondo le coordinate verticali ed orizzontali della superficie, ma anche nella profondità delle tre dimensioni del quadro (e quindi anche lungo le diagonali). Dice lei: “La pittura è geometria multi-dimensionale. E il capire la pittura ha a che fare con la risonanza che si crea fra la struttura multi-dimensionale del dipingere e la struttura di coscienza di chi osserva”. Grazie alla sua generosità ed ingegnosità creative, struttura, forme, colori e incontri di storie e di frammenti ci invitano a partecipare a una partita a scacchi continua fra realtà ed astrazione.
Quella che ci propone Iva Kontic (1982) è una installazione basata su tre vedute di strade cittadine dipinte, come se le osservassimo da una finestra, stando all’interno della stanza. Chi visita la mostra si trova al centro dell’installazione composta dai tre quadri, e ‘abita’ questo ambiente con veduta-su-strada, ma scarsa visibilità all’interno, che si trova in fitta penombra. Guardo Iva con un punto interrogativo negli occhi: l’insieme è curioso, e molto ben dipinto, ma per me non è coinvolgente. “E’ Belgrado, la mia città, spiega. Ma soprattutto è la rappresentazione di un fallimento, di un incontro mancato”. Nuovo punto di domanda da parte mia, accompagnato questa volta da un confronto mentale sulle differenze fra ciò che vedo io, e ciò che vedono, lei, e altri abitanti di Belgrado. Noi, passanti del mondo globale, restiamo indifferenti. Iva Kontic che vive lontano dalla sua città natale, ha dipinto queste vedute di Belgrado con la nostalgia di chi ha negli occhi, nel naso e nelle orecchie, luci, profumi, suoni, di un mondo incantato di memorie d’infanzia. Per lei e per altri quella veduta è la partitura di una vita. Per noi, anonimi viaggiatori disincantati, essa è solo un punto su un atlante, un punto che al massimo ci interessa come punto artistico messo a fuoco dalla Kontic su una realtà agrodolce della globalizzazione. Una realtà del glocal. Affetti e memoria riconoscono a un paesaggio un'unicità, sia reale che fittizia, che nasce da una specie di identità psicologica fra un'esistenza e i luoghi in cui si svolge. Agli ‘estranei’ giramondo globali come noi restano solo due strade: capire ed accettare, oppure non viaggiare e restarsene a casa, ignorando, se gli riesce, il mondo globale che avanza. Io viaggio, e anche Iva Kontic in fondo non rinuncia a farlo.
La pittura per lei è solo uno dei tanti strumenti a disposizione. Ciò che conta sono l’urgenza e il senso di necessità a dire certe cose, che la fanno reagire al mondo costruendo opere. Altre artiste qui presenti possono condividere queste affermazioni, o meglio potrebbero… se non fosse che. Se non fosse che la pittura è oggi la scrittura visiva per eccellenza, universale, elastica, condivisibile, e leggibile sia sul piano sensibile, fisico, materico che su quello concettuale e persino installattivo.
Lo dimostrano le due artiste del nostro progetto - Hayv Kahraman e Lynette Yiadom-Boakye - il cui interesse appassionato si rivolge, più che alla casa ed allo spazio, agli esseri umani.
La biografia umana e creativa di Hayv Kahraman (1981) ci introduce a un modello di artista che si sta diffondendo fra le generazioni globali di nuovo tipo – gente cresciuta in più di un paese, che oggi dispone di formazioni educative e di contatti sociali e culturali che permettono il confronto critico fra modelli sociali, e la pratica di una grande varietà di tecniche e stili artistici a cui attingere. Kahraman è estremamente diretta nell’affrontare il tema che le sta a cuore: l’oppressione femminile e le violenze di cui sono vittime le donne di paesi come l’Iraq in cui lei è nata. Strumento fondamentale della sua strategia comunicativa è la sorpresa: ci avviciniamo ai suoi quadri quasi storditi dalla eleganza di linee e dalla bellezza delle sue donne sinuose e dai colli slanciati, per arrestarci allibiti quando ci rendiamo conto delle soperchierie a cui sono sottoposti questi poveri esseri trasformati in marionette. La sua formazione nella tecnica disegnativa con inchiostri sumi - che è anche una filosofia che mira a controbilanciare in modo dinamico le forze dell’universo - si arricchisce nel tempo di altri stimoli culturali, dalla miniatura persiana ad alcune suggestioni della raffigurazione rinascimentale (Kahraman ha studiato anche a Firenze). Anche nelle opere di grandi dimensioni essa tratta sempre le sue figure - su fondi neutri - in chiave bidimensionale a piatto. Questo le permette di eliminare ogni distrazione dal contrasto fra l’elastica bellezza di linee delle loro silhouette e le forme di oppressione che subiscono. Con lei la bellezza diventa così una nuova arma di denuncia: anche chi non vuole ascoltarla alla fine non resiste al fascino delle immagini, si avvicina e viene assalito dai contenuti. E’ in questo modo, che rende obsoleto il brutto, che lei riesce a catturare l’attenzione di chi guarda, per invitarlo ad una interpretazione e ad una riflessione attive.
