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Zelimir Baric – Pandora’s box. Zeliko Baric e il collasso della civiltà nata morta
Questa insistenza sul corpo e la straordinarietà di dispositivi ultratecnologici proiettati in una sorta di superfuturo si risolvono in un’escursione cronologica. Fanno riandare col pensiero alla foucaultiana biopolitica della temperie postmoderna, inedita applicazione dell’ortopedia disciplinare del potere che agisce direttamente sui corpi.
Comunicato stampa
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Pandora’s box. Zeliko Baric e il collasso della civiltà nata morta.
La civiltà occidentale è detta così perché nasce dall’occaso. L’occaso è il tramonto. La civiltà occidentale è la civiltà del progresso. Spengler scrisse il monumentale Tramonto dell’Occidente. E perfino un documentario sulla musica hard e heavy di vent’anni fa aveva per titolo The Decline of Western Civilization. Nel film eXistenZ di David Cronenberg il passaggio dal mondo vero a quello non vero (e non chiedetevi quale sia la differenza, non lo sa nessuno: più di 2000 anni di storia del pensiero occidentale non sono trascorsi invano) è reso possibile da una piattaforma di gioco ultratecnologica fatta di tessuto biologico e organi interni di animali geneticamente modificati. Il “trasbordo” avviene tramite la connessione del dispositivo al corpo del soggetto con un cavo inserito nella spina dorsale, sorta di cordone ombelicale che realizza il passaggio fra il Mondo 1 e il Mondo 3 di popperiana memoria. Un’opera “di carne”, eXistenZ, e molto filosofica, con quelle scorribande ontiche e ontologiche, di corpi e di “presenza esistenziale”, espressione linguistica di preclaro nonsense. (Ma abbiamo un referente illustre: Heidegger, che, interrotta la stesura del suo Essere e tempo per il venir meno delle parole atte a esprimere il pensiero, se la prese coi limiti del linguaggio. Se avesse letto qualche rigo di Wittgenstein probabilmente avrebbe fatto altro). Cronenberg ha letto L’Essere e il nulla di Sartre prima di girare eXistenZ – e forse ha costretto anche gli attori a fare altrettanto, poveracci.
Questa insistenza sul corpo e la straordinarietà di dispositivi ultratecnologici proiettati in una sorta di superfuturo si risolvono in un’escursione cronologica. Fanno riandare col pensiero alla foucaultiana biopolitica della temperie postmoderna, inedita applicazione dell’ortopedia disciplinare del potere che agisce direttamente sui corpi. E a questo punto
-mirabolanti avventure della differAnza nonché degli automatismi psichici!-, non ci si perita di citare Guillaume Faye, pensatore un tempo matto come un cavallo e ora forse rinsavito, che ha legato il proprio nome alla teoria archeofuturista. La cui dimensione attualissima, malgré lui, aveva già permesso dieci anni fa all’apocalittico profeta del collasso di una società fondata sul dogma del progresso tecnologico di scrivere nel saggio L’Archéofuturisme: ”L’attuale civiltà non può durare. Le sue fondamenta sono in contrasto con la realtà. Essa urta non solo con contraddizioni ideologiche, sempre superabili, ma contro un muro fisico: l’ideologia angelica del progresso sfociata in un mondo sempre meno vitale”. Dichiarazione che sembrava preconizzare la tesi sostenuta attualmente da questo eretico della Nouvelle Droite a proposito della crisi finanziaria, vista come l’inizio della convergenza di catastrofi che segneranno il tramonto dell’Occidente. La società globalizzata è come la carne avariata, basta solo un 10 per cento per contaminare il tutto: “Alla fine del XXI secolo la Terra avrà due velocità: una piccola minoranza vivrà come oggi, un’altra vivrà un nuovo Medioevo, senza tecnologia”. Tutte queste premesse per dire che il giovane artista serbo Zeliko Baric (Novi Sad, 1975; vive e lavora a Milano) vede il dramma del mondo contemporaneo nell’azione invasiva della tecnoscienza e nell’applicazione dei progetti ideologici di una società fondata sull’applicazione della tecnica. Baric lavora con due elementi universali: metallo e fuoco. Per realizzare forme in grado di