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Yun Hyong-keun
Sull’onda del grande successo di critica ottenuto presso l’MMCA di Seoul, la mostra di Venezia
sarà la prima retrospettiva internazionale dedicata all’artista dopo la sua morte, avvenuta nel
2007. La vita e le opere di Yun saranno protagoniste indiscusse del progetto, basato su 55 capolavori che coprono l’intero arco della sua carriera
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Ogni cosa della terra è destinata a ritornare alla terra, è solo questione di tempo.
Quando penso che questo principio vale anche per me e per i miei quadri, tutto mi sembra futile.
Ma per ogni giorno che vivrò, nel lento consumarsi della vita, lascerò un segno indelebile del mio
passaggio, ed è così che avrò la spinta per restare vivo.”
— Yun Hyong-keun, 1990
In occasione della 58a
edizione della Biennale di Venezia, il National Museum of Modern and
Contemporary Art della Corea (MMCA) e i Musei Civici di Venezia (MUVE) presentano a Palazzo
Fortuny un’importante retrospettiva dedicata all’artista coreano Yun Hyong-keun (1928 – 2007).
Considerato uno degli artisti coreani più significativi del Novecento, Yun aderì al Dansaekhwa, un
movimento pittorico monocromatico che si impose in Corea tra gli anni Sessanta e Settanta.
Sull’onda del grande successo di critica ottenuto presso l’MMCA di Seoul, la mostra di Venezia
sarà la prima retrospettiva internazionale dedicata all’artista dopo la sua morte, avvenuta nel
2007. La vita e le opere di Yun saranno protagoniste indiscusse del progetto, basato su 55
capolavori che coprono l’intero arco della sua carriera. Tra le varie attrattive ci sarà anche una
fedele riproduzione dell’atelier di Yun, con opere realmente presenti nello studio originale a firma
di altri artisti (Kim Whanki, Jeon Roe-jin e Choi Jongtae). Pur riconoscendo il ruolo di Yun nello
sviluppo del Dansaekhwa, la retrospettiva punta a esaminarne la produzione in maniera slegata,
con una prospettiva inedita.
Curata da Kim Inhye dell’MMCA, la mostra è ricca di tele scure e toccanti che colgono in maniera
magistrale il clima dell’epoca, rappresentando appieno la psiche dilaniata della popolazione
coreana: una condizione evidenziata soprattutto dalle opere struggenti dipinte furiosamente in
seguito al massacro di Gwangju (maggio 1980). Un tratto distintivo del progetto sono le numerose
testimonianze personali, tra cui disegni giovanili, una vasta raccolta fotografica e pagine di brutale
onestà tratte dai diari privati di Yun.
Basandosi sui canoni estetici tipici della cultura coreana, Yun mescola individualità e
partecipazione agli eventi del tempo con grazia e semplicità, senza mai perdere quella
ricercatezza moderna e raffinata che estende la propria influenza al di là delle frontiere,
imponendosi in tutto il mondo. Il suo approccio è in perfetta sintonia con il DNA di Venezia, città
“sospesa tra acqua e cielo”, dove il confine sempre incerto tra terra e mare plasma in
8
continuazione i profili urbani. Un tema che sembra trovare riscontro nel metodo pittorico di Yun:
le sue pennellate, dense e decise, si affiancano e si sovrappongono sulla tela, creando strati
successivi in cui il colore fuoriesce dai contorni delle forme solide.
A dodici anni dalla sua scomparsa, la mostra esplora la vita e la produzione artistica di Yun in
un’ottica inedita, attraverso materiali e reperti di varia natura che evidenziano dettagli e
prospettive ancora poco battuti. Noto soprattutto per l’adesione al movimento coreano
Dansaekhwa, Yun Hyong-keun viene finalmente esaminato in un contesto più ampio, alla luce di
un raffronto efficace con la storia dell’arte internazionale.
A margine della mostra i visitatori potranno acquistare il catalogo pubblicato da Hatje Cantz,
disponibile in inglese e in italiano.
