Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Zhou Zhiwei – Immagini della memoria
La Galleria “Arianna Sartori – Arte & object design” di Mantova, nella sede di via Ippolito Nievo 10, dal 31 marzo al 19 aprile 2012, presenta la mostra personale del maestro Zhou Zhiwei intitolata “Immagini della memoria”.
La mostra si inaugurerà alla presenza dell’artista Sabato 31 marzo alle ore
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Galleria “Arianna Sartori - Arte & object design” di Mantova, nella sede di via Ippolito Nievo 10, dal 31 marzo al 19 aprile 2012, presenta la mostra personale del maestro Zhou Zhiwei intitolata “Immagini della memoria”.
La mostra si inaugurerà alla presenza dell’artista Sabato 31 marzo alle ore 17.30.
ZHOU ZHIWEI
Nato a Shangai nel 1954, si dedica alla pittura dall'età di 9 anni. Allievo di due famosi pittori cinesi, Yu Yun-jie e Liu Kemin, ha completato gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Shangai. Risiede in Italia dal 1980 dove ha frequentato i grandi maestri con-temporanei quali Pietro Annigoni, Giacomo Manzù e Gregorio Sciltian. A Roma ha perfezionato la sua tecnica pittorica principal-mente presso lo studio di Riccardo Tommasi Ferroni, uno dei maestri del citazionismo contemporaneo. Il suo realismo esce dai fondamenti della cultura a cui appartiene. Continua a fare ricerca e studio delle opere dei grandi maestri nei maggiori musei europei. La sua ricerca tende all’indefinito di cui è pervasa la forma, ma soprattutto il contenuto. La sua vita è dunque un lungo peregrinare tra Oriente e Occidente. Lui si considera “ospite” di entrambi. Ama fondere i due mondi, il suo pensiero affonda le radici nel taoi-smo filosofico. Il “Tao”, che significa “via”, è l’unità suprema in cui conciliano le opposizioni della vita; quello benefico (Yang) e quello dissolvitore (Yin)… Le sue opere sono preferibilmente di grandi dimensioni. La tempesta, ad esempio, è di 250 centimetri per 550, Capriccio Veneziano misura 220 per 450, L’Autunno di Ulisse 280 per 500… Dell’eccezionalità di queste tele scrive l’autorevole critico d’arte Mario De Micheli : “Quando io ho visto le sue opere sono rimasto meravigliato, non solo della sicura abi-lità ch’egli dimostrava, ma dell’intensità delle immagini ch’egli sapeva creare. Erano immagini concepite con ardita fantasia e ispira-zione, sicure nei modi e nel sistema di affrontare i suoi temi. Quando, per fare un caso, ha affrontato Capriccio Veneziano,con la laguna e le vele spiegate sullo sfondo, ha voluto sinteticamente riunire antichi personaggi e personaggi moderni: una donna che fa la spesa, dei giovani che suonano, lui stesso che dipinge, un altro che legge il giornale, uomini seduti o in carrozzella, vari turisti che visitano la città…E su tutto, dominante, il Monumento a Goldoni del 1883, realizzato da Antonio del Zotto, che Zhiwei, arbitra-riamente, ha spostato dalla sua sede, innalzandolo nella sua tela, alto nel cielo lagunare… La trama intera della sua opera è ricca di fantasia e di perizia, di maestria e di esperienza. Egli rivela i suoi segreti tecnici e poetici senza difficoltà, perché di fatto non sono segreti: sono di sicura evidenza. In altre parole egli dipinge con estrema semplicità…” La maggior parte dei lavori di Zhou Zhiwei è stata realizzata negli studi di Roma e Vienna. Attualmente vive a Padova e alterna il lavoro in Italia e in Cina.
CONVERSAZIONE CON ZHOU ZHIWEI di Maria Luisa Trevisan.
Partiamo dalle tue origini, da dove vieni? Chi era tuo padre? Vuoi parlarci un po’ della tua famiglia?
Era una famiglia numerosa, mio padre ha sette fratelli e mia madre otto, quindi ho una cinquantina di cugini. Io ho un fratello e una sorella.
Che formazione aveva la tua famiglia, umanistica o scientifica?
Scientifica. Mio nonno aveva una fabbrica di meccanismi per locomotive e i suoi figli sono diventati ingegneri. Mio padre è inge-gnere metallurgico, costruiva treni, ferrovie, lavora ancora nonostante abbia quasi ottant’anni.
Come mai tu non hai fatto l’ingegnere?
