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Zoltàn Nagy – Strada facendo
Passeggiate torinesi d’inizio millennio: fotografie
Comunicato stampa
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Il bianco e il nero sono i colori della fotografia. Per me simbolizzano l’alternarsi di speranza e disperazione a cui l’umanità è sempre soggetta. Io fotografo soprattutto la gente, vista in modo semplice, come attraverso gli occhi dell’uomo della strada. C’è una sola cosa che la fotografia deve contenere: l’umanità della situazione. Questo genere di fotografia è il realismo. Ma il realismo da solo non basta – ci vuole anche l’intuizione visiva, i due assieme possono dare una buona fotografia. È difficile descrivere la linea sottile dove finisce la concretezza e inizia la mente.*
Robert Frank
Potrebbe già bastare…
Leggete le parole di Robert Frank e guardate le fotografie di Zoltàn Nagy. Dice tutto Frank. Descrive perfettamente quello che vediamo sotto i nostri occhi. La fusione tra uno sguardo semplice e una superba intuizione visiva. Sta lì la magia della fotografia, sta lì la magia di “queste” fotografie.
Che dire d’altro? Beh, forse si potrebbero notare i tanti rimandi ad una tradizione fotografica classica e raffinata; sottolineare lo stretto legame di Zoltàn Nagy con un suo illustre connazionale, André Kertész, per un certo uso degli scorci architettonici, per la grazia nel collocare le figure umane entro l’inquadratura della macchina, per il far risultare semplici, quasi banali, visioni complesse ed ardite.
E ancora iscriverlo ad honorem pure alla cosiddetta “scuola francese”, per la leggerezza del tocco e la sottile ironia, per il gusto del paradosso e del contrappasso (prolungamenti artificiosi, rimbalzi iconici e semantici, ripetizioni formali, quasi auto-citazioni interne ad alcune immagini, e ribaltamenti prospettici). E qui siamo senza dubbio dalle parti di Izis e Cartier-Bresson, soprattutto.
E poi la complessità strutturale delle immagini, i tanti, diversi, intriganti e stimolanti piani di lettura. Guardate la persona ritratta all’interno di un bar, coi pappagallini nella tendina e le cornici (che ci stanno a fare?) appoggiate all’esterno; guardate l’immagine di Piazza Vittorio ripresa dalla Gran Madre, con lo sdoppiamento tra statue e paesaggio urbano, tra realtà e riproduzione; guardate (e qui mi fermo, ma si potrebbe andare avanti all’infinito) il caleidoscopio di prospettive nella vetrina del negozio di dischi in via Po, dove l’unico punto fermo e inequivocabile sono… i due cagnolini.
Assoluta semplicità nello sguardo, ci si potrebbe sbilanciare addirittura ad usare il termine “innocenza”, ma, appunto, la semplicità “assoluta” si raggiunge solo ed esclusivamente se si possiede una padronanza del mezzo (nei suoi termini espliciti e impliciti, e cioè nei termini sia della tecnica che del linguaggio) e una raffinatezza visiva che solo i maestri hanno.
Ultima notazione, e qui ci caliamo nei contenuti della visione di Zoltàn.
Questa mostra conclusiva della rassegna “Torino 1 città 1000 città”, si allontana dalla visione della città che si trasforma, dalla città/cantiere (in tutti i sensi del termine, e che quindi iscrive qui anche iniziative come “Luci d’artista”), per mettere al centro la città e la gente che la abita, che la popola. Ritornano quindi gli scorci più abituali, più riconoscibili, il centro storico e i luoghi di aggregazione, e ritorna la gente, a “vivere” questi luoghi, tra passeggiata domenicale e festa di strada, tra concerti e tempo libero. La città di sempre, quindi, la buona vecchia Torino.
Ma quella ritratta in via San Donato è indubbiamente una danza del ventre (e guardate la delizia della bambina che ripete il gesto), mica la “monferrina”; la signora che attraversa via Tarino, spingendo la carrozzina da cui fa capolino il figlioletto, con la Mole sullo sfondo, porta il velo; e così il pubblico che affolla un cortile di via Nizza, per un concerto jazz, dimostra palesemente la multietnicità ormai assodata della nostra città.