Note per la stampa
Yun Hyong-keun
Nato nel 1928 a Cheongju, nella provincia del Nord Chungcheong, Yun Hyong-keun ha
attraversato uno dei periodi più travagliati della storia coreana, subendo le conseguenze
traumatiche del dominio giapponese, della Guerra di Corea e della dittatura post-bellica. La sua
odissea iniziò nel 1947, poco dopo l’iscrizione alla Seoul National University (SNU), quando venne
arrestato ed espulso per aver partecipato alle proteste studentesche contro le ingerenze
dell’esercito americano nella gestione dell’ateneo. Nel 1950, allo scoppio della Guerra di Corea, il
governo sudcoreano cominciò ad arrestare e giustiziare i cosiddetti “dissidenti” e gli avversari
politici inseriti nella lista nera (spesso per motivi futili o totalmente inventati) nell’ambito della
“Lega Bodo” (nota anche come “Lega per la riabilitazione e la guida nazionale”). A causa del
precedente arresto presso la SNU, Yun fu imprigionato e condannato alla fucilazione, ma
all’ultimo momento riuscì miracolosamente a scappare.
Dopo aver visto la morte in faccia, Yun si ritrovò intrappolato in una Seoul occupata, dove fu
costretto a lavorare per l’esercito nordcoreano. Quando questa “collaborazione” venne allo
scoperto, nel 1956, Yun rimase per sei mesi nel carcere di Seodaemun. Nel 1973, quando Yun era
docente d’arte presso la Sookmyung Girls’ High School, la scuola ammise una studentessa che
non aveva i requisiti necessari, ma che era legata al capo dell’agenzia di intelligence della Corea
8
del Sud, la maggiore potenza dell’epoca. Yun criticò aspramente questa condotta, pagandone le
conseguenze con l’arresto e la reclusione: l’accusa era quella di aver violato le leggi
anticomuniste.
In totale, Yun finì in carcere per ben quattro volte – sfiorando anche la morte – per il semplice
fatto di aver manifestato il proprio pensiero. Si dedicò totalmente all’arte solo una volta
sopravvissuto a queste traumatiche vicende, nel 1973, all’età di 45 anni.
Dandosi alla pittura, Yun creò da subito gli stilemi inconfondibili del suo mondo artistico, da lui
definito “la porta del cielo e della terra”. Nell’imprescindibile serie di opere avviata negli anni
Settanta, Yun utilizzò un grande pennello per applicare densi blocchi di pittura nera su tele grezze
in cotone o lino. In realtà la pittura non era propriamente nera, poiché consisteva di miscele
leggermente differenti composte da due colori diversi: il blu (che simboleggia il cielo) e il terra
d’ombra (che simboleggia la terra). Le sue opere sono minimaliste, genuine e organiche, dal gesto
artistico al risultato finale. Osservandole, lo spettatore è investito da stati d’animo differenti: la
sensazione è quella di contemplare un albero antico che ha resistito alle devastazioni climatiche,
le travi di una tipica casa coreana, una zolla di terra che trasuda fertilità. Con tele apparentemente
semplici, Yun è riuscito a cogliere i valori umili, accoglienti e ben radicati che caratterizzano
l’estetica coreana, trasferendoli nel linguaggio contemporaneo dell’arte internazionale.
Yun ottenne i primi riscontri in Giappone negli anni Settanta, quando la Muramatsu Gallery (1976)
e la Tokyo Gallery (1978) lo invitarono in occasione di alcune mostre personali. Negli anni
Novanta, quando il governo sudcoreano iniziò ad “aprirsi” al mondo, le opere di Yun
cominciarono a circolare anche in Europa e negli Stati Uniti. La fisicità intrinseca dei suoi dipinti
colpì artisti del calibro di Donald Judd, che nel 1993 e 1994 invitò Yun a esporre nella sua casa-
studio di Spring Street, a New York, e a Marfa, in Texas (Chinati Foundation).