Mio padre voleva che io diventassi musicista, ho cominciato a suonare il violino da piccolo, poi è iniziata la rivoluzione culturale che ha azzerato tutto. Io avevo 14 anni, le guardie rosse mi hanno spaccato il violino, non avevamo più niente. Mi sono dedicato al disegno per il quale avevo grande passione………. per disegnare bastava una matita. La mia famiglia era divisa in due parti, una parte era comunista, a favore della rivoluzione, l’altra parte era capitalista. Mio padre invece era la pecora nera, lui era solo un intel-lettuale, sempre sui libri. Io, ero a favore della rivoluzione culturale ma, come figlio di borghese non potevo fare il soldato. Poi mio padre fu mandato in un campo di concentramento e costretto ai lavori forzati. Recentemente, durante un soggiorno a Shangai mi ha confidato che se non avesse avuto figli si sarebbe suicidato. Nei suoi anni migliori, nel momento più bello della sua carriera e stato portato in campagna e per un anno interno non abbiamo più saputo niente d lui. Lavorava nei campi, gli davano poco da mangiare e da leggere Mao. Alcuni miei parenti capitalisti sono riusciti ad andare all’estero.
E tua mamma?
Mia mamma veniva da una famiglia piccolo borghese di commercianti di stoffe.
Dal punto di vista religioso?
Mia nonna paterna, dalla quale passavo tutti i fine settimana, era molto religiosa, pregava una divinità femminile, una sorta di Budda donna che si chiama Quan Yin. La sua pelle era bianca come il latte. Si metteva una crema di latte di rana che rendeva il viso come una porcellana. In casa sua c’era un altare e io la vedevo pregare. Vedevo il suo viso bianco immerso in un fumo d’incenso, si ve-stiva sempre di un celeste-grigio, questa atmosfera mi è rimasta nel cuore, era una presenza costante, solo più tardi ho capito da do-ve provenivano i miei colori.
Sei riuscito a mantenerti solo con la pittura o ti sei dedicato anche all’insegnamento?
Per un po’ sono rimasto in contatto con l’accademia di Shangai ma non sono portato per l’insegnamento.
Com’è avvenuta la tua formazione?
I miei due maestri provenivano da due scuole diverse. Uno aveva una formazione basata sulla scuola francese e fiamminga, l’altro, con il quale sono ancora in contatto, seguiva gli insegnamenti della scuola Russa , il Socialismo Sovietico. Si trattava di un sistema di insegnamento quasi scientifico. Ad esempio, la luce veniva calcolata scientificamente secondo la teoria di Cesjakov come il metodo Stanilasky per il teatro. Si studiava anatomia, prospettiva, ecc. Era un insegnamento molto molto severo.
Quindi la tua pittura risulta da una sintesi di queste due fonti?
Si, molto importante è stato anche lo studio della calligrafia e della tecnica tradizionale della pittura cinese, l’acquarello su carta di riso.
Sei sempre stato attratto dall’Italia?
Si, come tutti gli studenti cinesi di arte.
E tu come hai vissuto la rivoluzione culturale?
Avevo 15 anni, noi ragazzi di città seguivamo il pensiero di Mao e siamo stati mandati in campagna a “insegnare” ai contadini con-servatori la modernità.. Ho lavorato nei campi, ho persino fatto l’allevatore di maiali……. con scarsi risultati, ho lavorato anche in miniera. In campagna ho avuto anche il compito di “rieducare”degli anziani intellettuali cosiddetti controrivoluzionari. Una fortuna è stata che mi è capitato di dover “rieducare” uno dei migliori cuochi cinesi. In realtà lui ha educato me all’arte della cucina. Ho ca-pito che la cucina è arte, idea che ho condiviso con vari amici pittori, in particolare con Riccardo Tommasi Ferroni, Alessandro KoKocinsky e Tobia Ravà. Diffido di pittori che non sanno cucinare.
Come hai conosciuto Tommasi Ferroni?
A quel tempo ero corrispondente per una rivista d’arte dell’accademia di Pechino (Arte del Mondo). Quando sono andato a Vene-zia a vedere la biennale dove c’era una personale di Tommasi Ferroni, ho pensato che quel pittore era molto interessante e che avrei voluto intervistarlo. Successivamente a Pechino è successa una cosa straordinaria, durante un ricevimento all’ambasciata mi è stato presentato un pittore al quale ho confidato il mio progetto di intervistare Riccado Tommasi Ferroni, lui mi ha guardato fisso e ha detto: Sono io! Il giorno dopo le autorità volevano portarlo a visitare lo zoo e lui, disperato, mi telefonò pregandomi di salvargli la giornata. Abbiamo affittato le bici e ci siamo immersi nella parte vecchia di Pechino. Anche ai figli di Berlinguer ho fornito una bi-cicletta e abbiamo girovagato fra la gente. E’ stato Tommasi che mi ha fatto conoscere bene la pittura italiana. Alcuni mesi dopo l’incontro a Pechino, infatti, in viaggio a Roma, sono passato dal suo studio e…… mi sono fermato lì per dieci anni. Lui mi ha dato quello che cercavo. Ho conosciuto altri grandi maestri: Annigoni, Manzù, Sciltian.