Lynette Yiadom-Boakye (1977), anglo-ganese, ha esordito con dei ritratti ispirati alla grande tradizione ritrattistica europea di cui ama l’autorevolezza e la presenza simbolica. Anche i suoi personaggi sono figure forti, aggressive, agguerrite: ‘con denti forti’ come dice lei. Infatti Yiadom-Boakye li dipinge, non perchè stiano lì a farsi rimirare, ma per la loro capacità di affrontare l’altro - cioè noi -, di attirare la nostra attenzione, e di ingaggiarci in un confronto e in un dialogo di mutua interrogazione sulle nostre rispettive personalità, o anche solo su cosa vogliamo o ci aspettiamo da un ‘altro’. I suoi “ritratti” non sono persone reali, ma fittizie. La loro credibilità nasce dal fatto che sono proiezioni del suo immaginario, nutrito di sogni oltre che di suggestioni fisiche e di richiami iconografici a figure di potere come politici e ambasciatori. Gli occhi, che spesso emergono dal nero degli sfondi, più che farsi guardare, fissano inesorabili l’osservatore. Di recente Yiadom-Boakye, oltre a ritratti singoli, ha iniziato a fare dei gruppi. Il tema questa volta è quello dei Partisans, o seguaci di un capo. Per la prima volta l'opera ha un tono narrativo: i protagonisti del dipinto non sono più statici, ma colti in un'azione che ha risvolti fra il misterioso e l'ironico. I ʻseguaciʼ sembrano risvegliati d'improvviso dal sonno - hanno ancora addosso le loro calze da notte e si proteggono dal freddo avvolti nelle lenzuola. Essi seguono straniti una figura carismatica femminile (simile a Lynette stessa) che li guida come fosse calamitata dal bastone che regge in mano. L'idea di potere, che nelle opere precedenti veniva affidata a dei testimonials ufficiali, qui trasmigra decisamente in una guida al femminile. Proprio perchè il senso della sua arte è più concettuale che figurativo, per lei la pittura non è un optional. E' una forma di scrittura determinante: riesce a visualizzare l’inesistente e a nutrire di presenza fisica e materica le sue figure.
Chi visita la mostra si trova al centro di uno spazio che è l’esatto opposto di una quadreria o di una sala espositiva normale. Le opere ci appaiono - non appese al muro per la contemplazione - ma protese verso di noi, intente a coinvolgerci, a chiedere il nostro parere, a provocare attenzione, domande e contraddittori. Anche se queste artiste per età e cultura appartengono a un mondo che sembra avere superato il clima delle battaglie femministe radicali, lo stesso impegno e sensibilità umana con cui esse fanno delle scelte nelle impostazioni della vita quotidiana e nei temi per cui battersi, le porta a considerare il dipingere un’attività comunicativa forte ed impegnata. Talento, forza creativa, capacità di convincere, intrattenere, sedurre - con uno scopo - trasformano lo spazio espositivo in un’arena in cui, attraverso la bellezza, esse ci ingaggiano su argomenti come la sensibilità verso l’ambiente, la percezione di ciò che si può chiamare ‘casa’ nel mondo globale, i rapporti fra i generi, quelli fra le razze e fra i sessi, e che cosa alla fine fa di un individuo una persona distinta da ogni altra, capace di stare anche con gli altri. Queste artiste non si conoscono, non fanno parte di un gruppo e provengono da culture e luoghi sparsi nei cinque continenti. Ognuna ha stile e personalità creativi autonomi. Alcune affinità di discorso che ritroviamo in questo percorso seminale ci rassicurano: sono la promessa di una possibilità di intesa, di dialogo a livello globale in cui l’energia creativa dell’arte riesce ad avere un ruolo forte e persuasivo.
Daniela Palazzoli
Daniela Palazzoli si è laureata in Storia dell'Arte presso l'Università Statale di Milano con una tesi sul ruolo degli artisti nella Scuola del Bauhaus. Ha iniziato la sua carriera accademica insegnando alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e alla Rutgers University, New Jersey State University. In seguito presso l'Accademia di Brera di Milano – Accademia che ha anche diretto – ha avviato e tenuto un corso che studiava le relazioni tra arte, mass media e cultura dei nuovi media.
Critico d'arte e curatore di fama internazionale, dagli anni '70 al 2000 Daniela Palazzoli ha curato molte esposizioni museali, libri ed eventi dedicati all'arte, alla fotografia, al video e al libro d'artista come mezzo espressivo (ATAC - Amici Torinesi dell'Arte Contemporanea - ha da poco pubblicato un volume su alcune di queste attività).
Dopo il 2000 si è anche occupata dell'esplorazione dell'arte contemporanea nei Paesi emergenti con esposizioni museali e libri come China Art Now, 2004/5 e India Art Now, 2007.
26
gennaio 2010
Women Painters From Five Continents
Dal 26 gennaio al 26 marzo 2010
arte contemporanea
Location
OSART GALLERY
Milano, Corso Plebisciti, 12, (Milano)
Milano, Corso Plebisciti, 12, (Milano)
Orario di apertura
Da Lunedì a Venerdì ore 14:30 - 19:00.
Sabato, Domenica e mattine su appuntamento
Vernissage
26 Gennaio 2010, ore 19:00 - 21:00
Autore
Curatore