Da allora la sua produzione è stata oggetto di mostre personali presso istituzioni mondiali di
spicco, come la Stiftung für Konkrete Kunst di Reutlingen, in Germania (1997); il Musée d’Art
moderne et contemporain de Strasbourg (2002); e l’Art Sonje Museum di Gyeongju, in Corea
(2002). Tra le gallerie che negli ultimi anni hanno ospitato personali di Yun si annoverano: Simon
Lee, Londra (2018), David Zwirner, New York (2017), Axel Vervoordt Gallery, Anversa (2016), Blum
8
& Poe, New York (2015), PKM Gallery, Seoul (2015). Inoltre le opere di Yun sono state incluse in
recenti mostre collettive presso il National Museum of Modern and Contemporary Art di Seoul
(2015), il Gyeonggi Museum of Modern Art in Corea (2013) e il Daegu Art Museum di Daegu in
Corea (2011). Non mancano le apparizioni alla Biennale di San Paolo (1969 e 1975), alla Biennale di
Venezia (1995) e alla Biennale di Gwangju (2000).
Le opere di Yun possono essere ammirate nelle collezioni permanenti di istituzioni internazionali,
come la Chinati Foundation di Marfa, in Texas; il Fukuoka Art Museum a Fukuoka; il Leeum,
Samsung Museum of Art di Seoul; l’M+ Museum di Hong Kong; il National Museum of Modern
and Contemporary Art della Corea; la Tate Modern di Londra; l’Art Institute of Chicago, Chicago;
e infine il Glenstone di Potomac.
Dansaekhwa
Sviluppatosi negli anni Sessanta, il movimento Dansaekhwa raccoglieva un gruppo di artisti
interessati a esplorare le proprietà fisiche della pittura, mettendo in risalto tecniche e processi. La
carenza di materiali provocata dalla Guerra di Corea (1950-1953) e il relativo isolamento della
nazione rispetto alle correnti internazionali spinsero gli artisti a creare regole e strutture proprie in
riferimento all’astrazione.
Kim Inhye
Nata nel 1974, Kim Inhye è curatrice dell’MMCA (National Museum of Modern and Contemporary
Art della Corea).
Dopo la laurea in Storia dell’Arte presso la Seoul National University, ha conseguito il dottorato
con una tesi su Lu Xun (1881-1936) intitolata Woodcut Movement: Between Art and Politics (“Le
incisioni su legno: un movimento a metà tra arte e politica”). Dal 2002 collabora con il National
Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) della Corea, in veste di curatrice o co-
curatrice di varie mostre. Tra i progetti che l’hanno vista coinvolta figurano Cubism in Asia:
Unbounded Dialogues (2004-2005, in collaborazione con la Japan Foundation, il National Museum
of Modern Art di Tokyo e il Singapore Art Museum), Realism in Asian Art (2009-2010, in
collaborazione con la National Gallery di Singapore), Tell Me Tell Me: Australian and Korean Art
1976-2011 (2011-2012, in collaborazione con il Museum of Contemporary Art di Sydney) e
8
Deoksugung Project (2012). A seguito di approfondite ricerche, ha inoltre curato numerose
retrospettive dedicate ad artisti coreani moderni, quali Park Hyunki (2015), Yoo Youngkuk (2016) e
Yun Hyong-keun (2018). La sua specialità è la storia dell’arte coreana moderna nel contesto dello
sviluppo artistico asiatico.
MMCA
Dal 1969, il National Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) della Corea si è imposto
come una delle maggiori istituzioni artistiche del Paese, lasciando un segno profondo nella storia
dell’arte coreana novecentesca. Attraverso un modus operandi distribuito su quattro location –
prima Gwacheon nel 1986, poi Deoksugung nel 1998, Seoul nel 2013 e Cheongju nel 2018 –
l’MMCA contribuisce attivamente allo sviluppo dell’arte e della cultura in Corea. Oggi sono oltre
2,4 milioni le persone che ogni anno visitano le quattro sedi del museo, dove possono ammirare
collezioni permanenti – con opere selezionate tra gli oltre 8.000 pezzi di proprietà del museo – e
mostre speciali che spaziano dall’arte coreana a quella internazionale.