E pittori più giovani?
Ne frequento molti. Per esempio Alessandro Kokocinski, Jonathan Johnson, Tobia Ravà con il quale ho frequentato un corso di incisione di Bruscaglia a Urbino, in quell’occasione abbiamo conosciuto artisti di tutte le nazionalità. E’ stato bellissimo.
Perchè hai scelto da fare pittura figurativa?
Amo la bella pittura, per me bella pittura vuol dire una tela ben preparata, colori di alta qualità, belle pennellate. Nei corsi dell’Accademia abbiamo avuto possibilità di provare tutti i tipi di espressione e tecniche: astrattismo, surrealismo, iperrealismo etc. Sapevo bene chi era Bacon, Jackson Pollock, Dalì, etc.. Finito l’Accademia ognuno ha scelto la sua strada, per esempio il mio caro amico Chen Zen ha avuto grande successo a Parigi con le sue istallazioni geniali. Io sentivo che la pittura figurativa mi consentiva di esprimermi al massimo.
Cosa ne pensi della pittura cinese contemporanea?
I giovani artisti cinesi di oggi hanno una formazione culturale diversa con cui non ho niente in comune. Mi chiedo solo…” perché un giovane cinese deve copiare l’espressionismo tedesco?”
Come mai hai trattato Petrarca e San Luca che non fanno parte della tua cultura d’origine?
In Cina ho letto Petrarca, ho fatto anche un esame sulla sua poesia. Il mio Petrarca è simbolico, vuole esprimere solo la solitudine di essere uomo. Anche San Luca è simbolico. Il protettore della pittura tradizionale, si trova in un ambiente di video arte e resta perplesso, proprio come succede talvolta e me.
Ho notato che ti piace presentare le tue mostre accompagnate da musica originale……
Il mio rapporto con la musica è nato quando ero piccolo. Ho sempre collegato la pittura alla musica, insieme costituiscono un lin-guaggio espressivo molto efficace che può dare grande emozione.
Ci sarà uno Zhiwei più spirituale in futuro?
Sono sempre stato attratto dal Taoismo. Adesso ho il desiderio di ritornare a meditare in un monastero dove sono stato in passato. Quel luogo ha i colori e gli odori dei miei ricordi di mia nonna.
Principali Mostre Personali
1980 CIAC (centro italiano affari culturali) palazzo Chekler Udine. 1981 Galleria d'arte Santa Croce - Firenze. 1982 Galleria d'arte Piccinini- Cortina d'Ampezzo. 1982 Galleria d’arte Paolo Diacono - Cividale del Friuli. 1983 Comune di Roma - Assessorato alla cultura - Istituto Luce. 1984 Ambasciata Italiana - Beijing. 1985 Comune di Fabriano - Assessorato alla cultura- Chiostro del buon Gesù. 1986 Galleria d'arte Ciovasso - Milano. 1987 Comune di Verona - Assessorato alla cultura - Ex Chiesa S. Giorgetto. 1988 Galleria d'arte - Les chances de l'art – Bolzano. 1989 Provincia di Pordenone - Città di Sacile - Assessorato alla cultura. Chiesa di S. Gregorio. 1990 Galleria d'arte Rettori Tribbio 2 – Trieste. 1991 Galleria d'arte La Galleria - Pordenone .1992 Prefettura di Pesaro - Assessorato alla cultura- Palazzo della Prefettura. 1996 Galleria d’arte Ciovasso – Milano. 1998 Città di Sacile – Assessorato alla cul-tura- Ex Chiesa di San Gregorio. 1998 La Galleria – Pordenone. 1999 Tribbio 2 – Trieste. 2000 Comune di San Vito al Tagliamen-to, assessorato alla cultura, palazzo del Municipio. 2001 Comune di Pesaro, Centro Culturale Sagittario delle idee, Sala Laurana, Pa-lazzo Ducale. 2002 Accademia Raffaello, Casa Natale di Raffaello Urbino. 2003 Galleria Spazio Aperto – Venezia. 2003 Galleria di arte contemporanea Comunale – Piombino. 2004 Osmosi – Festa dell’Unità- Golena di San Massimo- Padova. 2005 Osmosi, Gal-leria Ciovasso – Milano. 2005 Galleria Rettori Tribbio 2- Trieste. 2005 Villa Altan, Comune di Gaiarine – Treviso. 2006 Galleria Polin – Villorba. 2006 Comune di Padova – Assessorato alla cultura – Istituto Dante Alighieri – Ente nazionale Petrarca – Acca-demia delle scienze e arti Galileiana – Sala Rossini, palazzo Pedrocchi. 2006 Galleria Trebbio 2 – Trieste. 2006 Regione Lazio – Provincia di Roma – Comune di Roma – Università La Sapienza – Link Campus, Università di Malta – Mediterranea, Festival In-tercontinentale della letteratura e delle arti. Ex/Magazini Generali – ROMA. 2007 Galleria Schreiber - Brescia. 2007 Museo di Bua-tou- Mongolia Interna. 2007 Festival Internazionale dell’arte – Pechino. 2008 Galleria Ciovasso – Milano. 2008 San Marino – Gal-leria San Marino. 2009 Renessans Art Gallery – Firenze. 2009 Galleria Schreiber - Brescia. 2010 – Galleria Rettori Tribbio – Trieste. 2011 Palazzo Buonaccorsi – Macerata. 2011 TC Parioli – Roma.
