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You are what you are
9 artisti emergenti indagano il tema delle trasformazioni ambientali irreversibili causate dall’azione dall’uomo. La collettiva facalizza la rappresentazione della storia, delle origini e delle esperienze soggettive, attraverso materiali naturali
Comunicato stampa
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La Galleria Mario Iannelli è lieta di presentare “You Are What You Are”, una mostra collettiva di nove giovani artisti emergenti, le cui opere affrontano il tema della natura come materiale della nostra esistenza, servendosi di molteplici approcci artistici ed esaminando le complesse interazioni reciproche tra natura e uomini. In questo contesto, ad esempio, il tema delle trasformazioni ambientali irreversibili causate dall’azione dall’uomo svolge un ruolo altrettanto importante quanto la rappresentazione della storia, delle origini e delle esperienze soggettive, esposta attraverso materiali naturali. Nella mostra, vengono resi visibili processi naturali, quali crescita, sovrapposizione e stratificazione così come tracce di luce; facendoci riflettere sul nostro passato, sulla nostra civilizzazione e sul nostro futuro, chiedendosi come il mondo di domani comprenderà quello di oggi. Sarà possibile in un lontano futuro capire il nostro stato attuale sulla base degli oggetti che si saranno conservati nel tempo, così come noi cerchiamo di fare con la preistoria dell’umanità sulla base dei reperti archeologici e geologici? Cos’è ciò che ci rende quello che siamo e in cosa differiamo dalla natura? Alla fine resta l’interrogativo di che cosa sarà di noi – e della natura.
Julius von Bismarck
L’opera di Julius von Bismarck ruota attorno al tema centrale della percezione di natura e ambiente da parte dell’uomo. Con interventi, che inizialmente passano spesso inosservati, l’artista affronta la contrapposizione tra cultura e natura in relazione al notevole impatto che l’agire umano ha sull’ambiente che ci circonda e su come ciò influenza la percezione della natura in generale. La video-installazione “Forest Apparatus“ mostra l’artista che, con l’aiuto di diversi assistenti, trasporta pezzi di una scultura in un bosco, dove li monta e, servendosi anche di una betoniera, posiziona la statua finita. La scultura è composta di alluminio, schiuma per montaggio e pitture e si rivela alla fine una riproduzione fedele di una betulla. Dopo essere stata posizionata all’interno del bosco di betulle è praticamente indistinguibile da una betulla vera. Però, sapendo che si tratta di una betulla artificiale, è la nostra percezione complessiva del bosco a cambiare radicalmente: una volta che iniziamo a cercare la scultura di una betulla, tutti gli alberi iniziano ad apparirci ambigui e ci spingono a verificare con scetticismo se siano falsi o veri.
Jan Bünnig
Le opere dello scultore Jan Bünnig contemplano in maniera arguta e ironica sia il processo di creazione artistica che le proprietà tradizionalmente attribuite ai vari materiali che in questo processo vengono utilizzati e quelle poi che effettivamente li caratterizzano. Spesso le sue sculture sono legate a un luogo specifico e il loro stato materiale si modifica nel corso della mostra, evocando associazioni d’idee con i concetti di crescita, di provvisorietà e di incontrollabilità. L’artista utilizza perlopiù materiali originali, quali legno, argilla, pietra e sabbia, creando forme che si contrappongono alle loro caratteristiche intrinseche. Le opere esposte mettono in scena un passato che si rivela una mera affermazione dell’artista: i cosiddetti oggetti preistorici, con titoli come “Toilette Brush”, “Early Broom” e “Szepter“ hanno l’aspetto di reperti archeologici di oggetti di uso quotidiano nell’età della pietra che però si rivelano inutili per la loro possibile funzione e commentano in maniera ironica le conquiste dell’età moderna.
Julian Charrière
Imitando, ripetendo e rappresentando in maniera esagerata le influenze umane sull’ambiente sotto forma di sculture, interventi e opere video, l’artista Julian Charrière con le sue opere pratica una sorta di “Archeologia del Presente”. Ispirato alle collezioni dei musei di storia naturale, egli mette in scena la sua opera „Metamorphism“come una mostra scientifica, ma gli oggetti esposti si rivelano non reperti geologici quanto oggetti provenienti dal futuro: dentro una vetrina posta su un piedistallo si trova una massa che ricorda un campione geologico. Guardandola più attentamente, si capisce che si tratta di un blocco costituito da magma e da svariati materiali tecnici fusi insieme e poi lavorati; seppure in maniera frammentaria, è possibile riconoscere dettagli di smartphone, dischi fissi, PC portatili e tablet. Con questo lavoro Charrière rimanda alla capacità della natura di rendere visibile il passato storico mediante strati geologici e contrappone questa forma preistorica di archivio alle nostre forme di archiviazione contemporanee. Adattando l’aspetto dei supporti dati elettronici agli strati di roccia geologici, egli sviluppa “l’immagine artificiale di un passato di dopodomani, nel quale le tracce della nostra civilizzazione sono incorporate in formazioni rocciose”.