Facebook, Instagram, Twitter, Youtube: @mmcakorea
www.mmca.go.kr/eng
Palazzo Fortuny
Costruito per volere della famiglia Pesaro, questo enorme palazzo gotico in Campo San Beneto fu
trasformato da Mariano Fortuny in uno spazio a sua immagine e somiglianza, a metà tra studio
fotografico, atelier pittorico, laboratorio per la costruzione di scenografie e fabbrica di stoffe.
Stanze e strutture si presentano ancora nella veste voluta da Fortuny e ospitano arazzi e collezioni
originariamente appartenenti all’eclettico artista. Il contesto professionale di Mariano Fortuny
riecheggia in una serie di preziosi arazzi e dipinti, ma anche nelle celebri lampade concepite come
luci di scena: oggetti che testimoniano l’ispirazione e il talento poliedrico dell’artista,
sottolineandone la formidabile presenza nel panorama intellettuale e artistico a cavallo tra
Ottocento e Novecento.
Nel 1956 il palazzo fu donato al Comune di Venezia da Henriette, la vedova di Fortuny. Le
collezioni del museo vantano oggetti e materiali estremamente variegati che riflettono i diversi
8
campi esplorati dall’artista, articolandosi in categorie ben precise: dipinti, lampade, fotografie,
tessuti e capi di alta moda. www.fortuny.visitmuve.it
Gallerie rappresentanti
PKM Gallery (Seoul) – In rappresentanza di Estate of Yun Hyong-keun
Blum & Poe (LA, New York, Tokyo)
Axel Vervoordt Gallery (Anversa, Hong Kong)
Simon Lee Gallery (Londra, New York, Hong Kong)
David Zwirner Gallery (New York, Londra, Hong Kong)
Quando penso che questo principio vale anche per me e per i miei quadri, tutto mi sembra futile.
Ma per ogni giorno che vivrò, nel lento consumarsi della vita, lascerò un segno indelebile del mio
passaggio, ed è così che avrò la spinta per restare vivo.”
— Yun Hyong-keun, 1990
In occasione della 58a
edizione della Biennale di Venezia, il National Museum of Modern and
Contemporary Art della Corea (MMCA) e i Musei Civici di Venezia (MUVE) presentano a Palazzo
Fortuny un’importante retrospettiva dedicata all’artista coreano Yun Hyong-keun (1928 – 2007).
Considerato uno degli artisti coreani più significativi del Novecento, Yun aderì al Dansaekhwa, un
movimento pittorico monocromatico che si impose in Corea tra gli anni Sessanta e Settanta.
Sull’onda del grande successo di critica ottenuto presso l’MMCA di Seoul, la mostra di Venezia
sarà la prima retrospettiva internazionale dedicata all’artista dopo la sua morte, avvenuta nel
2007. La vita e le opere di Yun saranno protagoniste indiscusse del progetto, basato su 55
capolavori che coprono l’intero arco della sua carriera. Tra le varie attrattive ci sarà anche una
fedele riproduzione dell’atelier di Yun, con opere realmente presenti nello studio originale a firma
di altri artisti (Kim Whanki, Jeon Roe-jin e Choi Jongtae). Pur riconoscendo il ruolo di Yun nello
sviluppo del Dansaekhwa, la retrospettiva punta a esaminarne la produzione in maniera slegata,
con una prospettiva inedita.
Curata da Kim Inhye dell’MMCA, la mostra è ricca di tele scure e toccanti che colgono in maniera
magistrale il clima dell’epoca, rappresentando appieno la psiche dilaniata della popolazione
coreana: una condizione evidenziata soprattutto dalle opere struggenti dipinte furiosamente in
seguito al massacro di Gwangju (maggio 1980). Un tratto distintivo del progetto sono le numerose
testimonianze personali, tra cui disegni giovanili, una vasta raccolta fotografica e pagine di brutale
onestà tratte dai diari privati di Yun.