E’ raro che un artista sappia unire una spontaneità di modi, che definiremmo addirittura semplice nella sua naturalezza, a una com-plessità culturale legata ai luoghi della sua formazione, geograficamente diversi e variati. E che sia un artista capace di cogliere il di-retto respiro di un’azione, o di un paesaggio; e nel contempo di rievocare modelli storici quasi visti in un sogno fantomatico. Cinese di nascita, avviato all’attività artistica nella sua terra, Zhiwei non ha mai perduto il contatto, anche psicologico, con il suo mondo d’origine: più che nell’iconografia riviviamo con lui l’Oriente nella sensibilità sottile del segno e nel respiro paesaggistico, che trava-lica ogni minuzia descrittiva per farsi estasi dell’infinito. D’altra parte, trasferitosi in Italia non ancora trentenne, qui ha continuato gli studi e ha assimilato formule espressive che gli erano particolarmente congeniali; praticando una pittura cosiddetta figurativa, ha recepito soprattutto l’interpretazione che ne dava il suo prediletto maestro, Tommasi Ferroni: personaggi realistici nella precisione fisionomica, nello stesso spessore plastico; ma coinvolti in azioni simboliche, come su un palcoscenico. E ancora: l’occidente che ha coinvolto la fantasia di Zhiwei è soprattutto quello culturale, cioè la sua ricchezza storica, il suo patrimonio iconografico.
Sicché egli non ha esitato a rappresentare complesse scene rievocative, costellate di episodi, personaggi, monumenti che non solo rimandano a testimonianze delle civiltà succedutesi nei secoli, ma al modo con cui la figurazione pittorica le ha a sua volta ripropo-ste, e come le ha utilizzate per ambientarvi il recente e l’immediato. Dunque, a un certo punto, è Courbet il modello iconografico del suo racconto, con la descrizione dell’atelier di un artista sensibile al passato ma immerso nella propria realtà. Non solo: ogni vol-ta l’ambiente fitto di personaggi e costumi diversi(il vestire di oggi o del periodo appena trascorso, o il costume d’epoca antica in-dossato dall’attuale modella, e così via ) si apre su uno sfondo paesaggistico che lo colloca entro una geografia precisa. Sia chiaro: una veduta non obbligatoriamente veristica, perché i rimandi storici si fondono con quelli fantastici, gli episodi citati si sovrappon-gono; permane il senso di una suggestione simbolica che vuol essere, nei suoi momenti più intensi e drammatici; anche il frutto di una riflessione filosofica: l’antico e il moderno messi a confronto, la memoria inalterata e la drammaticità del caduco Si citava prima Courbet. Certo, l’iconografia storico/fantastica del pieno Ottocento ha particolarmente suggestionato la respirante fantasia di Zhi-wei.
Si prenda ad esempio la veduta veneziana che interpreta modelli cinquecenteschi e settecenteschi alla maniera di Hayez: storia e cronaca si accompagnano e fondono; non solo: i grandi protagonisti dei dipinti del passato, figure carpaccesche, tizianesche e così via si allineano sullo sfondo, incuriositi dal movimento turistico in primo piano; epoche , razze, costumi, strumenti perenni e nuovi meccanismi tecnologici; e si sa, gli immancabili piccioni. Si tratta dunque di un’elegante e suggestiva teatralità nella quale concorro-no stimoli diversi, supportata da un raffinato mestiere in cui riconosciamo le lezioni di Annigoni e Sciltian.
Ma Zhiwei non è soltanto questo. Perché quando noi guardiamo i suoi liberi paesaggi vi ravvisiamo sempre, sì, un senso del remoto profondo, ma insieme una limpidezza senza tempo, l’incanto pulito del bello di natura. E’ raro, si diceva in esordio, che un artista di attitudine storica sia anche un libero testimone delle nostre spontanee emozioni. Sarà l’incontro tra Oriente e Occidente a fare di Zhiwei una personalità speciale, nel medesimo tempo complessa e nitida; del tutto accattivante.