1 città 1000 città anche a questo livello di lettura.
Questa è la buona nuova Torino.
Bruno Boveri
P.S.
Il lavoro di Zoltàn Nagy su Torino è molto più ampio del piccolo assaggio che viene qui proposto. Si spera e si auspica che qualche occhio lungimirante ci metta presto nelle condizioni di poterlo vedere esposto nella sua completezza.
Zoltàn Nagy è nato nel 1943 a Budapest, in Ungheria. Nel 1966 ha lasciato il suo paese. Dal 1967 al 1972 ha frequentato la Folkwangschule für Gestaltung a Essen, in Germania, specializzandosi in fotogiornalismo e iniziando subito a lavorare come fotoreporter indipendente. Dal 1974 vive e lavora in Italia. È membro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia e collabora con le più importanti testate in lingua tedesca, svedese e danese. Dal 1984 è diventato cittadino italiano. Ha pubblicato alcuni libri tra cui: Szèkesfehèrvàr, Corvina, Budapest 1967; Üzenet Dèlröl (Messaggio del Sud), Arc, Budapest 1995; Grand Tour (con Paola Agosti), Inside Out, Torino 2001; Genießen mit Puccini, Rolf Heyne, Monaco di Baviera 2004.
Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia e all’estero, tra le ultime nel 1999 alla Galleria di Sabine e Hartwig de Haën a Roma e alla Galleria Franca Sapienza a Milano; nel 2001 al Museo Nazionale della Fotografia a Kecskemèt in Ungheria (insieme a Paola Agosti); nel 2002 alla Budapest Galleria a Budapest (con Paola Agosti); nel 2003 alle mostre collettive Italiani a tavola e Un bacio, due baci… alla Fondazione Mazzotta a Milano.
Alcune sue fotografie fanno parte delle collezioni permanenti dei musei ungheresi.
* Black and White are the Colors of Robert Frank, Aperture Vol. 9, n° 1, New York, 1961, pag. 22.
Robert Frank
Potrebbe già bastare…
Leggete le parole di Robert Frank e guardate le fotografie di Zoltàn Nagy. Dice tutto Frank. Descrive perfettamente quello che vediamo sotto i nostri occhi. La fusione tra uno sguardo semplice e una superba intuizione visiva. Sta lì la magia della fotografia, sta lì la magia di “queste” fotografie.
Che dire d’altro? Beh, forse si potrebbero notare i tanti rimandi ad una tradizione fotografica classica e raffinata; sottolineare lo stretto legame di Zoltàn Nagy con un suo illustre connazionale, André Kertész, per un certo uso degli scorci architettonici, per la grazia nel collocare le figure umane entro l’inquadratura della macchina, per il far risultare semplici, quasi banali, visioni complesse ed ardite.
E ancora iscriverlo ad honorem pure alla cosiddetta “scuola francese”, per la leggerezza del tocco e la sottile ironia, per il gusto del paradosso e del contrappasso (prolungamenti artificiosi, rimbalzi iconici e semantici, ripetizioni formali, quasi auto-citazioni interne ad alcune immagini, e ribaltamenti prospettici). E qui siamo senza dubbio dalle parti di Izis e Cartier-Bresson, soprattutto.
E poi la complessità strutturale delle immagini, i tanti, diversi, intriganti e stimolanti piani di lettura. Guardate la persona ritratta all’interno di un bar, coi pappagallini nella tendina e le cornici (che ci stanno a fare?) appoggiate all’esterno; guardate l’immagine di Piazza Vittorio ripresa dalla Gran Madre, con lo sdoppiamento tra statue e paesaggio urbano, tra realtà e riproduzione; guardate (e qui mi fermo, ma si potrebbe andare avanti all’infinito) il caleidoscopio di prospettive nella vetrina del negozio di dischi in via Po, dove l’unico punto fermo e inequivocabile sono… i due cagnolini.