Basandosi sui canoni estetici tipici della cultura coreana, Yun mescola individualità e
partecipazione agli eventi del tempo con grazia e semplicità, senza mai perdere quella
ricercatezza moderna e raffinata che estende la propria influenza al di là delle frontiere,
imponendosi in tutto il mondo. Il suo approccio è in perfetta sintonia con il DNA di Venezia, città
“sospesa tra acqua e cielo”, dove il confine sempre incerto tra terra e mare plasma in
8
continuazione i profili urbani. Un tema che sembra trovare riscontro nel metodo pittorico di Yun:
le sue pennellate, dense e decise, si affiancano e si sovrappongono sulla tela, creando strati
successivi in cui il colore fuoriesce dai contorni delle forme solide.
A dodici anni dalla sua scomparsa, la mostra esplora la vita e la produzione artistica di Yun in
un’ottica inedita, attraverso materiali e reperti di varia natura che evidenziano dettagli e
prospettive ancora poco battuti. Noto soprattutto per l’adesione al movimento coreano
Dansaekhwa, Yun Hyong-keun viene finalmente esaminato in un contesto più ampio, alla luce di
un raffronto efficace con la storia dell’arte internazionale.
A margine della mostra i visitatori potranno acquistare il catalogo pubblicato da Hatje Cantz,
disponibile in inglese e in italiano.
Note per la stampa
Yun Hyong-keun
Nato nel 1928 a Cheongju, nella provincia del Nord Chungcheong, Yun Hyong-keun ha
attraversato uno dei periodi più travagliati della storia coreana, subendo le conseguenze
traumatiche del dominio giapponese, della Guerra di Corea e della dittatura post-bellica. La sua
odissea iniziò nel 1947, poco dopo l’iscrizione alla Seoul National University (SNU), quando venne
arrestato ed espulso per aver partecipato alle proteste studentesche contro le ingerenze
dell’esercito americano nella gestione dell’ateneo. Nel 1950, allo scoppio della Guerra di Corea, il
governo sudcoreano cominciò ad arrestare e giustiziare i cosiddetti “dissidenti” e gli avversari
politici inseriti nella lista nera (spesso per motivi futili o totalmente inventati) nell’ambito della
“Lega Bodo” (nota anche come “Lega per la riabilitazione e la guida nazionale”). A causa del
precedente arresto presso la SNU, Yun fu imprigionato e condannato alla fucilazione, ma
all’ultimo momento riuscì miracolosamente a scappare.
Dopo aver visto la morte in faccia, Yun si ritrovò intrappolato in una Seoul occupata, dove fu
costretto a lavorare per l’esercito nordcoreano. Quando questa “collaborazione” venne allo
scoperto, nel 1956, Yun rimase per sei mesi nel carcere di Seodaemun. Nel 1973, quando Yun era
docente d’arte presso la Sookmyung Girls’ High School, la scuola ammise una studentessa che
non aveva i requisiti necessari, ma che era legata al capo dell’agenzia di intelligence della Corea
8
del Sud, la maggiore potenza dell’epoca. Yun criticò aspramente questa condotta, pagandone le
conseguenze con l’arresto e la reclusione: l’accusa era quella di aver violato le leggi
anticomuniste.
In totale, Yun finì in carcere per ben quattro volte – sfiorando anche la morte – per il semplice
fatto di aver manifestato il proprio pensiero. Si dedicò totalmente all’arte solo una volta
sopravvissuto a queste traumatiche vicende, nel 1973, all’età di 45 anni.