Rossana Bossaglia
La mostra si inaugurerà alla presenza dell’artista Sabato 31 marzo alle ore 17.30.
ZHOU ZHIWEI
Nato a Shangai nel 1954, si dedica alla pittura dall'età di 9 anni. Allievo di due famosi pittori cinesi, Yu Yun-jie e Liu Kemin, ha completato gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Shangai. Risiede in Italia dal 1980 dove ha frequentato i grandi maestri con-temporanei quali Pietro Annigoni, Giacomo Manzù e Gregorio Sciltian. A Roma ha perfezionato la sua tecnica pittorica principal-mente presso lo studio di Riccardo Tommasi Ferroni, uno dei maestri del citazionismo contemporaneo. Il suo realismo esce dai fondamenti della cultura a cui appartiene. Continua a fare ricerca e studio delle opere dei grandi maestri nei maggiori musei europei. La sua ricerca tende all’indefinito di cui è pervasa la forma, ma soprattutto il contenuto. La sua vita è dunque un lungo peregrinare tra Oriente e Occidente. Lui si considera “ospite” di entrambi. Ama fondere i due mondi, il suo pensiero affonda le radici nel taoi-smo filosofico. Il “Tao”, che significa “via”, è l’unità suprema in cui conciliano le opposizioni della vita; quello benefico (Yang) e quello dissolvitore (Yin)… Le sue opere sono preferibilmente di grandi dimensioni. La tempesta, ad esempio, è di 250 centimetri per 550, Capriccio Veneziano misura 220 per 450, L’Autunno di Ulisse 280 per 500… Dell’eccezionalità di queste tele scrive l’autorevole critico d’arte Mario De Micheli : “Quando io ho visto le sue opere sono rimasto meravigliato, non solo della sicura abi-lità ch’egli dimostrava, ma dell’intensità delle immagini ch’egli sapeva creare. Erano immagini concepite con ardita fantasia e ispira-zione, sicure nei modi e nel sistema di affrontare i suoi temi. Quando, per fare un caso, ha affrontato Capriccio Veneziano,con la laguna e le vele spiegate sullo sfondo, ha voluto sinteticamente riunire antichi personaggi e personaggi moderni: una donna che fa la spesa, dei giovani che suonano, lui stesso che dipinge, un altro che legge il giornale, uomini seduti o in carrozzella, vari turisti che visitano la città…E su tutto, dominante, il Monumento a Goldoni del 1883, realizzato da Antonio del Zotto, che Zhiwei, arbitra-riamente, ha spostato dalla sua sede, innalzandolo nella sua tela, alto nel cielo lagunare… La trama intera della sua opera è ricca di fantasia e di perizia, di maestria e di esperienza. Egli rivela i suoi segreti tecnici e poetici senza difficoltà, perché di fatto non sono segreti: sono di sicura evidenza. In altre parole egli dipinge con estrema semplicità…” La maggior parte dei lavori di Zhou Zhiwei è stata realizzata negli studi di Roma e Vienna. Attualmente vive a Padova e alterna il lavoro in Italia e in Cina.
CONVERSAZIONE CON ZHOU ZHIWEI di Maria Luisa Trevisan.
Partiamo dalle tue origini, da dove vieni? Chi era tuo padre? Vuoi parlarci un po’ della tua famiglia?
Era una famiglia numerosa, mio padre ha sette fratelli e mia madre otto, quindi ho una cinquantina di cugini. Io ho un fratello e una sorella.
Che formazione aveva la tua famiglia, umanistica o scientifica?
Scientifica. Mio nonno aveva una fabbrica di meccanismi per locomotive e i suoi figli sono diventati ingegneri. Mio padre è inge-gnere metallurgico, costruiva treni, ferrovie, lavora ancora nonostante abbia quasi ottant’anni.
Come mai tu non hai fatto l’ingegnere?
Mio padre voleva che io diventassi musicista, ho cominciato a suonare il violino da piccolo, poi è iniziata la rivoluzione culturale che ha azzerato tutto. Io avevo 14 anni, le guardie rosse mi hanno spaccato il violino, non avevamo più niente. Mi sono dedicato al disegno per il quale avevo grande passione………. per disegnare bastava una matita. La mia famiglia era divisa in due parti, una parte era comunista, a favore della rivoluzione, l’altra parte era capitalista. Mio padre invece era la pecora nera, lui era solo un intel-lettuale, sempre sui libri. Io, ero a favore della rivoluzione culturale ma, come figlio di borghese non potevo fare il soldato. Poi mio padre fu mandato in un campo di concentramento e costretto ai lavori forzati. Recentemente, durante un soggiorno a Shangai mi ha confidato che se non avesse avuto figli si sarebbe suicidato. Nei suoi anni migliori, nel momento più bello della sua carriera e stato portato in campagna e per un anno interno non abbiamo più saputo niente d lui. Lavorava nei campi, gli davano poco da mangiare e da leggere Mao. Alcuni miei parenti capitalisti sono riusciti ad andare all’estero.