Assoluta semplicità nello sguardo, ci si potrebbe sbilanciare addirittura ad usare il termine “innocenza”, ma, appunto, la semplicità “assoluta” si raggiunge solo ed esclusivamente se si possiede una padronanza del mezzo (nei suoi termini espliciti e impliciti, e cioè nei termini sia della tecnica che del linguaggio) e una raffinatezza visiva che solo i maestri hanno.
Ultima notazione, e qui ci caliamo nei contenuti della visione di Zoltàn.
Questa mostra conclusiva della rassegna “Torino 1 città 1000 città”, si allontana dalla visione della città che si trasforma, dalla città/cantiere (in tutti i sensi del termine, e che quindi iscrive qui anche iniziative come “Luci d’artista”), per mettere al centro la città e la gente che la abita, che la popola. Ritornano quindi gli scorci più abituali, più riconoscibili, il centro storico e i luoghi di aggregazione, e ritorna la gente, a “vivere” questi luoghi, tra passeggiata domenicale e festa di strada, tra concerti e tempo libero. La città di sempre, quindi, la buona vecchia Torino.
Ma quella ritratta in via San Donato è indubbiamente una danza del ventre (e guardate la delizia della bambina che ripete il gesto), mica la “monferrina”; la signora che attraversa via Tarino, spingendo la carrozzina da cui fa capolino il figlioletto, con la Mole sullo sfondo, porta il velo; e così il pubblico che affolla un cortile di via Nizza, per un concerto jazz, dimostra palesemente la multietnicità ormai assodata della nostra città.
1 città 1000 città anche a questo livello di lettura.
Questa è la buona nuova Torino.
Bruno Boveri
P.S.
Il lavoro di Zoltàn Nagy su Torino è molto più ampio del piccolo assaggio che viene qui proposto. Si spera e si auspica che qualche occhio lungimirante ci metta presto nelle condizioni di poterlo vedere esposto nella sua completezza.
Zoltàn Nagy è nato nel 1943 a Budapest, in Ungheria. Nel 1966 ha lasciato il suo paese. Dal 1967 al 1972 ha frequentato la Folkwangschule für Gestaltung a Essen, in Germania, specializzandosi in fotogiornalismo e iniziando subito a lavorare come fotoreporter indipendente. Dal 1974 vive e lavora in Italia. È membro dell’Associazione della Stampa Estera in Italia e collabora con le più importanti testate in lingua tedesca, svedese e danese. Dal 1984 è diventato cittadino italiano. Ha pubblicato alcuni libri tra cui: Szèkesfehèrvàr, Corvina, Budapest 1967; Üzenet Dèlröl (Messaggio del Sud), Arc, Budapest 1995; Grand Tour (con Paola Agosti), Inside Out, Torino 2001; Genießen mit Puccini, Rolf Heyne, Monaco di Baviera 2004.
Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia e all’estero, tra le ultime nel 1999 alla Galleria di Sabine e Hartwig de Haën a Roma e alla Galleria Franca Sapienza a Milano; nel 2001 al Museo Nazionale della Fotografia a Kecskemèt in Ungheria (insieme a Paola Agosti); nel 2002 alla Budapest Galleria a Budapest (con Paola Agosti); nel 2003 alle mostre collettive Italiani a tavola e Un bacio, due baci… alla Fondazione Mazzotta a Milano.
Alcune sue fotografie fanno parte delle collezioni permanenti dei musei ungheresi.
* Black and White are the Colors of Robert Frank, Aperture Vol. 9, n° 1, New York, 1961, pag. 22.
08
maggio 2007
Zoltàn Nagy – Strada facendo
Dall'otto maggio al 30 giugno 2007
fotografia
Location
LIBRERIA AGORA’
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Torino, Via Santa Croce, o/e, (Torino)
Orario di apertura
martedì-sabato 9:30-19; lunedì 15:30-19 (domenica chiuso)
Vernissage
8 Maggio 2007, ore 18
Autore