Paula Doepfner
Per le sue opere, Paula Doepfner si serve di materiali tra di loro opposti, quali vetro blindato e fiori pressati, ghiaccio che si scioglie e testi scritti a mano su carta. Partendo dal mezzo del disegno, l’artista affronta i temi della validità generale e dell’esistenza effimera delle emozioni soggettive e della loro influenza sulla nostra consapevolezza e sul nostro ambiente. Dopo averli riportati in caratteri piccolissimi, Doepfner incorpora testi di neuroscienze, filosofia e poesia nelle sue opere, formando, assieme alle piante compresse, fragili forme che ricordano anch’esse sistemi nervosi e flussi di pensiero. L’opera effimera “Stasera” è costituita da un blocco di ghiaccio nel quale sono contenuti petali e testi scritti su fogli. Nel corso della mostra, il ghiaccio si scioglie liberando i materiali al suo interno. Allo stesso modo in cui è impossibile trasmettere o ripetere un’esperienza soggettiva, la scultura non è più ricostruibile. L’opera “But I wish there was something you would do or say to try and make me change my mind and stay” mostra una forma organica costituita da petali, terra e pigmenti che rimanda similmente alla fragilità e alla fugacità degli attimi e dei pensieri.
Mariana Hahn
Nelle sue opere, Mariana Hahn esplora il tema del destino universale che, indipendentemente dal vissuto individuale di ciascuno – viene iscritto nei nostri corpi e nell’ambiente. Mediante svariati mezzi espressivi, quali performance, disegno, video e fotografia, l’artista risveglia in noi domande imprecisate sul nostro passato, sulle storie e sui ricordi che hanno fatto di noi quello che siamo diventati. Nei lavori esposti si serve del mare come archivio: ad esempio le forme circolari si basano sull’aspetto di fossili di organismi unicellulari dell’Eocene, i cosiddetti nummuliti, che hanno dato origine allo sviluppo della flora e fauna attuali e che dunque possono essere visti come un archivio originario. La struttura del vestito di seta ricorda le interiora di pesce essiccate come vengono esposte nei mercati dell’Asia e rappresenta, nelle intenzioni dell’artista, l’essere umano formato dall’evoluzione, che ha assunto nel proprio corpo la sua storia e il suo sviluppo. Insieme al ventre di pesce fissato al vestito, che richiama il mare, l’abito diventa di nuovo un corpo universale, che, come il mare, funge da archivio del sapere e dà luogo a nuova vita.
Peter Miller
Spinto dall’idea di rendere visibile l’invisibile, Peter Miller si è specializzato nella sperimentazione di processo di esposizione delle pellicole fotografiche. Partendo dalla fotografia come mezzo espressivo, egli si dedica alla visualizzazione delle tracce lasciate – anche se solo per una frazione di secondo – da oggetti ed esseri viventi. Dopo aver abbandonato il processo classico della fotografia, egli ne allarga la potenzialità come mezzo espressivo, la mette in discussione e crea uno spettro di interpretazione riguardo a che cosa la fotografia sia realmente e che cosa possa diventare. Il punto centrale è costituito dalla performatività dell’immagine secondo la sua natura di processo e l’atto (magico) del suo realizzarsi. Rendendone visibili le impronte ottiche, egli spesso crea “autoritratti” di oggetti e fenomeni: il lavoro “Raisin blanc/Raisin noir” è costituito da un solo fotogramma e mostra l’immagine al negativo rispettivamente di chicchi d’uva neri e bianchi che sembrano l’immagine positiva del relativo opposto. L’immagine di grandi dimensioni “On a Sunny Day” mostra invece le tracce della pioggia su carta fotografica ad alta sensibilità – impronte pittoriche di un fenomeno quotidiano.