E tua mamma?
Mia mamma veniva da una famiglia piccolo borghese di commercianti di stoffe.
Dal punto di vista religioso?
Mia nonna paterna, dalla quale passavo tutti i fine settimana, era molto religiosa, pregava una divinità femminile, una sorta di Budda donna che si chiama Quan Yin. La sua pelle era bianca come il latte. Si metteva una crema di latte di rana che rendeva il viso come una porcellana. In casa sua c’era un altare e io la vedevo pregare. Vedevo il suo viso bianco immerso in un fumo d’incenso, si ve-stiva sempre di un celeste-grigio, questa atmosfera mi è rimasta nel cuore, era una presenza costante, solo più tardi ho capito da do-ve provenivano i miei colori.
Sei riuscito a mantenerti solo con la pittura o ti sei dedicato anche all’insegnamento?
Per un po’ sono rimasto in contatto con l’accademia di Shangai ma non sono portato per l’insegnamento.
Com’è avvenuta la tua formazione?
I miei due maestri provenivano da due scuole diverse. Uno aveva una formazione basata sulla scuola francese e fiamminga, l’altro, con il quale sono ancora in contatto, seguiva gli insegnamenti della scuola Russa , il Socialismo Sovietico. Si trattava di un sistema di insegnamento quasi scientifico. Ad esempio, la luce veniva calcolata scientificamente secondo la teoria di Cesjakov come il metodo Stanilasky per il teatro. Si studiava anatomia, prospettiva, ecc. Era un insegnamento molto molto severo.
Quindi la tua pittura risulta da una sintesi di queste due fonti?
Si, molto importante è stato anche lo studio della calligrafia e della tecnica tradizionale della pittura cinese, l’acquarello su carta di riso.
Sei sempre stato attratto dall’Italia?
Si, come tutti gli studenti cinesi di arte.
E tu come hai vissuto la rivoluzione culturale?
Avevo 15 anni, noi ragazzi di città seguivamo il pensiero di Mao e siamo stati mandati in campagna a “insegnare” ai contadini con-servatori la modernità.. Ho lavorato nei campi, ho persino fatto l’allevatore di maiali……. con scarsi risultati, ho lavorato anche in miniera. In campagna ho avuto anche il compito di “rieducare”degli anziani intellettuali cosiddetti controrivoluzionari. Una fortuna è stata che mi è capitato di dover “rieducare” uno dei migliori cuochi cinesi. In realtà lui ha educato me all’arte della cucina. Ho ca-pito che la cucina è arte, idea che ho condiviso con vari amici pittori, in particolare con Riccardo Tommasi Ferroni, Alessandro KoKocinsky e Tobia Ravà. Diffido di pittori che non sanno cucinare.
Come hai conosciuto Tommasi Ferroni?
A quel tempo ero corrispondente per una rivista d’arte dell’accademia di Pechino (Arte del Mondo). Quando sono andato a Vene-zia a vedere la biennale dove c’era una personale di Tommasi Ferroni, ho pensato che quel pittore era molto interessante e che avrei voluto intervistarlo. Successivamente a Pechino è successa una cosa straordinaria, durante un ricevimento all’ambasciata mi è stato presentato un pittore al quale ho confidato il mio progetto di intervistare Riccado Tommasi Ferroni, lui mi ha guardato fisso e ha detto: Sono io! Il giorno dopo le autorità volevano portarlo a visitare lo zoo e lui, disperato, mi telefonò pregandomi di salvargli la giornata. Abbiamo affittato le bici e ci siamo immersi nella parte vecchia di Pechino. Anche ai figli di Berlinguer ho fornito una bi-cicletta e abbiamo girovagato fra la gente. E’ stato Tommasi che mi ha fatto conoscere bene la pittura italiana. Alcuni mesi dopo l’incontro a Pechino, infatti, in viaggio a Roma, sono passato dal suo studio e…… mi sono fermato lì per dieci anni. Lui mi ha dato quello che cercavo. Ho conosciuto altri grandi maestri: Annigoni, Manzù, Sciltian.
E pittori più giovani?
Ne frequento molti. Per esempio Alessandro Kokocinski, Jonathan Johnson, Tobia Ravà con il quale ho frequentato un corso di incisione di Bruscaglia a Urbino, in quell’occasione abbiamo conosciuto artisti di tutte le nazionalità. E’ stato bellissimo.
Perchè hai scelto da fare pittura figurativa?
