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Yari Sacco – La spiritualità il tempo la vita la morte
Yari Sacco usa un tono leggero per condurci verso temi più profondi attraverso diverse coppie di fotografie.
Comunicato stampa
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Due immagini programmatiche ci introducono alla mostra fotografica: un manifesto a parete con al centro un grande smile avverte l’osservatore della possibilità che possa essere manipolato e gli suggerisce l’atteggiamento giusto davanti a ciò: il sorriso, l’ironia. L’altra rappresenta una porta bianca con sovraimpressa un’effigie d’uomo stilizzato: un chiaro invito ad entrare dentro la mostra.
Yari Sacco usa un tono leggero per condurci verso temi più profondi attraverso diverse coppie di fotografie. La spiritualità, il tempo, la vita e la morte, la presenza e l’assenza, la solitudine e la piccolezza dell’uomo emergono da immagini forti e intense che mostrano, attraverso toni spesso rosati o leggermente dorati, ma anche con poetici bianchi neri e grigi, una parte dell’infinito reticolato che avvolge il mondo in cui viviamo.
Ecco allora le grandi radici di un albero, chiaro simbolo di vita, salgono verso un tronco che ingloba la testa scolpita di un idolo, forse un buddha, come a significare il forte legame tra l’aspetto terreno della natura e la rarefatta spiritualità divina. O ancora l’immagine di un bambino nell’atteggiamento di una statua, sdraiato su un elemento inorganico come i sassi con un braccio proteso in aria in modo fortemente innaturale, accostata a quella di una statua nell’ atteggiamento di una persona viva che osserva in posizione accovacciata, inserita in un ambiente organico per eccellenza, un prato d’erba. E’ un accoppiamento che suggerisce il flusso della vita dall’organico all’inorganico, dall’uomo alla pietra. Tutto è vita o tutto è morte. Fino ad arrivare alla presenza negata o all’assenza che rimanda a una presenza che non è più: è l’immagine in bianco e nero di un ex macello, inesorabilmente segnata dalle quattro diagonali che convergono verso un cancello rosso inevitabilmente chiuso, invalicabile; è un’immagine estremamente forte che suggerisce attraverso un intreccio di linee orizzontali e verticali anche l’idea della prigione o di un ambiente che non dà possibilità di scampo. Come è intensa e dolorosa la composizione delle due panchine una di fronte all’altra, apparentemente senza un motivo. E’ un simulacro del tempo, come un fotogramma astratto e estratto dal flusso degli eventi. Nello stesso momento è una vivificazione di due oggetti che aspettano degli ospiti.
Infine le ultime foto vogliono essere evidentemente una ferma presa di posizione: l’uomo è nel mondo, ne subisce l’influenza e riesce a cambiarlo. Ma lo deve fare con rispetto, in silenzio e discrezione: è la serena imperturbabilità di un chiostro buddista inondato dalla luce; sono tre barche sulla riva di un mare piatto oppresso da un cielo plumbeo che aspettano chi le conduca al largo. Il giovane artista chiude la mostra con tre immagini che sono chiaramente un monito per l’uomo: la prima mostra lo scempio dell’impatto umano sull’ambiente attraverso uno scorcio di un quartiere urbano degradato; poi due blocchi di roccia così vicini che sembrano voler stritolare l’uomo appena visibile che ne percorre lo spazio intermedio, come a significare che la natura è pronta a ribellarsi; infine un paesaggio marino che nei toni caldi della sabbia rosa, nei riflessi luminosi del sole sul mare e sui monti sullo sfondo e soprattutto nell’assenza dell’uomo, è un simbolo incorruttibile della vita nella sua forma più pura.
Yari Sacco usa un tono leggero per condurci verso temi più profondi attraverso diverse coppie di fotografie. La spiritualità, il tempo, la vita e la morte, la presenza e l’assenza, la solitudine e la piccolezza dell’uomo emergono da immagini forti e intense che mostrano, attraverso toni spesso rosati o leggermente dorati, ma anche con poetici bianchi neri e grigi, una parte dell’infinito reticolato che avvolge il mondo in cui viviamo.
Ecco allora le grandi radici di un albero, chiaro simbolo di vita, salgono verso un tronco che ingloba la testa scolpita di un idolo, forse un buddha, come a significare il forte legame tra l’aspetto terreno della natura e la rarefatta spiritualità divina. O ancora l’immagine di un bambino nell’atteggiamento di una statua, sdraiato su un elemento inorganico come i sassi con un braccio proteso in aria in modo fortemente innaturale, accostata a quella di una statua nell’ atteggiamento di una persona viva che osserva in posizione accovacciata, inserita in un ambiente organico per eccellenza, un prato d’erba. E’ un accoppiamento che suggerisce il flusso della vita dall’organico all’inorganico, dall’uomo alla pietra. Tutto è vita o tutto è morte. Fino ad arrivare alla presenza negata o all’assenza che rimanda a una presenza che non è più: è l’immagine in bianco e nero di un ex macello, inesorabilmente segnata dalle quattro diagonali che convergono verso un cancello rosso inevitabilmente chiuso, invalicabile; è un’immagine estremamente forte che suggerisce attraverso un intreccio di linee orizzontali e verticali anche l’idea della prigione o di un ambiente che non dà possibilità di scampo. Come è intensa e dolorosa la composizione delle due panchine una di fronte all’altra, apparentemente senza un motivo. E’ un simulacro del tempo, come un fotogramma astratto e estratto dal flusso degli eventi. Nello stesso momento è una vivificazione di due oggetti che aspettano degli ospiti.
Infine le ultime foto vogliono essere evidentemente una ferma presa di posizione: l’uomo è nel mondo, ne subisce l’influenza e riesce a cambiarlo. Ma lo deve fare con rispetto, in silenzio e discrezione: è la serena imperturbabilità di un chiostro buddista inondato dalla luce; sono tre barche sulla riva di un mare piatto oppresso da un cielo plumbeo che aspettano chi le conduca al largo. Il giovane artista chiude la mostra con tre immagini che sono chiaramente un monito per l’uomo: la prima mostra lo scempio dell’impatto umano sull’ambiente attraverso uno scorcio di un quartiere urbano degradato; poi due blocchi di roccia così vicini che sembrano voler stritolare l’uomo appena visibile che ne percorre lo spazio intermedio, come a significare che la natura è pronta a ribellarsi; infine un paesaggio marino che nei toni caldi della sabbia rosa, nei riflessi luminosi del sole sul mare e sui monti sullo sfondo e soprattutto nell’assenza dell’uomo, è un simbolo incorruttibile della vita nella sua forma più pura.
08
maggio 2010
Yari Sacco – La spiritualità il tempo la vita la morte
Dall'otto maggio all'otto giugno 2010
fotografia
Location
FLORENCE ARTE
Firenze, Via Luigi Gordigiani, 56/a, (Firenze)
Firenze, Via Luigi Gordigiani, 56/a, (Firenze)
Vernissage
8 Maggio 2010, ore 17.30
Autore