Tyra Tingleff
Le pitture a olio astratte di Tyra Tingleff sono formate dalla sovrapposizione di numerosi strati uno sull’altro e con le loro complesse sovrapposizioni ricordano materiali organici viventi, sedimentazioni di materiali lapidei e superfici di acque. Partendo da storie nascoste, l’artista ricopre continuamente i propri dipinti con nuovi strati di pittura fino a formare una superficie misteriosa, che nasconde più di quanto non mostri. Benché queste storie costituiscano il punto di partenza delle sue opere, lo scopo di Tyra Tingleff non è di offrire all’osservatore una narrazione coerente: i suoi dipinti iniziano invece proprio laddove il linguaggio umano vien meno alla sua funzione espressiva e la percezione si riduce a ciò che è visibile: “Quando dipingo un quadro, non cerco di dipingere ciò che già so, cerco invece di raggiungere ciò che ancora non conosco.“
Alvaro Urbano
La relazione tra natura e finzione è il tema principale del lavoro artistico di Alvaro Urbano. Negli ultimi due anni, egli ha rivolto il proprio interesse in particolare verso gli antichi giardini di Roma e Firenze. In essi egli rappresenta nuovi resti del passato, la cui provenienza agli occhi dei visitatori rimane avvolta nel mistero. Egli ridà vita ad antiche sculture, circondandole delle tracce delle loro apparenti attività notturne, suscitando nell’osservatore una sensazione inquietante e trasportando la realtà in una sfera basata solamente sulla forza dell’immaginazione. La mostra espone foglie provenienti dal Giardino dei Mostri vicino Roma, i cui contorni evocano associazioni con facce distorte da smorfie, con le quali l’artista rappresenta ancora una volta la sinistra connotazione di una natura che funziona secondo meccanismi propri, che per gli uomini non sono mai comprensibili del tutto.
Anna Virnich
Il fulcro dell’opera di Anna Virnich è rappresentato dal suo lavoro con materiali legati al corpo umano e la cui esistenza dipende da un ambiente caratterizzato dalla materialità. Su tavole di grandi dimensioni, l’artista unisce stoffe con nuovi materiali, il cui effetto sensibile spesso si contrappone ad esse. Utilizzando pelli di serpente, cuoio, seta e viscosa, materiali che sono immagine e supporto al tempo stesso, l’artista crea composizioni organiche, quasi pittoriche, oscillanti fra trasparenza e intensità. La forza estetica sprigionata da queste opere si manifesta dalle stoffe tese sui telai in legno e si trova in contrapposizione con l’impressione di fragilità, leggerezza e caducità dovuta alle delicate stoffe utilizzate. Questa opposizione è presente anche nella struttura dei materiali utilizzati nell’opera esposta, intitolata “Shivering Spine”, in cui cuoio e tulle si uniscono in forme astratte aperte alle associazioni d’idee dell’osservatore.
Julius von Bismarck
L’opera di Julius von Bismarck ruota attorno al tema centrale della percezione di natura e ambiente da parte dell’uomo. Con interventi, che inizialmente passano spesso inosservati, l’artista affronta la contrapposizione tra cultura e natura in relazione al notevole impatto che l’agire umano ha sull’ambiente che ci circonda e su come ciò influenza la percezione della natura in generale. La video-installazione “Forest Apparatus“ mostra l’artista che, con l’aiuto di diversi assistenti, trasporta pezzi di una scultura in un bosco, dove li monta e, servendosi anche di una betoniera, posiziona la statua finita. La scultura è composta di alluminio, schiuma per montaggio e pitture e si rivela alla fine una riproduzione fedele di una betulla. Dopo essere stata posizionata all’interno del bosco di betulle è praticamente indistinguibile da una betulla vera. Però, sapendo che si tratta di una betulla artificiale, è la nostra percezione complessiva del bosco a cambiare radicalmente: una volta che iniziamo a cercare la scultura di una betulla, tutti gli alberi iniziano ad apparirci ambigui e ci spingono a verificare con scetticismo se siano falsi o veri.