Amo la bella pittura, per me bella pittura vuol dire una tela ben preparata, colori di alta qualità, belle pennellate. Nei corsi dell’Accademia abbiamo avuto possibilità di provare tutti i tipi di espressione e tecniche: astrattismo, surrealismo, iperrealismo etc. Sapevo bene chi era Bacon, Jackson Pollock, Dalì, etc.. Finito l’Accademia ognuno ha scelto la sua strada, per esempio il mio caro amico Chen Zen ha avuto grande successo a Parigi con le sue istallazioni geniali. Io sentivo che la pittura figurativa mi consentiva di esprimermi al massimo.
Cosa ne pensi della pittura cinese contemporanea?
I giovani artisti cinesi di oggi hanno una formazione culturale diversa con cui non ho niente in comune. Mi chiedo solo…” perché un giovane cinese deve copiare l’espressionismo tedesco?”
Come mai hai trattato Petrarca e San Luca che non fanno parte della tua cultura d’origine?
In Cina ho letto Petrarca, ho fatto anche un esame sulla sua poesia. Il mio Petrarca è simbolico, vuole esprimere solo la solitudine di essere uomo. Anche San Luca è simbolico. Il protettore della pittura tradizionale, si trova in un ambiente di video arte e resta perplesso, proprio come succede talvolta e me.
Ho notato che ti piace presentare le tue mostre accompagnate da musica originale……
Il mio rapporto con la musica è nato quando ero piccolo. Ho sempre collegato la pittura alla musica, insieme costituiscono un lin-guaggio espressivo molto efficace che può dare grande emozione.
Ci sarà uno Zhiwei più spirituale in futuro?
Sono sempre stato attratto dal Taoismo. Adesso ho il desiderio di ritornare a meditare in un monastero dove sono stato in passato. Quel luogo ha i colori e gli odori dei miei ricordi di mia nonna.
Principali Mostre Personali
1980 CIAC (centro italiano affari culturali) palazzo Chekler Udine. 1981 Galleria d'arte Santa Croce - Firenze. 1982 Galleria d'arte Piccinini- Cortina d'Ampezzo. 1982 Galleria d’arte Paolo Diacono - Cividale del Friuli. 1983 Comune di Roma - Assessorato alla cultura - Istituto Luce. 1984 Ambasciata Italiana - Beijing. 1985 Comune di Fabriano - Assessorato alla cultura- Chiostro del buon Gesù. 1986 Galleria d'arte Ciovasso - Milano. 1987 Comune di Verona - Assessorato alla cultura - Ex Chiesa S. Giorgetto. 1988 Galleria d'arte - Les chances de l'art – Bolzano. 1989 Provincia di Pordenone - Città di Sacile - Assessorato alla cultura. Chiesa di S. Gregorio. 1990 Galleria d'arte Rettori Tribbio 2 – Trieste. 1991 Galleria d'arte La Galleria - Pordenone .1992 Prefettura di Pesaro - Assessorato alla cultura- Palazzo della Prefettura. 1996 Galleria d’arte Ciovasso – Milano. 1998 Città di Sacile – Assessorato alla cul-tura- Ex Chiesa di San Gregorio. 1998 La Galleria – Pordenone. 1999 Tribbio 2 – Trieste. 2000 Comune di San Vito al Tagliamen-to, assessorato alla cultura, palazzo del Municipio. 2001 Comune di Pesaro, Centro Culturale Sagittario delle idee, Sala Laurana, Pa-lazzo Ducale. 2002 Accademia Raffaello, Casa Natale di Raffaello Urbino. 2003 Galleria Spazio Aperto – Venezia. 2003 Galleria di arte contemporanea Comunale – Piombino. 2004 Osmosi – Festa dell’Unità- Golena di San Massimo- Padova. 2005 Osmosi, Gal-leria Ciovasso – Milano. 2005 Galleria Rettori Tribbio 2- Trieste. 2005 Villa Altan, Comune di Gaiarine – Treviso. 2006 Galleria Polin – Villorba. 2006 Comune di Padova – Assessorato alla cultura – Istituto Dante Alighieri – Ente nazionale Petrarca – Acca-demia delle scienze e arti Galileiana – Sala Rossini, palazzo Pedrocchi. 2006 Galleria Trebbio 2 – Trieste. 2006 Regione Lazio – Provincia di Roma – Comune di Roma – Università La Sapienza – Link Campus, Università di Malta – Mediterranea, Festival In-tercontinentale della letteratura e delle arti. Ex/Magazini Generali – ROMA. 2007 Galleria Schreiber - Brescia. 2007 Museo di Bua-tou- Mongolia Interna. 2007 Festival Internazionale dell’arte – Pechino. 2008 Galleria Ciovasso – Milano. 2008 San Marino – Gal-leria San Marino. 2009 Renessans Art Gallery – Firenze. 2009 Galleria Schreiber - Brescia. 2010 – Galleria Rettori Tribbio – Trieste. 2011 Palazzo Buonaccorsi – Macerata. 2011 TC Parioli – Roma.