Dandosi alla pittura, Yun creò da subito gli stilemi inconfondibili del suo mondo artistico, da lui
definito “la porta del cielo e della terra”. Nell’imprescindibile serie di opere avviata negli anni
Settanta, Yun utilizzò un grande pennello per applicare densi blocchi di pittura nera su tele grezze
in cotone o lino. In realtà la pittura non era propriamente nera, poiché consisteva di miscele
leggermente differenti composte da due colori diversi: il blu (che simboleggia il cielo) e il terra
d’ombra (che simboleggia la terra). Le sue opere sono minimaliste, genuine e organiche, dal gesto
artistico al risultato finale. Osservandole, lo spettatore è investito da stati d’animo differenti: la
sensazione è quella di contemplare un albero antico che ha resistito alle devastazioni climatiche,
le travi di una tipica casa coreana, una zolla di terra che trasuda fertilità. Con tele apparentemente
semplici, Yun è riuscito a cogliere i valori umili, accoglienti e ben radicati che caratterizzano
l’estetica coreana, trasferendoli nel linguaggio contemporaneo dell’arte internazionale.
Yun ottenne i primi riscontri in Giappone negli anni Settanta, quando la Muramatsu Gallery (1976)
e la Tokyo Gallery (1978) lo invitarono in occasione di alcune mostre personali. Negli anni
Novanta, quando il governo sudcoreano iniziò ad “aprirsi” al mondo, le opere di Yun
cominciarono a circolare anche in Europa e negli Stati Uniti. La fisicità intrinseca dei suoi dipinti
colpì artisti del calibro di Donald Judd, che nel 1993 e 1994 invitò Yun a esporre nella sua casa-
studio di Spring Street, a New York, e a Marfa, in Texas (Chinati Foundation).
Da allora la sua produzione è stata oggetto di mostre personali presso istituzioni mondiali di
spicco, come la Stiftung für Konkrete Kunst di Reutlingen, in Germania (1997); il Musée d’Art
moderne et contemporain de Strasbourg (2002); e l’Art Sonje Museum di Gyeongju, in Corea
(2002). Tra le gallerie che negli ultimi anni hanno ospitato personali di Yun si annoverano: Simon
Lee, Londra (2018), David Zwirner, New York (2017), Axel Vervoordt Gallery, Anversa (2016), Blum
8
& Poe, New York (2015), PKM Gallery, Seoul (2015). Inoltre le opere di Yun sono state incluse in
recenti mostre collettive presso il National Museum of Modern and Contemporary Art di Seoul
(2015), il Gyeonggi Museum of Modern Art in Corea (2013) e il Daegu Art Museum di Daegu in
Corea (2011). Non mancano le apparizioni alla Biennale di San Paolo (1969 e 1975), alla Biennale di
Venezia (1995) e alla Biennale di Gwangju (2000).
Le opere di Yun possono essere ammirate nelle collezioni permanenti di istituzioni internazionali,
come la Chinati Foundation di Marfa, in Texas; il Fukuoka Art Museum a Fukuoka; il Leeum,
Samsung Museum of Art di Seoul; l’M+ Museum di Hong Kong; il National Museum of Modern
and Contemporary Art della Corea; la Tate Modern di Londra; l’Art Institute of Chicago, Chicago;
e infine il Glenstone di Potomac.
Dansaekhwa
Sviluppatosi negli anni Sessanta, il movimento Dansaekhwa raccoglieva un gruppo di artisti
interessati a esplorare le proprietà fisiche della pittura, mettendo in risalto tecniche e processi. La
carenza di materiali provocata dalla Guerra di Corea (1950-1953) e il relativo isolamento della
nazione rispetto alle correnti internazionali spinsero gli artisti a creare regole e strutture proprie in
riferimento all’astrazione.
Kim Inhye
Nata nel 1974, Kim Inhye è curatrice dell’MMCA (National Museum of Modern and Contemporary
Art della Corea).