Jan Bünnig
Le opere dello scultore Jan Bünnig contemplano in maniera arguta e ironica sia il processo di creazione artistica che le proprietà tradizionalmente attribuite ai vari materiali che in questo processo vengono utilizzati e quelle poi che effettivamente li caratterizzano. Spesso le sue sculture sono legate a un luogo specifico e il loro stato materiale si modifica nel corso della mostra, evocando associazioni d’idee con i concetti di crescita, di provvisorietà e di incontrollabilità. L’artista utilizza perlopiù materiali originali, quali legno, argilla, pietra e sabbia, creando forme che si contrappongono alle loro caratteristiche intrinseche. Le opere esposte mettono in scena un passato che si rivela una mera affermazione dell’artista: i cosiddetti oggetti preistorici, con titoli come “Toilette Brush”, “Early Broom” e “Szepter“ hanno l’aspetto di reperti archeologici di oggetti di uso quotidiano nell’età della pietra che però si rivelano inutili per la loro possibile funzione e commentano in maniera ironica le conquiste dell’età moderna.
Julian Charrière
Imitando, ripetendo e rappresentando in maniera esagerata le influenze umane sull’ambiente sotto forma di sculture, interventi e opere video, l’artista Julian Charrière con le sue opere pratica una sorta di “Archeologia del Presente”. Ispirato alle collezioni dei musei di storia naturale, egli mette in scena la sua opera „Metamorphism“come una mostra scientifica, ma gli oggetti esposti si rivelano non reperti geologici quanto oggetti provenienti dal futuro: dentro una vetrina posta su un piedistallo si trova una massa che ricorda un campione geologico. Guardandola più attentamente, si capisce che si tratta di un blocco costituito da magma e da svariati materiali tecnici fusi insieme e poi lavorati; seppure in maniera frammentaria, è possibile riconoscere dettagli di smartphone, dischi fissi, PC portatili e tablet. Con questo lavoro Charrière rimanda alla capacità della natura di rendere visibile il passato storico mediante strati geologici e contrappone questa forma preistorica di archivio alle nostre forme di archiviazione contemporanee. Adattando l’aspetto dei supporti dati elettronici agli strati di roccia geologici, egli sviluppa “l’immagine artificiale di un passato di dopodomani, nel quale le tracce della nostra civilizzazione sono incorporate in formazioni rocciose”.
Paula Doepfner
Per le sue opere, Paula Doepfner si serve di materiali tra di loro opposti, quali vetro blindato e fiori pressati, ghiaccio che si scioglie e testi scritti a mano su carta. Partendo dal mezzo del disegno, l’artista affronta i temi della validità generale e dell’esistenza effimera delle emozioni soggettive e della loro influenza sulla nostra consapevolezza e sul nostro ambiente. Dopo averli riportati in caratteri piccolissimi, Doepfner incorpora testi di neuroscienze, filosofia e poesia nelle sue opere, formando, assieme alle piante compresse, fragili forme che ricordano anch’esse sistemi nervosi e flussi di pensiero. L’opera effimera “Stasera” è costituita da un blocco di ghiaccio nel quale sono contenuti petali e testi scritti su fogli. Nel corso della mostra, il ghiaccio si scioglie liberando i materiali al suo interno. Allo stesso modo in cui è impossibile trasmettere o ripetere un’esperienza soggettiva, la scultura non è più ricostruibile. L’opera “But I wish there was something you would do or say to try and make me change my mind and stay” mostra una forma organica costituita da petali, terra e pigmenti che rimanda similmente alla fragilità e alla fugacità degli attimi e dei pensieri.
Mariana Hahn
Nelle sue opere, Mariana Hahn esplora il tema del destino universale che, indipendentemente dal vissuto individuale di ciascuno – viene iscritto nei nostri corpi e nell’ambiente. Mediante svariati mezzi espressivi, quali performance, disegno, video e fotografia, l’artista risveglia in noi domande imprecisate sul nostro passato, sulle storie e sui ricordi che hanno fatto di noi quello che siamo diventati. Nei lavori esposti si serve del mare come archivio: ad esempio le forme circolari si basano sull’aspetto di fossili di organismi unicellulari dell’Eocene, i cosiddetti nummuliti, che hanno dato origine allo sviluppo della flora e fauna attuali e che dunque possono essere visti come un archivio originario. La struttura del vestito di seta ricorda le interiora di pesce essiccate come vengono esposte nei mercati dell’Asia e rappresenta, nelle intenzioni dell’artista, l’essere umano formato dall’evoluzione, che ha assunto nel proprio corpo la sua storia e il suo sviluppo. Insieme al ventre di pesce fissato al vestito, che richiama il mare, l’abito diventa di nuovo un corpo universale, che, come il mare, funge da archivio del sapere e dà luogo a nuova vita.