E’ raro che un artista sappia unire una spontaneità di modi, che definiremmo addirittura semplice nella sua naturalezza, a una com-plessità culturale legata ai luoghi della sua formazione, geograficamente diversi e variati. E che sia un artista capace di cogliere il di-retto respiro di un’azione, o di un paesaggio; e nel contempo di rievocare modelli storici quasi visti in un sogno fantomatico. Cinese di nascita, avviato all’attività artistica nella sua terra, Zhiwei non ha mai perduto il contatto, anche psicologico, con il suo mondo d’origine: più che nell’iconografia riviviamo con lui l’Oriente nella sensibilità sottile del segno e nel respiro paesaggistico, che trava-lica ogni minuzia descrittiva per farsi estasi dell’infinito. D’altra parte, trasferitosi in Italia non ancora trentenne, qui ha continuato gli studi e ha assimilato formule espressive che gli erano particolarmente congeniali; praticando una pittura cosiddetta figurativa, ha recepito soprattutto l’interpretazione che ne dava il suo prediletto maestro, Tommasi Ferroni: personaggi realistici nella precisione fisionomica, nello stesso spessore plastico; ma coinvolti in azioni simboliche, come su un palcoscenico. E ancora: l’occidente che ha coinvolto la fantasia di Zhiwei è soprattutto quello culturale, cioè la sua ricchezza storica, il suo patrimonio iconografico.
Sicché egli non ha esitato a rappresentare complesse scene rievocative, costellate di episodi, personaggi, monumenti che non solo rimandano a testimonianze delle civiltà succedutesi nei secoli, ma al modo con cui la figurazione pittorica le ha a sua volta ripropo-ste, e come le ha utilizzate per ambientarvi il recente e l’immediato. Dunque, a un certo punto, è Courbet il modello iconografico del suo racconto, con la descrizione dell’atelier di un artista sensibile al passato ma immerso nella propria realtà. Non solo: ogni vol-ta l’ambiente fitto di personaggi e costumi diversi(il vestire di oggi o del periodo appena trascorso, o il costume d’epoca antica in-dossato dall’attuale modella, e così via ) si apre su uno sfondo paesaggistico che lo colloca entro una geografia precisa. Sia chiaro: una veduta non obbligatoriamente veristica, perché i rimandi storici si fondono con quelli fantastici, gli episodi citati si sovrappon-gono; permane il senso di una suggestione simbolica che vuol essere, nei suoi momenti più intensi e drammatici; anche il frutto di una riflessione filosofica: l’antico e il moderno messi a confronto, la memoria inalterata e la drammaticità del caduco Si citava prima Courbet. Certo, l’iconografia storico/fantastica del pieno Ottocento ha particolarmente suggestionato la respirante fantasia di Zhi-wei.
Si prenda ad esempio la veduta veneziana che interpreta modelli cinquecenteschi e settecenteschi alla maniera di Hayez: storia e cronaca si accompagnano e fondono; non solo: i grandi protagonisti dei dipinti del passato, figure carpaccesche, tizianesche e così via si allineano sullo sfondo, incuriositi dal movimento turistico in primo piano; epoche , razze, costumi, strumenti perenni e nuovi meccanismi tecnologici; e si sa, gli immancabili piccioni. Si tratta dunque di un’elegante e suggestiva teatralità nella quale concorro-no stimoli diversi, supportata da un raffinato mestiere in cui riconosciamo le lezioni di Annigoni e Sciltian.
Ma Zhiwei non è soltanto questo. Perché quando noi guardiamo i suoi liberi paesaggi vi ravvisiamo sempre, sì, un senso del remoto profondo, ma insieme una limpidezza senza tempo, l’incanto pulito del bello di natura. E’ raro, si diceva in esordio, che un artista di attitudine storica sia anche un libero testimone delle nostre spontanee emozioni. Sarà l’incontro tra Oriente e Occidente a fare di Zhiwei una personalità speciale, nel medesimo tempo complessa e nitida; del tutto accattivante.
Rossana Bossaglia
31
marzo 2012
Zhou Zhiwei – Immagini della memoria
Dal 31 marzo al 19 aprile 2012
arte contemporanea
Location
ARIANNA SARTORI ARTE & OBJECT DESIGN
Mantova, Via Ippolito Nievo, 10, (Mantova)
Mantova, Via Ippolito Nievo, 10, (Mantova)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi
Vernissage
31 Marzo 2012, ore 17.30
Autore
Curatore