opporre una resistenza al tempo e all’azione esercitata da agenti fisici esterni. I suoi lavori comprendono tre cicli evolutivi e consistono in opere scultoree di materiale resistente. Bipede è una scultura che incarna un mutoide, prima mutazione di forme relative ad apparati biologici e tecnologici: è la simbiosi tra un essere umano, una TV, un pollo e un insetto. E’ il simbolo plastico della velleità prometeica dell’essere umano che, come nel mito, ruba il fuoco agli dei per farsi dio egli stesso. L’uomo è il bipede che si sforza di portare sempre più in là le applicazioni della tecnoscienza con sperimentazioni proibite, come un personaggio inquietante dei racconti di Lovecraft, apprendista stregone incapace di governare le forze da lui stesso liberate. Bipede è un televisore che osserva: di solito tu segui la TV, ma in questo caso è lui che segue te, grazie a un programma con cui “vede” e “riconosce” le persone. Il secondo ciclo evolutivo nelle opere di Baric è rappresentato dagli Insetti, anch’essi entità mutoidi, biologiche piuttosto che meccaniche, al centro della cui creazione è il concetto di forma: in una sorta di «battaglia» intrapresa con la materia, l’artista trova il senso autentico della sua creazione, la «libertà». Libertà, qui, è materializzazione di un’idea. Il termine del lavoro è la liberazione dall’idea che fa da prigione. La materia lavorata è il metallo, che Baric considera elemento cosmico, e il suo lavoro consiste nella sforzo di coglierne l’intima essenza. Gli insetti sono forme sempre presenti, nel tempo e nello spazio. E ognuno di essi viene sottoposto al test finale dell’opposizione: deve essere in grado di resistere al peso del creatore senza subire deformazione alcuna. Forme che non cambiano, rese perfette dalla lotta con la materia, che preconizzano nuove idee. Immutabilità della forma che è il termine medio fra gli Insetti e il terzo ciclo della grande opera, i Fossili (ed è inevitabile, cari miei, il riferimento alla pratica alchemica, l’Arte dei Filosofi). Queste sculture sintetizzano la storia della civilizzazione e sono pregne di valore simbolico. Lo sanno tutti, ma proprio tutti, che il pesce è il simbolo del Cristianesimo. “Pesce”, in greco, si dice ICHTHỲS e le lettere costituiscono l’acronimo dell’espressione Iesus Christòs Theou Yios Soter, Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio. Una tematica generale per tutta la storia dell’arte. Piena di metafore. Con le sculture fossili Baric fossilizza la tecnologia stessa: l’elemento è il fuoco che brucia DVD players e computer. E con il martello l’artista serbo pialla su lastre di ferro questo materiale eterogeneo applicato alla tecnologia, generando le forme di pesci atavici. «Siamo diventati una società copy-paste», dice Baric. Vittime della tecnologia cui noi stessi abbiamo dato vita e senza la quale l’esistenza sembra impossibile. Monito in cui risuonano le parole di Guillaume Faye sulla roulette cui sembra destinata a giocare la civiltà occidentale, in una scelta destinale fra un futuro di sopravvissuti e una nuova preistoria. Qualcosa di anteriore non solo alla storia, ma all’Uomo stesso. La trimurti Marx*/Nietzsche/Freud ce l’ha insegnato: l’attuale civiltà occidentale del progresso capitalistico e tecnologico non è la storia, ma la preistoria dell’uomo autenticamente umano. E non ha niente a che fare con i bipedi schiavi della loro stessa ideologia tecnocratica. Baric pronuncia verso l’uomo una sentenza indessicale: tu sei questo. E non c’è un c***o da ridere, dal momento che il suo prossimo lavoro sarà un fossile sotto mutazione.
Emanuele Beluffi
*Karl Marx, che, sia detto per inciso, è il diavolo, ma non se ne diffonda troppo la notizia
17
febbraio 2009
Zelimir Baric – Pandora’s box. Zeliko Baric e il collasso della civiltà nata morta
Dal 17 febbraio al 14 marzo 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA BIANCA MARIA RIZZI
Milano, Via Molino Delle Armi, 3, (Milano)
Milano, Via Molino Delle Armi, 3, (Milano)
Vernissage
17 Febbraio 2009, dalle 18 alle 22
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