Peter Miller
Spinto dall’idea di rendere visibile l’invisibile, Peter Miller si è specializzato nella sperimentazione di processo di esposizione delle pellicole fotografiche. Partendo dalla fotografia come mezzo espressivo, egli si dedica alla visualizzazione delle tracce lasciate – anche se solo per una frazione di secondo – da oggetti ed esseri viventi. Dopo aver abbandonato il processo classico della fotografia, egli ne allarga la potenzialità come mezzo espressivo, la mette in discussione e crea uno spettro di interpretazione riguardo a che cosa la fotografia sia realmente e che cosa possa diventare. Il punto centrale è costituito dalla performatività dell’immagine secondo la sua natura di processo e l’atto (magico) del suo realizzarsi. Rendendone visibili le impronte ottiche, egli spesso crea “autoritratti” di oggetti e fenomeni: il lavoro “Raisin blanc/Raisin noir” è costituito da un solo fotogramma e mostra l’immagine al negativo rispettivamente di chicchi d’uva neri e bianchi che sembrano l’immagine positiva del relativo opposto. L’immagine di grandi dimensioni “On a Sunny Day” mostra invece le tracce della pioggia su carta fotografica ad alta sensibilità – impronte pittoriche di un fenomeno quotidiano.
Tyra Tingleff
Le pitture a olio astratte di Tyra Tingleff sono formate dalla sovrapposizione di numerosi strati uno sull’altro e con le loro complesse sovrapposizioni ricordano materiali organici viventi, sedimentazioni di materiali lapidei e superfici di acque. Partendo da storie nascoste, l’artista ricopre continuamente i propri dipinti con nuovi strati di pittura fino a formare una superficie misteriosa, che nasconde più di quanto non mostri. Benché queste storie costituiscano il punto di partenza delle sue opere, lo scopo di Tyra Tingleff non è di offrire all’osservatore una narrazione coerente: i suoi dipinti iniziano invece proprio laddove il linguaggio umano vien meno alla sua funzione espressiva e la percezione si riduce a ciò che è visibile: “Quando dipingo un quadro, non cerco di dipingere ciò che già so, cerco invece di raggiungere ciò che ancora non conosco.“
Alvaro Urbano
La relazione tra natura e finzione è il tema principale del lavoro artistico di Alvaro Urbano. Negli ultimi due anni, egli ha rivolto il proprio interesse in particolare verso gli antichi giardini di Roma e Firenze. In essi egli rappresenta nuovi resti del passato, la cui provenienza agli occhi dei visitatori rimane avvolta nel mistero. Egli ridà vita ad antiche sculture, circondandole delle tracce delle loro apparenti attività notturne, suscitando nell’osservatore una sensazione inquietante e trasportando la realtà in una sfera basata solamente sulla forza dell’immaginazione. La mostra espone foglie provenienti dal Giardino dei Mostri vicino Roma, i cui contorni evocano associazioni con facce distorte da smorfie, con le quali l’artista rappresenta ancora una volta la sinistra connotazione di una natura che funziona secondo meccanismi propri, che per gli uomini non sono mai comprensibili del tutto.
Anna Virnich
Il fulcro dell’opera di Anna Virnich è rappresentato dal suo lavoro con materiali legati al corpo umano e la cui esistenza dipende da un ambiente caratterizzato dalla materialità. Su tavole di grandi dimensioni, l’artista unisce stoffe con nuovi materiali, il cui effetto sensibile spesso si contrappone ad esse. Utilizzando pelli di serpente, cuoio, seta e viscosa, materiali che sono immagine e supporto al tempo stesso, l’artista crea composizioni organiche, quasi pittoriche, oscillanti fra trasparenza e intensità. La forza estetica sprigionata da queste opere si manifesta dalle stoffe tese sui telai in legno e si trova in contrapposizione con l’impressione di fragilità, leggerezza e caducità dovuta alle delicate stoffe utilizzate. Questa opposizione è presente anche nella struttura dei materiali utilizzati nell’opera esposta, intitolata “Shivering Spine”, in cui cuoio e tulle si uniscono in forme astratte aperte alle associazioni d’idee dell’osservatore.
10
giugno 2016
You are what you are
Dal 10 giugno al 09 luglio 2016
arte contemporanea
Location
GALLERIA MARIO IANNELLI
Roma, Via Flaminia, 380, (Roma)
Roma, Via Flaminia, 380, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 14-19
Vernissage
10 Giugno 2016, h 18.00
Autore
Curatore