Dopo la laurea in Storia dell’Arte presso la Seoul National University, ha conseguito il dottorato
con una tesi su Lu Xun (1881-1936) intitolata Woodcut Movement: Between Art and Politics (“Le
incisioni su legno: un movimento a metà tra arte e politica”). Dal 2002 collabora con il National
Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) della Corea, in veste di curatrice o co-
curatrice di varie mostre. Tra i progetti che l’hanno vista coinvolta figurano Cubism in Asia:
Unbounded Dialogues (2004-2005, in collaborazione con la Japan Foundation, il National Museum
of Modern Art di Tokyo e il Singapore Art Museum), Realism in Asian Art (2009-2010, in
collaborazione con la National Gallery di Singapore), Tell Me Tell Me: Australian and Korean Art
1976-2011 (2011-2012, in collaborazione con il Museum of Contemporary Art di Sydney) e
8
Deoksugung Project (2012). A seguito di approfondite ricerche, ha inoltre curato numerose
retrospettive dedicate ad artisti coreani moderni, quali Park Hyunki (2015), Yoo Youngkuk (2016) e
Yun Hyong-keun (2018). La sua specialità è la storia dell’arte coreana moderna nel contesto dello
sviluppo artistico asiatico.
MMCA
Dal 1969, il National Museum of Modern and Contemporary Art (MMCA) della Corea si è imposto
come una delle maggiori istituzioni artistiche del Paese, lasciando un segno profondo nella storia
dell’arte coreana novecentesca. Attraverso un modus operandi distribuito su quattro location –
prima Gwacheon nel 1986, poi Deoksugung nel 1998, Seoul nel 2013 e Cheongju nel 2018 –
l’MMCA contribuisce attivamente allo sviluppo dell’arte e della cultura in Corea. Oggi sono oltre
2,4 milioni le persone che ogni anno visitano le quattro sedi del museo, dove possono ammirare
collezioni permanenti – con opere selezionate tra gli oltre 8.000 pezzi di proprietà del museo – e
mostre speciali che spaziano dall’arte coreana a quella internazionale.
Facebook, Instagram, Twitter, Youtube: @mmcakorea
www.mmca.go.kr/eng
Palazzo Fortuny
Costruito per volere della famiglia Pesaro, questo enorme palazzo gotico in Campo San Beneto fu
trasformato da Mariano Fortuny in uno spazio a sua immagine e somiglianza, a metà tra studio
fotografico, atelier pittorico, laboratorio per la costruzione di scenografie e fabbrica di stoffe.
Stanze e strutture si presentano ancora nella veste voluta da Fortuny e ospitano arazzi e collezioni
originariamente appartenenti all’eclettico artista. Il contesto professionale di Mariano Fortuny
riecheggia in una serie di preziosi arazzi e dipinti, ma anche nelle celebri lampade concepite come
luci di scena: oggetti che testimoniano l’ispirazione e il talento poliedrico dell’artista,
sottolineandone la formidabile presenza nel panorama intellettuale e artistico a cavallo tra
Ottocento e Novecento.
Nel 1956 il palazzo fu donato al Comune di Venezia da Henriette, la vedova di Fortuny. Le
collezioni del museo vantano oggetti e materiali estremamente variegati che riflettono i diversi
8
campi esplorati dall’artista, articolandosi in categorie ben precise: dipinti, lampade, fotografie,
tessuti e capi di alta moda. www.fortuny.visitmuve.it
Gallerie rappresentanti
PKM Gallery (Seoul) – In rappresentanza di Estate of Yun Hyong-keun
Blum & Poe (LA, New York, Tokyo)
Axel Vervoordt Gallery (Anversa, Hong Kong)
Simon Lee Gallery (Londra, New York, Hong Kong)
David Zwirner Gallery (New York, Londra, Hong Kong)
10
maggio 2019
Yun Hyong-keun
Dal 10 maggio al 24 novembre 2019
arte contemporanea
Location
PALAZZO FORTUNY
Venezia, Campo San Beneto (San Marco), 3958, (Venezia)
Venezia, Campo San Beneto (San Marco), 3958, (Venezia)
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